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Dimensione materiale e immateriale del patrimonio culturale

La tutela delle barche storiche come beni culturali

di Giuseppe Garzia [*]

Sommario: 1. Premessa. - 2. Il sistema di tutela delle barche storiche nel codice dei beni culturali. - 3. (segue). Elementi di criticità; spunti di riflessione. - 4. (segue). Il R.I.E. (Registro Imbarcazioni d’Epoca). - 5. Nuove prospettive per la tutela delle barche storiche; il vincolo “immateriale” sulle “vele al terzo”. - 6. (segue). Analisi critica del decreto sulle “vele al terzo”.

The protection of historical boats as cultural heritage
This paper deals with the legal regulation of historical boats in the domestic legal system. Namely, it examines the provisions of legislative decree no. 42 of 2004 dedicated to this and some regional aspects (in particular in Emilia Romagna). Such a legislation is analysed in a critical manner, also proposing some possible reform solutions. Lastly, the MIC's recent measure on the imposition of a restriction on “third-party sails” is also discussed.

Keywords: historical boats; sails; Emilia-Romagna; protection.

1. Premessa

Le imbarcazioni storiche costituiscono, senza dubbio, una parte significativa del nostro patrimonio culturale nazionale, anche se si tratta di un patrimonio talvolta trascurato per responsabilità sia delle amministrazioni preposte alle funzioni di tutela che dei proprietari.

Va comunque detto che si tratta di beni non agevolmente tutelabili e questo è dovuto probabilmente al fatto che rispetto alle altre categorie di beni culturali contemplate dal codice essi presentano indubitabili aspetti di problematicità; si pensi, ma sono solo esempi, alla mancanza di competenze tecnico - scientifiche adeguate in seno al MIC oppure, sotto altro profilo, alla difficoltà di elaborare norme sul restauro che siano universalmente riconosciute [1].

Quello delle barche storiche è peraltro un mondo complesso nel quale esistono almeno due grandi categorie: gli “yachts and vintage” che spesso si trovano in ottimo stato conservativo e che hanno un buon valore sul mercato partecipando anche a gare e raduni e le “working ships and boats”, ad esempio le imbarcazioni da pesca, che sovente vengono abbandonate a loro stesse una volta terminato l’utilizzo e di conseguenza finiscono per trovarsi in una grave situazione di obsolescenza rischiando di essere demolite [2].

È peraltro evidente come in entrambe le situazioni si è in presenza di beni da tutelare in modo adeguato proprio perché facenti parte del nostro patrimonio culturale nazionale.

Ciò premesso, nel presente scritto si intende fornire il quadro giuridico delle barche storiche partendo dalle disposizioni contenute nel d.lg. n. 42 del 2004 (“Codice dei beni culturali e del paesaggio”) e facendo quindi riferimento ad una realtà che ben può essere definita “virtuosa”, quella della Regione Emilia Romagna.

2. Il sistema di tutela delle barche storiche nel codice dei beni culturali

Già sul piano definitorio il concetto di barca “storica” non appare per nulla agevole.

Un tentativo, per la verità abbastanza recente, operato dal legislatore al fine di fornire dei criteri utili si è avuto con l’art. 7 della legge n. 172 del 2003 [3] il quale considerava beni culturali (con il conseguente assoggettamento alle disposizioni del codice) le imbarcazioni che avessero almeno 25 anni di età dal momento della costruzione oltre ad almeno uno dei requisiti ivi previsti: a) rappresentino un caso particolare per la peculiarità progettuale, tecnica, architettonica o ingegneristica della costruzione o per la scelta dei materiali impiegati; b) abbiano raggiunto traguardi sportivi o tecnici che li abbiano resi conosciuti ovvero siano stati protagonisti di eventi particolari; c) rivestano un interesse storico o etnologico o derivanti dalle personalità che li hanno posseduti; d) abbiano contribuito attivamente allo sviluppo sociale ed economico del Paese; e) siano fedeli riproduzioni di imbarcazioni storiche, purché utilizzati come strumenti sussidiari, illustrativi e didattici.

La diposizione in questione, il cui contenuto presentava indubbiamente aspetti di criticità, ha peraltro avuto vita breve, essendo stata abrogata nel 2004 dal codice dei beni culturali.

