La fruizione dei beni culturali: i nuovi diritti
Il regime dei canoni di riproduzione dei beni culturali nel d.m. 108/2024: profili critici e prospettive di riforma
di Guglielmo Perini [*]
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il d.m. 11 marzo 2023, n. 161 e la controversa questione della onerosità delle riproduzioni. - 3. Il d.m. 21 marzo 2024, n. 108: novità e dissonanze del quadro normativo. - 4. Luci e ombre della disciplina vigente. - 5. Una proposta di riforma per le immagini dei beni culturali.
Il documento analizza il decreto del ministero dei Beni Culturali del 21 marzo 2024, n. 108, che ridefinisce i criteri di calcolo dei compensi per la riproduzione e il riuso delle immagini dei beni culturali, dando così attuazione all'articolo 108, d.lg. n. 42/2004. Adottato in risposta alle critiche mosse al precedente d.m. 161/2023, il nuovo testo introduce significative novità in materia di riproduzioni gratuite, ampliando le esenzioni dai compensi e trovando un diverso equilibrio tra la redditività del patrimonio culturale e l'interesse pubblico all'utilizzo gratuito delle immagini. Dopo aver delineato le disposizioni chiave delle Linee guida ministeriali, l'articolo ne valuta l'allineamento con la legislazione vigente, evidenziando le criticità e sottolineando la necessità di una riforma globale del settore. Collocandosi all'interno del più ampio dibattito sull'uso delle tecnologie digitali per la valorizzazione del patrimonio culturale, l'articolo propone infine un modello di riforma volto a promuovere il libero riutilizzo delle immagini.
Parole chiave: riproduzione del patrimonio culturale; libero riutilizzo delle immagini; decreto ministeriale 108/2024; tasse di riproduzione; open access.
The regime of reproduction fees for cultural property in ministerial property in ministerial decree n. 108/2024: critical profiles and prospects for reform
The paper analyses ministry of Culture Decree n. 108 of 21 March 2024, which redefines the criteria for calculating reproduction and reuse fees for images of cultural heritage, thereby implementing article 108, D.lg. n. 42/2004. Adopted in response to criticism of the previous Ministerial Decree n. 161/2023, the new text introduces significant innovations regarding free reproductions, broadening the exemptions from fees and striking a different balance between the profitability of cultural heritage and the public interest in free image use. After outlining the key provisions of the Ministerial Guidelines, the article evaluates their alignment with existing legislation, highlighting critical issues and emphasising the need for comprehensive sector-wide reform. Positioning itself within the broader debate on the use of digital technologies to enhance cultural heritage, the paper ultimately proposes a reform model aimed at promoting the free reuse of images.
Keywords: reproduction of cultural heritage; free reuse of images; ministerial decree 108/2024; reproduction fees; open access.
Le immagini dei beni culturali costituiscono una risorsa importante per promuovere l’accessibilità e diffondere la conoscenza del patrimonio storico e artistico italiano a livello globale [1]. Esse si prestano a una circolazione illimitata e, grazie agli strumenti informatici, possono essere rielaborate per svelare contenuti non immediatamente percepibili e arricchire la comprensione del pubblico [2].
Facilitando la fruizione e il riuso del patrimonio culturale digitalizzato, le tecnologie offrono nuove opportunità di valorizzazione economica e culturale per musei e istituti pubblici. Tali potenzialità rischiano, tuttavia, di scontrarsi con restrizioni normative che ne impediscono la concreta attuazione.
Se, da un lato, la crescente disponibilità di strumenti digitali ha notevolmente semplificato la riproduzione fotografica del patrimonio culturale, dall’altro persistono ostacoli giuridici alla libera diffusione delle sue immagini. I vincoli di fonte legislativa si riflettono poi nelle scelte gestionali: mentre all’estero è sempre più diffusa l’offerta di riproduzioni liberamente accessibili, in Italia, salvo rare eccezioni, rimane prevalente una strategia restrittiva, volta a limitare la circolazione delle immagini dei beni culturali.
La chiusura che caratterizza il contesto italiano trova il suo fondamento nella disciplina di settore [3], la quale attribuisce alle amministrazioni cui il patrimonio è affidato il potere di concedere la riproduzione e il riuso della loro immagine per scopi commerciali, a fronte del pagamento di un canone.
Segnatamente, l’art. 108, comma 6, del Codice dei beni culturali affida a un provvedimento generale dell’amministrazione concedente (dunque del ministero della Cultura, nel caso dei beni degli istituti e luoghi della cultura statali) il compito di stabilire gli importi minimi che servono come base per calcolare i canoni da applicare ai privati. La definizione in concreto del canone, ai sensi del primo comma dello stesso articolo, è poi operata dall’amministrazione avente in consegna i beni (quindi, dai musei autonomi e dalle altre strutture periferiche del ministero [4]) tenendo conto dei mezzi impiegati, della finalità e della destinazione d’uso della riproduzione, oltre che dei benefici economici previsti per il richiedente. Sono tuttavia gratuite, salvo il rimborso delle spese, le riproduzioni “richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché attuate senza scopo di lucro” [5].
Ad oggi, gli importi minimi da applicare alla concessione della riproduzione di immagini di beni culturali in proprietà dello Stato [6] sono fissati dal decreto del ministero della Cultura n. 108 del 21 marzo 2024 [7], adottato a seguito delle numerose critiche rivolte alla disciplina previgente e, in particolare, al decreto n. 161 dell’11 aprile 2023 [8]. Lo stesso decreto 108, in attuazione dell’art. 108 del Codice, ha poi precisato le ipotesi di riuso gratuito delle riproduzioni, ampliandole rispetto a quanto previsto dalla regolamentazione precedente ed evidenziando, così, la ricerca di un nuovo bilanciamento tra l’interesse alla massima fruizione del patrimonio culturale [9] e gli obiettivi economici perseguiti attraverso l’imposizione dei canoni.
In quest’ottica, l’evoluzione recente della disciplina ministeriale offre l’occasione per riflettere sul controllo pubblico delle immagini del patrimonio culturale. In particolare, l’esame dei contenuti del decreto solleva nuovi interrogativi sul futuro della regolazione amministrativa nel settore delle immagini e porta a dubitare della sua stessa sostenibilità, giustificando la ricerca di modelli di gestione alternativa.
2. Il d.m. 11 marzo 2023, n. 161 e la controversa questione della onerosità delle riproduzioni
Il dibattito sulla creazione e diffusione di riproduzioni fedeli del patrimonio culturale ha profondamente risentito degli effetti della pandemia, che ha evidenziato sia le potenzialità che i limiti del medium digitale come strumento di fruizione della cultura.
