Sommario: 1. Il Testo Unico come policy: premesse e opzioni. - 2. Il Testo Unico come fonte: l'atto normativo e il suo regime. - 3. Il Testo Unico come contenuti. - 4. Per concludere.
1. Il Testo Unico come policy: premesse e opzioni
Il Testo Unico in quanto tale costituisce lo strumento con cui procedere alla sistemazione organica della normativa riguardante un'intera materia, a beneficio dei diretti destinatari (privati e pubblici), degli operatori (giuridici e della p.a.) e dello stesso legislatore, che mira in tal modo a recuperare la quota di decisioni cedute all'interprete (in sede giurisdizionale o amministrativa che sia), tanto maggiore quanto più è frammentata la materia.
Si tratta, inoltre, di un intervento che si inscrive nel segno della terza delle grandi direttrici tracciate dalle riforme amministrative della fine degli anni '90 (decentramento, apertura ai privati e riduzione della "taglia" degli apparati, semplificazione organizzativa, normativa e procedimentale). È dunque innegabile l'importanza dell'obbiettivo perseguito e la proprietà dello strumento utilizzato.
Tra l'altro, l'urgenza di un intervento del genere nell'ambito dei beni culturali e ambientali era accentuata dalle difficoltà di ogni genere dovute al doppio effetto di rapide e profonde trasformazioni nelle concezioni e nelle politiche del settore a cui faceva riscontro una situazione normativa complessa e frammentata: basti pensare che la disciplina fondamentale sulla tutela delle cose di interesse artistico e storico (l. 1089/1939), pur ormai seguita da numerose disposizioni particolari, era fino ad oggi rimasta priva del (previsto) regolamento di attuazione, imponendo così il ricorso alle norme regolamentari del 1913, adottate in attuazione della precedente legge del 1909 [Alibrandi-Ferri].
Ma, nel caso specifico, l'operazione era pesantemente condizionata non tanto dalla delega, sostanzialmente apertissima [1] come vedremo tra breve e comunque definita dallo stesso governo durante i lavori della VII commissione della Camera dei deputati, ma dalle dinamiche in atto (e tuttora non esaurite) su tre versanti decisivi, tutti profondamente incisi dalla l. 15 marzo 1997, n. 59 che precede di 6 mesi la delega:
l'esito del decentramento
e della ripartizione di funzioni con regioni ed enti locali, vale a dire
l'attuazione del d.lg. 112/1998 che, come si sa, rimette per intero ad
attività successive l'esatta individuazione dei beni e dei compiti
da affidare al sistema locale;
l'esito e l'ampiezza
delle forme di esternalizzazione in favore di privati e di altri soggetti
pubblici, previsti dall'art. 10 del d.lg.
368/1998 e dal regolamento da adottarsi in attuazione dell'art. 32
l. 448/1998;
D'altronde, il processo che poi porterà al Testo Unico si avvia nel '97 (la legge delega è dell'ottobre), a legge 59/1997 già da tempo adottata, e mette in evidenza nello stesso tempo la consueta frammentazione parlamentare (i risultati dei lavori della VII commissione vanno in Aula per la discussione generale il 6 giugno '97 senza che nessuno richiami l'avvenuta entrata in vigore della l. 59/1997) e l'orientamento del ministero, che probabilmente dubita del buon esito finale della c.d. "Bassanini 1" e, in ogni caso, vi contrappone l'assunto della propria specificità (innegabile) ahimè declinata, qui è il problema, in termini di aperta estraneità rispetto ai principi delle riforme amministrative [2].
Il parallelismo tra i due processi, e perciò il mancato coordinamento con le riforme generali in atto, dunque, solo in parte erano inevitabili: in misura più determinante, invece, nascono da queste opzioni che però hanno comportato almeno quattro seri inconvenienti:
sul piano concettuale,
l'inversione rispetto alla corretta sequenza assetto istituzionale-funzioni-organizzazione-regime.
È evidente, ad esempio, che il coordinamento (cioè uno degli
obbiettivi perseguiti) richiede un assetto istituzionale (v: rapporti
Stato/regioni/enti locali) ben definito e che la semplificazione passa
anche per il decentramento di funzioni e compiti agli organi periferici
del ministero, ex art. 54, comma 3, d.lg. 300/1999. L'assenza di questi
riferimenti, dunque, finisce per incidere seriamente sul pieno raggiungimento
delle finalità assegnate;
sul piano normativo
perché i Testi Unici, proprio perché destinati a divenire
uno degli strumenti base della generale semplificazione normativa disposta
dalla l. 59/1997, di lì a poco saranno oggetto di un provvedimento
generale di più puntuale definizione delle rispettive caratteristiche
contenutistiche e procedimentali (art. 7 l.
50/1999) [3] che affronta,
tra l'altro, uno dei problemi che la delegificazione inevitabilmente pone
(l'inserimento, nei Testi Unici, delle norme legislative e regolamentari),
vale a dire proprio uno dei punti sui quali, come vedremo, il d.lg.
490/1999 risulta vulnerabile;
sul piano dei contenuti,
il Testo Unico finisce per rischiare di dire troppo, rispetto ad
una scelta più prudente che, proprio in vista di questi vincoli,
si fosse limitata al riordino della sola normativa concernente la tutela
(vedi, in questo senso, il parere del Consiglio nazionale per i beni culturali
e ambientali) [4] magari da
completare in un secondo tempo a riforme attuate, e troppo poco
per l'accenno, "monco e molto fragile" (ancora il Consiglio
nazionale) effettuato dal Testo Unico ai temi della valorizzazione e fruizione
nonché per il rinvio di questioni decisive come le relazioni con
gli organi periferici del ministero, il rapporto con i privati, e altro
[5];
I vincoli cui il Testo
Unico ha dovuto sottostare, in definitiva, solo in parte derivano dallo strumento
utilizzato e dalla legge di delega: in misura corrispondente, se non maggiore,
sono invece riferibili alle scelte di tempo e di merito compiute dal ministero
interessato e, più ancora, ai presupposti di specialità (e di
separatezza) di cui si è detto. Ciò spiega perché le
conseguenze che ne sono derivate siano state solo parzialmente corrette nel
corso dell'iter di stesura definitiva del decreto delegato per opera
della commissione parlamentare competente e degli altri organi intervenuti
in via consultiva, vale a dire Consiglio di Stato, Consiglio nazionale per
i beni culturali e ambientali e Conferenza integrata Stato-regioni.