Ad oggi, quindi, non esiste una definizione di barca storica, anche se tali beni, direttamente o indirettamente, sono presi in esame dal codice dei beni culturali in alcune disposizioni.

Innanzi tutto, sul piano generale, va menzionato l’art. 11, comma 1, lett. g, che ricomprende tra i beni culturali oggetto di specifiche disposizioni di tutela “i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni, a termine degli articoli, 65, comma 3 lettera c) e 67 comma 2”; pertanto, com’è evidente, rientrano all’interno di tale disposizione anche i mezzi nautici.

Inoltre, in modo più specifico, l’art. 10, comma 4, lett. i, fa rientrare tra i beni culturali “le navi e i galleggianti aventi interesse artistico, storico od etnoantropologico [4].

Com’è agevole rilevare si tratta della disposizione più importante prevista dal codice; essa, pur non fornendo alcuna definizione di barca storica, ricomprende esplicitamente tale categoria di beni tra i beni culturali.

Quindi, in linea di principio, sono assoggettabili a tutela le imbarcazioni (di proprietà pubblica o privata) o le collezioni di imbarcazioni [5] che presentino almeno uno dei suddetti interessi: artistico, storico o etnoantropologico.

Peraltro, com’e noto, stante la previsione generale dell’art. 10, comma 5, sono comunque esclusi dal sistema di tutela i beni che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni. Si tratta di un aspetto molto importante per le imbarcazioni “storiche”, nelle quali l’anno di costruzione gioca un ruolo assai rilevante ai fini del loro possibile riconoscimento come bene culturale.

Esistono tuttavia situazioni nelle quali l’accertamento dell’interesse culturale dell’imbarcazione è avvenuto non in quanto bene storico - artistico o etnoantropologico (art. 10, comma 4, lett. i) bensì storico relazionale ai sensi dell’art. 10, comma 3, lett. d, del codice [6].

È il caso, in particolare, della “NAVE SCIMITAR” ormeggiata nel porto di Fano e riconosciuta di interesse particolarmente importante ai sensi della suddetta disposizione con delibera della Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale delle Marche n. 25 del 28 febbraio 2023. Nello specifico si osserva che si tratta di un’imbarcazione di notevole interesse per la storia della marineria, presentando altresì un evidente legame con l’identità e la memoria della comunità locale, con risonanze anche ad una più ampia scala nazionale e internazionale.

Alle imbarcazioni vincolate ai sensi del citato art. 10, comma 4, lett. i, e 10, comma 3, lett. d, vanno inoltre aggiunte quelle tutelate in quanto facenti parte di collezioni museali di proprietà dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ed istituto pubblico (art. 10, comma 2 lett. a) che, come è noto, sono soggette ad un vincolo ex lege.

Uno straordinario esempio in tal senso (e forse unico) è costituito dal Museo della Marineria di Cesenatico [7], di proprietà del comune di Cesenatico, dove sono presenti numerose imbarcazioni storiche in ottimo stato conservativo e che si compone di due sezioni distinte: quella galleggiante, nella quale risiedono permanentemente le barche storiche del medio - alto Adriatico [8], e quella a terra. Tutte le imbarcazioni rientranti nell’ambito delle collezioni museali sono quindi assoggettate a tutela secondo le previsioni del codice.

Se facciamo un’analisi sul piano nazionale della situazione sulla tutela delle barche storiche possiamo osservare che il quadro si presenta come abbastanza eterogeneo, nel senso che convivono realtà virtuose con altre meno.

Probabilmente ciò è dovuto alla diversa efficacia dell’azione svolta dalle Soprintendenze nelle varie regioni, le quali, peraltro, come si è detto, spesso sono prive di personale avente specifiche competenze dal punto di vista tecnico - scientifico.

Sotto un certo profilo si tratta comunque di una situazione in parte inevitabile, soprattutto se si considera la vastità e ricchezza del nostro patrimonio che rende estremamente difficile un sistema diffuso di tutela con gli attuali strumenti giuridici previsti dal codice. In altre parole il sistema di protezione basato sul vincolo individuale forse è difficilmente adattabile ad un patrimonio così diffuso ed eterogeneo.

Non a caso, il primo provvedimento di tutela, riguardante la lancia “Assunta”, è solamente del 1997 [9].