L’attenzione per questo tema è stata ulteriormente alimentata dall’introduzione delle “Linee guida per la determinazione dei canoni minimi di concessione”, contenute nel decreto ministeriale 161/2023, in cui si coglie la volontà di alimentare la redditività del patrimonio culturale mediante la vendita di immagini, che, in quanto non rivali nell’uso, potrebbero invece essere rese liberamente accessibili [10]. Ne è dimostrazione la scelta di definire non solo i criteri per il calcolo dei canoni relativi agli usi commerciali delle riproduzioni, ma anche gli importi da versare a titolo di rimborso per la distribuzione delle immagini, il cui pagamento è dovuto a prescindere dai motivi della richiesta. Come osservato dalla dottrina più critica, le Linee guida introducono così un onere economico anche a carico di chi intenda acquisire un’immagine per motivi personali o di studio, pur trattandosi, in molti casi, di materiali già nella disponibilità dell’amministrazione, la cui diffusione non comporta alcun costo e che, proprio per questo, si presterebbero a una fruizione illimitata [11].
Tuttavia, l’aspetto più controverso del decreto, che ha suscitato le maggiori attenzioni, è un altro e consiste nella onerosità di qualsiasi utilizzo dell’immagine del patrimonio culturale all’interno di pubblicazioni, anche scientifiche, aventi un prezzo di copertina [12].
Sotto questo profilo, l’atto segna una netta discontinuità rispetto all’assetto previgente, nel quale l’unica disciplina di livello statale sulla quantificazione dei canoni, contenuta nel decreto ministeriale 8 aprile 1994, assicurava la gratuità degli usi editoriali entro determinate soglie di prezzo e tiratura [13]. Sono seguite critiche, anche aspre, da parte di esponenti e istituzioni del mondo della cultura, che hanno denunciato l’onerosità dei costi e delle procedure imposte a danno di un settore, come quello della ricerca, già carente di risorse [14].
Questa strategia di valorizzazione economica delle immagini non appare invero coerente con gli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) in materia di Turismo e Cultura, che prevede, accanto agli interventi di restauro e valorizzazione, un vasto programma di digitalizzazione ispirato agli standard internazionali più avanzati. L’iniziativa intende avvalersi delle riproduzioni digitali per assicurare un accesso universale al patrimonio storico e turistico italiano, promuovendo, al contempo, nuove modalità di studio e divulgazione dei suoi contenuti immateriali [15].
Per raggiungere tali risultati, è richiesta la creazione di un’infrastruttura digitale integrata, in grado di raccogliere e rendere fruibili le risorse in possesso delle amministrazioni, per favorire lo sviluppo di servizi culturali innovativi, “con l’obiettivo finale di stimolare un’economia basata sulla circolazione della conoscenza” [16].
In una prospettiva più ampia, gli orientamenti della politica europea, recepiti nel Pnrr, attribuiscono al patrimonio culturale un ruolo strategico nel rafforzamento della competitività del sistema produttivo. Alla base di questo modello, vi è la convinzione che il patrimonio sia una risorsa fondamentale per promuovere lo sviluppo sostenibile, migliorare la qualità della vita, favorire la coesione sociale e stimolare una crescita economica rispettosa dell’ambiente [17]. La digitalizzazione ne accresce ulteriormente le potenzialità, rendendo il patrimonio più accessibile e agevolando il riuso della sua componente immateriale. La valorizzazione in ambiente digitale diviene così uno strumento di attuazione dell’impegno a promuovere la consapevolezza e l’impiego del potenziale economico dell’eredità culturale, sancito dalla Convenzione di Faro [18]. In questo contesto, la scelta italiana di privilegiare obiettivi di reddittività a breve termine, limitando la circolazione delle immagini, rischia di compromettere l’apporto dei beni culturali allo sviluppo socio-economico nel lungo periodo.
Sull’argomento si è espressa anche la Corte dei conti, nell’esercizio delle sue funzioni di controllo esterno sulla gestione finanziaria delle amministrazioni statali. La relazione annuale del 2022 ha messo in evidenza le ricadute positive del libero riuso delle immagini, il quale rappresenta “un potente moltiplicatore di ricchezza non solo per le stesse istituzioni culturali (...) ma anche in termini di incremento del Pil ed è quindi considerato un asset strategico per lo sviluppo sociale, culturale ed economico dei Paesi membri dell’Unione” [19]. Sempre secondo la Corte, il tariffario introdotto dal ministero sembrava “non tener conto né delle peculiarità operative del web, né del potenziale danno alla collettività da misurarsi anche in termini di rinunce e di occasioni perdute; ponendosi, così, in evidente contrasto anche con le chiare indicazioni che provengono dal Piano Nazionale di Digitalizzazione (Pnd) del patrimonio culturale”, nel quale sono stati recepiti gli obiettivi del Pnrr.
Di qui l’esigenza di un ripensamento che è culminato in una nuova disciplina.
3. Il d.m. 21 marzo 2024, n. 108: novità e dissonanze del quadro normativo
Il d.m. n. 108/2024 nasce come risposta alle numerose critiche rivolte al precedente tariffario, ma conserva con quest’ultimo diversi elementi di continuità. Tra questi, spicca la previsione di una dettagliata griglia di calcolo delle tariffe, basata su prezzi e coefficienti a cascata, che complica notevolmente la determinazione degli importi dovuti [20].
Il complesso meccanismo predisposto dal ministero è finalizzato a garantire un collegamento tra la somma richiesta e il contenuto del diritto concesso, nel tentativo di ricondurre a una logica coerente un insieme frammentato di ipotesi di riuso delle immagini [21]. Tuttavia, l’estrema specificità delle fattispecie considerate ne rende paradossalmente incerta l’applicazione [22] e potrebbe condurre a disparità di trattamento da parte degli istituti culturali incaricati dell’attuazione delle linee guida, con un contestuale aggravio del carico di lavoro richiesto ai relativi uffici [23].
Come eccezioni a questa stringente disciplina tariffaria, il decreto prevede una serie di ipotesi di gratuità del canone, classificabili in base agli interessi sottesi a ciascuna di esse e riconducibili a tre macrocategorie: la valorizzazione del territorio e il sostegno ad attività di rilevanza sociale; la diffusione delle immagini per scopi educativi e, infine, il loro impiego nell’ambito di iniziative culturali, quali la produzione editoriale e l’organizzazione di mostre. Nessuna di queste esenzioni trovava spazio nel decreto ministeriale del 2023, il quale si è limitato a riprodurre le disposizioni del Codice, senza introdurre precisazioni interpretative o criteri applicativi ulteriori. Al contrario, le linee guida ribadivano, in modo esplicito, l’inapplicabilità di esenzioni, totali o parziali, a tutti gli impieghi delle immagini aventi carattere lucrativo, a prescindere dal loro contenuto sociale o culturale [24]. L’approccio del decreto 108 è dunque su questo punto diverso.
