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L’immagine del bene culturale “fra due mondi”

Quale tutela per il diritto all’immagine dei beni culturali? (riflessioni sui casi dell’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci e del David di Michelangelo)

di Antonio Bartolini [*]

Sommario: 1. Oggetto, metodo e finalità. - 2. La disciplina normativa sull’uso dell’immagine dei beni culturali. - 3. Lo statuto proprietario del diritto all’immagine dei beni culturali. - 4. L’approdo alla tutela della persona. - 5. Tutela del diritto all’immagine tra immateriale funzionale e immateriale economico del bene culturale in appartenenza pubblica. - 6. Prospettive de iure condendo.

The paper, taking as its starting point two rulings by the ordinary courts, reflects on the regulatory framework on the use of the image of cultural property. The analysis highlights some of the critical elements that the system presents and underlines how the protection of the right to image stands at the crossroads between the functional intangible and the economic intangible of cultural property.

Keywords: cultural heritage; image of cultural property; Leonardo da Vinci’s Vitruvian Man; Michelangelo’s David.

1. Oggetto, metodo e finalità

L’Uomo Vitruviano di Leonardo e il David di Michelangelo, meglio, le loro immagini sono finite in Tribunale. In particolare, l’uso dell’immagine dell’Uomo Vitruviano è stato sottoposto al vaglio del Tribunale di Venezia, ed il caso è stato deciso con ordinanza del 22 ottobre 2022 [tribvevitruviano.pdf]; quella sul David di Michelangelo, con sentenza del Tribunale di Firenze del 20 aprile 2023. Naturalmente, trattandosi di due “noti personaggi”, vasta è stata l’eco sui mass- media [1], destando, anche, l’attenzione della comunità dei giuristi [2].

Partiamo dal caso risolto dal Tribunale di Venezia. La Ravensburger, nota società che produce puzzles, è stata convenuta dal ministero della Cultura (MiC) per aver impiegato - senza aver richiesto alla l’autorizzazione e il pagamento del canone previsto dal Codice dei beni culturali - l’immagine dell’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci per la realizzazione dei propri puzzles.

In particolare, il MiC ha richiesto, in sede di giudizio cautelare, l’inibitoria all’uso dell’immagine leonardesca, il ritiro dal commercio e la distruzione del materiale con cui è stata riprodotta l’immagine, oltre alla pubblicazione sulle principali testate giornalistiche del decisum.

La pronunzia - dopo essersi soffermata su delicate questioni di giurisdizione - riconosce allo Stato italiano (i.e. MiC) la legittimazione a richiedere l’inibitoria ex artt. 6, 7 e 10 cod. civ. a tutela dell’immagine del bene culturale.

L’ordinanza sembrerebbe addirittura ritenere che il bene da proteggere sia il valore immateriale del bene culturale, che, però, non avendo autonoma soggettività, può essere tutelato direttamente dallo Stato.

In altre parole, essendo lo Stato chiamato a tutelare i beni culturali in forza dell’art. 9 della Costituzione, questi è legittimato a tutelare l’immagine dei beni culturali, facendo valere i diritti della personalità, quando altri, con finalità commerciali, ne facciano un uso abusivo per non essere stati autorizzati a ciò e non avendo pagato i corrispettivi previsti dal Codice dei beni culturali (artt. 107 e 108).

Ben più robusto è l’impianto argomentativo della sentenza del Tribunale di Firenze. In questo caso, una testata giornalistica aveva pubblicato l’immagine lenticolare (quindi, cangiante) in prima di copertina, senza autorizzazione, della Galleria dell’Accademia di Firenze dove è esposto il David di Michelangelo.

Il MiC conveniva la testata giornalistica e chiedeva l’inibitoria dell’uso dell’immagine non solo per quanto accaduto nel passato, ma anche per il futuro, nonché la pubblicazione della sentenza sulle principali testate giornalistiche locali e nazionali; il risarcimento del danno patrimoniale derivante dall’uso non autorizzato dell’immagine e conseguentemente dal mancato pagamento del corrispettivo previsto dalla legge; la refusione dei danni non patrimoniali.

Il Tribunale di Firenze ha accolto la domanda del MiC chiarendo che:

- al pari del diritto all’immagine della persona, positivizzato all’art. 10 c.c., può configurarsi un diritto all’immagine anche con riferimento al bene culturale;

- tale diritto trova il proprio fondamento normativo in una espressa previsione legislativa ovvero negli artt. 107 e 108 del D.lgs. N. 42/2004, che costituiscono norme di diretta attuazione dell’art. 9 della Costituzione (C. Cost. n. 194/2013);

- gli artt. 107 e 108 del C.B.C. rimettono alle amministrazioni consegnatarie il potere di legittimare, attraverso il proprio consenso, la riproduzione dei beni culturali;

- nel Codice dei Beni Culturali si rinvengono espressi richiami alla terminologia propria del diritto all’immagine, quale il “decoro” del bene culturale (es. artt. 45 co. 1, 49 co. 1 e 2, 52 co. 1-ter, 96, 120 co. 2, C.B.C.).