Tra le realtà virtuose vi è sicuramente quella dell’Emilia Romagna nella quale, oltre al museo della Marineria di Cesenatico in precedenza citato, vi sono due casi di imbarcazioni vincolate ai sensi dell’art. 10, comma 4, lett. i del codice.

La prima, la lancia “Assunta”, realizzata nel 1925 e ormeggiata nel porto di Cervia, è un’imbarcazione di proprietà privata ed è la prima ad essere riconosciuta di interesse storico e artistico [10]; in particolare nella relazione storico - artistica del decreto impositivo del vincolo si osserva come l’imbarcazione in questione costituisca un esemplare particolarmente rappresentativo per la sua categoria in quanto risulta essere la più antica lancia romagnola conosciuta e tuttora navigante in Adriatico e in perfetto stato conservativo. Infatti nel periodo 1993-94 si è provveduto ad un accurato restauro conservando l’attrezzatura originale con vela al terzo e utilizzando i materiali dell’epoca. Nel suo insieme la lancia “Assunta” rappresenta pertanto un “unicum” da proteggere e conservare e quindi si giustifica l’imposizione del vincolo di tutela.

Il secondo, il lancione “Saviolina” (ex “Nino Bixio”), realizzato nel 1928, attualmente di proprietà del comune di Riccione, è una imbarcazione tradizionale della costa romagnola - marchigiana ed è stato vincolato con D.M. 21 settembre 1998 [11]. Esso costituisce il più antico lancione tuttora navigante in Adriatico in quanto, come si evidenzia dalla relazione storica - artistica non risultano altri lancioni costruiti prima dell’ultimo conflitto mondiale (attualmente solo il lancione “Tre fratelli”, del 1966, è armato secondo la tradizione velica dell’epoca). Per tale ragione si è ritenuto necessario imporre un vincolo di tutela.

3. (segue). Elementi di criticità; spunti di riflessione

Se si passa ad esaminare il regime giuridico sulla protezione delle barche storiche previsto dal codice dei beni culturali possiamo innanzi tutto rilevare come non siano previste norme “speciali”, nel senso che si applicano le ordinarie disposizioni previste dallo stesso codice per le altre tipologie di beni culturali.

Pur trattandosi di una scelta sicuramente logica, in quanto il codice è strutturato nel senso di prevedere, salve alcune eccezioni [12], un sistema omogeneo di regolamentazione per le diverse tipologie di beni, essa lascia comunque alcune perplessità.

Se, infatti, da un lato viene pienamente garantita la salvaguardia dei valori storico - artistici del bene grazie all’azione di vigilanza e tutela esercitata dal MIC soprattutto attraverso il rilascio delle autorizzazioni preventive ai sensi dell’art. 21, dall’altro la “rigidità” del codice quanto al sistema di regole di protezione mal si adatta a beni mobili che per loro stessa natura sono destinati a continui spostamenti e a frequenti interventi di manutenzione (anche se spesso di piccola entità) [13].

In altre parole, anche un banale intervento di tinteggiatura o di sostituzione di un pezzo della barca (ad es. di un verricello) finisce per essere assoggettato al complesso procedimento di cui all’art. 21 con tutte le conseguenze che ciò comporta. Lo stesso riguarda ogni uscita in mare (anche la più breve) che deve essere previamente autorizzata dalla Soprintendenza.

Malgrado tali difficoltà, molti proprietari sono comunque spinti a chiedere l’imposizione del vincolo sulla propria imbarcazione; probabilmente la motivazione primaria di tale comportamento va cercata nel desiderio di apporre un “gonfalone culturale” [14] alle proprie barche, un alto riconoscimento alla propria passione.

In sintesi, le disposizioni del codice non appaiono comunque adatte se riferite a beni come le imbarcazioni, soprattutto nelle situazioni in cui queste siano funzionanti e quindi pienamente operative.

In questo caso sarebbe quindi forse opportuno prevedere l’introduzione di una disciplina giuridica “semplificata”, rispetto a quella di cui art. 21, almeno per gli interventi di manutenzione più semplici oppure e meno impattanti sui pregi storico - artistici dei beni [15].

Del resto, come noto, si tratta di una procedura già prevista dal codice per i beni paesaggistici, per i quali l’autorizzazione preventiva è esclusa per lavori o interventi di modesta entità quali, ad esempio, quelli di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici (art. 149, comma 1, lett. a) [16].