Un primo insieme di esenzioni, definito dal tariffario come “ipotesi particolari” di gratuità, è volto a tutelare il valore sociale delle iniziative che prevedono l’impiego di immagini del patrimonio culturale. In particolare, è prevista la possibilità di ridurre o azzerare il canone per richieste avanzate da enti del Terzo settore o per iniziative “di contenuto sociale meritorio”, nonché per progetti che favoriscano la promozione di specifiche aree territoriali o del patrimonio culturale meno conosciuto [25]. Il tariffario può dunque essere derogato a vantaggio del richiedente, in base a una valutazione amministrativa che consideri i benefici sociali e l’impatto di valorizzazione derivante dal riutilizzo dell’immagine. Tuttavia, in caso di completo esonero o significativa riduzione del canone, è necessario il parere “dell’organo amministrativo di vertice del Ministero” [26] (vale a dire il ministro).
Una seconda categoria di esenzioni mira a promuovere l’impiego delle riproduzioni come strumento di educazione e divulgazione culturale. A tal fine, il decreto consente ai musei il riuso gratuito delle immagini per attività di promozione e documentazione delle esposizioni, oltre che per iniziative didattiche rivolte al pubblico. Di particolare interesse è, inoltre, l’esenzione del canone per i cataloghi di mostre con tiratura inferiore a quattromila copie, precedentemente inclusi tra le pubblicazioni a carattere commerciale. Il pagamento del canone è escluso anche per il riuso di immagini nella realizzazione di materiale espositivo, scientifico e didattico di mostre e manifestazioni culturali organizzate per la valorizzazione del patrimonio culturale, senza scopo di lucro.
Le attività espositive e, in generale, le iniziative non commerciali tendenti alla valorizzazione del patrimonio culturale erano già esenti da canoni [27]. Tuttavia, il decreto introduce una previsione significativa, specificando che “il biglietto di ingresso non è di per sé sufficiente a caratterizzare una iniziativa di valorizzazione come a fine di lucro; è necessario valutare l’insieme delle circostanze in cui si realizza l’iniziativa stessa” [28].
Questa indicazione, pur se riferita solo alle mostre, attenua la rigidità propria del precedente sistema tariffario, che considerava la presenza di un prezzo di vendita, anche minimo, come prova sufficiente a dimostrare la presenza di un fine di lucro e dunque la funzione commerciale dell’impiego dell’immagine. Emerge, così, un’interpretazione meno formale della distinzione tra riproduzioni a scopo commerciale e non commerciale, rispondente alle caratteristiche di un contesto di mercato in cui i profili economici e quelli culturali di qualsiasi attività privata sono profondamente interconnessi [29].
Sempre al fine di consentire la circolazione delle immagini in contesti educativi e culturali, il decreto 108/2024 prevede che le pubblicazioni, sia scientifiche che divulgative, nonché i quotidiani, i periodici di informazione e i cataloghi d’arte con tiratura inferiore alle quattromila copie, siano esentate dal pagamento. Questa scelta, discutibile sulla base di una lettura testuale dell’art. 108, comma 3-bis del Codice [30], rappresenta una forma di sostegno indiretto alla ricerca scientifica e all’informazione, e, per questo, trova una sua possibile base nel collegamento, previsto dall’art. 9 della Costituzione, tra tutela del patrimonio storico-artistico e promozione della cultura [31].
Un incentivo analogo è previsto per il riutilizzo delle immagini del patrimonio culturale nelle pubblicazioni open access, che le Linee guida ministeriali qualificano come attività “libere” con finalità di “studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale”, secondo quanto disposto dall’art. 108, comma 3-bis, del Codice. In questo caso, l’esenzione intende garantire la massima accessibilità alle ricerche sul patrimonio culturale, in linea con le politiche europee di promozione scienza aperta, che valorizzano la pubblicazione in formato condiviso come criterio prioritario per la valutazione dei progetti da finanziare attraverso i programmi dell’Unione europea [32].
Tuttavia, emergono di nuovo alcune perplessità in merito alla compatibilità di tale esenzione con le disposizioni legislative, considerando che il formato open access renderebbe possibile a terzi appropriarsi delle immagini a fini economici, traendo un lucro indiretto dalla loro pubblicazione [33]. In questo contesto, l’uso del termine “accesso aperto” rischia quindi di apparire fuorviante, poiché suggerisce la possibilità di estrapolare e riutilizzare le immagini anche per scopi commerciali, secondo modalità espressamente escluse dal Codice, che, in assenza di uno specifico provvedimento di concessione, ammette solamente la “divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro” [34].
4. Luci e ombre della disciplina vigente
Emerge da questa analisi come, nel complesso, la disciplina vigente presenti luci ed ombre.
Il d.m. 108/2024 sembra risolvere alcune delle problematiche legate al precedente regime tariffario, il quale, perseguendo il solo fine del contenimento delle ipotesi di gratuità, finiva per pregiudicare rilevanti interessi pubblici e privati connessi al riuso delle immagini: si pensi, solo come esempio, alla compressione del diritto di cronaca derivante dall’impossibilità di raffigurare gratuitamente il patrimonio culturale sui quotidiani di informazione, consentita invece dal più recente decreto.
Il quadro delle esenzioni risulta poi oggi più chiaro sia per le amministrazioni, chiamate alla quantificazione dei canoni, che per gli utenti. Si tratta, tuttavia, di una semplificazione ancora parziale: il meccanismo previsto per la determinazione dei costi a carico dei privati rimane complesso nell’applicazione e incerto negli esiti, determinando non solo un elevato dispendio di risorse per le amministrazioni, ma anche il concreto rischio di trattamenti diseguali a danno degli utenti.
D’altra parte, proprio nella più chiara disciplina delle ipotesi di gratuità si nota una progressiva erosione del dettato legislativo: la tradizionale distinzione tra usi culturali gratuiti e usi commerciali onerosi lascia spazio a un bilanciamento caso per caso tra l’interesse erariale alla riscossione dei canoni e quello culturale alla valorizzazione del patrimonio attraverso le sue immagini.
In questo contesto, la determinazione dei corrispettivi esigibili assume un significato che va oltre la dimensione meramente contabile, contribuendo a modellare la relazione culturale ed educativa che il museo sviluppa con il proprio pubblico. Da un lato, l’adozione di procedure onerose o canoni elevati può, infatti, limitare l’accesso al patrimonio culturale, con possibili implicazioni discriminatorie. Dall’altra, la promozione del riuso delle risorse digitali può rappresentare una scelta strategica, finalizzata a rafforzare la reputazione e l’attrattività del museo nella sfera digitale, con potenziali benefici per la sua sostenibilità finanziaria.
Questa complessa rete di interessi, articolata tra esigenze economiche e missione culturale, ha condotto all’introduzione di nuove ipotesi di gratuità del canone, talvolta in tensione con l’art. 108 del Codice, che sancisce, invece, l’onerosità di tutti gli usi delle riproduzioni a scopo di lucro. Le incertezze interpretative e i problemi applicativi che ne derivano testimoniano l’impossibilità di superare pienamente questo principio attraverso atti amministrativi generali. Appare quindi opportuno riflettere su una possibile revisione degli articoli 107 e 108 del Codice, al fine di delineare con chiarezza la distinzione tra l’uso delle immagini di un bene culturale e il godimento diretto del bene stesso per usi temporanei e strumentali [35] (ad esempio, l’utilizzo di una sala museale per eventi privati) limitando a quest’ultima fattispecie la necessità di un provvedimento di concessione a titolo oneroso.