In particolare, il Tribunale di Firenze riconduce il “diritto all’immagine dei beni culturali” all’interno dei diritti della personalità, facendo leva su una nota pronuncia della Corte di Cassazione che ha riconosciuto, da un lato, la possibilità di attribuire la titolarità di questa tipologia di diritti alla anche alle persone giuridiche, potendo queste ultima, quindi, agire anche a tutela dell’immagine dei beni di propria pertinenza (v. amplius infra § 4).

Come correttamente notato in sede di primo commento [3] l’approdo cui arrivano entrambe le pronunce è quello di riconoscere un “diritto all’immagine del bene culturale”, anche se tale diritto è ricostruito in maniera differente: il Tribunale di Venezia lo fonda direttamente sugli artt. 6, 7 e 10 del Codice civile, mentre il Tribunale di Firenze lo ricostruisce direttamente all’interno della disciplina di settore, ovvero sull’art. 9 della Costituzione e sulle pertinenti disposizioni del Codice dei beni culturali.

L’esito delle due pronunce è un ampliamento di tutela per la lesione del “diritto all’immagine dei beni culturali”, poiché oltre al riconoscimento del danno patrimoniale ex art. 2043 (già riconosciuto da altri precedenti giurisprudenziali), la tutela, si estende, alla logica personalistica tramite la possibilità di esperire la tutela inibitoria (Tribunale di Venezia) e quella risarcitoria del danno non patrimoniale (Tribunale di Firenze).

In particolare, secondo il giudice fiorentino, il danno non patrimoniale si fonderebbe proprio sul fatto che come “ai sensi dell’art. 2 Cost. è garantito il diritto alla identità individuale, inteso come diritto a non vedere alterato all’esterno e quindi travisato, offuscato o contestato il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale, sarebbe del tutto irragionevole postulare l’assenza del rimedio risarcitorio a fronte di lesioni dell’interesse non patrimoniale presidiato dall’art. 9 Cost., che si identifica con l’identità collettiva dei cittadini che si riconoscono come appartenenti alla medesima Nazione anche in virtù del patrimonio artistico e culturale che, per l’appunto, alla luce della declinazione sancita nell’art. 1 C.B.C., è parte costitutiva della memoria della comunità nazionale”.

Le due sentenze meritano un sicuro approfondimento, poiché rappresentano un salto in avanti in termini di tutela, passando dalla logica proprietaria a quella personalistica.

Il salto, peraltro, presenta degli indubbi profili problematici, poiché nelle sentenze si legge uno sforzo di meglio configurare l’esito del “diritto all’immagine” come “diritto della persona”, ma con approdi non del tutto convincenti.

Sembra, pertanto, opportuno offrire una ricostruzione, la più fedele possibile dell’evoluzione normativa, dottrinale e giurisprudenziale del diritto all’immagine, per poter meglio inquadrare i termini problematici in cui si collocano le due pronunce.

La finalità dell’annotazione è quella di offrire un contributo ricostruttivo al tema del “diritto all’immagine dei beni culturali”, con la consapevolezza che lo svolgimento del tema è solo agli inizi, anche perché necessariamente le aperture della giurisprudenza di merito dovranno trovare un conforto (o meno) in quella di legittimità.

2. La disciplina normativa sull’uso dell’immagine dei beni culturali

Come anche ricordato nelle pronunzie in commento, l’uso dell’immagine dei beni culturali trova una disciplina nel Codice dei beni culturali e segnatamente negli artt. 107 e 108 Cost.

L’assetto di diritto positivo è, peraltro, ampiamente incompleto, poiché, a monte, manca una disciplina sull’oggetto di tutela e, a valle, la mancanza riguarda anche l’assenza di un vero e proprio sistema di tutela per la lesione del “diritto all’immagine”.

Questo vuoto di tutela sconta la cultura materialista che connota tutto il Codice dei beni culturali, in cui il bene è visto solo come res tangibile e di conseguenza le misure di tutela preventive e successive si preoccupano solo della materialità del bene medesimo.

In larga parte il compito di colmare la lacuna è spettato alla dottrina, a partire dal saggio fondamentale di Massimo Severo Giannini in cui, invece, si è chiarito che il quid proprium del bene culturale non è il supporto materiale, ovvero il corpus mechanicum (tela, marmo, parete, etc.), quanto il suo valore ideale, cioè l’immateriale, il suo valore intangibile, il corpus mysticum [4].

Sicché l’immagine dei beni culturali è proprio l’aspetto più evidente, ma non il solo, del valore immateriale dei beni culturali: l’immagine del bene culturale, in particolare, sembra consistere nel “valore ideale espresso dall’originario e unico immateriale, che diventa un bene immateriale a sé, che si stacca dalla res, e genera, mediante la riproduzione del bene culturale, sottoprodotti: marchi, calchi, copie fotografiche, riproduzioni in 3D, gadgets” [5].

Il Codice dei beni culturali interviene su questo substrato, su questo formante dottrinale, disciplinando l’uso dell’immagine.

Il regime dell’uso dell’immagine è sostanzialmente liberalizzato per scopi senza fini di lucro, mentre al contrario, nel caso in cui l’immagine venga impiegata per trarne un guadagno economico è soggetto a concessione, dietro pagamento di un canone concessorio (artt. 107 e 108 C.B.C.).