4. (segue). Il R.I.E. (Registro Imbarcazioni d’Epoca)

Riguardo al più generale problema della salvaguardia e recupero del nostro patrimonio culturale nazionale nautico una possibile soluzione potrebbe essere quella di prevedere l’istituzione di uno specifico registro delle imbarcazioni storiche (R.I.E. - Registro Imbarcazione d’Epoca), nel quale iscrivere tutte imbarcazioni storiche indipendentemente dalla loro natura (da svago, lavoro, etc.) e il loro stato.

Ovviamente il registro dovrebbe comunque individuare i requisiti di storicità necessari per ottenere l’iscrizione delle imbarcazioni.

Nello specifico, come è stato opportunamente osservato [17], l’idea potrebbe essere quella di creare un registro, che, come avvenuto in altri Stati (Francia - Bateaux d’intèret patrimonial BIT), possa affiancare il MIC nell’ambito della propria azione di tutela.

In tal modo il MIC stesso potrebbe, da un lato, concentrare la propria attenzione solo su alcuni beni (quelli più importanti e ritenuti di “particolare interesse” dal punto di vista storico - artistico) individuati attraverso il procedimento di imposizione del vincolo; dall’altro, attraverso la previsione delle opportune forme di collegamento e coordinamento, sarebbe comunque in grado di esercitare una qualche forma di controllo e vigilanza sulla grande eterogeneità tipologica del patrimonio nautico nazionale inteso nel suo complesso.

Sotto il profilo organizzativo il soggetto titolare della gestione del registro potrebbe porre in essere le funzioni di certificazione circa i requisiti storico - artistici dell’imbarcazione necessari per l’iscrizione oppure la correttezza degli interventi di restauro eseguiti.

Inoltre, e questo è un aspetto particolarmente importante, l’istituzione di un registro potrebbe consentire la realizzazione dell’inventario di tutte le imbarcazioni storiche (pubbliche e private) esistenti [18], cosa che oggi non esiste.

Infine le imbarcazioni iscritte nel registro potrebbero fruire di agevolazioni di natura fiscale come, ad esempio, la riduzione della tassa di possesso, la riduzione dell’IVA sugli acquisti dei materiali destinati al restauro e una detrazione fiscale sulle spese sostenute per ottemperare ai gravosi obblighi di restauro.

5. Nuove prospettive per la tutela delle barche storiche; il vincolo “immateriale” sulle “vele al terzo”

Un’ulteriore riflessione, senz’altro affascinante, anche se non priva di rischi, potrebbe essere quella di considerare la possibilità di imporre vincoli di tutela che vadano oltre la sfera strettamente materiale del bene (imbarcazione), ma che si spingano fino a considerare i valori culturali immateriali [19] che l’attività di navigazione, intesa nel suo complesso, è in grado di esprimere [20].

Le tradizioni legate alla navigazione costituiscono, infatti, senza dubbio, un insieme di valori di carattere culturale di particolare interesse che si tramandano di generazione in generazione e che non riguardano solo il bene (barca) nella sua essenza fisico - materiale ma che attengono ad aspetti quali le tecniche di navigazione, il tipo di pesca praticata, etc.

In questa direzione si inserisce il recente decreto di vincolo della Commissione Regionale Patrimonio Culturale dell’Emilia Romagna n. 45 del 4 aprile 2023 con il quale si è dichiarato, ai sensi degli art. 7-bis, 10 comma 1, 10 comma 3 lett. d e 13 comma 1, del codice dei beni culturali, l’interesse etnoantropologico e storico-testimoniale particolarmente importante dei sette mobili costituenti testimonianza materiale nella pratica della navigazione con vela al terzo.

I sette “mobili” sono costituiti da alcune imbarcazioni, 1 cuffia di prua e 1 coppia di occhi di prua.

La vela al terzo, a forma di trapezio, è detta “al terzo” perché il pennone è fissato all’albero a un terzo della sua lunghezza. Nasce tra il XVII e il XVIII secolo dall’incontro nella laguna di Venezia tra la vela latina mediterranea e la vela quadra padana di origine antica ed è una forma tradizionale di navigazione usata dalle barche da pesca e piccolo trasporto su entrambe le sponde dell’Adriatico settentrionale sino alla metà del secolo scorso [21]. Essa ha cessato il proprio utilizzo con l’introduzione della propulsione a motore anche se negli ultimi decenni il suo uso è stato recuperato da diverse associazioni che in tal modo cercano di tramandarla tra le diverse generazioni.

