Nonostante l'apparenza, la disposizione è profondamente innovativa rispetto alla parallela norma della legge 1 giugno 1939, n. 1089 che, comunque, è stata integrata dal necessario riferimento alle previsioni degli accordi tra Stato e confessioni religiose, stipulati o da stipulare ai termini degli articoli 7, comma 2, e 8, comma 3, della Costituzione e che va anche riletta alla luce del principio del libero esercizio del culto (art. 19 Cost.).
Pur tenendo fermo il caposaldo dell'integrale competenza dello Stato in materia, si è preso atto del concorrente interesse delle confessioni religiose per la tutela di una componente essenziale della loro identità e dell'opportunità di una responsabilità aggiuntiva e di uno specifico impegno delle autorità confessionali ad agevolare l'azione della pubblica amministrazione in un settore, quello appunto di carattere religioso, cui appartiene un'altissima percentuale del patrimonio storico e artistico della nazione, da proteggere e valorizzare.
È stato del resto sottolineato che, con tali termini, l'art. 9 Cost. ha voluto indicare che il patrimonio "è espressione dello Stato comunità" e che, quindi, il fattore religioso, presente in esso, "rientra certamente" sia fra le valenze che concorrono al giudizio soggettivo di valore", sia fra "le valutazioni che concorrono alla determinazione dello statuto proprietario del bene culturale" [1].
Prendendo atto del pluralismo religioso garantito dalla Costituzione, il primo comma supera l'angusta previsione delle "cose appartenenti ad enti ecclesiastici" (l. 1089/1939) consacrando la nozione di "beni culturali di interesse religioso" e prende in considerazione quelli appartenenti ad enti ed istituzioni - che possono essere anche associazioni ed istituzioni non riconosciute aventi fine di religione o di culto, garantite dall'art. 20 Cost. - della Chiesa cattolica o di altre confessioni, che non celebrino riti "contrari al buon costume" (art. 19 Cost.) e siano presenti sul territorio dello Stato. Se i beni sono quelli "di interesse religioso", l'obbligo per il ministero per i Beni e le Attività culturali e, per quanto di competenza, delle regioni, riguarda i soli beni necessari al soddisfacimento delle esigenze del culto (celebrazioni liturgiche, riti, devozioni...), esigenze per le quali è necessaria la concorrente valutazione delle "rispettive autorità" delle confessioni religiose.
Si apre, qui, il problema di come stabilire quali siano le autorità religiose competenti: se per la Chiesa cattolica, per le confessioni che hanno stipulato un'intesa e per quelle riconosciute ai sensi della legge 24 giugno 1929, n. 1159, sarà agevole individuare gli interlocutori, anche attraverso le disposizioni di derivazione bilaterale richiamate nel comma 2 dell'articolo in commento, per le istituzioni di confessioni non riconosciute non si potrà che fare riferimento a quegli "statuti", che non devono contrastare con l'ordinamento giuridico italiano (art. 8, comma 2, Cost.), sulla base dei quali tutte le confessioni diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi.
Il legislatore, confermando la linea adottata nel 1939, intende armonizzare la tutela del patrimonio storico e artistico e del suo valore culturale con le esigenze del culto, cioè con l'esercizio esterno di riti religiosi. Essa limita, pertanto, non i poteri del ministero o delle regioni, ma il modo di esercitarli, che deve essere tale da non ostacolare il normale funzionamento delle celebrazioni liturgiche e rituali. Interessi diversi da questi - così quelli propriamente storico-artistici - non rientrano, quindi, negli obblighi previsti dal comma 1.
