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Paesaggio e patrimonio culturale

Per una qualificazione giuridica dei borghi [*]

di Anna Pirri Valentini [**]

Sommario: 1. Tracciare dei confini. - 2. Alla ricerca dell’interesse culturale nei borghi. - 3. Delineare delle prerogative.

For a legal qualification of historic villages
This article aims to establish a framework for a legal classification of “historic villages”, grounded in the cultural heritage protection and enhancement functions. It begins by addressing the necessity of providing a normative definition of historic village, which reveals to be a crucial step for investigating the cultural value of these territories. Defining the dimensions and values of this cultural interest is not only essential for determining if (and why) these areas are worthy of special legislative protection, but also instrumental in outlining the tools, procedures, and actors involved in implementing the protection and enhancement functions. The article further analyses the material and immaterial cultural dimensions of historic villages, in addition to their possible protection as landscape assets.

Keywords: historic villages; landscape assets; material and immaterial cultural heritage.

 

Non smetteremmo di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta

T.S. Eliot

1. Tracciare dei confini

Trecento sette sono i comuni (sino al 2019, anno di ultima rilevazione) a essere ricompresi nell’associazione “I borghi più belli d’Italia” in virtù del loro particolare carattere storico, culturale o artistico [1]. Queste realtà territoriali sono caratterizzate ormai da tempo da un forte fenomeno di spopolamento: dal 1951 al 2019, nei trecento sette borghi presi in considerazione, i residenti sono diminuiti di 185.000 unità e a oggi, cumulativamente, contano più o meno il 2,5% dell’intera popolazione residente in Italia. Per quanto riguarda la nazionalità di chi abita questi territori, i dati Istat rilevano come il 93% sia costituito da italiani e il rimanente 7% da stranieri i quali, negli ultimi venti anni, hanno contribuito in maniera significativa alla “dinamica demografica dei borghi” [2].

Ma gli enti territoriali in questione non si caratterizzano soltanto per una scarsa densità abitativa, in quanto di rilievo risultano essere proprio quelle connotazioni storico-artistiche, culturali e paesaggistiche che permettono, in primis, di circoscriverne l’identità [3]. Sono queste specificità che contribuiscono all’attrattività dei borghi che, nel 2023, hanno raggiunto una quota di quasi 9 milioni di visitatori, contribuendo con oltre 5 miliardi al Pil italiano, oltre a garantire un’occupazione a 90 mila persone nei diversi settori dell’ospitalità, della ristorazione, del commercio e dei trasporti [4].

Ma quali sono gli aspetti che, guardando a questi primi dati, catturano l’attenzione del giurista? In che modo e sotto quali profili i “borghi” possono formare oggetto di analisi prendendo in considerazione i principi e le categorie del diritto amministrativo? Due, a prima vista, sono gli elementi che maggiormente sembrano accumunare i diversi borghi presenti nell’insieme del territorio nazionale e questi sono, rispettivamente, l’interesse culturale che assurge a elemento identitario di questi comuni da una parte, e il rischio di spopolamento che generalmente ne contraddistingue l’andamento demografico dall’altra [5]. Le sfide che si prospettano risiedono, quindi, nella capacità di prevedere un’adeguata tutela dei valori tipici dei borghi - così che possano mantenere integra la propria identità culturale - e nella possibilità di valorizzarne il territorio, anche per arginare l’abbandono da parte dei residenti.

Nel tentare di delineare una disciplina per i borghi che trovi i suoi riferimenti nelle funzioni di tutela e valorizzazione, questo scritto muove innanzitutto dalla necessità di fornire una definizione normativa di “borgo”, passaggio imprescindibile per indagare in cosa consista effettivamente il valore culturale di questi enti territoriali. Definire i contorni, le dimensioni e i valori di questo interesse culturale non è soltanto compito necessario per capire se (e perché) effettivamente tali territori siano meritevoli della protezione apportata da una legislazione speciale, ma è utile anche e soprattutto per definire attraverso quali strumenti, con quali procedimenti e grazie all’intervento di quali soggetti è possibile implementare le funzioni di tutela e valorizzazione dei borghi, in una dialettica tra attori diversi che dovrebbero collaborare tra loro in dinamiche di sussidiarietà sia verticale che orizzontale.

L’individuazione della materia (cosa si intenda per borgo e quali sono i tratti dell’interesse culturale che lo caratterizzano) risulta strettamente funzionale all’identificazione delle attribuzioni esercitate per tutelare l’esistenza di questi specifici enti territoriali nonché per valorizzarne gli elementi caratteristici. Si avrà modo di vedere meglio nel prosieguo come diverse sono a tal proposito le tipologie di intervento pubblico implementate dalle amministrazioni competenti, potendo queste comunque ricomprendersi nel novero più generale degli interventi in materia di beni culturali, di paesaggio e di governo del territorio [6]. Le analisi di queste ultime, infine, renderanno evidenti quelli che sono i fini perseguiti dall’amministrazione nel considerare i borghi come oggetto specifico di intervento pubblico. Una siffatta analisi, oltre a delineare le diverse linee di intervento introdotte dal legislatore nazionale, vuole contribuire a definire una disciplina dei borghi che provi a qualificarli giuridicamente.