5. Una proposta di riforma per le immagini dei beni culturali
Nel paragrafo precedente si è tentato di dimostrare che l’amministrazione, al momento di individuare le forme di riuso dell’immagine soggette a canone, è chiamata a un bilanciamento fra l’interesse a una gestione economicamente sostenibile della risorsa culturale e quello alla promozione della sua conoscenza, che costituisce il fine ultimo dell’intervento pubblico in questo settore.
Questa conclusione è avvalorata dalle recenti Linee guida ministeriali che, prevedendo ipotesi di esenzione dal canone, individuano una serie di fattispecie nelle quali tale bilanciamento è interamente predeterminato o, al contrario, rimesso alla scelta discrezionale dei direttori degli istituti della cultura. La valutazione richiesta risulta però strutturalmente incompleta, poiché il legislatore trascura di considerare, tra i criteri decisori elencati all’art. 108, il costo sostenuto dall’amministrazione per la riscossione dei canoni. Questo parametro non trova menzione nel tariffario ministeriale. Esso, invece, dovrebbe assumere un rilievo decisivo, per evitare che l’imposizione del canone, da fonte di introiti per l’amministrazione, si trasformi in un costo [36]. Il rischio è reale: come sottolineato dalla Corte dei conti, la “vendita” delle singole immagini è un’attività anacronistica e palesemente antieconomica che, in molti casi, non assicura ricavi sufficienti a coprire i costi di gestione [37].
Queste considerazioni preliminari suggeriscono, in una prospettiva de iure condendo, la possibilità di una parziale liberalizzazione dell’uso delle immagini del patrimonio culturale, accompagnata da un ripensamento delle modalità di tutela.
Già nel decreto ministeriale n. 108/2024 è presente una prima attenuazione della tradizionale distinzione tra usi commerciali e non lucrativi, su cui si fonda la disciplina delle immagini del patrimonio culturale. Con una interpretazione più lasca del requisito dell’assenza di lucro di cui all’art. 108 Cbc, esso, infatti, esenta dal pagamento del canone alcune forme di riproduzione, che, a rigor di logica, rientrerebbero nella categoria degli usi commerciali, soggetti al rilascio di un provvedimento di concessione a titolo oneroso.
Se l’ordinamento dovesse completare questa evoluzione, eliminando ogni riferimento al lucro dall’art. 108 Cbc, resterebbero, comunque, tre limiti fondamentali alla libera riproducibilità delle opere d’arte: il rispetto del diritto d’autore, del diritto alla riservatezza e delle misure a protezione dell’integrità fisica dei beni (che richiedono l’autorizzazione all’uso di cavalletti, treppiedi e fonti luminose all’interno degli istituti della cultura). Entro questi confini, chiunque dovrebbe poter realizzare e diffondere copie del patrimonio culturale anche per fini commerciali [38]. Allo stesso tempo, musei, archivi e biblioteche potrebbero anche adottare politiche di valorizzazione che facciano leva anche sul libero riuso delle immagini delle loro collezioni.
Ciò, d’altra parte, non priverebbe i musei della possibilità di trarre un beneficio economico dalla gestione delle immagini: essi potrebbero, infatti, fornire servizi complementari ad alto valore aggiunto (come strumenti di ricerca personalizzati o contenuti e metadati aggiuntivi) o vendere riproduzioni di migliore qualità, senza rinunciare alla distribuzione gratuita di tutte le altre [39]. I musei manterrebbero, inoltre, un controllo completo sulla realizzazione di riproduzioni professionali, che, per ragioni materiali, possono essere effettuate solo previa concessione degli spazi a fronte del pagamento di un canone [40].
In Italia e all’estero, diversi istituti culturali hanno scelto di autorizzare il libero riuso delle immagini del patrimonio culturale anche per finalità economiche. Limitandoci al contesto italiano, si ricorda, in particolare, il caso del museo egizio di Torino, che, dal 2014, offre sul proprio sito immagini digitali in pubblico dominio riutilizzabili per qualsiasi scopo, anche commerciale, in forma del tutto gratuita e senza ulteriori permessi da parte del Museo [41]. Soluzioni analoghe, orientate alla distribuzione di immagini liberamente riutilizzabili, sono state adottate anche presso il Rijksmuseum in Olanda, il Metropolitan Museum of Art di New York e il Getty Museum di Los Angeles [42]. Tutti questi esempi testimoniano come la tutela dei beni culturali e della loro immagine possa prescindere dalla rigida distinzione fra usi commerciali e divulgativi, rinunciando anche all’applicazione del regime concessorio, per favorire, al contrario, il libero riuso e la diffusione delle riproduzioni, come strumenti di valorizzazione culturale.
L’adozione generalizzata di modelli di accesso aperto avrebbe inevitabili ripercussioni sulle modalità di tutela del valore culturale immateriale insito in ciascuna riproduzione del patrimonio culturale. La dottrina ha sottolineato come il successo di tali politiche dipenda, in ultima analisi, dalla responsabilità degli utenti nel fare un uso rispettoso delle immagini messe a disposizione dalle istituzioni [43], non essendo possibile autorizzare e conformare ex ante tutti i comportamenti privati in questo settore. D’altra parte, la disciplina delle riproduzioni non dovrebbe considerare la libera circolazione delle immagini e la tutela del decoro del patrimonio culturale come interessi antitetici e incompatibili, integrandoli, invece, all’interno di una regolamentazione amministrativa che definisca ex ante gli usi leciti dell’immagine.
Sempre in una prospettiva de iure condendo, può risultare opportuno rinunciare all’idea di un controllo preventivo, difficilmente praticabile su tutti gli usi commerciali delle immagini. Si potrebbe, invece, ipotizzare uno scenario in cui l’amministrazione, nel momento in cui offre al pubblico immagini liberamente accessibili, definisce anche gli usi commerciali consentiti, imponendo così che la riproduzione sia diffusa solo per tali scopi, senza richiedere una concessione d’uso [44]. Così facendo, si ridurrebbero gli oneri burocratici a carico dei privati e dell’amministrazione, senza privare quest’ultima del potere di definire gli usi dell’immagine compatibili con la destinazione culturale del bene.
L’individuazione degli usi consentiti anticiperebbe e uniformerebbe le valutazioni di compatibilità [45], attualmente effettuate dall’amministrazione al momento della richiesta di concessione, la quale potrebbe essere al più sostituita con una semplice segnalazione da parte del privato. Potrebbe finanche risultare funzionale consentire che quest’ultimo si procuri autonomamente le riproduzioni fedeli dei beni culturali necessarie per attività di studio e uso personale, scaricandole dal sito dell’amministrazione. In questo modo, l’amministrazione non sarebbe più tenuta a trasmettere singolarmente le immagini detenute, né ad addebitare agli utenti i costi di tale operazione, semplificando notevolmente le modalità di accesso al patrimonio culturale digitalizzato per ragioni di studio, ricerca e fruizione personale.
