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Voci dall’interno dell’amministrazione del patrimonio culturale

Riforme e Mibac: alcune note in tema di archeologia [*]

di Anna Bondini

Sommario: 1. Introduzione - 2. I precedenti assetti e le passate riforme. - 3. La tutela: le soprintendenze uniche. - 4. La valorizzazione: il rapporto tra musei e territorio. - 5. Conclusioni.

Reforms and Mibact: some notes related to Archaeology
The article deals with the role of Archaeology in the Ministry for Culture's organization, which resulted by the 2014-2016 Reform. Moving from the analysis of the structures' development since 1861, the unification of Cultural Heritage's safeguard and the relationship between museums and territory, the text aims at distinguishing the system's failures, the actuation's obstacles, the problems created by the Reform and those that still affect the Ministry.

Keywords: Ministry for culture; Administrative reform; Archaeology.

1. Introduzione

La riorganizzazione del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo attuata tra il 2014 e il 2016 [1] costituisce un momento di svolta nella storia del sistema di tutela del patrimonio storico-artistico e paesaggistico del Paese, per la portata e l'incisività degli interventi introdotti. Con la "riforma Franceschini", intervenuta nell'assetto delle funzioni con la distinzione tra tutela e valorizzazione e l'attribuzione a ciascuna di diversi istituti, uno dei versanti più direttamente investiti dal riordino è quello delle strutture periferiche del ministero, le cui articolazioni e competenze non venivano messe in discussione dal 1939.

Probabilmente per questa ragione ha avuto origine un acceso dibattito che ha coinvolto la classe politica, il mondo giuridico, i membri dell'apparato, gli addetti ai lavori esterni all'amministrazione, i rappresentanti delle amministrazioni locali e altre categorie di soggetti [2], mostrando quanto fosse inevitabile e doveroso confrontarsi su questo tema e dare avvio ad una riflessione seria, critica e anche autocritica sul modo di operare sul territorio, anzi sull'idea stessa di "tutela" e "valorizzazione" che si mette in campo attraverso l'azione amministrativa quotidiana.

Tra i temi centrali della discussione sorta attorno al nuovo impianto fondato sulle soprintendenze uniche e un mutato assetto dei musei vi è la questione dell'archeologia: alcuni degli addetti ai lavori, considerandola una materia troppo particolare per essere integrata in un'ottica di tutela intersettoriale, ne hanno denunciato la 'soppressione' arrivando anche a proporre il ritorno alle soprintendenze e alla direzione generale di settore [3].

In un panorama ormai compromesso da una rigida polarizzazione tra sostenitori e critici della riforma pare opportuno ritornare ad alcune questioni di fondo, per approfondirne e chiarirne nel merito i fondamenti, lasciando da parte la disamina sulle possibili soluzioni organizzative alternative a quella adottata, con l'intento piuttosto di distinguere i sintomi dalla malattia, le cause dagli effetti, i mali sopraggiunti da quelli esistenti (e ormai tanto cronici da non essere avvertiti). I problemi mal posti possono infatti condurre a distorsioni pericolose, tanto per il proseguimento di un serio dibattito quanto per l'individuazione di azioni correttive nei confronti di una situazione che certamente può e deve essere migliorata.

2. I precedenti assetti e le passate riforme

Come è noto, le soprintendenze sono nate ben prima del ministero: l'esistenza di un sistema di protezione del patrimonio storico-artistico, esercitato attraverso strutture tecnico-amministrative ramificate nel territorio, affonda le proprie radici negli assetti creati dagli Stati all'indomani della Restaurazione e preesiste di gran lunga alla creazione di organi centrali a livello nazionale [4]. Una delle specificità del Mibac consiste infatti nel formarsi dell'apparato a partire proprio dal territorio, da quella solida rete di organi decentrati che seppe esprimere una delle più valide burocrazie professionali del nostro impianto amministrativo, che ha portato la Corte dei conti a qualificare il Mibac come "una delle amministrazioni con il più significativo radicamento territoriale" [5].