2. Il Testo Unico come fonte: l'atto normativo e il suo regime
La materia dei Testi Unici, e più in generale quella delle fonti, è ormai giunta ad un livello di tale complessità e frammentazione da non potere trovare soluzione, come la dottrina più autorevole ha sottolineato, se non a livello costituzionale (Paladin). In ogni caso i Testi Unici possono essere classificati in vario modo e particolarmente, per quanto qui interessa, con riguardo alla struttura interna o al sistema delle fonti.
Dal primo punto di vista, i provvedimenti che di recente hanno riordinato la materia (in particolare, la l. 50/1999) distinguono Testo Unico di tipo "codicistico" (riordino dell'intera materia), "induttivo" (realizzato con l'assemblaggio di disciplina sostanziale, dunque con veste legislativa, e procedimentale o organizzativa, cioè regolamentare), nonché Testo Unico di tipo "regolamentare", vale a dire di riunione in un'unica fonte secondaria di più disposizioni originariamente di rango diverso in modo da disciplinare in modo uniforme procedimenti di natura strumentale indipendentemente dall'amministrazione presso cui si svolgono [7]. Stando a queste tipologie, si può affermare che il Testo Unico in oggetto risponde prevalentemente al modello "codicistico", anche se non mancano elementi propri di quello "induttivo".
Dal secondo profilo, quello degli effetti sulle norme preesistenti, la categoria dei Testi Unici, oltre alle tipologie di quelli c.d. "spontanei" e "autorizzati", conosce una terza varietà cui è da assegnare il d.lg. 490/1999, quella del Testo Unico "delegato" (o "normativo", vedi il parere del CdS). In realtà, come si dirà tra breve, il testo qui esaminato era stato pensato nell'originario disegno di legge governativo come Testo Unico autorizzato [8], vale a dire come appartenente a quella categoria, peraltro assai contestata in dottrina, di atti che non nascono da una delega ma da una mera legge di autorizzazione e che dunque, proprio per questo, sono da ritenersi limitati al mero coordinamento di norme preesistenti in quanto privi della capacità di innovare la disciplina legislativa in vigore.
I Testi Unici adottati dal governo in virtù di una delega ai sensi dell'art. 76 Cost., invece, sono atti con forza di legge, in quanto tali destinati a sostituire le fonti normative previgenti. Da questo, discendono numerose conseguenze.
La prima è che l'effetto abrogativo è direttamente riferibile all'esercizio stesso della delega, specie se questa prescrive di intervenire dettando una disciplina organica della materia [9], con la conseguenza che alle eventuali abrogazioni espresse operate dal Testo Unico (come avviene, nel nostro caso, ai sensi dell'art. 166) andrebbe riconosciuto un valore parziale e meramente ricognitivo [10], dovendosi infatti ammettere l'abrogazione anche implicita di tutte le disposizioni che, pur non richiamate, disciplinavano oggetti poi trattati nel testo del decreto delegato ed essendo riferibile, come si è detto, il loro superamento alla sostituzione delle disposizioni precedenti con quelle dettate dal Testo Unico.
Il discorso, in verità, va maggiormente articolato. La causa dell'effetto abrogativo, infatti, si atteggia in modo diverso a seconda che si riscontri o meno una relazione di antinomia tra norme precedenti e norme del Testo Unico: nel primo caso, l'abrogazione è da riferire direttamente alla norma successiva; nel secondo, invece, o la disciplina organica successiva comporta la sostituzione dell'intera disciplina organica precedente (sicché l'effetto abrogativo non è riferibile ad una relazione antinomica diretta di singole disposizioni ma al carattere organico della normativa successiva chiamata a prendere il posto, in toto, di quella di pari carattere vigente anteriormente) oppure, ove questo non si dia (o limitatamente alle ipotesi in cui non può farsi riferimento a tale elemento), unicamente alle clausole di specifica ed espressa abrogazione.
Stando così le cose, si può allora precisare che l'espressa abrogazione può avere un effetto innovativo per le sole disposizioni di per sé al di fuori dell'ambito diretto o indiretto della disciplina introdotta dal Testo Unico, vale a dire destinate in quanto tali a sopravvivere se non vi fosse l'apposita previsione abrogativa, e tuttavia egualmente ritenute meritevoli di essere superate ad altri fini, quale ad esempio quello della semplificazione (sul punto, v. commento all'art. 166).
Per le stesse ragioni, il mantenimento in vigore di singole disposizioni (v. elenco dell'articolo appena citato) pur dopo l'entrata in vigore di un Testo Unico sembra avere consistenza giuridica solo se la norma anteriore mantenuta conservi, all'interno della nuova normativa generale, un proprio ambito specifico (costituendone, dunque, una deroga) oppure se, pur non essendo antinomica, sia egualmente sottratta (con una disposizione ad hoc) all'effetto abrogativo del testo organico successivo generato in ordine al complesso delle norme dettate da quello (egualmente organico) precedente. Molti dei problemi sollevati all'interno dei singoli commenti (v. ad esempio, quelli indicati in ordine agli artt. 21 e 23 del t.u.) possono essere affrontati e risolti proprio alla luce dei criteri appena richiamati;
A questi fini, sono dunque del tutto determinanti, oltre ai principi, sia l'oggetto e l'ampiezza della delega che l'ambito entra il quale quest'ultima è stata concretamente esercitata in sede di adozione del decreto delegato, poiché è evidente che l'effetto abrogativo di per sé non si produrrà né al di fuori dell'ambito della delega né di quello, qualora più ridotto, del decreto delegato.
Per queste ragioni è
bene esaminare con attenzione l'art. 1 della l. 352/1997
e il processo che ne ha accompagnato l'approvazione.
2.1. Il testo della delega (art. 1 l. 352/1997) è fortemente segnato dalle vicende che ne hanno contrassegnato l'iter di approvazione. Ma andiamo con ordine. La versione finale della delega prevede l'adozione di un decreto legislativo nel quale riunire e coordinare tutte (e solo) "le disposizioni legislative vigenti in materia, considerando tali anche quelle entrate in vigore nei sei mesi successivi" alla approvazione della legge di delega, ferma restando (comma 4) la possibilità di un aggiornamento entro i tre anni successivi all'entrata in vigore del Testo Unico medesimo [11]. Quanto ai criteri, la legge si limita a precisare che "alle disposizioni devono essere apportate esclusivamente le modificazioni necessarie per il loro coordinamento formale e sostanziale, nonché per assicurare il riordino e la semplificazione dei procedimenti".
Ora, va detto che su tale formulazione, come si vede assai vaga sia in ordine alla configurazione dell'oggetto che alla indicazione di criteri, ha pesantemente inciso l'originaria formulazione del progetto di legge. Questo, all'origine, si limitava alla mera "autorizzazione" per il coordinamento delle disposizioni legislative vigenti (v. la formulazione dell'art. 1 del ddl 2600) e perciò, pur richiamando la procedura (pareri commissioni parlamentari sugli schemi) stabilita dall'art. 14, comma 4, l. 400/1988 per i decreti legislativi, non dettava in materia alcun criterio direttivo.