In conclusione, l’apertura verso il libero riuso delle immagini del patrimonio culturale non solo rappresenta una scelta simbolicamente significativa e vantaggiosa per la reputazione delle istituzioni italiane [46], ma offre anche concreti benefici organizzativi, in termini di semplificazione e maggiore efficienza per l’amministrazione.
Per tutto questo, ma anche a prescindere da ciò, risulta comunque evidente la necessità di un intervento legislativo: i tentativi, avvenuti nell’arco di un solo anno, di risolvere le contraddizioni del sistema tramite l’adozione e la revisione di atti amministrativi generali dimostrano chiaramente che le incertezze di cui la disciplina risente richiedono una riforma strutturale del quadro normativo.
Note
[*] Guglielmo Perini, dottorando di ricerca in Diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Firenze, Via delle Pandette 32, 50127 Firenze, guglielmo.perini@unifi.it.
[1] E. Cavalieri, I modelli gestionali: il management museale, in La globalizzazione dei beni culturali, (a cura di) L. Casini, Bologna, Il Mulino, 2010, pag. 264. L’Autrice osserva che il sito web del museo “diviene uno strumento per la globalizzazione della fruizione, un non-luogo dove chiunque, a prescindere da ogni confine territoriale, può fruire del contenuto digitalizzato delle opere d’arte, che viene, in tal modo, universalizzato”. Nel medesimo volume vedasi anche C. Vitale, La fruizione dei beni culturali tra ordinamento internazionale ed europeo, in La globalizzazione dei beni culturali, (a cura di) L. Casini, Bologna, Il Mulino, 2010, pag. 196: “I contenuti culturali (digitalizzati) diventano fruibili al di fuori dei confini del tempo e dello spazio, da parte di tutti, indistintamente. In questo senso, la fruizione virtuale si configura al tempo stesso, come un’ipotesi di fruizione agevolata, perché in grado di modulare le informazioni in ragione della diversità dei fruitori”.
Non si tratta di considerazioni del tutto nuove, né riferibili alle sole riproduzioni digitali. Infatti, già nel 1935, il filosofo tedesco Walter Benjamin osservava che l’immagine analogica “può inoltre introdurre la riproduzione dell’originale in situazioni che all’originale stesso non sono accessibili. In particolare, gli permette di andare incontro al fruitore, nella forma della fotografia oppure del disco. La cattedrale abbandona la sua ubicazione per essere accolta nello studio di un amatore; il coro che è stato eseguito in un auditorio oppure all’aria aperta può venir ascoltato in una camera”. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1935, traduzione it., Torino, Giappichelli, 1966, pagg. 22-23.
[2] Come osserva P. Forte, “ciò spiega perché la vera ambizione della digitalizzazione, in ambito culturale, non si può ridurre ad una mera duplicazione con esito digitale, ed alla cura dei dati in conseguenza generati, poiché essa può permettere molto più che una mera “rappresentazione”, sia per le ampie possibilità di maneggio e alterazione creativa che anche la mera immagine digitale di un oggetto consente, sia per la disponibilità all’arricchimento cognitivo riguardo ad una “cosa” che la sua versione digitale concede di radunare in un’unica entità”. P. Forte, Il bene culturale pubblico digitalizzato. Note per uno studio giuridico, in P.A. Persona e Amministrazione, 2019, 2, pag. 260.
[3] Codice dei beni culturali e del paesaggio, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 107-109. Per una complessiva analisi della disciplina vedasi F. Paolini, Art. 107 e Art. 108, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) G. Famiglietti, A. Lo Calzo, N. Pignatelli, Roma, NelDiritto, 2018, pagg. 730-740; C. Ventimiglia, Art. 107 e Art. 108, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, Milano, Giuffrè, 2019, pagg. 987-999. Vedasi anche S. Aliprandi, Vincoli alla riproduzione dei beni culturali, oltre la proprietà intellettuale, Archeologia e Calcolatori, supplemento 7, 2017, in particolare pagg. 106-108; J. Ciani Sciolla, Il pubblico dominio nella società della conoscenza, Torino, Giappichelli, 2021, pagg. 478-492; C. Castaldo, La fruizione come elemento di definizione del regime giuridico del bene culturale, in Dir. amm., 2022, 4, in particolare pagg. 1167-1174.
[4] Sul tema delle competenze si veda, nel dettaglio, G. Sciullo, Il d.m. 161 del 2023: un’analisi giuridica, in Aedon, 2023, 2.
[5] Art. 108, xomma 3, d.lg. n. 42/2004, Codice dei beni culturali e del paesaggio.
[6] Come osservato da G. Calculli, Il d.m. 21 marzo 2024, n. 108 del Ministero della Cultura: un passo avanti, un passo indietro, in Aedon, 2024, 2, il decreto non si applica all’intera rete degli istituti e luoghi della cultura presenti sul territorio nazionale, ma riguarda esclusivamente quelli dipendenti dal ministero della Cultura, che rappresentano circa un decimo del totale. Ciononostante, le scelte ministeriali in materia di canoni possono esercitare un’influenza significativa anche sulla gestione dei musei non statali. Sul tema si veda F. Rossi, Una riflessione sull’impatto del d.m. 161 del 2023 sui musei italiani non statali, in Aedon, 2023, 2.
[7] D.m. 108 21 marzo 2024, modifiche al decreto del ministro della Cultura 11 aprile 2023, rep. n. 161, recante “Linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali”.
[8] D.m. 161 11 aprile 2023, recante “Linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali”
[9] Come sarà argomentato nei paragrafi successivi, tale necessità dovrebbe orientare tanto l’interpretazione delle disposizioni vigenti quanto l’elaborazione di eventuali interventi normativi.
[10] Sulla fruizione collettiva delle utilità assicurate dai beni pubblici a uso non rivale si veda E. Boscolo, Beni privati, beni pubblici, beni comuni, in Riv. giur. urb., 2013, 2, in particolare pag. 351.
[11] M. Modolo, Il d.m. 11 aprile 2023, n. 161: osservazioni e proposte, in Aedon, 2023, 2.
[12] Il decreto adotta, infatti, un’interpretazione particolarmente rigida del “fine di lucro”, che, ai sensi dell’art. 108, comma 3 del Codice, esclude la gratuità della riproduzione e lo ritiene presente in tutti casi in cui l’immagine sia distribuita a fronte del pagamento di un costo, anche quando ciò non comporti alcun significativo margine di profitto.