Tracciare dei confini che aiutino a identificare la materia oggetto di questa indagine, ovverosia una definizione normativa di cosa possa e debba intendersi per ‘borgo’ presenta alcune difficoltà, che emergono già richiamando la molteplicità semantica con la quale ci si riferisce a questi luoghi. La varietà di fonti normative che dettano una disciplina a loro applicabile utilizzano, infatti, appellativi diversi: oltre a ‘borghi’ vengono utilizzano termini quali ‘nuclei storici’, ‘insediamenti storici’, ‘beni ambientali urbanistici’ [7].

Ai sensi della legge 6 ottobre 2017, n. 158 (c.d. legge “Piccoli comuni” o “Salva borghi”) recante “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni”, per piccoli comuni (o borghi) si intendevano “i comuni con popolazione residente fino a 5.000 abitanti nonché i comuni istituiti a seguito di fusione tra comuni aventi ciascuno popolazione fino a 5.000 abitanti” (art. 1, comma 2). A questo primo criterio seguono ulteriori connotazioni che aiutano a meglio identificare i comuni che, in virtù delle loro caratteristiche, avrebbero potuto beneficiare dei finanziamenti stanziati dalla legge. Questi, infatti, erano erogabili solamente qualora i comuni, individuati in primis attraverso il dato quantitativo prima descritto, rientrassero in una delle seguenti tipologie:

a) comuni collocati in aree interessate da fenomeni di dissesto idrogeologico;

b) comuni caratterizzati da marcata arretratezza economica;

c) comuni nei quali si è verificato un significativo decremento della popolazione residente (...);

d) comuni caratterizzati da condizioni di disagio insediativo, sulla base di specifici parametri definiti in base all'indice di vecchiaia, alla percentuale di occupati rispetto alla popolazione residente e all'indice di ruralità;

e) comuni caratterizzati da inadeguatezza dei servizi sociali essenziali;

f) comuni ubicati in aree contrassegnate da difficoltà di comunicazione e dalla lontananza dai grandi centri urbani;

g) comuni la cui popolazione residente presenta una densità non superiore ad 80 abitanti per chilometro quadrato.

...

Nel 2022, a garanzia dell’attrattività e della rigenerazione dei borghi è stata destinata una quota di investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) pari a 1,02 miliardi rientranti nella missione “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo”, componente “Turismo e Cultura 4.0” [8]. All’interno delle linee di indirizzo sulle modalità attuative dell’intervento 2.1 “Attrattività dei borghi” si legge che “ai fini della presente azione per ‘borghi' si intendono i piccoli insediamenti storici che hanno mantenuto la riconoscibilità della loro struttura insediativa storica e la continuità dei tessuti edilizi storici; nel caso di piccoli e piccolissimi comuni possono coincidere con il centro urbano del territorio comunale mentre in tutti gli altri casi sono da intendersi come nuclei storici prevalentemente isolati e/o separati rispetto al centro urbano e pertanto non coincidenti con il centro storico o porzioni di esso. Ai fini della selezione del borgo va fatto riferimento al numero delle unità immobiliari residenziali dello stesso (di norma non superiore alle 300 unità)”. Si può notare come a delle caratteristiche oggettive, facenti riferimento al numero di unità immobiliari residenziali presenti, si affianchino anche in questo caso delle qualità che possiamo definire soggettive, riferite a dei valori culturali coincidenti, soprattutto, con un interesse di tipo storico.

Lo stesso accostamento tra un parametro soggettivo e uno oggettivo si riscontra anche nella direttiva del 2 dicembre 2016 del ministro dei Beni delle Attività culturali e del Turismo con la quale si indiceva per il 2017 l’anno dei borghi italiani. Ai sensi di questa direttiva sono considerati “borghi” quei comuni italiani con al massimo 5.000 abitanti, caratterizzati da un prezioso patrimonio culturale (...) che rappresentano autenticità, unicità e bellezza come elementi distintivi. Al numero degli abitanti (parametro oggettivo), si associa il carattere soggettivo desunto, in questo caso, dal pregio del patrimonio culturale.

Mentre il dato quantitativo presente in entrambi i riferimenti da ultimo menzionati non pone particolari difficoltà né interpretative né ai fini dell’individuazione dei comuni interessati, il dato qualitativo evocato richiede una maggiore attenzione. La domanda che sorge in questo caso attiene, infatti, alla possibilità di identificare in cosa consista l’interesse storico o il prezioso patrimonio culturale richiamato dalla normativa. In linea generale si può menzionare sin da subito come il patrimonio culturale che caratterizza i borghi sia vario e differenziato, in quanto costituito - in percentuale variabile - da beni culturali materiali, da espressioni di identità culturale e collettiva (elementi del patrimonio culturale immateriale) e da beni paesaggistici.