Questo regime fondato essenzialmente sull’uso dell’immagine con scopo o senza scopo di lucro è stato confermato dalle disposizioni interne di recepimento delle direttive open data settore pubblico (2019/1024/UE) e copyright (direttiva 2019/790/UE): in tal senso si vedano l’art. 1, d.lg. 8 novembre 2021, n. 177 e art. 7, comma 1 e 3, d.lg. 8 novembre 2021, n. 200 [6].

Sempre per quanto riguarda i beni culturali in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali, di recente il MiC ha approvato delle linee guida che determinano i criteri per quantificare i corrispettivi per la riproduzione e l’uso con finalità di lucro dell’immagine dei beni culturali (d.m. MiC 11 aprile 2023, n. 161).

Anche in questo caso le “linee guida” hanno chiarito che “la concessione per l’uso e la riproduzione dei beni culturali è comunque subordinata alla previa verifica di compatibilità della destinazione d’uso della riproduzione con il carattere storico-artistico dei medesimi beni culturali ai sensi dell’art. 20 del medesimo Codice dei beni culturali” (art. 2, comma 2, d.m. cit.).

La disciplina cennata contiene riferimenti alle concessioni d’uso, ai canoni d’uso, mentre altre volte parla di corrispettivi e autorizzazioni, con una evidente confusione terminologica, che sicuramente non aiuta a sgombrare gli equivoci, anche di ordine ideologico, che regnano in materia.

A tal fine, giova rammentare che in base alla distinzione classica tra concessione e autorizzazione, il regime di riserva e proprietà pubblica è sottoposto a regime concessorio e non autorizzatorio, in quanto la titolarità del diritto di proprietà sul bene culturale, sia nei suoi aspetti materiali, che immateriali, rimane in capo all’ente concedente, ovvero all’amministrazione.

La disciplina contenuta negli artt. 107 e 108 del Codice dei beni culturali non incide infatti sulla proprietà, che rimane pubblica sia nei suoi aspetti materiali, che immateriali, ma sull’uso dell’immagine e sulla spettanza del diritto all’immagine.

In particolare, quello che chiamiamo diritto all’immagine, cioè il diritto all’uso dell’immagine di proprietà pubblica è sottoposto a tre differenti regimi:

a) un regime di libera fruizione;

b) un regime di concessione a titolo gratuito;

c) un regime di concessione a titolo oneroso.

La differenza tra “regime di libera fruizione” e “regime di concessione gratuita”, emerge raffrontando il comma 3 con il comma 3-bis dell’art. 108.

Da un lato, il comma 3-bis dispone che “sono in ogni caso libere le seguenti attività, svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale: 1) la riproduzione di beni culturali diversi dai beni archivistici sottoposti a restrizioni di consultabilità ai sensi del capo III del presente titolo, attuata nel rispetto delle disposizioni che tutelano il diritto di autore e con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene, né l’esposizione dello stesso a sorgenti luminose né, all’interno degli istituti della cultura, né l’uso di stativi o treppiedi; 2) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro”.

Dall’altro lato, il comma 3 prevede che “nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché attuate senza scopo di lucro. I richiedenti sono comunque tenuti al rimborso delle spese sostenute dall’amministrazione concedente”.

Dal confronto tra le due disposizioni emerge che nel primo caso l’uso del diritto all’immagine (riproducendola e divulgandola) è assolutamente libero, per cui ferma restando la proprietà pubblica dell’immagine, questa può essere utilizzata liberamente e senza costi per finalità di studio, ricerca, studio e libera manifestazione del pensiero a determinate condizioni.

Nel secondo caso, la disposizione si limita a precisare che l’uso dell’immagine non è sottoposto al pagamento di un canone, ma non prevede che l’uso sia libero, come nel primo caso: sicché, emerge che in questo caso (cioè laddove si chieda l’utilizzo per motivi di studio con modalità diverse da quello per cui vi è un regime liberalizzato, ovvero quello per usi personali e per finalità di valorizzazione da parte di soggetti pubblici e privati) l’uso dell’immagine deve essere sottoposto a previa valutazione di compatibilità da parte dell’autorità titolare.

La gratuità dell’uso del diritto all’immagine non esonera, peraltro, il richiedente a rimborsare l’amministrazione concedente per le spese sostenute per i costi di riproduzione (sempre il comma 3). Quando, poi, l’immagine viene impiegata per finalità di lucro, allora il diritto all’immagine è oggetto di una concessione a titolo oneroso (così, a contrariis il comma 3): non a caso in questo caso il Codice impiega la locuzione “canoni di concessione”.

In questo contesto va anche rilevato come il concetto di scopo di lucro, e, quindi, il confine tra titolo gratuito e titolo oneroso, nei tempi più recenti abbia creato diverse problematiche interpretative. Parimenti, questioni ermeneutiche sono poste dalle ipotesi di confine tra regime libero e regime in concessione.

Mi intendo riferire, da un lato, alla levata di scudi delle associazioni degli studiosi e ricercatori in materia di beni culturali sull’interpretazione da dare alle “linee guida” circa l’obbligo o meno dei ricercatori di corrispondere il canone concessorio per l’uso dell’immagine (con particolare riferimento a libri o comunque materiale dedicato alla vendita sul mercato) e, dall’altro, la campagna pubblicitaria promossa dal ministero del Turismo chiamata “Open meraviglia” e tutta incentrata sull’uso dell’immagine della Venere del Botticelli.