Tali interessi - e qui sta la più corposa innovazione rispetto al regime della l. 1089/1939 - vengono presi in considerazione nel comma 2, che impegna il ministero e, per quanto di competenza, le regioni, ad osservare le disposizioni derivanti da intese con la Chiesa cattolica stipulate a norma dell'art. 12 dell'accordo di modificazione del Concordato del 1929 (legge 25 marzo 1985, n. 121) e le norme delle leggi emanate sulla base di intese stipulate con confessioni religiose diverse dalla cattolica a norma dell'art. 8, comma 3, della Costituzione. Disposizioni e norme di carattere essenzialmente procedimentale che non sottraggono, evidentemente, i beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni confessionali al generale regime previsto dal presente Testo Unico per tutti i beni che "compongono il patrimonio storico e artistico nazionale" (art. 1) e sui quali (art. 2) il ministero esercita - prescindendo dal regime di appartenenza - la prevista vigilanza, anche con la collaborazione delle regioni (art. 15, commi 1 e 2).
Se il Concordato del 1929 non affrontava la questione e si limitava a riservare alla Santa Sede la disponibilità delle catacombe, con i relativi oneri, l'accordo concordatario del 1984 (l. 121/1985) stabilisce il principio della collaborazione tra la repubblica e la Santa Sede per la tutela del patrimonio storico-artistico (art. 12, comma 1), ribadendo il principio costituzionale della separazione degli "ordini" dello Stato e della Chiesa; prevede che le parti concordino "opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni ecclesiastiche" affinché lo Stato tenga conto, in fase di applicazione delle sue leggi, delle "esigenze di carattere religioso"; dispone che la conservazione e la consultazione di archivi "di interesse storico" e delle biblioteche appartenenti ai medesimi enti e istituzioni vengano "favorite e agevolate sulla base di intese" tra gli organi competenti delle due parti; ribadisce il regime delle catacombe limitandone, però, la disponibilità per la Santa Sede alle sole "cristiane" e confermando l'obbligo di osservanza delle leggi italiane per quanto concerne gli scavi e l'eventuale trasferimento delle "reliquie" (il che, ovviamente, esclude quello di altri reperti; comma 2).
Se, quindi, resta piena la sovranità dello Stato in una materia che non diventa "mista", ma continua ad appartenere al suo "ordine"; se appare evidente che le opportune disposizioni da concordare hanno carattere regolamentare e restano comunque subordinate alla legge italiana; se le medesime disposizioni non possono, quindi, rappresentare un "regime differenziato di tutela" ma hanno "piuttosto carattere integrativo e, insieme, attuativo della legislazione" nazionale [2], l'art. 12 da una parte introduce il concetto unitario di "beni culturali di interesse religioso" - ben più ampio delle "cose" destinate al culto della l. 1089/1939 ed ora accolto dal t.u. - e quello delle "esigenze di carattere religioso" che, pur ricomprendendole, vanno ben oltre le precedenti "esigenze del culto". Dall'altra innova sostanzialmente la condizione degli archivi di interesse storico e delle biblioteche stabilendo un collegamento tra partecipazione dello Stato alla loro conservazione e impegno della Chiesa alla loro libera consultazione. Fermo, ovviamente, restando che la disposizione e le sue attuazioni non possono riguardare che beni appartenenti agli enti e alle istituzioni della Chiesa cattolica; che ai termini della legge 20 maggio 1985, n. 222, tali enti devono essere iscritti nel registro delle persone giuridiche private (art. 5); che nel concetto di "appartenenza" vanno ricomprese in genere anche le situazioni di "titolarità di un diritto avente per oggetto un bene" [3].