All'indomani dell'unità d'Italia, i Governi Provvisori lasciarono in vita il sistema ereditato dagli ordinamenti preunitari e, data la mancanza di una legge organica e valida per tutto il paese [6], si scelse di riconfermare il complesso dei presidi che ogni stato si era dato, costituito da organismi molto differenziati tra loro quanto a struttura, funzioni e attribuzione territoriale, il quale rappresentò il nucleo fondamentale di quello che divenne il servizio di tutela in Italia. I primi tentativi di strutturazione periferica dell'ordinamento passarono dall'istituzione, in tutte le province del Regno, delle "Commissioni Conservatrici dei Monumenti ed Oggetti d'Arte ed Antichità" presiedute dai rispettivi prefetti (1874-1876) alla creazione (1891) degli "Uffici Tecnici Regionali" diretti dai "Delegati regionali per la riforma dell'elenco dei monumenti nazionali". Nel 1897 si svolse la vicenda che portò alla creazione a Ravenna della prima "Sovrintendenza ai Monumenti" [7], seguita dal suo contraltare nel settore archeologico, la "Speciale Sopraintendenza per i Musei e gli Scavi di Antichità nella Regione Veneta" con sede a Padova: si trattò di una sorta di prova generale per quello che sarebbe stato il modello dell'organizzazione periferica del servizio di tutela che si affermò dieci anni più tardi, con il varo della prima riforma organica del settore (1906-1909). Essa prevedeva un'articolazione per funzioni e per competenze, che si risolse in "Soprintendenze ai Monumenti", "Soprintendenze agli Scavi e ai Musei Archeologici", "Soprintendenze alle Gallerie, ai Musei medievali e moderni e agli oggetti d'arte". Il nuovo assetto tuttavia non ebbe il tempo di dare i suoi frutti a causa dello scoppio della prima guerra mondiale; il governo fascista pose mano ad una riorganizzazione delle strutture periferiche della tutela (1923), rivedendone la partizione territoriale e per competenze (i tre tipi adottati prevedevano soprintendenze "alle Antichità", "all'Arte medievale e moderna" e strutture 'miste' "alle Antichità e all'Arte medievale e moderna"). La riforma del 1939, preceduta da un convegno dei soprintendenti voluto dal ministro Bottai e arricchita dal contributo di questi ultimi, segna il ritorno alla tripartizione delle soprintendenze ("Archeologia", "Monumenti", "Gallerie") [8].

L'impianto del 1939, accompagnato dalle fondamentali leggi di tutela delle cose d'arte (legge 1 giugno 1939, n. 1089) e delle bellezze paesistiche (legge 29 giugno 1939, n. 1497) poi "costituzionalizzate" nel disposto dell'art. 9 Cost. [9] è quello transitato nella competenza del nuovo "Ministero per i beni culturali e l'ambiente", nato nel 1974 su proposta del Ministro senza portafoglio Giovanni Spadolini [10]. Le numerose riorganizzazioni succedutesi negli ultimi vent'anni [11], attuate dapprima (1998, 2004) con l'intento di adeguare l'assetto dei ministeri all'interno del più ampio quadro del decentramento amministrativo, dal 2006 in poi sulla scorta dei provvedimenti di contenimento della spesa pubblica che imponevano un tetto agli uffici dirigenziali, non sembrano averne innovato il modello originario né adeguato l'assetto al ruolo funzionale interno e nei confronti dei soggetti esterni: esse non solo non hanno inciso sulle strutture periferiche, ma hanno operato in una prospettiva discendente dal centro alla periferia invece di partire dal dato delle soprintendenze [12]. Né è mai stato corretto il disallineamento tra l'assetto organizzativo e la disciplina sostanziale, la quale pure conta quattro riordini dal 1999 ad oggi [13].