Per quanto riguarda la “levata di scudi” delle associazioni di studiosi e ricercatori, l’oggetto del contendere è stata la previsione del d.m. 161 con cui il regolamento sembrerebbe aver considerato come “con scopo di lucro” la pubblicazione dell’immagine a mezzo di “Editoria e riviste scientifiche di settore in canali commerciali online/cartacea”.

Il mondo scientifico, infatti, ha osservato che da diverso tempo anche la pubblicazione in riviste collocate in canali commerciali veniva considerata come senza scopo di lucro, in quanto, in precedenza, il MiC aveva chiarito - nell’ambito del piano di digitalizzazione del proprio patrimonio culturale - che l’attività editoriale può essere inclusa nella fattispecie del “lucro indiretto” per l’inscindibile compresenza nel libro dell’elemento commerciale e di quello culturale”.

La polemica è stata chiusa dal ministero affermando che anche le nuove linee guida non sottopongono i prodotti editoriali a canone di concessione: tuttavia, la vicenda dimostra come sia incerto il confine tra scopo di lucro e non di lucro e su cui occorrerebbe un intervento chiarificatore de iure condendo.

Parimenti, sono note le polemiche che ha destato la campagna pubblicitaria “Open meraviglia” con l’immagine della Venere del Botticelli intenta a farsi un “selfie” o mangiare una “pizza”: in questo caso l’utilizzo dell’immagine non sembrerebbe essere stato concesso dal MiC, poiché il ministero del Turismo ha fatto leva sul regime di libera fruizione pubblica che consente l’utilizzo dell’immagine dei beni culturali di proprietà pubblica. In realtà, come precedentemente evidenziato, nel caso di uso dell’immagine per finalità di valorizzazione da parte di soggetti pubblici e privati, si ricade nel regime di concessione a titolo gratuito. Peraltro, il comma 3-bis prevede un regime di completa liberalizzazione laddove l’uso dell’immagine avvenga per la “promozione della conoscenza del patrimonio culturale”, e, quindi per una finalità di valorizzazione. Fermo restando che a parere di chi scrive la campagna pubblicitaria “Open meraviglia” ha finalità di marketing territoriale e non di promozione della conoscenza del patrimonio culturale, il caso dimostra come la disciplina attuale sia dal contenuto incerto e che meriterebbe una approfondita rivisitazione de iure condendo.

Last but not least, le carenze della normativa in tema di uso dell’immagine riguardano anche la tutela.

È, infatti, del tutto carente una disciplina amministrativistica sulla tutela dell’immagine dei beni culturali, sia sotto il profilo del loro immateriale funzionale (decoro) che di quello economico (lucro).

A tal fine, va, infatti, rammentato che negli studi più recenti sull’immateriale dei beni culturali, si è distinto un profilo funzionale, da un lato, e un profilo economico, dall’altro: l’‘immateriale funzionale’, cioè il valore ideale della res in senso proprio, come tale soggetta alla potestà di conformazione e tutela dei pubblici poteri; dall’altro lato, l’‘immateriale economico’, cioè il “capitale economico immateriale immanente al singolo bene”, ovvero il “capitale intellettuale e un capitale cognitivo” che ha capacità di generare reddito [7].

Nel caso del “diritto all’immagine” il problema centrale che ruota intorno all’immateriale funzionale è quello della tutela del “decoro” [8]. Mentre, chiaramente, per quello che riguarda l’immateriale economico, la tutela riguarda il mancato versamento dei canoni e dei corrispettivi.

La disciplina sostanziale (artt. 107 e 108) si occupa solo di dettare regole e criteri sostanziali di disciplina dell’uso dell’immagine, ma non si preoccupa minimamente della tutela in via amministrativa.

Il che non è sorprendente, poiché il Codice, di chiara impronta materialista, si preoccupa solamente di tutelare gli aspetti materiali, dimenticandosi dell’immateriale, sia nella prospettiva funzionale che economica.

Manca una disciplina sui poteri inibitori dell’amministrazione titolare, come anche sulle sanzioni di carattere pecuniario, in caso di lesione del “diritto al decoro”, come anche di quello “alla valorizzazione economica”. Disciplina, quest’ultima, a dir poco (dovrebbe essere) dovuta, visto che la tutela del patrimonio culturale, sia nei suoi aspetti materiali che immateriali, è dovere della Repubblica e principio fondamentale del nostro ordinamento. Sicché, come si vedrà, questo vuoto di tutela è stato colmato ricorrendo ai principi civilistici e alla tematica della tutela civile dei diritti, su cui sono intervenute le pronunce in commento.

3. Lo statuto proprietario del diritto all’immagine dei beni culturali

Nel vuoto amministrativo, la leva su cui fondare la tutela dell’immagine dei beni culturali è stata il “terribile diritto”, ovvero il diritto di proprietà sul bene culturale [9].

Tra le facoltà del proprietario del bene rientra anche il “diritto all’immagine”, ovvero “il potere di utilizzare economicamente il bene ... riproducendo la sua immagine esteriore e moltiplicandola in copie” e, quindi, anche quello di vietare (o al contrario consentirlo) ad altri l’uso dell’immagine, in modo da “evitare che un’utilizzazione economica non regolamentata possa risolversi in una flessione del valore del bene (o, più correttamente, delle riproduzioni dello stesso)” [10].