Il senso primario del provvedimento in questione, indubbiamente dai caratteri fortemente innovativi e che si fonda principalmente sull’art 7-bis del codice [22], è proprio quello di tutelare la suddetta tradizione, in quanto, come si legge nella relazione storica etnoantropologica del provvedimento di tutela, la pratica della navigazione tradizionale promuove la coesione sociale tra le persone accomunate dalla volontà di recuperare attivamente un rapporto con la propria eredità culturale e favorisce anche la comunicazione intergenerazionale poiché ciò si realizza in gran parte coinvolgendo le persone più anziane che sono testimoni viventi dei saperi da tramandare.

Più in dettaglio sono diversi gli aspetti della “pratica della navigazione” rientranti nell’ambito di applicazione del provvedimento di tutela:

1. Il taglio, la cucitura la decorazione della vela nonché la costruzione della barca in legno con le relative attrezzature;

2. I rituali e gli usi apotropaici legati a particolari momenti della vita della barca, come il varo, la benedizione;

3. L’ampio patrimonio folcloristico del mare, come i canti da lavoro e da riposo, gli usi linguistici e i modi di dire;

4. Il “saper fare” della navigazione (es. abilità di seguire una rotta, capacità di previsione metereologica);

5. La pratica di pesca svolta con strumenti e tecniche tradizionali (sciabica o tratta);

6. La cucina tradizionale del pesce.

6. (segue). Analisi critica del decreto sulle “vele al terzo”.

Sul piano strettamente giuridico va osservato che il decreto n. 45 del 2023 costituisce una corretta applicazione dell’art. 7-bis in quanto gli elementi immateriali soggetti a tutela (pratica della navigazione con la vela al terzo e, in particolare, gli elementi sopra elencati) sono adeguatamente “rappresentati” da elementi materiali per i quali sussistono le condizioni e i presupposti per l’applicabilità dell’art. 10 (i sette “mobili” in precedenza citati).

Sotto questo profilo il decreto n. 45 del 2023 si pone anche in linea con quanto affermato, a proposito dell’art. 7-bis, dalla recente fondamentale decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella n. 5/2023 del 13 febbraio 2023.

Si tratta, come noto, di una sentenza di grande complessità che ha aperto un ampio dibattito in dottrina [23]; ai fini del presente scritto sono due le osservazioni particolarmente rilevanti.

In primo luogo, l’affermazione secondo cui “il potere di tutela è funzionale a garantire non soltanto l’integrità fisica della res ma anche la continuità dell’espressione culturale di cui la cosa costituisce testimonianza vivente.

Senza dubbio si tratta di una osservazione che ben si collega alle finalità e ai contenuti del decreto relativo alla tutela delle “vele al terzo”.

In secondo luogo il fatto che nel riconoscere la possibilità di imporre il vincolo su beni immateriali si pone in evidenza la necessità che debba sussistere un collegamento qualificato con un elemento materiale nel senso che la res deve, da un lato, “testimoniare l’esistenza e il modo di essere dell’espressione di identità culturale collettiva, potendo assumere la indifferente valenza di oggetto, mezzo o luogo su cui, attraverso cui vengono ricreate, condivise e trasmesse le espressioni che la comunità riconosce come componenti del proprio patrimonio culturale”; dall’altro deve essere “già di per sé tutelabile ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 42 del 2004, occorrendo l’integrazione dei presupposti e delle condizioni per la sua dichiarazione di interesse culturale”.

In altre parole “all’espressione immateriale e identitaria deve sempre accompagnarsi un substrato materiale”.

Come opportunamente osserva Severini [24] viene quindi escluso dal perimetro della tutela quanto non è incorporato in un bene materiale; “il bene culturale non si esaurisce soltanto nelle testimonianze materiali che lo rappresentano... ma presenta anche una particolare forza “evocativa” in virtù del valore in esso insito, che assume significato per l’intera collettività di riferimento, la quale da esse trae un senso di identità e di continuità”.