Se dunque le precedenti riforme del ministero avevano comportato per lo più una rimodulazione degli uffici centrali oppure introdotto organi di collegamento decentrati e intermedi rispetto alle strutture territoriali, questa volta la riorganizzazione ha inciso direttamente e profondamente sulle articolazioni periferiche del Mibac, soprintendenze e musei statali, che vedono la trasformazione di un assetto più o meno identico dal 1907 ad oggi. È perciò difficile sostenere che tale sistemazione non avesse bisogno, se non di un riordino, almeno di un ripensamento, nell'ambito di un contesto istituzionale profondamente mutato [14].

3. La tutela: le soprintendenze uniche

L'evoluzione dell'assetto delle strutture periferiche mostra dunque il costante emergere di alcuni nodi problematici ai quali sono state fornite di volta in volta risposte di qualità differente:

- la scala territoriale più adeguata ad un'efficace cura e gestione del patrimonio storico-artistico (regionale, provinciale o intermedia);

- la problematicità della partizione di quest'ultimo in ambiti settoriali (che nelle diverse soluzioni lasciavano ampie interferenze e zone d'ombra);

- i rapporti tra centro e periferia del ministero (in termini di natura delle linee di comando, opportunità e incisività di forme di coordinamento a livello regionale);

- il grado di coinvolgimento delle forme di governo locale nello svolgimento di tali funzioni.

Tali "invarianti" costituiscono una valida chiave di lettura per considerare i cambiamenti in atto, perché la ricerca delle soluzioni più opportune non può prescindere dai tentativi precedenti di rispondere a questioni analoghe.

In occasione dell'istituzione delle soprintendenze sul modello ravennate, nel 1904, venne presa in considerazione l'idea di creare delle soprintendenze uniche per ciascuna regione, poi scartata per l'impossibilità di concentrare tutte le competenze in una sola figura [15]. La soluzione più opportuna sembrò quella dell'istituzione di tre tipi di soprintendenze, articolate su base regionale o interregionale: quelle per i "Monumenti", quelle "per gli Scavi, Musei e gli oggetti di antichità" e quelle "per le gallerie e gli oggetti d'arte": il criterio seguito nell'articolazione territoriale fu quello della massima limitazione possibile del territorio, cercando un compromesso tra la suddivisione amministrativa in province e l'individuazione di comprensori omogenei dal punto di vista storico-artistico [16]. Iniziò così quella settorializzazione delle competenze che, fatta eccezione per alcuni organi e brevi periodi, caratterizzò stabilmente l'articolazione periferica delle strutture di tutela fino ai giorni nostri. La sola deroga a questo impianto avvenne nel 1923, con la ripartizione tra "Antichità" e "Arte medievale e moderna" in alcuni casi accorpate in soprintendenze uniche. Dopo il ritorno alla tripartizione 'canonica' nel 1939, M. Grisolia commentò: "questo criterio poteva riuscire anche benefico, però a due condizioni: che ciascuna soprintendenza disponesse di personale specializzato per ogni settore della propria competenza; che l'accentramento periferico non fosse accompagnato da larghe circoscrizioni territoriali" [17].

I limiti della settorializzazione delle competenze erano da tempo denunciati da diverse voci esterne [18] e avvertiti anche dal personale interno al ministero, che manifestava l'auspicio di un abbattimento di "quelle barriere che sono ormai scientificamente, organizzativamente, metodologicamente assurde" [19], mettendone in luce gli esiti paradossali nella prassi operativa: "è ridicolo che ancora oggi ci siano discussioni in molte direzioni regionali e fra molte soprintendenze perché, alla ricerca di lumi normativi, ci si appella all'ultimo vero regolamento delle norme di tutela, che è quello del 1913, ricalcato sulla legge del 1909, affermando che la competenza delle soprintendenze archeologiche arriva fino alla caduta dell'impero romano d'occidente" [20]. La settorializzazione delle competenze ha finito per causare enormi disfunzioni non soltanto nei confronti della ricerca (cosicché, ad esempio, un'attività di scavo all'interno di un castello medievale era soggetta all'autorità delle tre soprintendenze - quella archeologica per il metodo, quella ai monumenti per i resti strutturali e quella storico-artistica per i beni mobili), ma anche rispetto all'attività di tutela, con particolare riferimento agli aspetti autorizzatori su progetti e opere. Qui si verificava il paradosso per cui la medesima amministrazione statale si esprimeva sul territorio in termini diversi e spesso contrastanti, causando impasse la cui risoluzione era demandata ad una decisione politica, sottratta quindi alla discrezionalità degli organi tecnici rivelatisi incapaci di comporla [21]. Il fatto che il ministero si esprima con un'unica voce sul territorio risponde a una doverosa logica di uniformità nella cura di un interesse pubblico e nel contempo investe le strutture periferiche di una maggiore autorevolezza ed efficacia operativa [22].