2. Alla ricerca dell’interesse culturale nei borghi

Rispetto alla prima delle categorie menzionate, quella dei beni culturali materiali, è possibile riscontrare come l’interesse culturale di un borgo possa essere motivato dalla presenza, al suo interno, di beni immobili ai quali sia stato riconosciuto un interesse storico-artistico semplice o qualificato - a seconda del loro regime proprietario [9]. Lo stesso interesse culturale potrebbe essere riscontrato anche nel borgo nel suo complesso o in parte se si pensa che, tra i c.d. beni culturali “tipizzati” l’art. 10, comma 4, lettera g) del d.lg. n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, di seguito, anche, “Codice”) identifica le “pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico”. Ai sensi dell’art. 10 del Codice, quindi, un borgo, in quanto insieme di “pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani” aventi un interesse artistico o storico potrebbe essere sottoposto a vincolo culturale. In quanto trattasi di un bene di appartenenza pubblica, la qualità di bene culturale in questo caso è disposta ex lege, a meno che - attraverso il procedimento di verifica così come disciplinato all’art. 12 del Codice - la verifica dell’interesse culturale da parte dell’amministrazione competente non dia esito negativo.

Ma, per quanto riguarda la disciplina codicistica, un riferimento ancora più diretto al concetto di borgo può essere ricavato dall’art. 136, rubricato “Immobili ed aree di notevole interesse pubblico”, il cui comma 1 lettera c) annovera “i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, (inclusi i centri ed i nuclei storici)”. Tale disposizione riprende quasi fedelmente la lettera del Testo unico del 1999 [10] e, prima ancora, l’art. 1 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 sulla “Protezione delle bellezze naturali” [11]. Rispetto a questi due testi normativi, modifiche rilevanti per il tema di questa trattazione sono avvenute a opera del decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63 [12] il quale alla lettera c) del primo comma, alla fine dell’articolo ha sostituito la dicitura “ivi comprese le zone di interesse archeologico” con la formula “inclusi i centri ed i nuclei storici”, introducendo quindi la locuzione “nucleo storico” che, come accennato in apertura, costituisce una delle alternative lessicali al termine “borgo”.

Gli immobili e le aree individuati dall’art. 136, tra cui i nuclei storici che “compongano un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale”, non sono considerati beni paesaggistici per legge [13], bensì sono sottoposti al vincolo paesaggistico solo in seguito a una dichiarazione di notevole interesse pubblico, rilasciata da apposite commissioni regionali [14]. Una volta individuati, le aree e gli immobili di notevole interesse pubblico sono sottoposte a tutela nell'ambito dei beni paesaggistici previsti agi artt. 143 e 156 del Codice.

Una delle prime differenze che si possono già riscontrare tra l’eventualità di riconoscere i borghi quali beni sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistica attiene quindi all’operatività del vincolo. Il primo, come evidenziato, è riconosciuto ex lege per quegli spazi aperti urbani di proprietà pubblica che presentino interesse storico o artistico, a meno che non intervenga una verifica con esito negativo. Il vincolo paesaggistico, invece, può essere apposto a quei nuclei storici che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, soltanto se in questi vi si riscontri (con una valutazione da effettuarsi caso per caso) un notevole interesse pubblico in seguito a una specifica dichiarazione.

Ma la dichiarazione del notevole interesse pubblico non è l’unico elemento che rileva ai fini della possibilità di sottoporre a tutela paesaggistica i nuclei storici, rilevante è anche l’altra qualifica richiesta dall’art. 136, comma 1, lettera c) del Codice, ovverosia la necessità che questi rivestano un “caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale”. A tal proposito, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (sezione di Roma), in una pronuncia dell’11 novembre 2023 in cui è intervenuto su ricorso presentato dall’Associazione di Promozione Sociale “Verdi, Ambiente e Società” con cui si lamentava la mancata autorizzazione paesaggistica della Soprintendenza per alcuni interventi su immobili ubicati nel centro storico di Roma [15], fornisce dei primi elementi utili per interpretare la qualifica di “caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale”. Nella sentenza, infatti, viene precisato come:

“la locuzione inclusi i centri ed i nuclei storici è stata introdotta ad opera del d.lg. n. 63 del 2008, con cui il legislatore ha recepito la prassi di porre il vincolo di tutela su interi centri storici, quali ‘complessi monumentali che vengono tutelati in quanto in essi si fondono mirabilmente l’espressione della natura e quella del lavoro umano, frutto della creatività artistica’, basata su un’ipotesi peculiare ‘che ha fatto parlare di beni ambientali urbanistici come categoria a sé stante”.

Siffatta interpretazione del valore estetico e tradizionale dei nuclei storici come una sintesi “dell’espressione della natura e del lavoro umano” era stata avanzata qualche anno prima già dal Consiglio di Stato il quale, con la pronuncia n. 3733 del 21 giugno 2006, ha evidenziato proprio come le aree individuate dall’art. 136 del Codice (tra cui i borghi [16]), rispecchiando in modo mirabile tanto le espressioni della natura quanto la creatività artistica attraverso il lavoro umano, riescano a superare “la dicotomia - al limite dell’incomunicabilità fra le diverse sfere di tutela - fra valori culturali e valori paesaggistici” [17]. Ciò che si cerca, quindi, affinché un’area possa essere sottoposta a vincolo ex art. 136, comma 1, lettera c) è la “spontanea concordanza e fusione tra l’espressione della natura e quella del valore umano” che, se da un punto di vista sostanziale risulta essere “evocativa in modo addirittura palpabile” può essere riconosciuta anche al di là del dato nominalistico espresso in sede motivazionale [18].