Sulla stessa linea, ed a più forte ragione per i beni culturali, in genere meno noti ma fortemente identitari, delle confessioni di minoranza, le disposizioni emanate sulla base di intese stipulate ai termini dell'art. 8, comma 3, della Costituzione, con le altre religioni a testimonianza di un "interesse concorrente tra Stato e confessioni religiose per la tutela di beni che fanno parte della storia di entrambi" [4]. Si tratta delle leggi 11 agosto 1984, n. 449 (Chiese rappresentate dalla Tavola valdese, art. 17); 22 novembre 1988, n. 516 (Chiese avventiste, art. 34); 22 novembre 1988, n. 517 (Assemblee di Dio pentecostali, art. 26); 8 marzo 1989, n. 101 (Unione delle Comunità ebraiche, art. 17); 12 aprile 1995, n. 116 (Unione cristiana battista, art. 18); 29 novembre 1995, n. 520 (Chiesa luterana, art. 16). Norme analoghe sono contenute nell'intesa recentemente siglata con l'Unione Buddista (art. 16). Il principio generale ribadito con alcune differenziazioni in tutte le intese è quello della collaborazione tra lo Stato e la confessione interessata per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali che afferiscono al patrimonio storico, artistico, culturale, materiale, ambientale, architettonico, archeologico, archivistico e librario della religione che ha stipulato l'intesa. Per le Chiese valdesi e per le Comunità ebraiche - per le quali lo Stato prende atto che fra le "esigenze religiose" vanno ricomprese, accanto a quelle di culto e assistenziali, anche quelli culturali (art. 26) - si prevede la costituzione di commissioni miste e, solo per le seconde, la partecipazione dell'Unione alla conservazione e gestione delle catacombe ebraiche, nel rispetto delle prescrizioni rituali: in altri termini il principio di cui al comma 1 dell'articolo in commento. Rimane comunque integra la competenza del ministero e delle regioni, che devono sentire le autorità confessionali quando decidono di sottoporre a vincolo determinati beni culturali afferenti al patrimonio culturale delle confessioni, ma che devono, poi, procedere alla luce dei principi costituzionali di eguale libertà delle religioni e di uguaglianza dei cittadini senza distinzioni di religione e, quindi, senza privilegi per le eventuali formazioni sociali a carattere religioso nelle quali si svolga la loro personalità (artt. 2 e 3 Cost.). Va, comunque, sottolineato che dall'insieme della normativa alla quale rinvia l'art. 19, comma 2, del t.u., appare chiaro il superamento del concetto di "esigenze del culto" che viene integrato nella ben più ampia nozione di tutela del patrimonio storico e artistico della nazione afferente alla componente religiosa dell'identità culturale delle confessioni, della quale, del resto, già il r.d. 30 ottobre 1930, n. 1731 si faceva carico là dove includeva tra le finalità dell'Unione delle Comunità ebraiche sia la conservazione del patrimonio storico, artistico e bibliografico che la promozione della conoscenza della cultura ebraica e del suo incremento.
L'attuazione del ricordato art. 12 l. 121/1985 si è progressivamente concretata attraverso due intese tra il ministero per i Beni culturali e il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, di cui la prima approvata con dpr 26 settembre 1996, n. 571 e la seconda in corso di approvazione al dicembre 1999. La prima, di otto articoli, determina le autorità competenti per realizzare le previste forme di cooperazione, specifica - e si tratta di una importante novità dal punto di vista del diritto canonico - che per quanto concerne i beni culturali appartenenti agli istituti religiosi civilmente riconosciuti i loro responsabili devono concorrere con la Cei e con i vescovi diocesani nella collaborazione con gli organi statali. Questi organi invitano i corrispondenti organi ecclesiastici ad apposite riunioni per definire programmi o proposte di programmi annuali e pluriennali di intervento sui beni di interesse religioso oggetto dell'intesa, nel corso delle quali vengono scambiate informazioni sugli interventi che gli uni e gli altri intendono intraprendere, mentre deve essere in ogni caso assicurata, tra i medesimi, la "più ampia informazione in ordine alle determinazioni finali e all'attuazione dei programmi pluriennali e annuali e dei piani di spesa" ed allo svolgimento ed alla conclusione di interventi e iniziative definite nelle previste riunioni.