Dunque, all'inizio si era certamente pensato di praticare la terza tipologia di Testi Unici, quella cioè degli "autorizzati" i quali, non avendo come si è detto forza di legge, non hanno la capacità di innovare la disciplina preesistente e non hanno, di conseguenza, neppure necessità di criteri [12]. Quando poi, in sede di commissione, è stato approvato l'emendamento governativo che introduceva una vera e propria delega, ci si è limitati al semplice accenno di criteri, con il risultato della "estrema vaghezza" lamentata nel parere del CdS.
Per di più la stessa
disposizione di delega, in merito al complesso problema delle abrogazioni
cui si è già fatto cenno, utilizza una formula equivoca [13]
dalla quale non è dato comprendere se, almeno nelle intenzioni del
legislatore, l'elenco delle abrogazioni ha un valore puramente ricognitivo
(essendo, come si è detto, l'abrogazione conseguente al fatto stesso
della adozione del Testo Unico, nei limiti della materia oggetto del nuovo
intervento normativo) o se invece, almeno in parte, gli va riconosciuto un
valore costitutivo (frutto cioè del coordinamento e della semplificazione
di cui l'elenco costituisce, nello stesso tempo, la prova e il limite). Sul
punto, comunque, v. il precedente punto 2 e il commento all'art. 166.
2.2. Art. 7 della legge 50/1999 (testi unici). La situazione, come si è visto già assai complessa, si è fatta ancora più ingarbugliata in ragione dell'entrata in vigore della legge 8 marzo 1999 n. 50 che all'art. 7 ha introdotto una norma generale per i Testi Unici adottati all'interno dei programmi di semplificazione ormai interessati da più disposizioni (v. gli artt. 4, comma 4, e 20 l. 59/1997, le leggi annuali di semplificazione, l'elenco dettato dall'allegato 3 della medesima legge 50/1999, ecc.) [14].
Il citato articolo, infatti, specifica in via generale sia il contenuto dei Testi Unici inseriti nei programmi (che comprenderanno, insieme, disposizioni legislative e regolamentari) sia i criteri direttivi, tra i quali in particolare: delegificazione delle norme legislative riguardanti aspetti organizzativi e procedimentali; puntuale individuazione del testo vigente delle norme; esplicita indicazione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni; coordinamento formale del testo vigente, con le modifiche necessarie a garantirne la coerenza logica e sistematica; esplicita indicazione delle disposizioni, non inserite nel Testo Unico, che restano comunque in vigore; esplicita abrogazione di tutte le rimanenti disposizioni, non richiamate, che regolano la materia oggetto di delegificazione con espressa indicazione delle stesse in apposito allegato al Testo Unico.
Sono poi aggiunte due importanti precisazioni: per la prima, con l'entrata in vigore di questi Testi Unici "sono comunque abrogate le norme che regolano la materia oggetto della delegificazione, non richiamate ai sensi della lettera e) del comma 2", cioè tra le norme che, pur non inserite nel Testo Unico, restano comunque in vigore; con la seconda (comma 6) si introduce una clausola di resistenza, in base alle quale le disposizioni del Testo Unico "non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate se non in modo esplicito, mediante l'indicazione precisa delle fonti da abrogare, derogare, sospendere o modificare".
Considerando che le varie proroghe al termine di delega originariamente stabilito dalla l. 352/1997 non hanno introdotto alcuna innovazione alla disciplina in esame e che la l. 50/1999 non solo è successiva, ma opera esplicito riferimento ad altri Testi Unici (quelli, appunto, inseriti nei programmi annuali di semplificazione), si deve concludere che la nuova disciplina in materia, oltre tutto dichiaratamente transitoria (perché dettata in attesa di una legge generale sulla attività normativa del Governo: comma 2), non è applicabile al d.lg. 490/1999.
Ciò, tuttavia,
vale solo ad escludere l'automatica applicazione di tali soluzioni: ma i problemi,
naturalmente, restano ed anzi non appaiono di facile superamento.
2.3. Principi. Come si è accennato, la delega ha per oggetto l'adozione di un Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali e ambientali le quali potranno essere modificate limitatamente al loro coordinamento formale e sostanziale e ai fini del riordino e della semplificazione dei procedimenti. Come anticipato, si tratta di principi del tutto generici.
Affronteremo tra breve i problemi riguardanti la loro applicazione emersi in sede di redazione del testo di decreto delegato. Per il momento basta osservare quanto non c'è, o non c'è esplicitamente, a cominciare dai profili imposti dal riordino della l. 59/1997 e in particolare dalle scelte operate in sede di decentramento di funzioni. Come si può notare, infatti, non c'è alcun accenno alle esigenze che proprio l'obbiettivo del coordinamento pone nei riguardi delle funzioni riservate a regioni e enti locali anche se il testo del Testo Unico, in alcune norme di principio (artt. 11 e 15) e in numerose disposizioni di dettaglio (v. in particolare l'art. 150, comma 3) si sforza in qualche modo di tenerne conto anche grazie ai ripetuti richiami della commissione parlamentare e del Consiglio nazionale per i Beni culturali e ambientali.
Si deve poi aggiungere,
per inciso, che in un testo così fortemente ancorato alla materialità
del bene, e dunque inevitabilmente anche alla sua titolarità, sono
percepibili fino in fondo le implicazioni delle scelte operate, in materia,
dal d.lg. 112/1998 che ha mantenuto, come si sa, allo Stato la titolarità
anche dei beni suscettibili di gestione decentrata. Ma si tratta, come noto,
di scelte che erano già state operate e che, pur sempre riferibili
allo stesso ministero, non sono certo imputabili al Testo Unico in quanto
tale.
2.4. Criteri di redazione. La distinzione tra ambito della delega e ambito del decreto delegato viene immediatamente utile nell'esame del d.lg. 490/1999 perché, come dichiarato nella relazione del disegno di legge, il governo ha operato un'ampia selezione, escludendo dal Testo Unico:
le disposizioni di
natura strettamente organizzativa e amministrativa (funzioni del ministero,
delle regioni e degli enti locali, organizzazione del ministero, ecc.);
le disposizioni inserite
in appositi corpi normativi organici riguardanti altre materie (v. materia
fiscale e urbanistica);
le norme comunitarie
e le convenzioni internazionali (in materia di beni culturali e ambientali)
[15];
Si tratta di esclusioni in massima parte condivisibili salvo alcune ipotesi, come quella dell'ordinamento comunitario, rispetto alle quali l'inserimento, al di là di alcuni problemi segnalati nel commento ai rispettivi articoli, risultava preferibile ed utile anche ai fini del migliore coordinamento con la normativa interna (vedi commento art. 20). È appena il caso di ricordare che, malgrado ciò, tali corpi normativi restano ovviamente all'interno della materia "disciplina dei beni culturali e ambientali" e dunque la selezione operata non incide sulla estensione dell'oggetto della delega ma solo sul (parziale) esercizio della stessa.