Se il “caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale” è stato inteso nel modo di cui sopra, e quindi come un superamento della dicotomia delle qualità attinenti tradizionalmente ai beni paesaggistici e a quelli storico-artistici di origine antropica, rileva sottolineare come queste due caratteristiche debbano essere intese in senso, necessariamente, cumulativo e contestuale. Il Tar Lazio, in una pronuncia del 27 gennaio 2021 [19] sul ricorso proposto dall’Università degli Studi della Tuscia che lamentava come alcune attività istituzionali, didattiche e di ricerca sarebbero ostacolate, se non addirittura precluse, dall’assoggettata a vincolo di tutela come bene paesaggistico ex art. 136, comma 1, lett. c) di alcune aree di sua proprietà, tra cui l’Orto Botanico, ha avuto modo di specificare come:

“il solo valore identitario non è di per sé sufficiente per assoggettare un immobile o un'area al vincolo di tutela previsto dall’art. 136, essendo a tal fine richiesto anche, come requisito cumulativo, che si aggiunge al requisito proprio, quello del valore intrinseco dell’oggetto, del sito da tutelare, come ‘luogo dell’anima’ o come ‘bellezza naturale’ (nelle diverse declinazioni del ‘borgo pittoresco’, del sublime delle vette delle montagne o dell’orrido, della ‘curiosità’ di una bizzarria della natura etc.), che costituisce una condizione indefettibile. E ciò vale persino per quei beni paesaggistici ‘identitari’ per eccellenza, quali i centri storici ‘dal caratteristico aspetto’, per i quali la dottrina ha chiarito che l’endiadi ‘valore estetico e tradizionale’ va intesa nel senso del doppio requisito, dovendo il giudizio sul notevole interesse paesaggistico soddisfare non solo il criterio ‘tradizionale’, ma anche quello ‘estetico’, trattandosi di requisiti cumulativamente richiesti” [20].

L’interesse culturale nei borghi non si esaurisce comunque e solamente nella possibilità di individuare delle caratteristiche (oggettive e soggettive) riferibili ai beni di interesse storico-artistico o paesaggistico rilevando, come accennato in precedenza, anche la dimensione immateriale del patrimonio culturale. Richiamando la definizione di “borgo” ai fini dell’inclusione nelle linee di intervento del Piano Nazionale Borghi, e quindi nei finanziamenti del Pnrr, troviamo che, tra le principali finalità espresse, vi è il recupero del patrimonio culturale materiale e immateriale per la salvaguardia dell’identità dei luoghi. Nel prendere in considerazione anche la componente immateriale del patrimonio culturale, oltre che quella materiale, l’interrogativo da porsi è quindi se, e come, i borghi o loro parti costitutive, possano o meno essere tutelati anche in quanto espressioni di identità culturale e collettiva.

Ai sensi dell’art. 7-bis del Codice [21] “le espressioni di identità culturale collettiva contemplate dalle Convenzioni Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e per la protezione e la promozione delle diversità culturali, adottate a Parigi, rispettivamente, il 3 novembre 2003 ed il 20 ottobre 2005, sono assoggettabili alle disposizioni del presente codice qualora siano rappresentate da testimonianze materiali e sussistano i presupposti e le condizioni per l’applicabilità dell'articolo 10” [22]. La possibilità che questa norma venga utilizzata per vincolare la prosecuzione di specifiche attività tradizionali (siano esse di natura più o meno commerciale) in connessione con alcuni luoghi o edifici ove queste si svolgono, unitamente alla profonda connessione con i beni culturali materiali (testimonianze materiali per le quali siano riscontrabili i presupposti e le condizioni per l’applicabilità dell’art. 10 del Codice) che troviamo nell’accezione normativa italiana in tema di patrimonio culturale immateriale, aiuta a percepire le possibili connessioni tra le espressioni di identità culturale collettiva e la tutela dei borghi.

Sul punto la giurisprudenza amministrativa, nel dirimere il rinomato caso del ristorante “Il Vero Alfredo” [23], ha fornito alcune utili interpretazioni tra cui, innanzitutto, il riconoscimento del fatto che “un vincolo di destinazione d’uso (applicato ai sensi degli artt. 10, comma 3, lett. d) e 7-bis del Codice) che sia funzionale alla conservazione della integrità materiale di una cosa non debba sostanziarsi nell'obbligo di esercizio o prosecuzione dell'attività né nell'attribuzione di una ‘riserva di attività’ in favore di un determinato gestore ma vale, piuttosto, a precludere, in negativo, ogni uso incompatibile con la conservazione materiale della res (intesa nel suo complesso, come locali e arredi) nonché ad imporre, specularmente, in positivo, la continuità del suo uso attuale, cui la cosa è stata storicamente adibita” [24]. Qualora, inoltre, l’amministrazione competente decida di emanare un vincolo di destinazione d’uso su un bene culturale in virtù del riconoscimento dell’espressione di una identità cultural collettiva, dovrà emettere - affinché il vincolo sia ritenuto legittimo - un onere di motivazione rafforzato da cui emerga il rispetto del principio di proporzionalità.

