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Canoni e corrispettivi per l'uso e la riproduzione dei beni culturali: prime riflessioni sul d.m. 161/2023

Una riflessione sull’impatto del d.m. 161 del 2023 sui musei italiani non statali [*]

di Francesca Rossi [**]

Sommario: 1. La normativa sulle concessioni d’uso dei beni culturali tra tutela del diritto “del” patrimonio e del principio del diritto “al” patrimonio. - 2. Riflessi del d.m. 161 sulla sfera organizzativa e gestionale dei musei. - 2.1. La concessione d’uso di beni culturali nell’ente locale: un esempio.

A reflection on the impact of d.m. 161 of 2023 on Italian non-state museums
A reflection on d.m. 161 of 2023 from the perspective of the responsibility of a local government museum manager, considering the regulations on concessions for the use of cultural property between the protection of the right "of" heritage and the principle of the right "to" heritage, and posing considerations on the organizational and managerial sphere of civic museums.

Keywords: reproduction of cultural heritage; cultural heritage for society; heritage community; local government; public administration; museums; museology; public management and public leadership.

1. La normativa sulle concessioni d’uso dei beni culturali tra tutela del diritto “del” patrimonio e del principio del diritto “al” patrimonio

Non mi addentro negli aspetti di carattere giuridico che stanno suscitando un ampio dibattito sul d.m. n. 161 dell’11 aprile 2023, che ha emanato le “Linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali”. Pongo alcune riflessioni che toccano la sfera dei rapporti del museo con il pubblico e la sfera organizzativa e gestionale, sulla base della mia esperienza museologica come storica dell’arte e direttore di musei di un ente locale [1].

Il d.m. n. 161 del 2023 attua come noto disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, d.lg. n. 42 del 2004, a cui rispondono tutti i musei pubblici. Avrà quindi naturalmente un impatto anche sui musei non statali, come in precedenza l’ha avuto il tariffario emanato dal d.m. 8 aprile 1994 [2], che per molti anni è stato un parametro di riferimento per le amministrazioni locali in materia di concessioni d’uso di beni culturali.

Va in ogni caso tenuto presente che il Codice dei beni culturali e del paesaggio attribuisce all’autorità che ha in consegna i beni la determinazione di canoni di concessione e corrispettivi connessi alle riproduzioni. Quindi l’impatto dipenderà in buona misura dalla sensibilità della dirigenza e delle amministrazioni responsabili.

È ancora presto per capire quali saranno le ricadute del recente decreto ministeriale sui musei non statali, ma per quanto riguarda la sfera dei rapporti tra i musei e il territorio e le comunità di riferimento emerge un aspetto fondamentale che richiederà le dovute attenzioni.

Infatti, i principi che negli articoli 106-108 del Codice dei beni culturali e del paesaggio e nel d.m. n. 161 del 2023 mirano alla tutela del diritto “del” patrimonio andranno interpretati cercando un equo bilanciamento con i principi del diritto “al” patrimonio, nel senso indicato dalla convenzione di Faro (2005) [Convenzione_di_Faro.pdf], significativamente ratificata dall’Italia nel 2020 e perciò ‘impegnativa’ per tutte le pubbliche amministrazioni del paese [3].

Oggi non per caso tra le forme innovative di gestione dei musei si studiano modelli di governance partecipata e di collaborazione e co-progettazione con le “comunità di patrimonio” nelle attività di valorizzazione (si vedano in primis le collaborazioni con il Terzo settore). La profonda trasformazione in atto include una forte spinta all’adozione di politiche inclusive, anche per il libero accesso e la libera condivisione dei dati. Questo processo implica un cambiamento che richiederà presumibilmente di studiare nuove declinazioni dei criteri per la determinazione delle concessioni d’uso ora riferite all’articolo 108 del Codice dei beni culturali.

2. Riflessi del d.m. 161 sulla sfera organizzativa e gestionale dei musei

Anche per quanto riguarda la sfera organizzativa e gestionale, tra le disposizioni del d.m. n. 161 del 2023 riguardanti il riuso e la riproduzione dei beni e l’uso degli spazi si rilevano obiettivi che interessano i musei non statali. Riporto di seguito le motivazioni ispiratrici delle Linee guida evidenziate nel dispositivo ministeriale: “- valutata la necessità di chiarire le casistiche di gratuità delle concessioni in uso (...) ai sensi degli articoli 107 e 108 (...)”; “- ritenuta la necessità di realizzare una adeguata valorizzazione economica del patrimonio culturale (...)”; “- rilevata l’opportunità di adottare criteri omogenei per la determinazione degli importi minimi (...)”.