[13] Nello specifico, il tariffario del 1994 prevedeva l’esenzione dal pagamento del canone per i libri con tiratura inferiore alle 2.000 copie e prezzo di copertina minore di 77 euro (150.000 lire) e per i periodici di natura scientifica. Il decreto è rimasto in vigore, con minime integrazioni, fino al 2023, nonostante fosse da tempo riconosciuto come carente e inadeguato. Già nel 2005, infatti, il ministero per i Beni e le Attività Culturali ammetteva che il decreto 8 aprile 1994 “non contempla parecchie ipotesi e fattispecie relative alle tecnologie di riproduzione digitali. Gli istituti dipendenti si sono perciò avvalsi della facoltà di concludere accordi specifici caso per caso, a norma dell’art. 9 del decreto”. (ministero per i Beni e le Attività culturali, Circolare n. 21 del 17/06/2005). Inoltre, i valori economici indicati nel decreto, risalendo a un periodo anteriore all’introduzione dell’euro, sono presto apparsi inadeguati, determinando una sostanziale desuetudine del regolamento, a cui le singole amministrazioni hanno sostituito propri tariffari e decisioni individuali sulle richieste di concessione d’uso delle immagini. La mancanza di uniformità nella gestione dei canoni ha portato la dottrina a sostenere che, nell’ordinamento italiano “non dovrebbe ritenersi vigente una definizione generale del “costo” di una ripresa [...] in quanto affidata a un livello decisionale baricentrico: allo stato, in base alla disciplina novellata, ciascuna amministrazione sembrerebbe assumere una posizione autonoma nella gestione del bene culturale, anche sotto il profilo della valutazione economica dell’utilizzo consentito” (Così, C. Ventimiglia, Art. 108, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pag. 995). Infine, non sono mancate critiche e denunce circa i “possibili favoritismi ed episodi di corruttela” derivanti dalla gestione decentrata dei canoni e delle concessioni: in questi termini, A.L. Tarasco, Diritto e gestione del patrimonio culturale, Roma-Bari, Laterza, 2019, pag. 72.
[14] Per una sintesi delle critiche provenienti dal mondo della cultura si veda, M. Brando, Il (caro) prezzo da pagare per le immagini dei beni culturali, in Atlante Treccani, 15/03/2023 e Id., Il dibattito sul costo delle immagini. La controreplica, in ivi, 25/03/2023.
[15] Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pag. 109-110, “Le misure di ripristino e rinnovamento del patrimonio fisico culturale saranno accompagnate da un programma di digitalizzazione volto a virtualizzare con approccio standard e ispirato alle migliori pratiche internazionali il patrimonio culturale e turistico italiano. In questo modo, da un lato si garantirà un accesso universale alle opere d’arte e dall’altro si abiliteranno iniziative di approfondimento e di divulgazione innovative”. Il documento è consultabile, per intero, al seguente link: https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR.pdf. Sulla rilevanza del Pnrr per la digitalizzazione del patrimonio culturale vedasi A.M. Ligresti, Sulla riproduzione (digitale) dei beni culturali. Il P.N.R.R. per il ‘digital cultural heritage’, in Amministrazione in Cammino, 23/11/2022 e V. Fanti, Verso un turismo ecosostenibile e una digitalizzazione del patrimonio culturale, Aa. Vv., Il PNRR alla prova del Sud, Napoli, 2021, pagg. 137 ss. Più in generale, sul rapporto fra Pnrr e cultura, vedasi A.M. Cavallaro, La cultura nel pnrr e la cultura del PNRR: alcune considerazioni, in P.A. Persona e Amministrazione, 2023, 1, in particolare, pag. 456 sulla digitalizzazione.
[16] Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pag. 110. Gli obiettivi indicati si inquadrano nell’ambito della missione 1 (Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo) Componente 4 (Turismo e cultura 4.0) Investimento 1.1 (Strategia digitale e piattaforme per il patrimonio culturale). Sull’argomento, è importante richiamare le “Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale”, adottate dal ministero per dare attuazione agli obiettivi di digitalizzazione fissati dal Pnrr. Il documento non incide sull’onerosità degli usi commerciali delle riproduzioni, prevedendo, infatti, che le immagini del patrimonio culturale siano offerte agli utenti in forma liberamente accessibile, accompagnate dalla “etichetta” Mic Standard (BY NC). L’associazione di questa etichetta all’immagine (operata a livello di metadati esterni e interni) segnala che ne è libera la divulgazione per finalità non lucrative, mentre ogni utilizzo commerciale è subordinato a una concessione e al pagamento di un canone. Una deroga è prevista a beneficio della pubblicazione delle immagini su “qualsiasi tipo di pubblicazione editoriale in forma di monografia, rivista o periodico sia in formato cartaceo che digitale”, la quale avviene, in ogni caso, a titolo gratuito e senza bisogno di alcuna autorizzazione. Il testo completo delle Linee guida è disponibile al seguente link: https://docs.italia.it/italia/icdp/icdp-pnd- circolazione-riuso-docs/it/consultazione/index.html. I temi richiamati sono trattati ai paragrafi 3.2 e 5.2. Sul rilievo delle Linee guida si veda anche M. Croce, La digitalizzazione delle collezioni museali. Stato dell’arte e prospettive, in Aedon, 2023, 2.
[17] Visione che ha trovato la sua più importante formulazione nella Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, fatta a Faro il 27 ottobre 2005. Per quanto riguarda il rapporto delineato dalla Convenzione tra comunità locale e valorizzazione dell’eredità culturale, anche da un punto di vista economico, si veda V. Di Capua, La Convenzione di Faro. Verso la valorizzazione del patrimonio culturale come bene comune?, in Aedon, 2021, 3.
[18] Art. 10, lett. a) della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società.
[19] Corte dei conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, delibera n. 76/2023/G, Gli esiti dell’attività di controllo svolta nell’anno 2022 e le misure conseguenziali adottate dalle amministrazioni, Relatore Cons. Carmela Mirabella, pag. 156, consultabile per intero al seguente link: https://www.icom-italia.org/wp-content/uploads/2023/11/corte_dei_conti_deliberazione_20_ottobre_2023_n_762023g.pdf.
[20] Ivi, pag. 157.
[21] Così S. Baia Curioni, Rompere lo specchio di Narciso. I diritti di immagine relativi al patrimonio culturale come occasione di imprenditorialità, autonomia e decentramento, in Aedon, 2023, 2, pag. 203.
[22] Per esempio, in caso di richiesta per l’uso di un’immagine per una pubblicazione o una campagna pubblicitaria, sia su supporto cartaceo che digitale, non è immediatamente chiaro, ad una prima lettura del tariffario, se il privato debba versare il canone richiesto per la fornitura di una riproduzione fotografica (che varia in funzione delle dimensioni dell’immagine) o per una riproduzione digitale (che dipende dalla qualità). Il tariffario fa riferimento a una serie di “macro-prodotti” specifici e ben definiti, quali stampe, fotocopie, immagini digitali, diapositive e microfilm, tuttavia le richieste dei privati, che spesso riguardano immagini destinate a molteplici usi, non si prestano sempre a una classificazione univoca all’interno di queste ristrette categorie merceologiche.