Entrano, invece, tutte
le più importanti leggi di settore [16].
2.5. Testo Unico e altre fonti normative. Il decreto, articolato in due titoli rispettivamente dedicati ai beni culturali e beni ambientali, pone in quanto fonte una serie di problemi di notevole delicatezza che il presente commento affronta nei commenti del singolo articolo ma che, nei loro profili generali, è bene richiamare sinteticamente anche in questa sede. In particolare:
Anche tali norme, tuttavia, sono da considerare pienamente vigenti, anche indipendentemente dall'esplicito rinvio operate per alcune di esse dal secondo comma dell'art. 166 (cui va dunque riconosciuto un valore puramente ricognitivo: v. commento), perché giuridicamente successive al periodo considerato dal Testo Unico e perché la loro abrogazione costituirebbe una chiara violazione della delega e dei criteri da questa formulati.
La questione, in concreto, riguarda principalmente i d.lg. 300 e 303 del 1999 (riordino ministeri e Presidenza del Consiglio) ma si ripropone anche in occasione della l. 281/1999 (tutela dati, v. commento artt. 107-109) nonché in ordine al delicato problema posto dall'art. 33 della l. 448/1998 in relazione alla disciplina delle dichiarazioni già adottate ai sensi delle l. 364/1909 e 778/1922, che risulta divergente rispetto alla disciplina generale dettata in materia dall'art. 13 t.u., per le quali si rinvia al commento dei rispettivi articoli.
Il punto merita qualche considerazione. In via preliminare, non pare dubbio che in stagione di delegificazione l'organica cognizione e il coordinamento di una disciplina non sarebbero possibili prescindendo dalle disposizioni regolamentari; e, d'altra parte, la stessa semplificazione sarebbe seriamente ostacolata con l'esclusione dei regolamenti, il che tra l'altro è confermato proprio dall'art. 7 della l. 50/1999 (e dalla relazione governativa citata alla precedente nota 2). Detto questo, è tuttavia doveroso riconoscere che il loro inserimento in un Testo Unico delegato è certamente illegittimo sia in senso specifico, perché in contrasto con le prescrizioni della delega, sia in senso sistematico, perché attrae all'area legislativa poteri, funzioni e scelte che in via generale (v. aspetti organizzativi e procedimentali) ai sensi dell'art. 20 l. 59/1997 e art. 7 l. 50/1999 debbono essere e restare delegificati nonché oggetto di riordino, se necessario, solo con apposito regolamento governativo.
È auspicabile che aspetti così complessi e delicati per il sistema normativo in esame non siano abbandonati alle pronunce, nel migliore dei casi forzatamente parziali, delle sedi giurisdizionali di volta in volta interessate. Non resta dunque che rivedere la cosa in occasione del previsto aggiornamento e la soluzione più ragionevole potrebbe consistere nell'estendere espressamente alla materia dei beni culturali e ambientali quanto già disposto dalla l. 50/1999, vale a dire restituendo a tali disposizioni l'originaria veste regolamentare e mantenendole, a soli fini di cognizione [17], all'interno del Testo Unico;
2.6. Testo Unico e disciplina dei beni culturali. Nel terminare l'esame del Testo Unico inteso come fonte, c'è da chiedersi se e in che misura quest'ultimo riassuma, con la sua entrata in vigore, l'intera disciplina giuridica della materia: in che misura, cioè, il Testo Unico sia non solo la legge ma "il diritto" dei beni culturali e ambientali.
La risposta è negativa non solo perché, come abbiamo visto, vi sono fonti (precedenti e successive) che il d.lg. 490/1999 non considera ma perché il diritto vigente nel settore è la risultante anche di altri elementi, tra i quali vanno ricordate, oltre alle convenzioni internazionali cui opera largo rinvio l'art. 20, in particolare:
l'interpretazione
dell'art. 9 Cost., esplicitamente richiamato dagli artt. 1 e 138 in apertura
ai due titoli, elaborata dalla Corte Costituzionale: v. l'accezione di
Repubblica nel senso di Stato-ordinamento o i contenuti da riconoscere
alla tutela del paesaggio (Merusi, Sandulli);
la disciplina generale
dei beni reali dettata dal codice civile rispetto alla quale i beni culturali
e ambientali, in sé e in qualità di beni pubblici, costituiscono
normative speciali. Si veda, ad esempio, la questione del regime della
denuncia che proprio con riguardo alle norme del codice viene esteso ai
possessori, oltre che ai previsti proprietari e detentori (v. commento
art. 58), sollevando però in questo modo delicati problemi relativi
all'ambito soggettivo di applicazione delle norme sulle sanzioni, che
a tale figura non operano riferimento (v. commento art. 120);
l'applicazione di
discipline ordinamentali generali, dalla l. 241/1990 [18],
per il procedimento amministrativo (partecipazione degli interessati,
conferenza di servizi, ecc.), al d.lg. 29/1993 (il generico riferimento
del Testo Unico al "ministero", ad esempio, va letto alla luce
dei poteri riservati al dirigente generale secondo quanto disposto dall'art.
16 del decreto 29, così come per la stessa disposizione deve ritenersi
mantenuta la generale possibilità di ricorso gerarchico avverso
gli atti dei dirigenti di uffici periferici e la conseguente decisione
riservata ai titolari degli uffici dirigenziali generali: v. commento
all'art. 23), al d.lg. 157/1995 sull'appalto pubblico di servizi (da ritenersi
applicabile, dunque, ai servizi del settore: vedi quelli di biglietteria,
art. 100, e gli altri di cui all'art. 113: v.
commento dei rispettivi articoli), o al riparto di competenze operato
da altri provvedimenti legislativi (in particolare, dal capo V del d.lg.
112/1998) richiamati in via generale come criterio interpretativo
di tutto il Testo Unico dall'art. 11. Sicché, problemi interpretativi
delicati, quali quelli segnalati ad esempio in ordine all'intervento finanziario
dello Stato (art. 41, comma 1), andranno risolti
in conformità a tali prescrizioni;
dal ricorso a concetti
o tipologie (come ad esempio quello di restauro, art. 34) tributari di
definizioni operate da altre leggi (nel caso, gli artt. 212 e 213 della
legge Merloni-ter) anche per quanto riguarda il delicato rapporto
dei confini tra restauro e manutenzione.