Il problema cruciale dell'unificazione delle funzioni di tutela risiede nella definizione del ruolo del soprintendente unico, che non può essere in possesso di una competenza specialistica in tutti i settori nei quali sono articolate le nuove strutture, ed è perciò chiamato a valutazioni che investono il patrimonio nel suo complesso, sulla base delle risultanze delle istruttorie tecniche affidate alla discrezionalità dei responsabili di ciascuna area funzionale [23]. La perdita di una dirigenza tecnica per ogni settore costituisce uno degli ambiti più delicati per l'azione amministrativa in termini sia di operatività che di legittimazione. Il meccanismo decisionale articolato tra dirigenti e responsabili di area necessita di un rafforzamento e di una più articolata qualificazione dal punto di vista delle competenze tecniche e delle responsabilità: una totale divaricazione tra le prime, assegnate ai funzionari, e le seconde, in capo al dirigente, può portare (e nei fatti ha portato) al rifiuto da parte dei soprintendenti di firmare provvedimenti "pesanti" o "scomodi" sui quali non possiedono una specifica preparazione tecnica. Questo atteggiamento, dovuto al comprensibile smarrimento di fronte ad un ruolo del tutto diverso da quello ricoperto in precedenza, rischia di penalizzare non soltanto l'archeologia, ma anche la tutela monumentale e storico-artistica, le quali pure presentano profili estremamente critici sul piano delle responsabilità (si pensi alle autorizzazioni paesaggistiche, a quelle su immobili di pregio o alla delicata attività degli uffici esportazione), dal momento che tutte queste discipline presentano problematiche sfuggenti ai non addetti ai lavori [24].

Le nuove soprintendenze archeologia belle arti e paesaggio hanno scontato fin dal loro avvio gravi problemi legati all'operatività degli uffici [25]: in primo luogo per il complesso e impegnativo momento di distinzione e accorpamento del personale e di snodi cardine per la concretezza dell'attività amministrativa come gli archivi, i laboratori e le biblioteche. Tale difficoltà è ricaduta in maggior misura sul settore archeologico, perché era quello gestito a scala maggiore rispetto agli altri: cosicché in generale il riordino ha comportato lo scorporamento della soprintendenza archeologia a competenza regionale e la riunione alle preesistenti soprintendenze belle arti e paesaggio. Per adeguare ogni organo periferico alle nuove funzioni, in termini sia di dotazioni che di personale, occorrono tempi diversi da quelli imposti dall'attuazione, nelle more dei quali le strutture sono rimaste depotenziate. Sul piano delle procedure, nonostante non fossero avvenuti cambiamenti a livello normativo e quindi i procedimenti che interessano l'amministrazione di tutela fossero rimasti invariati, sono state riscontrate ovunque nelle strutture periferiche forti disfunzioni, come se si fossero uniti corpi estranei e incompatibili. Il "tilt" degli uffici di fronte all'integrazione dei procedimenti a legislazione invariata non dimostra di per sé l'inopportunità dell'accorpamento delle funzioni: semmai esso non ha fatto che portare alla luce del sole le diversissime prassi operative che si erano sedimentate nei diversi organi, rivelando tutti i limiti della frammentazione settoriale che contraddistingue le amministrazioni ad elevato profilo tecnico [26]. È quindi cruciale e doveroso distinguere a quale causa vadano riferite le innegabili e preoccupanti inefficienze nell'ambito archeologico: se all'unificazione delle funzioni di tutela, alla mancanza di una dirigenza tecnica settoriale, alla debolezza del ruolo dei responsabili di area, oppure alla mancanza di confronto, collaborazione e integrazione tra specialisti di discipline diverse, da imputare alla consolidata abitudine (dovuta al precedente assetto organizzativo) a lavorare e decidere in solitudine [27].