Alla luce di questa lettura interpretativa, dunque, il carattere tradizionale e culturale dei borghi potrebbe essere riconosciuto e tutelato anche in virtù delle componenti immateriali che li contraddistinguono. Attività commerciali storiche, manifestazioni folkloristiche locali e altre forme di espressioni di identità culturale collettiva, se e qualora effettivamente in connessione con un bene culturale materiale, potrebbero essere cristallizzate con l’apposizione di un vincolo che imponga la prosecuzione dell’uso per cui una determinata cosa (un luogo specifico, un esercizio commerciale, etc.) è stata storicamente adibita. La capacità di alcune aree o immobili destinati a un certo uso di fare da ponte tra passato e presente, nonché di farsi custodi dell’insieme di “prassi, rappresentazioni, espressioni, conoscenze, know-how - come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi” [25] e la possibilità che questi stessi elementi sopravvivano nel tempo attraverso immutate prassi di attività può contribuire a determinare l’interesse culturale nei (e dei) borghi, garantendone contemporaneamente la loro tutela e valorizzazione.

3. Delineare delle prerogative

La definizione della materia così come identificata nei paragrafi precedenti rappresenta un primo elemento per giungere a una qualificazione giuridica dei borghi, ma rilevante risulta essere anche l’individuazione delle attribuzioni che, una volta definito l’oggetto, possono su questo esplicarsi.

Alla luce delle definizioni sopra riportate, si può comprendere come i borghi rientrino effettivamente nel novero sia dei beni culturali sottoposti a vincolo storico-artistico, sia dei beni culturali individuati attraverso un vincolo paesaggistico. In quest’ultimo caso la disciplina di tutela non viene accordata in modo automatico bensì, in virtù del riconoscimento di un valore anche estetico, percettivo e storico alle categorie individuate dall’art. 136 del Codice, soltanto in seguito a una dichiarazione che riconosca in queste aree e territori un interesse pubblico particolarmente importante. La procedura prevista per la loro individuazione prevede, quindi, il coinvolgimento attivo delle regioni le quali, ai sensi dell’art. 137 d.lg. n. 42/2004, istituiscono a tal fine delle apposite commissioni con il compito di formulare delle proposte. L’attività di tali commissioni è disciplinata all’art. 138 del Codice, il quale specifica come questa sia attivabile “su iniziativa dei componenti di parte ministeriale o regionale, ovvero su iniziativa di altri enti pubblici territoriali interessati”.

La valutazione del notevole interesse pubblico viene effettuata di concerto con le soprintendenze e previa consulta dei comuni interessati, mentre la dichiarazione finale viene adottata dalla regione. È importante sottolineare il fatto che la proposta così formulata non ha un carattere meramente descrittivo, non limitandosi quindi solo a tener conto dei “valori storici, culturali, naturali, morfologici, estetici espressi dagli aspetti e caratteri peculiari degli immobili o delle aree considerati ed alla loro valenza identitaria in rapporto al territorio in cui ricadono”, bensì contiene anche delle proposte volte a indicare delle prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione dei valori individuati.

La necessità che la dichiarazione con la quale i nuclei (così come i centri) storici vengono riconosciuti - in quanto complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale - nel novero dei beni paesaggistici abbia la funzione di prescrivere il mantenimento di questi valori, è ascrivibile proprio all’inserimento della categoria individuata alla lettera c) del comma 1 art. 136 all’interno della disciplina di tutela. Così come ricostruito in dottrina, il “passaggio” dei nuclei e dei centri storici da una disciplina di stampo urbanistico a quella codicistica - in seguito alle modifiche adottate con l’approvazione del d.lg. n. 63/2008 che, tra le altre cose, modifica l’art. 135 in tema di pianificazione paesaggistica introducendo l'espressa previsione per cui “Per ciascun ambito i piani paesaggistici definiscono apposite prescrizioni e previsioni ordinate in particolare: (...) d) alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati (...)” - se da una parte aiuta a mettere in risalto gli aspetti storico culturali di questi territori, dall’altro non permette pienamente di tenere in considerazione e valorizzare la molteplicità degli interessi e degli attori coinvolti [26].

Viene in evidenza, quindi, come le prerogative pubbliche nei confronti dei borghi - qualora ricadano nella categoria dei beni culturali, sia questo per l’apposizione di un vincolo storico-artistico, paesaggistico o per il riconoscimento dell’esistenza di espressioni di identità culturale collettiva - siano prevalentemente di tipo vincolistico e impositivo. Prescindendo dal tipo di interesse culturale riscontrato, una siffatta disciplina dei borghi passa per l’affermazione di un valore costituzionalmente protetto, da considerarsi primario rispetto all’insorgere di e alla contemperazione con altre tipologie di interessi pubblici generali o differenziati, o privati [27].

Volendo andare a richiamare, quindi, quelle che sono le finalità individuate all’interno del Piano Nazionale Borghi, per comprendere se possano dirsi in linea con la disciplina di tutela così come prevista dal Codice per queste zone, è possibile individuare due azioni principali: i) il recupero del patrimonio culturale materiale e immateriale, salvaguardando l’identità dei luoghi e il valore dei paesaggi storici; e ii) un sostegno finanziario per le attività commerciali e culturali che valorizzano i prodotti, i saperi e le tecniche del territorio. Questi obiettivi se da un lato sono predisposti in virtù del riconoscimento dell’interesse culturale presente nei borghi (nelle diverse accezioni analizzate) e quindi alla preservazione dello stesso, dall’altro intendono sostenere e garantire strategie e azioni di valorizzazione di questi territori, che siano volte a sostenerne (anche) lo sviluppo economico e sociale.