3. Il Testo Unico come contenuti
I contenuti del Testo Unico sono valutabili solo con l'esame ravvicinato dei singoli articoli, e dunque si rinvia ai rispettivi commenti. Può essere utile, tuttavia, esprimere alcune considerazioni finali sulle scelte di merito operate dal Testo Unico, per gli aspetti critici e quelli apprezzabili, limitando il riferimento ai dati più significativi e non dimenticando che, come si è detto, le numerose fasi ulteriori legislative (decreti correttivi o di aggiornamento e discipline regionali), regolamentari (norme di attuazione ex art. 12) e organizzative (riordino ministero) sono destinate a modificare il quadro oggi in esame.
Dando atto della particolare complessità dei problemi affrontati e della notevole qualità tecnico-giuridica complessiva del testo elaborato, le perplessità o le vere e proprie considerazioni critiche si concentrano sui seguenti punti:
la scelta operata
nell'art. 1 nella definizione della materia è cruciale in
sé, ovviamente, e per il fatto che si traduce direttamente nella
individuazione dell'oggetto della delega. Il Testo Unico ha optato per
una interpretazione che assume come "materia" l'insieme delle
norme che hanno come oggetto centrale della fattispecie regolata il "bene"
nella sua "realità" e come ratio del proprio contenuto
dispositivo il suo valore culturale o ambientale. Si tratta di una definizione
subito contestata, anzi di una "non definizione" come osservato
dal Consiglio di Stato, rispetto alla quale le obiezioni sono almeno tre:
la prima, sul piano concettuale, perché in tal modo si compie una
inversione poiché, in luogo di definire il bene culturale per poi
identificare come "materia" le norme che lo riguardano [19],
si muove da queste ultime, ed anzi (più precisamente) dalle norme
riguardanti la tutela, e da queste si ricava la perimetrazione della materia
beni culturali, cioè dell'oggetto di delega; la seconda riguarda
il riferimento alla "tutela" che o è generico, cioè
da intendere in ogni caso comprensivo di tutte le altre specificazioni
(valorizzazione, promozione, gestione) o gravemente riduttivo non solo
per le note scelte in senso opposto già operate dal d.lg. 112/98,
ma perché fa di questo elemento il criterio per identificare i
confini dell'intera materia dei beni culturali; la terza, perché
così facendo, vale a dire proprio per avere riservato alla tutela
un ruolo così centrale ed esclusivo, si sono poste le premesse
per il dilemma, solo in parte "fatale", in ordine alla definizione
di bene culturale risolto, come vedremo subito, con il recupero della
sua tradizionale "materialità";
Per evitare simili conseguenze, che tra l'altro avrebbero certamente posto seri problemi di legittimità del decreto delegato sia in sé che in rapporto alla delega, il Testo Unico ha dovuto abbandonare, ecco il dilemma, la definizione di diritto positivo (quella appunto offerta dal d.lg. 112/1998) di bene culturale più aggiornata e condivisa, optando per la vecchia "coseità" e sollevando, ovviamente, critiche penetranti e generalizzate. Ma, proprio per questo, c'è da chiedersi se davvero si tratti di un dilemma "fatale" perché simili conseguenze avrebbero potuto essere ovviate in parte con altre premesse, vale a dire evitando la tradizionale dilatazione della tutela [21] e la specifica metodologia adottata per la identificazione dell'oggetto del Testo Unico, in parte con scelte diverse nella impostazione del decreto.
Identificare in senso ampio la materia e dunque l'oggetto della delega, infatti, non implica affatto l'esercizio integrale di quest'ultima, sicché la possibilità di evitare gli effetti indesiderati che si sono richiamati poteva essere realizzata anche attraverso l'esercizio più circoscritto del riordino (limitato ad esempio alla sola tutela, come aveva proposto il Consiglio nazionale) e dunque rinviando ogni altro intervento al pieno compimento delle riforme amministrative in corso;
il terzo versante
che, come si può vedere nel commento ai singoli articoli, appare
problematico è quello delle relazioni per così dire "esterne",
vale a dire con soggetti pubblici e privati e con il sistema regionale
e locale. Per quest'ultimo il motivo è, appunto, la collocazione
di tali soggetti tra le "relazioni esterne", espressione della
centralità del ministero e del tiepido scarso interesse per gli
esiti dei processi in atto (a cominciare dal decentramento ex art. 150
d.lg. 112), ed è premessa in qualche caso di serie lacune come
nel caso del ruolo e della collocazione dei piani paesistici, chiarito
(nel senso della sovraordinazione) rispetto ai piani regolatori o agli
altri strumenti urbanistici ma del tutto mancante in ordine al profilo
orizzontale, quello cioè del rapporto tra piani paesistici e piani
territoriali a valenza paesistica (art. 150, comma 2, t.u.). Non è
un caso che il recente ddl n. 4375, prendendo atto di tale situazione,
prescriva che le modifiche al Testo Unico da apportare entro il triennio
siano adottate dal Consiglio dei ministri su proposta del Ministro per
i beni e le attività culturali di concerto con quello per gli affari
regionali (art. 16, comma 3).
Detto
questo, va anche riconosciuto un indubbio sforzo volto ad ovviare a questi
inconvenienti che ha portato, nel corso dell'iter di approvazione
del decreto, all'inserimento di alcune norme di principio e di disposizioni
a carattere specifico già richiamate sub 2.3.
Per gli interlocutori pubblici e privati si rinvia ai singoli commenti,
segnalando peraltro che non sempre i primi sono più affidabili
dei secondi e che aspetti significativi del rapporto con questi ultimi
restano ancora indefiniti (v. le sponsorizzazioni). Si può semmai
aggiungere, come del resto segnalano i commenti ai relativi articoli,
che la importante distinzione tra privati senza fini di lucro (equiparati
ai soggetti pubblici ex art. 5, comma 1) e altri privati, fondamentale
per l'applicazione in concreto degli effetti della tutela, non è
ripresa in altre norme pur fondamentali con riguardo a singole categorie
di beni, ad esempio quelli archivistici (su cui v. commento
art. 10);
un ulteriore aspetto che merita di essere segnalato riguarda la mancata previsione di qualsivoglia ruolo dell'Università nel funzionamento del sistema, peraltro inutilmente sollecitato dal Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali sia sotto il profilo (particolarmente delicato) della tutela delle esigenze di ricerca degli studiosi e delle strutture che vi operano, sia per quanto riguarda l'apporto che tale realtà può offrire a sostegno delle indagini o istruttorie assegnate agli organi del ministero e che comportano impegni tanto gravosi quanto noti.