Per far fronte al nuovo assetto delle funzioni di tutela in ogni soprintendenza si è dato avvio ad un confronto volto alla definizione delle più idonee prassi di raccordo tra i servizi: confronto che ha coinvolto tutti i funzionari e che ha costituito un positivo momento di censimento delle procedure e di individuazione di tutti gli spazi di integrazione tra gli ambiti della tutela (archeologica, architettonica, paesaggistica, storico-artistica ecc.). Ciò ha costituito la base di una seria e approfondita riflessione sull'attività amministrativa di ogni settore, facendo emergere l'esigenza di sviluppare una visione globale del patrimonio, che non consista nella semplice giustapposizione di prospettive e prescrizioni, ma in una valutazione integrata che valorizzi lo scambio di idee e la formazione, all'interno come all'esterno della soprintendenza, di una sensibilità più attenta a considerare i beni culturali in una prospettiva globale [28]. Il ritorno al distacco settoriale potrebbe costituire un passo indietro, invece che in avanti, rispetto ad un approccio al patrimonio nel senso più integrato ed estensivo, quale si è affermato a partire dalla nozione di "bene culturale" elaborata dalla Commissione Franceschini (1964-1966) fino alle più recenti evoluzioni di concetti come "paesaggio" e "ambiente" e alla correlata trasformazione del diritto globale [29].

La vera criticità sottesa all'accorpamento delle funzioni di tutela consiste nel fatto che all'integrazione sul piano organizzativo non corrisponde un adeguato allineamento sul piano delle norme e dei procedimenti. La 'peculiarità' della tutela archeologica è di fondare il proprio operato in gran parte su leggi diverse dal Codice dei beni culturali: l'archeologia preventiva è regolata dal Codice dei contratti per i lavori pubblici e (ove esistenti) da norme di pianificazione territoriale per quelli privati [30]. Il raccordo tra le funzioni di tutela risente della difficoltà nell'integrare procedimenti che implicano tempi, livelli progettuali e un'estensione dell'ambito di tutela differenti a seconda del settore [31], con il rischio che la semplificazione sul versante esterno sia vanificata da trasmissioni di documenti multiple o eccedenza di prescrizioni: occorrerebbe quindi un tempestivo e coraggioso intervento, se non sul piano legislativo almeno su quello esecutivo, con chiarimenti interpretativi della norma e indicazioni operative da parte degli organi centrali deputati.

Il problema dell'organizzazione degli uffici e della collaborazione tra settori, che costituiscono il fondamento dell'operatività delle soprintendenze, è stato in definitiva gestito e risolto con risultati molto diversi, commisurati alla tempestività e intensità di indirizzi da parte degli organi sovraordinati e alla capacità dei responsabili investiti ad ogni grado dei compiti di istruttoria, coordinamento, direzione: ciò a dimostrazione del fatto che l'organizzazione è fatta di persone e sono queste, in ultima analisi, a definirne la qualità.

4. La valorizzazione: il rapporto tra musei e territorio

La riforma dei musei statali ha ottenuto il favore della principale associazione di categoria (ICOM), destando invece critiche da parte di molti studiosi, associazioni e comitati e suscitando aspre polemiche da parte del personale interno al ministero, che ha accusato la riforma di aver "smantellato" il legame tra i musei e il territorio di appartenenza [32].