Quindi il “diritto all’immagine” viene ricostruito come una delle facoltà che spetta al proprietario. E per quanto in questa sede interessa, ovvero i beni culturali in appartenenza pubblica, siamo di fronte ad “una riserva a favore degli enti pubblici proprietari dell’uso commerciale dell’immagine” [11]. È stata, peraltro, la giurisprudenza tedesca a riconoscere una tutela reale, connessa al diritto di proprietà, del diritto all’immagine, accordandola in relazione a beni culturali rilevanti quali il parco di Sanssouci e il castello di Charlottenburg [12].

Peraltro, nel nostro ordinamento, anche la tutela civilistica del diritto di proprietà, è tutta proiettata sulla tutela materiale della res, quale la rivendica, la negatoria, l’apposizione dei termini e il regolamento di confini, le quali non si attagliano alla tutela dell’immateriale.

Sicché la strada maestra per tutelare il proprietario dell’immagine sarebbe quella di valorizzare l’art. 2043 cod. civ., tramite la clausola dell’ingiustizia del danno, in cui per l’appunto l’uso dell’immagine altrui, senza il consenso del proprietario, è considerato un fatto illecito contra ius, in quanto lesivo del diritto di proprietà.

Tuttavia, come si vedrà, la giurisprudenza italiana ha preferito seguire un’altra strada, cioè quella del diritto della personalità, che consente di utilizzare un arco di strumenti di tutela più ampi di quelli accordati al proprietario.

4. L’approdo alla tutela della persona

La tutela per equivalente riconosciuta al proprietario appare, se rapportata alla teoria dell’immateriale, funzionalizzata ad assicurare il rispetto dell’immateriale economico, cioè delle potenzialità economiche che possono e debbono essere valorizzate mediante lo sfruttamento del diritto all’immagine [13]. A tal fine, va, inoltre, ricordato che la valorizzazione dell’immateriale economico, e quindi anche del diritto all’immagine, è canone doveroso [14] in quanto imposto dagli artt. 97 e 117 Cost. [15].

Non è, però, una tutela adatta a garantire l’altro aspetto dell’immateriale dei beni culturali, ovvero l’immateriale funzionale.

La tutela dell’immateriale funzionale richiede, infatti, rimedi riconducibili alla tutela specifica e non a quella per equivalente: difatti, la tutela richiesta dall’art. 9 della Costituzione non investe solo il bene nella sua essenza fisica, ma anche il suo immateriale. Del resto, anche gli arresti più recenti della giurisprudenza del Consiglio di Stato hanno messo in evidenza la forte correlazione e compenetrazione tra materialità e immaterialità del bene culturale [16], sicché la tutela del materiale non può essere scissa da quella immateriale.

Ragion per cui quando l’art. 9 Cost. affida la tutela del patrimonio culturale alla Repubblica, i.e. allo Stato, questa deve intendersi soprattutto come obbligo costituzionale di attribuire agli organi statali preposti alla tutela tutto lo strumentario necessario per salvaguardare uno dei valori fondamentali, cioè la salvaguardia dei beni culturali, del nostro ordinamento.

E non può negarsi, che il nucleo duro della tutela è proprio quello di far cessare, far venire meno l’utilizzo abusivo del bene culturale, ripristinando la situazione nello status quo antea.

Quindi, il nucleo forte della tutela dei beni culturali è proprio rappresentato dalla possibilità di esperire misure preventive e successive, fondate su poteri di divieto/autorizzazione, e misure inibitorie e repressive per l’utilizzo abusivo del bene culturale. Consapevolezza, quest’ultima, del resto, che emerge ampiamente dalle sentenze in commento.

Il regime di tutela del diritto di proprietà, peraltro, non offre la possibilità di tutelare “il diritto all’immagine” con una tutela reale, poiché quest’ultima è rivolta tipicamente a garantire la materialità del bene. In altre parole, la tutela reale del diritto di proprietà non riconosce al proprietario poteri e misure per tutelare l’immateriale della propria proprietà.

Mancano, dunque, misure inibitorie di carattere generale, a tutela dell’immateriale che nel nostro ordinamento sono sottoposte ad uno stretto principio di tipicità [17].

Quindi nel caso del diritto all’immagine dei beni culturali abbiamo ben due vuoti: da un lato, manca una tutela amministrativa, dall’altro una che possa discendere dalla valorizzazione del diritto di proprietà.

Sicché, in forza del principio di effettività, la tutela inibitoria volta a garantire l’immateriale funzionale, e in primis il decoro del bene culturale, è stata ricavata ricostruendo “il diritto all’immagine dei beni culturali” all’interno dei diritti di personalità.

La tutela della persona, infatti, ai sensi degli artt. 6, 7 e 10 cod. civ. consente di esperire azioni inibitorie e in forma specifica, volte a far cessare l’uso abusivo dell’immagine.

È nota la vicenda da cui ha preso avvio il processo di inclusione del “diritto all’immagine dei beni culturali” all’interno dei diritti della personalità e soprattutto dei suoi strumenti di tutela.