Si tratta di lacune allo stato solo in parte ovviabili: per quelle in tema di ricerca, ad esempio, è forse praticabile anche la via regolamentare (v. commento artt. 85 ss., per le aree archeologiche); per tutto il resto, invece, il Testo Unico conferma la chiusura totale ad altri apporti tecnici che non siano quelli del ministero per i Beni e le Attività culturali già affermata (in deroga all'opposto principio generale) dall'art. 17, commi 1 e 2, della l. 241/1990.
Questa scelta, nella sua assolutezza (diverso, ovviamente, il problema delle doverose cautele con cui procedere ad aperture su questo fronte), non è condivisibile ed anzi, in prospettiva, rischia di generare dinamiche opposte non solo rispetto alle posizioni degli apparati ministeriali ma per l'intero settore dei beni culturali e ambientali. Da un lato, infatti, l'evidente sovraccarico dei (soli) organi legittimati a tali apprezzamenti pone le premesse per aggiramenti in fatto e (non meno pericolosi) in diritto (v. autorizzazioni ex lege o il superamento delle determinazioni delle amministrazioni di settore ipotizzato, ad esempio, dal disegno di legge sulla delegificazione e semplificazione amministrativa: art. 11, comma 3, A.S. n. 4375), indubbiamente problematici per la tutela degli interessi pubblici del settore.
D'altro lato, l'esclusività e unicità delle competenze ministeriali in materia (e la conseguente impraticabilità di ogni forma di contraddittorio, per culturale o tecnico che sia) rende sempre più difficile mantenere tali apprezzamenti in tipologie giuridiche (come la discrezionalità tecnica) sostanzialmente sottratte al sindacato giurisdizionale. Non è dunque azzardato prevedere che anche per queste ragioni, oltre che per motivi più strettamente tecnico-giuridici, si facciano più robuste le tesi favorevoli a rileggere tali valutazioni in chiave di discrezionalità amministrativa (in proposito, v. le considerazioni svolte nel commento degli artt. 85 e 86 e in quello dedicato al titolo II).
Sempre in termini di politica del diritto, è dubbio che tale esito sia sempre auspicabile ed è anzi lecito chiedersi se un maggiore riscontro del corretto esercizio dei poteri istruttori in materia non sarebbe più garantito dalla dialettica tra più sedi tecniche qualificate che non dall'esercizio, e dall'intervento, della funzione giurisdizionale (non esclusa quella penale);
La questione appare oggi parzialmente risolta grazie ad alcune modifiche apportate, rispetto al testo originario, su singole disposizioni del Testo Unico e, soprattutto, in ragione dell'espresso richiamo effettuato dall'art. 166, comma 2 (v. commento) a quanto disposto in materia dall'art. 54 del d.lg. 300/1999 che riserva al soprintendente regionale (su iniziativa dei soprintendenti di settore) alcuni provvedimenti già di competenza dei livelli centrali, tra i quali quelli previsti dagli artt. 3 e 5 della legge 1089/1939.
In proposito, resta semmai da segnalare il sorprendente disinteresse mostrato in proposito dal parere della Conferenza unificata Stato-regioni, nel quale la questione delle relazioni tra organi centrali e periferici del ministero è del tutto assente.
Fin qui, dunque, le considerazioni critiche sui punti più significativi. Naturalmente ve ne sono altre più specifiche (come le incertezze riguardanti le sanzioni, le misure alternative e quelle risarcitorie, sia in sé che nelle relazioni reciproche) peraltro puntualmente segnalati nel commento ai singoli articoli, e problemi che certo non potevano essere né affrontati né risolti in sede di stesura del Testo Unico. Basti pensare, per fare solo qualche esempio, alla apparente abolizione dei ricorsi gerarchici [22], rispetto alla quale si è già detto della perdurante vigenza delle norme in materia richiamate dall'art. 16 del d.lg. 29/1993 e dove, in ogni caso, la vera questione consiste nel riflettere se le esigenze da cui tali strumenti scaturivano siano comunque del tutto superate e se e in quali forme quelle ancora attuali possano trovare soddisfazione. Altri aspetti, di grande rilievo, riguardano poi il problema del rispetto della tassatività delle sanzioni a fronte dell'estensione della tutela conseguente alla definizione di beni culturali o quello della catalogazione in ordine alla quale il dato, di recente diffuso [23], circa lo stato dei lavori (tali da richiedere un ulteriore decina d'anni solo per il completamento del materiale noto) al dicembre 1998 (cioè a trent'anni dalla istituzione dell'Istituto centrale per la catalogazione e documentazione) solleva seri problemi sulla congruità delle soluzioni fin qui adottate.
Malgrado questi pesanti condizionamenti, è giusto riconoscere tra i meriti che l'intervento operato con la redazione del Testo Unico apporta importanti innovazioni, sostanziali e strettamente normative, all'intera disciplina dei beni culturali e ambientali. Non mancano, in verità, specifiche innovazioni più discutibili, come la restrizione della più favorevole disciplina del silenzio assenso in materia edilizia introdotta dai commi 5 e 6 della legge 127/1997, puntualmente segnalata dal commento dell'art. 24 t.u., che certo non sembra giustificata né da esigenze di semplificazione né da ragioni di coordinamento, e che perciò solleva qualche dubbio di conformità con il dettato della legge delega.
In ogni caso, le innovazioni sostanziali più importanti riguardano:
l'estensione della
tutela a nuovi beni, come archivi, beni librari e materiale fotografico;
l'equiparazione agli
enti pubblici dei privati senza fini di lucro (art. 5, comma 1), fondamentale
per l'applicazione in concreto degli effetti della tutela [24];
l'innesto del principio
della bilateralità della regolamentazione dei fenomeni religiosi
con ampio rinvio alle intese con la Chiesa cattolica e altre confessioni
religiose (art. 19);
l'aggiornamento di
concetti, come la definizione in termini unitari (art. 19) di bene culturale
di interesse religioso (rispetto alle originarie "cose destinate
al culto") e quello di restauro (art. 34) e l'estensione di quest'ultimo
anche ad alcuni beni librari (art. 39);
Sul piano più strettamente normativo:
la semplificazione delle procedure operata con l'unificazione del regime di tutela a tutti i beni, ancorché ne derivino alcuni delicati riflessi sul regime sanzionatorio (per l'inevitabile frizione che ne deriva, come si è ricordato, rispetto ai principi di tassatività e riserva di legge riguardanti quest'ultimo) [25] e malgrado siano segnalate disarmonie tra le disposizioni che provvedono a tale estensione in via generale a tutti i beni e l'esplicita limitazione di tali poteri ad alcune categorie soltanto (art. 3-4);
la semplificazione
dei procedimenti di controllo per la tutela conservativa;
la forte semplificazione
del procedimento autorizzatorio di opere pubbliche incidenti su beni culturali,
quando l'opera sia assoggettata alla V.I.A. (artt. 25 e 26);
l'innesto nel settore
di principi dettati da altre normative generali, come quella sul procedimento
amministrativo (l. 241/1990), il richiamo puntuale di alcuni degli istituti
introdotti da quest'ultima (v. la possibilità di ricorrere all'inchiesta
pubblica nel procedimento di individuazione dei beni ambientali ex art.