Tutte e tre le motivazioni rispecchiano indirizzi programmatici e linee strategiche detti prioritari nel d.m. 8 del 13 gennaio 2023 “Atto di indirizzo concernente l’individuazione delle priorità politiche da realizzarsi nell’anno 2023 e per il triennio 2023-2025”. Tutte e tre portano inoltre alla luce questioni che coinvolgono anche i musei non statali e che in breve riassumo.

Per quanto riguarda la prima, è vero infatti che la disciplina delle concessioni per il riuso e la riproduzione attendeva da anni un adeguamento e con la lunga attesa si sono moltiplicate le difformità e le difficoltà incontrate dai vari istituti nella determinazione dei tariffari. Spesso i musei, non solo statali, fanno fatica persino a inquadrare le casistiche per la determinazione della gratuità e del canone. Gli uffici si trovano impreparati di fronte a istruttorie complesse, da gestire il più delle volte in tempi stretti e con oggettiva carenza di personale o di professionalità competenti nella materia.

Attualmente, peraltro, nelle città d’arte e nei luoghi alta affluenza turistica, le richieste di concessioni d’uso di beni culturali per eventi, produzioni cinematografiche, televisive e multimediali hanno registrato un aumento rispetto ai dati del 2022 e anche rispetto agli anni precedenti la pandemia, senza tuttavia che a questa tendenza corrisponda un innesto di risorse umane adeguate a far fronte alla domanda.

Quanto alla seconda questione, il tema della “redditività” del patrimonio culturale tocca la gran parte dei musei del territorio italiano, in modo particolare i siti cosiddetti “minori” che sono la maggioranza tra gli oltre 5.000 musei italiani censiti (scesi a ca. 4.200 secondo la rilevazione Istat del 2021). L’indirizzo è collegato principalmente a esigenze di automantenimento degli istituti. Per attuarlo, già la riforma Franceschini, con il d.m. n. 113 del 2018 “Adozione dei livelli minimi uniformi di qualità per i musei e i luoghi della cultura di appartenenza pubblica e attivazione del Sistema museale nazionale”, ha indicato tra gli obiettivi di miglioramento anche per i musei non statali l’attuazione di strategie di finanziamento, tra cui la promozione di iniziative di sponsorizzazione, mecenatismo (come Art bonus) e crowdfunding. Lo stesso provvedimento ha inoltre inserito la presenza dell’esperto di marketing e fundraising tra le competenze essenziali richieste nel fabbisogno di personale museale.

Tuttavia, nella maggioranza dei musei italiani le buone pratiche per l’autofinanziamento sono nella realtà oggi ancora sperimentazioni piuttosto rare rispetto ad ambiti consolidati per il reperimento di fondi quali i trasferimenti pubblici e gli introiti delle biglietterie. Inoltre, non moli istituti sono dotati di professionisti addetti al marketing e al fundraising e per questo genere di competenza si ricorre il più delle volte al supporto di esternalizzazioni.

In definitiva, i musei sono ben consapevoli che per il settore strategico quasi inesplorato e tutto da sviluppare della “redditività” vanno fissate opportune linee guida, vanno definite procedure trasparenti e valutate con scrupolosa cura le richieste di concessione d’uso e le iniziative per la “valorizzazione economica” e per la gratuità, nel rispetto delle funzioni essenziali e dell’identità del museo contemporaneo, il museo della comunità di patrimonio investito di responsabilità enormi sul piano educativo e sociale.

Vorrei ricordare in proposito la nuova definizione approvata dall’Icom (International Council of Museums) all’assemblea generale di Praga il 24 agosto 2022:

“Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale.

Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze”.

Come è evidente dalle parole usate per definire il museo del XXI secolo, accessibilità, inclusività, diversità, sostenibilità, etica, partecipazione sono valori chiave assunti dal museo integrale della nostra epoca a livello internazionale che stanno modificando profondamente i modi in cui le comunità fruiscono i beni culturali e vivono gli spazi pubblici. Si tratta di una tendenza che sta producendo un effetto altrettanto rilevante sulla visione della public leadership che opera quotidianamente per migliorare i servizi e comprendere i bisogni dell’utenza.