[23] P. Liverani, Riproduzioni dei beni culturali statali: il nuovo Decreto Ministeriale 108/2024, in JLIS.it - Rivista di archivistica, biblioteconomia e scienze dell’informazione, 2024, 2, pag. 3.
[24] Allegato d.m. 11 aprile 2023, n. 161, pagg. 6-7.
[25] Allegato d.m. 21 marzo 2024, n. 108, sez. C “Ipotesi particolari” (pag. 13).
[26] Allegato d.m. n. 108/2024, pag. 13. L’obbligo di acquisire il parere del ministro in tutte le ipotesi di rimozione o significativa riduzione del canone rischia di costituire un aggravio del procedimento amministrativo, non necessariamente proporzionato al valore economico della decisione da assumere.
[27] Sempre ai sensi dell’art. 108, comma 3 del Codice dei beni culturali. La norma, tuttavia, viene richiamata nel decreto del 2023 al solo fine di sottolineare come le esenzioni si applichino solamente in assenza di qualsiasi componente lucrativa.
[28] Allegato d.m. n. 108/2024, sez. A.2.1 “Rimborso per le riproduzioni” (pag. 5).
[29] Su questo tema vedasi L. Casini, Riprodurre il patrimonio culturale? I “pieni” e i “vuoti” normativi, in Aedon 2018, 3, e M. Croce, op. ult. cit.
[30] Un’interpretazione strettamente letterale della norma condurrebbe, infatti, a includere le attività editoriali oggetto dell’esenzione, comprese quelle a carattere scientifico o culturale, nella categoria delle iniziative a fine di lucro, in quanto potenzialmente remunerative, sia pure con margini di profitto limitati, e dunque ad assoggettarle al pagamento del canone.
[31] Nell’ambito della vasta bibliografia su questo tema, si veda, in particolare, F. Merusi, Art. 9, in Commentario alla Costituzione, (a cura di) G. Branca, Principi fondamentali: Art. 1 - 12, Bologna, Zanichelli, 1975; M. Ainis, Cultura e politica. Il modello costituzionale, Padova, Cedam, 1991, G. Rolla, Beni culturali e funzione sociale, in Scritti in onore di Massimo Severo Giannini, vol. II, Milano, Giuffrè, 1988; M. Ainis, M. Fiorillo, L’ordinamento della cultura. Manuale di legislazione dei beni culturali, Milano, Giuffrè, 2008; G. Famiglietti, Diritti cultuali e diritto della cultura, Torino, Giappichelli, 2010, F. Rimoli, La dimensione costituzionale del patrimonio culturale: spunti per una rilettura, Riv. giur. edil., 2016, 2; P. Forte, Full Jurisdiction, arte, cultura. Un discusso confine in movimento, in P.A. Persona e Amministrazione, 2018, 2.
[32] Conclusioni del Consiglio dell’Unione europea, n. 10126 del 10 giugno 2022, Valutazione della ricerca e attuazione della scienza aperta, e Conclusioni del Consiglio dell’Unione europea, n. 9616 del 23 maggio 2023, Una pubblicazione accademica di alta qualità, trasparente, aperta, affidabile ed equa. Sull’argomento si veda inoltre G. Peruginelli, S. Faro, Il modello Diamond Open Access per la comunicazione scientifica accademica: contesto e iniziative in corso, in Riv. it. inform. dir., 2023, 1, in particolare pagg. 95-96.
[33] Il concetto di pubblicazione ad accesso aperto (open access) trova la sua definizione nella Dichiarazione di Berlino del 2003, sostenuta oggi da oltre settecento istituzioni scientifiche. In base a questo documento, la pubblicazione di un contributo ad accesso aperto deve assicurare “a tutti gli utilizzatori il diritto d’accesso gratuito, irrevocabile ed universale e l’autorizzazione a riprodurlo, utilizzarlo, distribuirlo, trasmetterlo e mostrarlo pubblicamente e a produrre e distribuire lavori da esso derivati in ogni formato digitale per ogni scopo responsabile, soggetto all’attribuzione autentica della paternità intellettuale”. Cfr. Dichiarazione di Berlino sull’accesso aperto alla letteratura scientifica, 2003, consultabile al seguente link: https://openaccess.mpg.de/67682/BerlinDeclaration_it.pdf. Sull’argomento si vedano anche M. Modolo, Il d.m. 11 aprile 2023, n. 161: osservazioni e proposte, cit. e A. Brugnoli, Il d.m. 11 aprile 2023, n. 161 e il suo impatto sulla ricerca e sull’editoria: brevi note a margine di un caso studio di pubblicazione in Open Access, in Aedon, 2023, 2.
[34] D.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 108, comma 3-bis. Inoltre, come osserva P. Liverani, Riproduzioni dei beni culturali statali: il nuovo Decreto Ministeriale 108/2024, cit., pag. 6, il decreto non sembra considerare il caso in cui l’editore di una pubblicazione open access offra un servizio di “print on demand”, permettendo al lettore di ottenere una copia fisica del volume dietro pagamento.
[35] Sul concetto di uso strumentale e precario del patrimonio culturale, cfr. C. Ventimiglia, Art. 107, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pagg. 989-990. Sulle diverse fattispecie di uso individuale dei beni culturali vedasi, invece, M. Brocca, La disciplina d’uso dei beni culturali, in Aedon, 2006, 2, e L. Degrassi, La «fruizione» dei beni culturali nell'ordinamento italiano e comunitario, in Cultura e istituzioni. La valorizzazione dei beni culturali negli ordinamenti giuridici, (a cura di) L. Degrassi, Milano, Giuffrè, 2008, pagg. 176-178. Più in generale, sulle varie forme di uso a cui possono essere soggetti i beni pubblici, cfr. A.M. Sandulli, Beni pubblici, in Enc. dir., Milano, Giuffrè, 1959, Vol. V, pagg. 285-290; V. Caputi Jambreghi, Beni Pubblici, in Enc. giur., Roma, Treccani, 1988, pagg. 7-9; V. Cerulli Irelli, Utilizzazione economia e fruizione collettiva dei beni, in Associazione Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo, Annuario 2003 - Titolarità e regolazione dei beni. La dirigenza nel pubblico impiego, Milano, Giuffrè, 2004, in particolare pagg. 24-25, in cui l’Autore analizza le modalità per conciliare fruizione collettiva e redditività dei beni pubblici, identificando come una delle possibili l’utilizzazione commerciale del bene, occasionale e temporanea, secondo modalità compatibili con la sua destinazione pubblica. Questo approccio è tipico dei beni culturali, che possono essere concessi in uso ai privati per finalità personali di carattere transitorio.