141 t.u.) e l'inserimento di forme di raccordo con regioni ed enti locali;
l'ammissibilità
di procedure urbanistiche semplificate, una volta ottenuta l'approvazione
del restauro da parte del soprintendente;
Un richiamo a parte merita
la possibilità di forme speciali di collaborazione preventiva tra regioni,
enti locali e soprintendenze nella formazione dei piani paesistici, prevista
all'art. 150, comma 3. Si tratta di una ipotesi interamente da sviluppare,
dalle forme con cui procedere all'accordo con il ministero agli effetti giuridici
delle intese raggiunte con le soprintendenze, che peraltro dovrebbero coerentemente
escludere la possibilità del medesimo di procedere all'annullamento
di provvedimenti regionali conformi al piano paesistico concordato (v. commento).
Non mancano problemi, dunque, ma è comunque giusto sottolineare questa
soluzione per le sue potenzialità specifiche e per la capacità
di mostrare, più in generale, quanto profondi siano i benefici di un
sistema di relazioni tra stato e governo locale capace di superare il dualismo
conflittuale oggi diffuso sperimentando forme di preventiva e reciproca collaborazione.
Come il lettore avrà modo di verificare nell'esame dei singoli commenti, gli obbiettivi di coordinamento e di semplificazione assegnati al momento della delega solo in parte possono considerarsi raggiunti. Ai problemi di generali di impianto, sottolineati in questa introduzione, se ne aggiungono numerosi altri, talvolta anche rilevanti, nell'ambito dei singoli istituti e delle singole disposizioni, la cui soluzione è necessariamente rinviata in parte allo stesso legislatore delegato, in sede di aggiornamento della testo oggi in vigore, in parte alle previste discipline attuative, in parte ancora all'analisi e all'affinamento affidato all'interpretazione della giurisprudenza e della dottrina.
È doveroso tuttavia dare atto che il lavoro da fare non sarebbe neppure definibile senza quello che è stato fatto e, insieme, sottolineare che l'innegabile passo avanti compiuto con l'adozione del Testo Unico nella disciplina dei beni culturali e ambientali è stato reso possibile da una elaborazione anche tecnico giuridica di qualità non comune che ha saputo affrontare e superare problemi la cui entità è a tutti ben nota.
In più di un caso si rileveranno differenze, in qualche caso significative, tra le interpretazioni proposte nei commenti dei singoli articoli: è un dato inevitabile, talvolta riferibile alla diversa formulazione delle disposizioni esaminate, in altri casi frutto invece di vere e proprie diversità di interpretazione. Qualche eterogeneità nella materiale stesura dei singoli testi (come talvolta è avvenuto ricorrendo ad un doppio commento o optando per la valutazione congiunta di più disposizioni) è invece da riferire alla specificità di alcuni argomenti, suscettibili di una lettura portata da angolazioni distinte, o alla presenza di valutazioni diverse da parte degli autori che è sembrato giusto proporre al lettore.
Non sarebbe stato possibile portare a termine in tempi così limitati un'opera così impegnativa senza le proposte e le sollecitazioni di Carla Barbati e Girolamo Sciullo, la disponibilità degli autorevoli studiosi che hanno collaborato alla progettazione e guidato i diversi gruppi di lavoro, l'impegno serio e puntuale degli autori dei singoli commenti, l'esperienza dell'Editore. A tutti esprimo un sentito ringraziamento aggiungendo l'espressione di una particolare gratitudine alla dottoressa Angela Serra che ha svolto con capacità e dedizione il gravoso compito del referente organizzativo e del curatore editoriale.
In queste pagine introduttive, come si noterà, i riferimenti dottrinali sono strettamente limitati ai casi in cui la loro mancanza avrebbe pregiudicato la comprensione del testo. Per quanto coerente con la natura dell'opera qui presentata, si è trattato di una scelta sofferta che ha comportato l'impossibilità di richiamare, anche solo sinteticamente, gli studi più significativi, frutto della migliore dottrina giuspubblicistica del nostro Paese, spesso riferibili a molti degli stessi autori del presente commentario.
Sia consentita un'unica eccezione: è per il fondamentale saggio I beni culturali, pubblicato nella Rivista trimestrale di diritto pubblico (1976, 1, 20 ss.) da Massimo Severo Giannini, che ci ha lasciato in questi giorni. È un modo semplice per esprimere quanto gli siamo grati per tutto ciò che ha saputo darci come studioso e come persona, e quanto intensamente continuerà a mancarci.
[1] nasce dalla riformulazione in commissione dell'originario art. 1 del ddl 2600, operata approvando un emendamento del governo (con cui si propone il testo poi divenuto legge) che recepisce le obiezioni avanzate dalle minoranze sulla originaria formulazione autorizzatoria: la discussione si era così concentrata solo sulla necessità di trasformare l'autorizzazione in vera e propria delega, ma non c'è nulla sull'oggetto e sui criteri di quest'ultima non c'è alcun riferimento né in commissione, né in aula (Camera) né, successivamente, al Senato.
[2] Si tratta di un indirizzo costantemente praticato dal ministero anche in altri ambiti e, nel caso specifico, esplicitamente enunciato nella relazione che accompagnava la presentazione del ddl 2600 nella quale, dopo aver osservato che la presentazione del ddl. di riforma generale amministrativa (poi l. 59/1997) "segna una importante occasione per interventi volti a modificare la struttura e le funzioni del Ministero dei beni culturali", si aggiunge testualmente: "I tempi di attuazione di un nuovo disegno di legge organico del Ministero impongono, però, l'adozione di una serie di provvedimenti che, oltre a non confliggere con il progetto di riforma complessivo ne anticipano una soluzione (è il caso della norma sull'area archeologica di Pompei) e ne completano la struttura (si fa riferimento, in particolare, alla norma di delega al Governo per l'emanazione di un testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali)". Si aggiunge, più oltre: "La riorganizzazione dell'amministrazione statale è un'esigenza ormai unanimemente condivisa. Il Governo ha già presentato in Parlamento un disegno di legge in tal senso. Tuttavia, il settore dei beni culturali ha un profilo di specialità, anche organizzativo, che richiede provvedimenti specifici" (corsivo dell'A.).