Una chiara qualificazione giuridica di questi territori così peculiari e strategici risulta quindi fondamentale per comprendere quali sono le caratteristiche soggettive ed oggettive che ne permettono l’individuazione - in primis - e la regolamentazione poi. Una consapevole definizione degli ambiti di intervento non può prescindere, infatti, dall’individuazione della materia che risulta fondamentale per comprendere quali sono - ai diversi livelli - sia le prerogative pubbliche sia quelle private.

La disamina della dimensione culturale dei borghi, e delle sue ricadute in termini procedurali, potrebbe quindi rappresentare una modalità esplorativa di questa materia, con l’auspicio che “alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza, per conoscerlo per la prima volta”.

 

Note

[*] Questo scritto è frutto della rielaborazione dell’intervento tenuto in occasione del convegno I borghi storici: tutela e valorizzazione. Politiche, strategie e azioni organizzato dal Dipartimento di Culture del Progetto dell’Università IUAV di Venezia il 6 e 7 maggio 2024.

[**] Anna Pirri Valentini, Ricercatrice RTD-A in Diritto amministrativo presso l’IMT Scuola Alti Studi Lucca, Piazza San Francesco 19, 55100 Lucca, anna.pirri@imtlucca.it.

[1] Si vedano i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) sui Borghi più belli d’Italia, aventi a riferimento l’anno 2019, pubblicati il 15 dicembre 2020, disponibili online al sito: https://www.istat.it/infografiche/censimento-permanente-della-popolazione-e-delle-abitazioni-borghi-piu-belli-ditalia/.

[2] Ibidem.

[3] Per una disamina in chiave non giuridica dei diversi aspetti qualificanti i borghi si rimanda a Contro i borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi, (a cura di) F. Barbera, D. Cersosimo e A. De Rossi, Donzelli Editore, Roma, 2022.

[4] Dati contenuti nel Report L’impatto economico e occupazionale del turismo e la digitalizzazione nei Borghi più belli d’Italia realizzato da Deloitt, 16 aprile 2024.

Per un’analisi sulle interazioni tra patrimonio culturale, turismo e sviluppo territoriale per quanto riguarda i borghi si veda E. Guarnieri, Ripresa e resilienza tra le vie dei borghi storici, in Aedon, 2022, 3, pag. 129 ss.; A. Sau, La rivitalizzazione dei borghi e dei centri storici minori come strumento per il rilancio delle aree interne, in federalismi.it, 2018, 3.

[5] Questi i due tratti distintivi individuati anche da P. Bevilacqua, Collocare i borghi nel loro territorio, in Econ. cult., 2022, 1, pagg. 49-53.

[6] Cfr. M.S. Giannini, L’intervento pubblico nei centri storici (Atti del convegno Gescal, Venezia, 11-12 maggio 1973), (a cura di) P.P. Balbo e F. Zagari, Il Mulino, Bologna, 1974, pagg. 135-141, ora in M.S. Giannini, Scritti, VI, Giuffrè, Milano, 2005, pag. 653 ss.; Id. Gli strumenti giuridici per i centri storici; Congresso ANCSA, Edilizia popolare, Roma, 1976, pagg. 55-59, ora in M.S. Giannini, Scritti, cit., pag. 1109 ss.

[7] Per un primo inquadramento circa le caratteristiche materiali e immateriali che connotano questi luoghi si rimanda a S. Amorosino, La valenza materiale ed immateriale dei paesaggi urbani di rilievo storico, in Urb. app., 2023, 1, pagg. 27-31.

[8] Sul c.d. Piano Borghi si rimanda alle analisi di B.G. di Mauro, Il diritto dei borghi nel PNRR: verso una (stagione di) rigenerazione urbanisticamente orientata alla conservazione e allo sviluppo dei valori locali, in Urb. app., 2022, 4, pag. 458 ss.; G. Menegus, Bando Borghi e autonomie territoriali, in Le Regioni, 2022, 5, pag. 931 ss.; M.C. Manca, PNRR - Turismo e cultura 4.0 - Investimenti nell’attrattività dei borghi. Analisi dell’avviso pubblico per la partecipazione dei piccoli enti entro il 15 marzo 2022, in Fin. trib. loc., 2022, 1, pag. 43 ss.; P. De Rosa, Fondi PNRR [Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza] e “diritto dei borghi”: analisi delle politiche di rigenerazione dei territori tra interventi legislativi e pratiche locali, in Dir. proc. amm., 2023, 1, pag. 255 ss.

[9] Potrebbe trattarsi di beni immobili appartenenti a privati e sottoposti a vincolo in seguito a dichiarazione dell’interesse culturale ex art. 13 del Codice così come di beni culturali ex lege (fino a quando non sia stata effettuata la verifica dell’interesse culturale ex art. 12) se di appartenenza a ente pubblico o a persone giuridiche private senza scopo di lucro.

[10] D.lg. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali.

[11] Per una lettura sul carattere culturale e identitario di questa categoria di beni paesaggistici, si segnala: P. Carpentieri, Valore culturale dei centri storici “vs.” concorrenza e mercato, in Riv. giur. ed., 2019, 2, pagg. 425-444; F.G. Albisinni, L’identità storico-culturale dei centri storici come eccezione culturale al principio di concorrenza, in Giorn. dir. amm., 2019, 3, pagg. 387-396.