[36] I costi di transazione risultano tipicamente superiori ai profitti conseguiti attraverso la vendita delle singole immagini, come osservato da M. Ricolfi, Le immagini del patrimonio culturale: illusioni perdute o nuove direzioni di marcia?, in Dir. inform., 2024, 1, pag. 19. L’Autore osserva inoltre che “se il licensing consente l’appropriazione diretta di una parte del valore che il mercato assegna alle immagini, come dimostrato ad es. dai corrispettivi che gli editori sono disposti a pagare per riprodurre le immagini stesse, esso può al contempo avere affetti avversi, più o meno rilevanti a seconda dei casi, sull’appropriazione indiretta. Infatti, le restrizioni alla circolazione delle immagini presso il pubblico deprimono la visibilità dell’istituzione che le opera e possono ripercuotersi negativamente sul reperimento di risorse come biglietti museali, sovvenzioni pubbliche e così via”.
[37] Corte dei conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, Delibera n. 50/2022/G, Spese per l’informatica con particolare riferimento alla digitalizzazione del patrimonio culturale italiano (2016-2020), Relatore Cons. Domenico Peccerillo, pag. 126: “Le forme di ritorno economico basate sulla “vendita” della singola immagine appaiono anacronistiche e largamente superate poiché, peraltro, palesemente antieconomiche; andrebbero invece privilegiate eventuali entrate connesse all’offerta di servizi complementari ad alto valore aggiunto (es. possibilità di ricerca personalizzata, disponibilità di metadati aggiuntivi, accesso a contenuti extra)”. Il relatore precisa che “è stato dimostrato che in alcuni casi il rapporto tra costi sostenuti per la gestione del servizio di riscossione e le entrate effettive generate è a saldo negativo” (cfr. nota 46). La deliberazione è consultabile per intero al seguente link: https://www.corteconti.it/Download?id=a842440e-5d21-4c1e-82f9-96d10512d500.
[38] M. Modolo, Riuso dell’immagine digitale del bene culturale pubblico: problemi e prospettive, in Aib Studi, 2021, 1, pag. 155.
[39] Alcuni esempi sono indicati in E. Sbarbaro, Codice dei Beni Culturali e diritto d’autore: recenti evoluzioni nella valorizzazione e nella fruizione del patrimonio culturale, in Riv. dir. ind., 2016, 2, pagg. 81-91
[40] Anche adottando il modello di riforma proposto, resterebbe invariato il testo dell’art. 108, comma 3-bis, nella parte in cui consente la riproduzione solo a condizione di non utilizzare strumenti che comportino un contatto diretto con il bene culturale, come gli scanner, né dispositivi quali flash, treppiedi o stativi che potrebbero comprometterne l’integrità fisica. L’impiego di tali strumenti, pertanto, non è libero e richiede un’autorizzazione preventiva da parte dell’ente responsabile della custodia del bene, che stabilisce le prescrizioni necessarie per garantirne la tutela. Inoltre, le tecniche di riproduzione professionale che comportano l’occupazione temporanea di spazi nei luoghi della cultura sono subordinate a una concessione d’uso individuale, disciplinata dagli articoli 106 e 108 del Codice dei beni culturali. Al canone di concessione si sommano eventuali costi aggiuntivi, come rimborsi per aperture straordinarie e coperture assicurative. Alcuni esempi sono indicati in E. Sbarbaro, Codice dei Beni Culturali e diritto d’autore: recenti evoluzioni nella valorizzazione e nella fruizione del patrimonio culturale, in Riv. dir. ind., 2016, 2, pagg. 81-91.
[41] Come illustrato sulla pagina dedicata, “Il Museo Egizio è lieto di rilasciare le riproduzioni digitali in pubblico dominio dell’Archivio fotografico in CC0 (Creative Commons - CC0 1.0 Universal). Grazie a questo strumento potete liberamente riutilizzare le immagini per qualsiasi scopo, anche commerciale, in forma del tutto gratuita e senza ulteriori permessi da parte del museo. I termini d’uso qui espressi sostanziano infatti l’autorizzazione resa ai sensi dell'art. 108 del d.lgs. 42/2004 a canone azzerato per qualsiasi eventuale riutilizzo commerciale. Il museo ha deciso in questo modo di rinunciare a qualsiasi diritto sulle riproduzioni, che gestisce in base all’art. 10 dell'atto costitutivo della Fondazione Museo Egizio per restituire questo straordinario patrimonio di immagini alla collettività che ne è la legittima proprietaria”: https://archiviofotografico.museoegizio.it/it/section/Come-usare-l-archivio/Politica-di- accesso-e-utilizzo/. L’esperienza del Museo Egizio è stata indicata dalla Corte dei conti come una delle “best practices da emulare” (Delibera n. 50/2022/G, pag. 127).
[42] I benefici derivanti dall’accesso aperto alle immagini dei beni culturali sono analizzati in M.T. Natale, Istituzioni culturali e riuso del patrimonio culturale digitale: buone pratiche a livello internazionale, in Digitalia, 2023, 2; S.D. Orlandi, C. Manasse, A.M. Marras, Educazione museale e strategie Open Access, in Riv. it. inform. dir., 2023, 2. Sugli esempi internazionali si veda anche, E. Valeriani, La risposta digitale al conflitto tra tutela e valorizzazione del patrimonio culturale: il caso dei non fungible tokens, in Munus, 2023, 2, pagg. 505-507.
[43] A. Bartolini, Quale tutela per il diritto all’immagine dei beni culturali?, in Aedon, 2023, 2.
[44] K. Kurcani, La riproduzione dei beni culturali: la tutela del bene alla prova della liberalizzazione della sua immagine, in Aedon, 2023, 2. Inoltre, per quanto riguarda la possibilità di impiegare la tecnologia di blockchain per assicurare il rispetto dei limiti imposti dalla licenza con cui l’immagine è rilasciata, vedasi E.D. Schmidt, Prospettive per la valorizzazione di riproduzioni digitali di beni artistici dopo l’inverno crittografico, in Il patrimonio culturale e le sue immagini, (a cura di) A.L. Tarasco, R. Miccù, Napoli, 2022, pagg. 249 ss.
[45] P. Magnani, Musei e valorizzazione delle collezioni: questioni aperte in tema di sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale sulle immagini delle opere, in Riv. dir. ind., 2016, 6, pag. 247. L’Autrice sottolinea la necessità che ogni museo individui “in modo preciso e chiaro l’insieme dei principi e dei valori che devono guidare l’istituzione e coerentemente ai quali devono essere prese le decisioni relative alla gestione dei diritti di proprietà intellettuale e dei diritti sulle immagini. Da questi principi dovrebbero poi discendere ed essere fissate le procedure da seguire per lo sfruttamento di tali diritti”.
[46] Come sottolineato anche nelle “Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale”, cit., secondo le quali “la promozione del riuso delle risorse digitali, semplificando le procedure connesse, rappresenta una componente rilevante su cui fondare la reputazione, la credibilità e l’attrattività in rete di un’istituzione, fattori essenziale per assicurare, sul lungo termine, il reperimento di risorse economiche” (par. 6).