In conclusione possiamo ritenere che il provvedimento di imposizione del vincolo sulla “vela al terzo”, pur rappresentando un atto fortemente innovativo sul piano della tecnica di tutela giuridica dei beni culturali mobili, sotto il profilo strettamente giuridico si pone in linea con il disposto di cui all’art. 7-bis del codice e con la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 5 del 2023.

Peraltro, indubbiamente, rimangono alcune perplessità che fondamentalmente sono legate alla efficacia del vincolo e cioè alla sua capacità di riuscire a produrre in concreto i propri effetti giuridici, tenuto conto dell’esistenza di un impianto normativo, quello del codice che, com’è noto, è pensato e strutturato per tutelare res materiali [25].

In altre parole, considerato che gli effetti giuridici del vincolo in questione sono quelli ordinari previsti dal codice per i beni materiali, attività quali, ad esempio, quelle inerenti la pesca o le forme tradizionali di navigazione, seppure molto affascinanti, difficilmente possono essere oggetto di un’efficace tutela se non collegate necessariamente con un bene materiale (l’imbarcazione), mentre, com’è agevolmente intuibile, esse possono trovare una adeguata collocazione nell’ambito delle azioni e dei processi di valorizzazione (iniziative di sostegno, finanziarie e organizzative, nonché azioni di riconoscimento) [26].

 

Note

[*] Giuseppe Garzia, ricercatore di Diritto amministrativo presso il Dipartimento di Beni culturali dell’Università di Bologna, via degli Ariani 1, 48121 Ravenna, giuseppe.garzia@unibo.it.

[1] Su questo aspetto si veda G. Rosato, La tutela e il restauro di imbarcazioni e di mezzi galleggianti. Note sulle condizioni di applicabilità delle norme del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, De Ferrari, Genova, 2008.

[2] Sul punto si veda G. Panella, Creation of an inventory of the floating heritage, in World ship review, n. 57, 2009 che a tal proposito osserva: “this category, indeed, includes a wide range of crafts, from small fishing boats to large transatlantic liners. In most cases, these are crafts that, after being laid up, are abandoned in some remote areas of our ports”.

[3] Disposizioni per il riordino e il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico.

[4] Per un’analisi di carattere generale della struttura delle diverse tipologie di beni culturali previste dall’art. 10 codice si veda G. Sciullo, Patrimonio e beni, in C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, G. Sciullo, Diritto del patrimonio culturale, Il Mulino, Bologna, 2020, pag. 37 ss.; G. Morbidelli, Art. 10, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, Giuffrè, Milano, 2019, pag. 133 ss.

[5] È il caso del decreto dell’Assessorato dei beni culturali della Regione Siciliana n. 2502 del 2020 con il quale si assoggetta a tutela la collezione di barche e attrezzi da pesca denominata “Collezione di barche e attrezzi da pesca della Tonnara di Scopello”; la collezione è composta da 11 barche e oltre 200 attrezzi da pesca.

[6] Il vincolo storico - relazionale riguarda “le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religione”.

[7] Sul museo della Marineria si veda D. Gnola, Guida al museo della marineria di Cesenatico, Minerva, Bologna, 2015.

[8] Ciò che rende unica la Sezione Galleggiante del Museo sono soprattutto le vele “al terzo” (su cui si veda subito oltre), tinte con colori vivaci e decorate con i simboli delle famiglie dei pescatori.

[9] Sulla lancia “Assunta” si veda subito oltre nel testo.

[10] D.m. 3 febbraio 1997 adottato sulla base della legge n. 1089 del 1939 all’epoca vigente.

[11] Anch’esso adottato sulla base della legge n. 1089 del 1939.

[12] La più importante è quella tra beni di proprietà privata e di proprietà pubblica; su questi si rinvia a N. Aicardi, I beni pubblici: individuazione, protezione e conservazione, circolazione giuridica, fruizione pubblica, in AA.VV., I beni pubblici tra titolarità e funzione, Cedam, Padova, 2018, pag. 95 ss.

[13] Com’è e noto, secondo l’art. 21, comma 4, è subordinata ad autorizzazione “l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali”. Tra i tanti critici del sistema attuale che prevede il rilascio della suddetta autorizzazione per ogni minimo intervento v. D. Gnola, Presentazione degli atti del Convegno del Convegno nazionale di Cesenatico, in NAVIS - Archeologia, Storia, Etnologia sociale, Libreria Universitaria, Padova, 2014.