Sono anche previste altre forme di accordo per la concreta realizzazione di interventi ed iniziative con la rispettiva partecipazione finanziaria ed organizzativa dello Stato, degli enti ecclesiastici ed eventualmente di altri soggetti. È, comunque, il vescovo diocesano la sola autorità ecclesiastica abilitata a presentare ai soprintendenti o al ministero (beni librari) le richieste di intervento concernenti sia gli enti soggetti alla sua giurisdizione, sia gli istituti religiosi presenti nella sua diocesi. Allo scopo di verificare l'andamento delle previste forme di collaborazione viene istituito, inoltre, un "Osservatorio centrale per i beni culturali di interesse religioso di proprietà ecclesiastica" composto pariteticamente da rappresentanti del ministero e della Cei. Alle riunioni, da tenersi almeno ogni sei mesi, possono partecipare anche rappresentanti di amministrazioni ed enti pubblici e di enti ed istituzioni ecclesiastiche interessati ai problemi in discussione. Per quanto riguarda le esigenze del culto - di cui al comma 1 dell'articolo in commento - i provvedimenti statali sono assunti "previa intesa" con l'ordinario diocesano competente per territorio. Intesa che, è bene chiarirlo, riguarda i soli beni destinati all'esercizio del culto e non l'insieme dei beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni della Chiesa cattolica.
La seconda intesa, che dà attuazione, in nove articoli, all'art. 12, comma 1, paragrafo 2, l. 121/1985, è suddivisa in due parti: la prima dedicata agli archivi e la seconda alle biblioteche. Per quanto concerne gli archivi si stabilisce, anzitutto, che debbano essere considerati di interesse storico gli archivi in cui siano conservati documenti di data anteriore agli ultimi settanta anni. Una precisazione importante che allinea, anche dal punto di vista dell'"anzianità", gli archivi di enti ed istituzioni ecclesiastiche con quelli dei privati possessori o detentori a qualsiasi titolo di beni archivistici (art. 9, comma 1, del t.u.) e fa salvo, comunque, quanto prevede la normativa sui beni culturali per gli archivi "dichiarati di notevole interesse storico" (art. 9, comma 2). Si prevede, inoltre, che, per quanto possibile, archivi e documenti di interesse storico debbano rimanere nei luoghi di formazione e di attuale conservazione e che ministero e Cei debbano assicurare, secondo le competenze rispettive, ogni possibile intervento per la sicurezza e contro il degrado degli edifici.
Precisazione anche questa rilevante dato l'altissimo numero di enti ed istituzioni ecclesiastiche soppressi dalla Chiesa a seguito della l. 222/1985. In caso di necessità è, comunque, prevista la possibilità di deposito degli archivi presso quelli storici diocesani, con l'esclusione di quelli degli istituti religiosi, che andranno depositati presso gli archivi della provincia o quelli storici generali rispettivi purché siti in territorio italiano. Si esclude, così, anche la possibilità di trasferimento di tali archivi nel territorio dello Stato vaticano (art. 65 del t.u.), mentre rimane valido l'obbligo di informare le soprintendenze dell'eventuale rimozione di questi come di tutti i beni culturali di interesse religioso (art. 22 del t.u.). Vengono, poi, indicati gli interventi e impegni della Chiesa (assicurare le conservazione e disporre l'apertura alla pubblica consultazione; predisporre regolamenti che indicano anche gli orari di apertura e i termini di consultazione; promuovere l'inventariazione; adottare dispositivi di vigilanza e sicurezza; rispettare la normativa dello Stato che vieta l'alienazione, il trasferimento e l'esportazione dei beni culturali fuori dal territorio nazionale; destinare specifici finanziamenti) e quelli dello Stato (collaborazione tecnica e finanziaria alle condizioni previste dalla normativa vigente per attrezzature, inventari, restauro, mezzi di corredo, formazione del personale etc.; deposito presso le soprintendenze archivistiche dell'elenco degli archivi trasmesso e periodicamente aggiornato dalla Cei, compresi quelli degli istituti religiosi; priorità negli interventi da programmare per archivi diocesani e per quelli generalizi e provinciali più rilevanti degli istituti religiosi; ammissione di archivistici ecclesiastici in soprannumero, entro il 10% dei posti, alle Scuole di archivistica statali; vigilanza in collaborazione con le autorità ecclesiastiche sul mercato antiquario). Si passa, quindi, alla collaborazione tra Chiesa cattolica e Stato per assicurare la conservazione e la consultazione degli archivi in oggetto: in primo luogo nell'inventariazione del patrimonio, poi per le operazioni ricognitive necessarie, per la organizzazione di mostre e, soprattutto, in caso di calamità naturali per l'accertamento dei danni, la valutazione delle priorità, il deposito temporaneo in altri archivi ecclesiastici o in archivi statali, il restauro del materiale archivistico danneggiato.