[12] D.lg. 26 marzo 2008, n. 63 recante “Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio”.

[13] Ai beni paesaggistici regolati dall’art. 136 del Codice è stato attribuito un valore estetico, percettivo, storico e culturale, in contrasto con i cosiddetti beni paesaggistici diffusi, che sono tutelati per legge per la loro appartenenza alle categorie elencate nell’art. 142 del Codice.

[14] La costituzione e le modalità operative delle Commissioni regionali sono disciplinate agli artt. 137 e 138 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

[15] Trattasi della pronuncia del Tar Lazio, Roma, sez. II, del 30 novembre 2023, n. 17967.

[16] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 giugno 2006, n. 3733: “(...) la prassi già da tempo ammette che si possano, mediante la norma di cui all’art. 139 d.lg. n. 490/1999 [ripresa nel Codice dall’art. 136] porre vincoli su antichi castelli, villaggi, borghi, agglomerati urbani e zone di interesse archeologico e persino su interi centri storici”.

[17] Ibidem.

[18] Nel caso di specie, riporta la pronuncia 3733/2006 del Consiglio di Stato, si trattava di un’area di cava ricca di riferimenti agli aspetti naturalistici (essendo una zona ricca di “biotoni” e “dotazione floristica e faunistica”), alle caratteristiche morfologiche, ai percorsi tortuosi dell’antica viabilità individuata nella cartografia storica, agli effetti dell’attività di scavo, alle macchie arboree ed agli alberi isolati.

[19] Tar Lazio, Roma, sez. II-quater, 27 gennaio 2021, n. 1080.

[20] Ibidem.

[21] L’art. 7-bis è stato introdotto dal d.lg. 26 marzo 2008, n. 62 contenente “Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali”.

[22] Per un’analisi sull’interpretazione e applicabilità dell’art 7-bis si rimanda a G. Vesperini, Beni culturali e “vite maritata”, in Giorn. dir. amm., 2022, 3, pag. 384 ss.; A. Ferretti, La tutela del patrimonio culturale immateriale. Spunti di riflessione in merito ad un’attività istituzionale del “MiBAC”, in Dir. proc. amm., 2012, 1, pagg. 377-391.

[23] La controversia è sorta quando, durante una procedura di rilascio per fine locazione avviata dal proprietario dell’immobile in cui era situato il ristorante Il Vero Alfredo, il ministero della Cultura ha dichiarato il bene di interesse particolarmente importante ai sensi dell’art. 10, comma 3, lettera d) e in considerazione dei principi enunciati dall’art. 7-bis del Codice, al fine di “garantire la conservazione, oltre che degli aspetti architettonici e decorativi, anche della continuità d’uso esplicata negli aspetti legati alla tradizione culturale di convivialità del locale”. La società proprietaria dell’immobile ha impugnato il provvedimento di vincolo, sostenendo che la dichiarazione d’interesse culturale era stata utilizzata impropriamente dall’Amministrazione per imporre un vincolo di destinazione d’uso. In primo grado, il Tar Lazio, Roma, sez. II-quater, con sentenza del 19 maggio 2021, n. 5864, ha accolto il ricorso, rilevando che il Codice dei beni culturali e del paesaggio consente di vincolare soltanto l’immobile e non l’attività che vi si svolge. In sede di appello, il Consiglio di Stato, sez. VI, con ordinanza del 28 giugno 2022, n. 5357, ha deferito all’Adunanza Plenaria le seguenti questioni: “1) se, in presenza di beni culturali per ‘riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere’ ex art. 10, comma 3, lett. d), d.lg. n. 42/2004, il potere ministeriale di tutela ex artt. 18, comma 1, 20, comma 1, 21, comma 4, e 29, comma 2, d.lg. n. 42/2004, possa estrinsecarsi nell’imposizione di un vincolo di destinazione d’uso del bene culturale, funzionale alla conservazione della integrità materiale della cosa o dei suoi caratteri storici o artistici; in caso affermativo, se ciò possa avvenire soltanto qualora la res abbia subito una particolare trasformazione con una sua specifica destinazione e un suo stretto collegamento per un’iniziativa storico-culturale di rilevante importanza ovvero ogniqualvolta le circostanze del caso concreto, secondo la valutazione (tecnico) discrezionale del Ministero, adeguatamente motivata nel provvedimento di dichiarazione dell’interesse culturale sulla base di un’approfondita istruttoria, giustifichino l’imposizione di un siffatto vincolo di tutela al fine di prevenire situazioni di rischio per la conservazione dell’integrità materiale del bene culturale o del valore immateriale nello stesso incorporato; 2) se, in presenza di beni culturali ex art. 10, comma 3, lett. d), d.lg. n. 42/2004 che rappresentino (altresì) una testimonianza di espressioni di identità culturale collettiva ex art. 7-bis d.lg. n. 42/2004, il potere ministeriale di tutela possa estrinsecarsi nell’imposizione di un vincolo di destinazione d’uso della res a garanzia non solo della sua conservazione, ma pure della continua ricreazione, condivisione e trasmissione della manifestazione culturale immateriale di cui la cosa costituisce testimonianza”. Ad esito dell’udienza pubblica del 14 dicembre 2022, con sentenza n. 5 del 13 febbraio 2023, l’Adunanza plenaria ha enunciato i seguenti principi di diritto: 1) “ai sensi degli articoli 7-bis, 10, comma 3, lettera d), 18, comma 1, 20, comma 1, 21, comma 4, e 29, comma 2, del Codice n. 42 del 2004, il ‘vincolo di destinazione d’uso del bene culturale’ può essere imposto quando il provvedimento risulti funzionale alla conservazione della integrità materiale della cosa o dei suoi caratteri storici o artistici, sulla base di una adeguata motivazione da cui risulti l’esigenza di prevenire situazioni di rischio per la conservazione dell’integrità materiale del bene culturale o del valore immateriale nello stesso incorporato”; 2) “ai sensi degli articoli 7-bis, 10, comma 3, lettera d), 18, comma 1, 20, comma 1, 21, comma 4, e 29, comma 2, del Codice n. 42 del 2004, il ‘vincolo di destinazione d’uso del bene culturale’ può essere imposto a tutela di beni che sono espressione di identità culturale collettiva, non solo per disporne la conservazione sotto il profilo materiale, ma anche per consentire che perduri nel tempo la condivisione e la trasmissione della manifestazione culturale immateriale, di cui la cosa contribuisce a costituirne la testimonianza”.