La questione nasce con una sentenza della Cassazione, che ha riconosciuto al proprietario di una barca particolarmente famosa il “diritto all’immagine sul bene”, di cui se ne riporta la massima: “la tutela civilistica del nome e dell'immagine, ai sensi degli artt. 6, 7 e 10 c.c., è invocabile non solo dalle persone fisiche ma anche da quelle giuridiche e dai soggetti diversi dalle persone fisiche e, nel caso di indebita utilizzazione della denominazione e dell'immagine di un bene, la suddetta tutela spetta sia all'utilizzatore del bene in forza di un contratto di leasing, sia al titolare del diritto di sfruttamento economico dello stesso. (Principio affermato dalla S.C. in una fattispecie in cui una società, senza ottenere il consenso dell'avente diritto e senza pagare il corrispettivo dovuto, aveva indebitamente riprodotto nel proprio calendario l'immagine e la denominazione di un'imbarcazione altrui, usata a fini agonistici o come elemento di richiamo nell'ambito di campagne pubblicitarie o di sponsorizzazione, inserendo nella vela il proprio marchio) [18].

Una volta aperta la possibilità alle persone giuridiche di tutelare non solo la propria immagine, ma anche i propri beni, con le tutele previste dall’art. 10 in materia di cessazione dell’utilizzo abusivo dell’immagine, si è aperta la strada alla possibilità di tutelare in forma specifica anche “l’immagine dei beni culturali”.

La sentenza capostipite è quella del “Teatro Massimo di Palermo”, in cui si è ricondotto il diritto all’immagine dei beni culturali nel novero dei diritti della personalità (anche se poi la tutela concretamente riconosciuta è stata solo quella per equivalente) [19].

Le decisioni in commento si segnalano, invece, proprio per aver portato alle estreme conseguenze la riconducibilità del “diritto all’immagine dei beni culturali” nel novero dei diritti alla personalità, accordando sia la tutela inibitoria (Trib. di Venezia, anche se in sede cautelare) e la tutela per equivalente, ma segnatamente anche come “danno non patrimoniale” (Trib. di Firenze).

5. Tutela del diritto all’immagine tra immateriale funzionale e immateriale economico del bene culturale in appartenenza pubblica

Le pronunce in commento, dunque, consentono, con l’approdo del “diritto all’immagine dei beni culturali” nell’alveo dei diritti di personalità, di dare pienezza di tutela - conformemente alla doverosità espressa dall’art. 9 Cost. e in qualche modo dall’art. 97 Cost. - all’immateriale funzionale dei beni culturali in appartenenza pubblica.

Difatti, per quanto riguarda l’immateriale economico, a mio modo di vedere, non serve né il riferimento alla tutela proprietaria, né a quella della personalità.

La tutela si ricava direttamente dal diritto positivo, che, in forza dei principi di valorizzazione economica connessi all’immateriale economico, ha previsto espressamente che in caso di utilizzo dell’immagine per finalità commerciali (cioè con scopo di lucro) occorra ottenere il previo assenso e la corresponsione di un canone di concessione.

Trattasi dunque di un’obbligazione discendente direttamente dalla legge, quella del pagamento del canone di concessione.

Come noto, le obbligazioni possono anche avere natura legale ex art. 1173 cod. civ., ove è prescritto che “le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”.

E, come noto, il mancato rispetto delle obbligazioni ex lege è fonte di responsabilità contrattuale, ex art. 1218 cod. civ. (per la cui quantificazione del danno patrimoniale si utilizzeranno i tariffari predisposti dalle singole amministrazioni consegnatarie). L’utilizzo abusivo dell’immagine è pertanto fonte di responsabilità contrattuale, senza la necessità di far capriole all’interno della tutela dominicale o della persona.

Più delicata è la questione della protezione accordata al “diritto all’immagine del bene culturale”, nella proiezione dell’immateriale funzionale.

Qui ovviamente, la riconduzione del “diritto all’immagine” ai diritti della personalità consente alle amministrazioni titolari di chiedere, in via d’azione, la tutela specifica della cessazione dell’utilizzo abusivo, in linea con l’esigenza costituzionale di una piena tutela specifica e reale dell’immateriale funzionale.

È l’interpretazione conforme a Costituzione a rendere giustificabile questo tipo di apertura, perché effettivamente, dal punto di vista strettamente dogmatico, questa giurisprudenza non appare ferrea, con una commistione ridondante tra tutela proprietaria e tutela della persona [20].

Un esempio chiaro della forzatura è un passaggio dell’ordinanza del Tribunale di Venezia in cui addirittura sembrerebbe che il diritto all’immagine sia pertinente alla “personalità” bene culturale e non al soggetto, e che il ministero sarebbe legittimato ad agire quale sostituto [21], ricordando un po’ la teoria di Riccardo Orestano sulle azioni senza soggetto.

Oppure quando il Tribunale di Firenze è costretto ad evidenziare che non è il titolare, quanto la stessa opera a subire un danno alla propria immagine, quasi a voler dire anche questa volta che il “diritto all’immagine” non è sul bene culturale, ma del bene culturale [22].