La parte II dell'intesa, relativa alle biblioteche, ricalca in buona sostanza lo schema di impegni e cooperazione adottato per gli archivi. Stabilisce, peraltro, che i beni librari di interesse storico (manoscritti, a stampa o su altri supporti) debbano essere considerati tali se anteriori a cinquant'anni, debbano rimanere nei luoghi di conservazione ed essere inventariati e catalogati sulla base di indirizzi e strumenti omogenei definiti tra ministero e Cei, con riferimento al sistema del servizio bibliotecario nazionale. Precisa che la collaborazione tra Stato e Chiesa potrà realizzarsi attraverso apposite convenzioni finalizzate alla conservazione, valorizzazione e consultazione del patrimonio librario in questione. L'autorità ecclesiastica, oltre ad assicurare la conservazione e l'apertura alla consultazione delle biblioteche, assicura inventariazione e catalogazione, informazioni, riproduzioni, e prestito dei materiali librari, promuovendo censimenti sistematici e aggiornamento dei dati sullo stato di conservazione dei medesimi e predisponendo una programmazione triennale degli interventi e attività, da trasmettere alle competenti autorità pubbliche e destinando alle biblioteche "specifici finanziamenti nell'ambito delle risorse disponibili".
Viene, inoltre, istituito un gruppo permanente di lavoro paritetico presso l'ufficio centrale per i beni librari del ministero che, anche in attuazione degli orientamenti dell'Osservatorio centrale (già ricordato e istituito dal dpr 571/1996), coordina le richieste di intervento in favore delle biblioteche in oggetto, individua priorità e strumenti finanziari per la realizzazione degli interventi, formula pareri su inventariazione, catalogazione, tutela del patrimonio e formazione del personale, con la collaborazione dell'istituto centrale per il catalogo unico e della commissione per la conservazione del patrimonio librario nazionale istituite presso il ministero.
Particolare attenzione è riservata dall'intesa, nel quadro della collaborazione tra Chiesa e Stato, ai beni librari di diocesi, parrocchie ed enti soppressi, da considerare in via prioritaria; alla tutela contro furti e alienazioni abusive, con il divieto di trasferimento ed esportazione fuori dal territorio nazionale (e, quindi, anche nella Città del Vaticano); alla vigilanza sul mercato antiquario; alla organizzazione di mostre, alla formazione del personale e alla cooperazione in caso di calamità naturali analogamente a quanto già previsto per gli archivi.
L'art. 19 del Testo Unico, attraverso l'articolato complesso di rinvii definito dal comma 2, si rivela, quindi, ben più ampio e più ricco della sua lettera che recepisce - nel rispetto della laicità dello Stato, della libertà religiosa e della separazione degli "ordini" - sia le intese con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose già concluse al momento della sua entrata in vigore, sia quelle che verranno eventualmente stipulate tra Stato e confessioni in ottemperanza dei principi costituzionali di bilateralità della regolamentazione dei fenomeni religiosi. Fenomeni dei quali, com'è del tutto evidente, il patrimonio culturale costituisce una componente storicamente e spiritualmente essenziale.
[1] F. Merusi, Beni culturali, esigenze religiose e art. 9 della Costituzione, in Beni culturali di interesse religioso, a cura di G. Feliciani, Bologna, 1995, 21-28.
[2] G. Pastori, L'art. 12 dell'Accordo 12 febbraio 1984, in Beni culturali cit., 29-40.
[3] G. Lozzi, Appartenenza (Diritto penale), in Nss.D.I., I, I, Torino, 1968, 722.
[4] G. Long, Le confessioni diverse dalla cattolica, Bologna, 1991, 215-216.