[3] Su cui in generale, per una prima lettura, cfr. O. Forlenza, Complicazioni normative con le ore contate: messa a punto l'arma dei testi unici, in Guida al diritto, Il Sole-24 ore, 11/1999, 43 ss.
[4] Un "t.u. delle norme sulla tutela, avendo cioè come base la l. 1089, la l. 1497, la legge sugli archivi e successive modificazioni, nonché la legge di recepimento della direttiva europea e i punti essenziali del d.lg. 112".
[5] Anche il Consiglio di Stato nota che sul punto si dice poco, tanto che non vi è cenno alle "sponsorizzazioni".
[6] La quale, come curiosamente si tende a dimenticare, poggiava il proprio impianto contenutistico e funzionale sulle precise e solide basi dell'assetto istituzionale del sistema locale (podestà, prefetto, competenze centrali e periferiche del ministero dei LL.PP.) vigente all'epoca ed oggi interamente superato. Sicché, il richiamo (giustificato) alle virtù della disciplina del 1939 andrebbe almeno completato con la considerazione di questo non trascurabile profilo.
[7] Cfr. la relazione del Governo al parlamento per l'adozione del programma di riordino delle norme legislative e regolamentari ex art. 7, comma 1, della l. 50/1999, in La semplificazione normativa, Giornale di diritto amministrativo, 9/1999, 903 ss.
[8] Il ddl. n. 2600 parte in realtà con la previsione di una "autorizzazione" al governo, poi corretta con il ricorso alla delega;
[9] In questo senso P.A. Capotosti, Problemi relativi alla definizione dei rapporti fra testi unici di leggi e disposizioni normative preesistenti, in Giur. Cost. 1969, 2, 1501-2;
[10] Anche su questo punto la dottrina più recente mostra incertezze: M. Malo, Testo unico (voce), in Digesto delle discipline pubblicistiche, Torino, 1998, 305, parla ad esempio di funzione essenziale di tali disposizioni al fine di "certificare" l'effetto sostitutivo del t.u., il che però conferma la riferibilità al t.u. dell'effetto abrogativo e il valore solo cognitivo di queste clausole. La questione non cambia anche se considerata dal punto di criteri della delega che richiedano espressamente l'elenco delle abrogazioni operate: quando questo non venisse operato, o venisse operato solo parzialmente, l'effetto che ne deriva non è la mancata abrogazione delle disposizioni non citate (ancorché sostituite dal t.u.) ma il più limitato, ancorché rilevabile, contrasto tra la disposizione del t.u. dedicata alle abrogazioni e i criteri della delega.
[11] il ddl. A.S. n. 4375 all'art. 16, comma 3, supera il mero aggiornamento e, nello stesso termine di tre anni, prevede la possibilità di intervento allargata a tutti i criteri e le finalità dell'originario atto di delega. Da notare l'introduzione del concerto tra ministro per i Beni e le Attività culturali e quello per gli Affari regionali.
[12] anche se nella relazione governativa di accompagnamento al ddl 2600 si parla, con riferimento all'art. 1, di "delega al Governo".
[13] "Con l'entrata in vigore del testo unico sono abrogate tutte le disposizioni in materia che il Governo indica in allegato al medesimo testo unico".
[14] Sulla cui prima applicazione v. F. Patroni Griffi, Codificazione, delegificazione, semplificazione: il programma del Governo, in Giornale di diritto amministrativo, 1/2000, 101 ss.
[15] V. le critiche di M. Chiti, nel commento all'art. 20 del d.lg. 490/1999.
[16] L. 1 giugno 1939, n. 1089 (tutela delle cose di interesse artistico o storico); L. 25 giugno 1939, n. 1497 (protezione delle bellezze naturali); dpr 30 settembre 1963, n. 1409 (protezione delle bellezze naturali); decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1985, n. 431 (disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale, c.d. legge Galasso); decreto legge 14 novembre 1992, n. 433, convertito con modificazioni nella legge 14 gennaio 1993, n. 4 (misure urgenti per il funzionamento dei musei statali, c.d. legge Ronchey); l. 30 marzo 1998, n. 88 (norme sulla circolazione dei beni culturali).
[17] Anzi, di "visualizzazione" come afferma la Relazione del Governo al Parlamento cit., 907. Non si dimentichi, comunque, che tutto il sistema della legge 50/1999 è fondato sulla divisione tra norme organizzative e procedimentali, affidate in via di delegificazione ai regolamenti, e disciplina sostanziale, operata dalla legge.
[18] Vedi commento all'art. 7, o la utilizzazione delle Università nella istruttoria (anche oltre quanto espressamente disposto dall'art. 16), v. commento art. 85.
[19] Come è stato fatto, nell'attuazione del capo I della l. 59/1997, per tutte le definizioni dei settori che aprono i capi del d.lg. 112/1998, anche perché è l'unico modo per evitare che la definizione di una macro-area funzionale, inevitabilmente frammentata tra più amministrazioni e più livelli istituzionali, sia invece letta riduttivamente riconducendola alla sua attuale (e talvolta accidentale) proiezione organizzativa, facendola così corrispondere alle competenze del ministero di riferimento.
[20] Si intendono per "beni culturali" quelli che compongono il patrimonio storico, artistico, ecc. "e gli altri che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà".
[21] Sul punto, più ampiamente, v. gli interventi di M. Ainis, M. Chiti, M. Meschino, G. Sciullo e di chi scrive in Aedon, 1/1998.
[22] Nel t.u. ne resta un solo esempio (art. 67, in materia di esportazione) peraltro, in base all'assetto introdotto dal d.lg. 29/1993 e successive modificazioni, non più al ministro ma al competente dirigente generale.
[23] Un programma decennale per la catalogazione: analisi di fattibilità, Cles, Roma, novembre 1999.
[24] ma non sufficientemente e coerentemente ripresa in altre norme, pur fondamentali, per singole categorie di beni come quelli archivistici (art. 10): più in generale, disarmonia tra l'estensione in via generale di un regime a tutti i beni (art. 10, appunto) e una esplicita limitazione del medesimo ad alcune categorie soltanto (artt. 3, 4).
[25] Sul punto, v. i rilievi critici di F. Lemme, Il Testo Unico: una pilatesca abdicazione, in Il giornale dell'arte, 184, gennaio 2000, 16.