6. Prospettive de iure condendo

Le sentenze in commento, peraltro, anziché chiudere le problematiche connesse al “diritto all’immagine dei beni culturali”, evidenziano ulteriori lacune. Difatti, quello che appare essere privo di tutela è l’“immateriale funzionale” connesso all’immagine liberalizzata.

Questo problema è stato messo in luce da Eike Schmidt [23], il noto Direttore degli Uffizi, che evidenzia la necessità da parte di chi scarica gratuitamente e liberamente l’immagine di assumersi l’obbligo di uso responsabile dell’immagine (copyleft). Del resto, è proprio la richiamata campagna pubblicitaria “Open meraviglia” a evidenziare come anche nel caso di liberalizzazione dell’immagine occorra il richiamo ad un uso responsabile e decoroso dell’immateriale funzionale dei beni culturali.

Il decoro dei beni culturali e il connesso immateriale funzionale è ormai un principio - come anche ricordato dal tribunale di Firenze - che ammanta tutta la disciplina pubblicistica dei beni culturali, sia materiali che immateriali e che necessita di una tutela compiuta in via amministrativa.

In altri termini, i vuoti di tutela per l’immateriale funzionale, e le aporie intrinseche alla giurisprudenza sul “diritto all’immagine”, richiedono un intervento legislativo de iure, condendo che chiarisca i contorni del diritto all’immagine sia nei suoi aspetti funzionali che economici.

Del resto, già avvertita dottrina aveva segnalato la problematica della “lacunosità” del sistema repressivo, suggerendo l’introduzione di sistemi di public enforcement del bene culturale, mutuando dal “regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica” dell’Agcom, l’attribuzione alle amministrazioni titolari del potere di tutela in materia di patrimonio culturale di poteri “inibitori”, quali la rimozione selettiva delle opere digitali, o anche in caso di violazioni di carattere massivo, la disabilitazione all’accesso delle opere [24].

Questo per quanto riguarda l’immateriale funzionale.

Ma anche la disciplina dell’immateriale economico andrebbe rivista, con una disciplina più flessibile della valorizzazione economica dell’“immagine dei beni culturali” e che non abbia esclusivamente il fine di batter cassa.

Le esperienze di diritto comparato evidenziano, infatti, che la valorizzazione economica dell’immagine dei beni culturali può essere mixata con i più vari strumenti: ad esempio, dare la possibilità di sfruttare gratuitamente per fini commerciali le immagini dei beni culturali può costituire un veicolo di marketing, per sviluppare politiche territoriali e di incremento dei visitatori del museo.

Sicché, sempre in una prospettiva de iure condendo, mi sembra pienamente condivisibile la proposta di Girolamo Sciullo di attribuire maggiore discrezionalità nella scelta di valorizzazione economica dell’immagine ai direttori di musei [25].

In conclusione, le pronunzie in commento sono sicuramente da apprezzare per lo sforzo di dare copertura all’esigenza di tutelare l’immateriale funzionale dei beni culturali, connesso ai beni culturali di proprietà pubblica impiegati per finalità di lucro.

Il diritto all’immagine dei beni culturali appare, però, non sufficientemente tutelato dalle aperture giurisprudenziali, poiché la disciplina di tutela e valorizzazione dell’immateriale funzionale ed economico appare lacunosa e richiede una rivisitazione sistematica nella prospettiva di iure condendo.

 

Note

[*] Antonio Bartolini, professore ordinario di Diritto Amministrativo, Università di Perugia, Piazza Università, 1, 06123, Perugia, antonio.bartolini@icloud.com.

[1] Per tutti T. Montanari, L’immagine dell’arte è libera. Farla pagare è un’ingiustizia, in Il Fatto Quotidiano, 12 giugno 2023.

[2] R. Caso, Il David, l’Uomo Vitruviano, e il diritto all’immagine del bene culturale: verso un’evaporazione del pubblico dominio, in Foro. it., 2023, I, pag. 2257 ss. e ivi ulteriore nota di richiami (ringrazio l’Autore per avermi trasmesso in anteprima l’estratto).

[3] Sempre R. Caso, op. ult. cit.

[4] Su tutte queste problematiche si rinvia alle relazioni contenute nel n. 1/2014 di questa Rivista, dove sono stati pubblicati gli Atti del Convegno di Assisi del 25-27 ottobre 2012 sui beni culturali immateriali.

[5] Per questa problematica si rinvia diffusamente ad A. Bartolini, Il bene culturale e le sue plurime concezioni, in Dir. amm., 2019, pag. 223 ss.

[6] Su tale questione v. A.L. Tarasco, Ingegneria culturale e immagini del patrimonio culturale, in Italia e Francia: profili giuridici e reddituali, in Il patrimonio culturale e le sue immagini. Diritto, gestione e nuove tecnologie, (a cura di) A.L. Tarasco, R. Miccù, Napoli, Editoriale Scientifica, 2022, pag. 121 ss. e in questa Rivista il contributo di G. Sciullo, ‘Pubblico dominio’ e ‘Dominio pubblico’ in tema di immagine dei beni culturali: note sul recepimento delle Direttive (UE) 2019/790 e 2019/1024, nel n. 1/2021.

[7] G. Severini, L‘immateriale economico nei beni culturali, in L‘immateriale economico nei beni culturali, (a cura di) G. Morbidelli, A. Bartolini, Torino, 2016, pag. 21 ss.