Riguardo alla terza e ultima questione posta dal d.m. n. 161 del 2023 circa “l’opportunità di adottare criteri omogenei per la determinazione degli importi minimi” di canoni/corrispettivi, qui sembra richiamata apertamente la strategia dicentralizzazione delle attività di concessione delle immagini del patrimonio culturale statale” esposta nel sopra citato “Atto di indirizzo del ministro Sangiuliano, al capitolo priorità II, punto 8.

Questo orientamento sembrerebbe tuttavia poter assumere un significato più ampio se lo si guarda nella prospettiva di un consolidamento del Sistema museale nazionale: un progetto, quest’ultimo, che persegue un’ambiziosa visione integrata degli obiettivi di valorizzazione del patrimonio culturale italiano e si basa su un’adesione volontaria dei musei (e degli enti proprietari) al sistema che implica un patto di assunzione di responsabilità dei partecipanti per il raggiungimento di standard di qualità uniformi.

In linea generale, in un’ottica di sostenibilità e di miglioramento della performance della pubblica amministrazione, una gestione unitaria rivolta creare procedure condivise per facilitare la costruzione di reti tra musei - statali e non statali - e incrementare le prestazioni di servizi di qualità ai pubblici, anche in rete tra più strutture, non va interpretata necessariamente come una rigida maglia costrittiva ma potrebbe dimostrarsi vantaggiosa per semplificare procedimenti amministrativi, favorire economie di scala e potenziare lo slancio vitale dei musei per lo sviluppo della società.

2.1. La concessione d’uso di beni culturali nell’ente locale: un esempio.

Fatte queste considerazioni, tenere distinta la regolamentazione delle concessioni d’uso degli spazi museali da quella delle riproduzioni di beni culturali potrebbe aiutare almeno in parte a dipanare la diatriba sul d.m. 161 in questione. Un buon esempio relativo alle concessioni d’uso degli spazi capace di restituire anche il livello di sensibilità nella determinazione delle modalità di concessione da parte della dirigenza di istituti museali a gestione diretta di enti locali, ex art. 115 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, emerge dall’atto di “Adeguamento dei canoni per la concessione in uso temporaneo degli spazi di pertinenza della Direzione cultura del Comune di Milano”, adottato di recente con determinazione dirigenziale dell’area mostre e musei scientifici del Comune di Milano del 10 marzo 2023.

Il provvedimento è stato fissato innanzitutto dopo aver verificato che l’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e ompiegati (Foi - Indice generale al netto dei tabacchi, ha visto una variazione percentuale del +15,30% per il periodo dicembre 2019 - dicembre 2022).

L’atto distingue inoltre tra tre tipologie di richieste di concessione d’uso: la prima, per “Attività culturali di interesse della P.A. organizzate da Profit e No Profit”; la seconda, per “Attività promozionali e commerciali di No Profit”; la terza, per “Attività diverse organizzate da Profit”.

Infine, è degno di attenzione il fatto che per le sale di pertinenza della Direzione cultura del Comune di Milano considerate di grande pregio, la determinazione dirigenziale dispone che vengano privilegiati, rispetto al canone, la sponsorizzazione e il partenariato per la realizzazione di specifici progetti [4]. Si tratta di una indicazione decisamente propositiva che apre l’istituzione a un ventaglio di possibilità di cooperazione pubblico-privato per la promozione della conoscenza e della cultura e crea un valore aggiunto in termini di sostenibilità.

 

Note

[*] Attualità-Valutato dalla Direzione.

[**] Francesca Rossi, Direttore dei Musei Civici di Verona, Corso Castelvecchio n. 2, 37121 Verona, musei@comune.verona.it.

[1] Ringrazio il professor Girolamo Sciullo per avermi coinvolta nella riflessione “a più voci” sul tema del d.m. n. 161 del 2023 e per aver creato una preziosa opportunità di dialogo tra esperti di saperi diversi.

[2] D.m. 8 aprile del 1994 “Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni relative all'uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero”.

[3] Si veda la voce di G. Volpe, La convenzione di Faro e le ‘comunità di patrimonio’, in Enc. giur., anno VI, marzo 2023, 13, pagg. 76-82.

[4] Si veda la determinazione dirigenziale dell’area mostre e musei scientifici del Comune di Milano del 10 marzo 2023, atto n. dd 1913: “...la concessione potrà avvenire solo occasionalmente, per eventi particolari la cui rilevanza verrà valutata dal dirigente competente caso per caso, e la concessione di dette sale sarà valorizzata quale controprestazione nell’ambito di contratti di sponsorizzazione o di partenariato per progetti specifici”.

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