[14] L’emblematica espressione è di D. Gnola, op. ult. cit.

[15] L’introduzione di una disciplina differenziata a seconda dei diversi interventi sui beni culturali è stata del resto già da tempo elaborata dalla dottrina: L. Casini, Oltre la mitologia giuridica dei beni culturali, in Aedon, 2012, 1-2; si tratta della teoria dei c.d. “cerchi concentrici” che si fonda proprio sull’esistenza di regimi giuridici differenziati dei beni culturali a seconda della finalità da perseguire e dei diversi interessi pubblici.

[16] Sulla “semplificazione” in materia di autorizzazione paesaggistica si vedano i numerosi scritti di P. Marzaro; tra questi, in particolare, L’autorizzazione paesaggistica semplificata nella disciplina del d.P.R. 9 luglio 2010, n. 139, in Riv. giur. urb., 2011, pag. 19 ss.

[17] Da G. Rosato, La proposta del Registro delle Imbarcazioni d’Epoca (RIE), in Lega Navale Italiana, n. 62, 2015, pag. 62 ss.

[18] Sulla difficoltà di realizzare un inventario delle barche storiche esistenti v. G. Panella, Creation of an inventory of the floating heritage, in World ship review, 2009, 57 e, dello stesso Autore, Un patrimonio da difendere, in Nautica, 2007, 542, pag. 176 ss.

[19] Quello dei beni culturali “immateriali” è, com’è noto, un tema estremamente complesso che non si intende trattare nel presente scritto. Per alcuni riferimenti di dottrina, oltre a quanto si avrà modo di vedere subito oltre, si rinvia a A. Gualdani, I beni culturali immateriali: ancora senza ali?, in Aedon, 2014, 1; A. Bartolini, D. Brunelli, G. Caforio (a cura di), I beni immateriali tra regole privatistiche e pubblicistiche, Jovene, Napoli, 2014.

[20] Sulle tendenze “espansive” in materia di beni culturali e relative problematiche vedi G. Severini, Art. 1-2, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pag. 27 ss.

[21] Nell’alto e medio Adriatico la vela al terzo fu usata su tutte le barche da lavoro a vela nel loro ultimo sviluppo, fino all’avvento della motorizzazione. Nel Museo della Marineria di Cesenatico le vele sono issate e ammainate sulle barche da Pasqua a settembre ogni giorno tranne il lunedì mentre vengono tenute disarmate negli altri mesi.

[22] Riguardante le “Espressioni di identità culturale collettiva”; “Le espressioni di identità culturale collettiva contemplate dalle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e per la protezione e la promozione delle diversità culturali, adottate a Parigi, rispettivamente, il 3 novembre 2003 ed il 20 ottobre 2005, sono assoggettabili alle disposizioni del presente codice qualora siano rappresentate da testimonianze materiali e sussistano i presupposti e le condizioni per l’applicabilità dell’articolo 10”.

[23] In particolare per un esame della sentenza si veda: I confini della tutela: i vincoli di destinazione d’uso, con commenti di M. Cammelli; G. Sciullo; G. Severini; F. Cortese; P. Marzano; A. Bartolini; C.P. Santacroce; G. Morbidelli e N. Aicardi, in Aedon, 2023, 1.

[24] G. Severini, Sul vincolo di destinazione per il bene culturale immobiliare: prime considerazioni su Cons. Stato, Ad. Plen., 13 febbraio 2023, n. 5, op. ult. cit.

[25] Alla luce di quanto detto, come osserva giustamente L. Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, il Mulino, Bologna, 2016, pag. 50, sembrerebbero dunque maturi i tempi per intraprendere una seria riflessione sul possibile ampliamento della nozione di patrimonio culturale, nella quale materialità e immaterialità convivano evitando, così, di esporre al rischio della distruzione, per assenza di adeguata protezione, delle forme di espressione e di manifestazione prodotte dalla civiltà dell’uomo. La riflessione è ripresa da A. Gualdani, I beni culturali. Una categoria in cerca di autonomia, in Aedon, 2019, 1.

[26] In questo senso G. Morbidelli, Il valore immateriale dei beni culturali, in Aedon, 2014, 1.

 

 

 



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