Per approfondire la vicenda si rimanda alle analisi contenute nel numero 1 del 2023 di questa rivista: M. Cammelli, Adunanza plenaria CdS 5/2023: chiusura del cerchio o apertura possibile?, pag. 20 ss.; G. Sciullo, Sull’utilizzo del vincolo culturale di destinazione d’uso, pag. 24 ss.; G. Severini, Sul vincolo di destinazione per il bene culturale immobiliare: prime considerazioni su Cons. Stato, Ad. Plen., 13 febbraio 2023, n. 5, pag. 28 ss.; F. Cortese, Il movimento del diritto. Sull’Adunanza Plenaria n. 5/2023 del Consiglio di Stato, pag. 34 ss.; P. Marzaro, Vincolo culturale di destinazione d’uso: il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni della p.a. e il rischio dell’“effetto paradosso”, pag. 41 ss.; A. Bartolini, Colpa d’Alfredo, pag. 45 ss.; C.P. Santacroce, L’Ad. Plen. n. 5/2023 e le “ulteriori restrizioni alla proprietà privata”, pag. 49 ss.; N. Aicardi, Vincoli sui locali storici e prescrizioni d’uso: superamento di un (inesistente) contrasto giurisprudenziale e riconferma di principi pacifici anche (innovativamente) alla luce dell’art. 7-bis del Codice dei beni culturali e del paesaggio nella sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 5/2023, pag. 58 ss.; G. Morbidelli, Della progressiva estensione della componente immateriale nei beni culturali e dei suoi limiti, pag. 53 ss. Si veda anche A. Mussatti, Il vincolo storico-artistico di destinazione d’uso: inammissibilità dello strumento, inadeguatezza della disciplina, in Giorn. dir. amm., 2022, 3, pagg. 404-413.

[24] Si veda Consiglio di Stato, sez. VI, 10 luglio 2023, n. 6752.

[25] Così come previsto dalla Convenzione Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, sottoscritta a Parigi il 17 ottobre 2003 ed entrata in vigore il 20 aprile 2006, ratificata dall’Italia con legge n. 167 del 27 settembre 2007.

[26] Cfr. A. Sau, La rivitalizzazione dei centri storici tra disciplina del paesaggio, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, in Le Regioni, 2016, 5/6, sp. pag. 957: “l’inserimento dei centri storici tra i ‘beni paesaggistici’, pur riassegnando loro una ‘specificità’, quella storico-culturale, che si era inevitabilmente annacquata nella legislazione urbanistica, non rende conto fino in fondo della ‘vera natura’ dei centri storici, crocevia di interessi sia pubblici, alcuni sicuramente generali (governo del territorio, sviluppo economico) altri differenziati (interesse culturale, paesaggistico, ambientale), che privati, con il conseguente rischio di adombrarne il ‘vero problema’ che è poi quello della selezione e della ragionevole e proporzionata ponderazione di tali interessi, in vista di una mise en valeur dell’esistente e non di una mera antologizzazione ‘del bello’ (dal punto di vista paesaggistico) e ‘del vecchio’ (dal punto di vista storico-culturale) in quanto tali”.

[27] La giurisprudenza amministrativa e costituzionale concorda in modo prevalente su questo aspetto. Si vedano, a proposito, le pronunce del Consiglio di Stato, sez. IV, 23 novembre 2004, n. 7667 e sez. VI, 21 giugno 2006, n. 3733 ove si legge che “l’imposizione del vincolo paesaggistico non richiede una ponderazione degli interessi privati unitamente e in concorrenza con gli interessi pubblici connessi con la tutela paesaggistica, sia perché la dichiarazione di particolare interesse sotto il profilo paesistico non è un vincolo a carattere espropriativo, costituendo i beni aventi valore paesistico una categoria originariamente di interesse pubblico, sia perché comunque la disciplina costituzionale del paesaggio erige il valore estetico-culturale a valore primario dell’ordinamento”. Si rimanda anche alla sentenza della Corte costituzionale del 20 aprile 2006, n. 182.

 

 

 



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