[8] Che la questione del “decoro” sia accanto a quello del lucro il problema su cui ruotano le discussioni sul diritto all’immagine lo ricorda D. Manacorda, L’immagine del bene cultuale tra lucro e decoro: una questione di libertà, in Aedon, 2021, 1, anche se, come noto, la posizione dell’autore è quella per una completa liberalizzazione e apertura del diritto all’immagine.

[9] Per una ricostruzione di tale problematica v. G. Manfredi, La tutela proprietaria dell’immateriale economico nei beni culturali, in L’immateriale economico nei beni culturali, cit., pag. 121 ss.

[10] C. Scognamiglio, Proprietà museale ed usi non autorizzati di terzi, in AIDA, 1999, 74.

[11] G. Morbidelli, Il valore immateriale dei beni culturali, in Aedon, 2014, 1.

[12] Per lo stato della questione con riferimento alla situazione tedesca v. G. Resta, Il regime giuridico dell’immagine dei beni, in Il libro dell’anno del diritto 2016, Roma, Treccani, in https://www.treccani.it/enciclopedia/il-regime-giuridico-dell-immagine-dei-beni_%28Il-Libro-dell'anno-del-Diritto%29/, anche se con accenni critici al diritto all’immagine come facoltà proprietaria.

[13] Coglie con esattezza il rapporto tra immateriale economico e valorizzazione dei beni culturali G. Piperata, Cultura, sviluppo economico e... di come addomesticare gli scoiattoli, in Aedon, 2018, 3.

[14] Per la doverosità della valorizzazione economica dei beni culturali M. Cammelli, Immateriale economico e profilo pubblico del bene culturale, in L’immateriale economico nei beni culturali, cit., pag. 94 ss.

[15] Sugli aspetti costituzionali in tema di valorizzazione economica v. ampiamente A.L. Tarasco, Diritto e gestione del patrimonio culturale, Bari, Laterza, 2019, pag. 5 ss.

[16] Ci si riferisce a Cons. St., ad. plen., 13 febbraio 2023, n. 5, con un’ampia serie di commenti in questa Rivista, n. 1/2023.

[17] V. A. di Majo, La tutela civile dei diritti, Milano, Giuffrè, 1987, pag. 128 ss.

[18] Cass., 11 agosto 2009, n. 18218, in Danno e resp., 2010, pag. 471 ss.

[19] Trib. Palermo, 21 settembre 2017, n. 4901/2017.

[20] V. quanto evidenziato da R. Caso, Il David, l’Uomo Vitruviano, e il diritto all’immagine del bene culturale: verso un’evaporazione del pubblico dominio, cit., 2283, secondo cui “il dato che accomuna le due decisioni in epigrafe, nel segno di una qualche confusione concettuale, è la sovrapposizione di aspetti non patrimoniali e patrimoniali, come il mescolamento tra strumenti giuridici pubblicistici (il codice dei beni culturali) e privatistici (i diritti della personalità del codice civile), nonché il richiamo feticistico all’art. 9 Cost.: tutti fattori che fanno velo ai reali interessi in gioco e alle finalità di questa nuova forma di pseudo-proprietà intellettuale, la quale vorrebbe fondare in capo allo Stato il potere di controllare in via esclusiva l’uso commerciale delle immagini dei beni culturali”.

[21] Ci si riferisce al seguente passaggio dell’ordinanza: “ancorché il bene culturale, di per sé considerato - secondo la più autorevole dottrina - come entità immateriale distinta dal supporto materiale cui inerisce e costituente un valore identitario collettivo destinato alla fruizione pubblica, costituisca un bene giuridico meritevole di tutela rafforzata (anche a livello costituzionale) secondo l’ordinamento, tuttavia lo stesso non possiede evidentemente un’autonoma soggettività cosicché si verifica una scissione tra l’oggetto di tutela rispetto alla lesione dell’immagine (i.e. il bene culturale) e il soggetto deputato, quale titolare del potere concessorio/autorizzatorio rispetto alla sua destinazione, ad agire per la sua tutela e a ricevere l’eventuale risarcimento del conseguente danno non patrimoniale”.

[22] Ci si riferisce al seguente passaggio: “sarebbe del tutto irragionevole escludere la tutela di tale diritto con riferimento al bene culturale, specie quando - come nel caso di specie - risulti gravemente lesa, per le ragioni e con le modalità poc’anzi evidenziate, l’immagine di un’opera di assoluto pregio artistico, che è assurta a simbolo, non solo della temperie rinascimentale che soprattutto nel nostro paese ha prodotto frutti di inestimabile valore, ma anche del nostro intero patrimonio culturale ed in definitiva del genio italico”.

[23] E.D. Schmidt, Prospettive per la valorizzazione di riproduzioni digitali di beni artistici dopo l’inverno crittografico, in Il patrimonio culturale e le sue immagini. Diritto, gestione e nuove tecnologie, cit., pag. 249 s.

[24] Così S. Fantini, Strumenti amministrativistici di tutela e valorizzazione dell’immateriale economico, in L’immateriale economico nei beni culturali, cit., pag. 118 ss.

[25] G. Sciullo, Sull’immagine dei beni culturali, in Aedon, 2021, 1.

 

 

 



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