In primo luogo, A. Emiliani ha ricordato nel 1973 che la ricomprensione dei musei nell'ambito delle soprintendenze era stata originata "da carenze di strutture e di personale", aggiungendo: "risulta sempre difficile, comunque, spiegare agli studiosi stranieri quale sia il legame che consente a un amministratore preoccupato dalle cure del territorio, e per di più di un territorio complesso qual è quello italiano, di assumere anche la gestione di un organismo altrettanto difficile e specifico quale è appunto quella del museo pubblico" [33]. Che l'amministrazione della tutela e la conduzione di un museo siano attività differenti [34] è difficilmente contestabile: semplicemente era considerato normale che un funzionario archeologo esercitasse entrambe, generalmente acquisendo la direzione del museo presente nel territorio su cui svolgeva le funzioni di tutela o viceversa. La distinzione tra i due ambiti ha costretto i funzionari a scegliere tra due percorsi di carriera molto diversi, pure se accomunabili e in effetti cumulati per molti anni, ma ciò non è sufficiente per considerare tale distinzione infondata o dannosa.

In secondo luogo, è opportuno sottolineare che la distinzione tra soprintendenze e musei statali è questione diversa dal legame tra musei e territorio. Su questo punto si è creata molta confusione tra concetti e ambiti. Occorre innanzi tutto chiedersi in quali termini si pone il rapporto tra musei e territorio. Sul piano istituzionale, vi è una frammentazione che ha origine dall'evoluzione storica dei luoghi di raccolta delle cose d'arte e si fonda sulla competenza regionale in materia di "musei e biblioteche di enti locali" sancita dalla Costituzione nel 1948 (art. 117). Il legame tra i musei di un determinato territorio è quindi fortemente condizionato dalla diversa titolarità degli istituti, segmentata tra lo Stato, a cui compete meno del 10% delle strutture, le Regioni, gli enti locali e diversi altri soggetti, riaffermata dal riformulato art. 117 Cost. che assegna potestà legislativa concorrente tra Stato e regioni in materia di "valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali": cosicché la vera sfida per la valorizzazione consiste nel riuscire a 'fare sistema' in un panorama tanto ricco quanto disarticolato [35]. La distinzione tra soprintendenze e musei, che ha evidentemente riguardato soltanto le strutture statali (poco più di 400 su quasi 4900) [36], non ha pertanto modificato l'assetto istituzionale esistente.

Su un piano più settoriale, nel caso dell'archeologia si è voluto sottolineare un legame tra musei e contesto ambientale molto più stretto rispetto ad esempio alle pinacoteche che ospitano collezioni composte da opere di diversa e spesso lontana provenienza: i musei archeologici infatti raccolgono i materiali emersi dagli scavi condotti nelle zone limitrofe, qualificandosi come musei del territorio e nel contempo come strutture 'vive' che alimentano in continuazione il proprio patrimonio. Il ricovero dei reperti di scavo nei musei statali del territorio era una prassi abituale, poiché solo il soprintendente era deputato a decidere per la consegna e la ricezione e spesso era unico anche il funzionario di riferimento. Dopo l'assegnazione dei musei ai rispettivi Poli, questa consuetudine va riconfermata tramite accordi tra i dirigenti: non è forse opportuno lasciare che aspetti cruciali sul piano operativo siano lasciati ad intese tra i responsabili, ma c'è da chiedersi se lo scarsissimo grado di comunicazione e collaborazione tra dirigenti che caratterizza il ministero non sia da considerare, piuttosto che una valida ragione per negare validità all'autonomia dei musei, un altro problema da affrontare [37]. A ciò si aggiunga che il ruolo di musei territoriali viene spesso assunto anche dagli istituti degli enti locali, che accolgono anch'essi una straordinaria quantità di materiali archeologici grazie a decenni di collaborazione istituzionale in cui l'esigenza statale di tutelare i reperti emersi dagli scavi si incontrava con il desiderio di comuni e province di conservarli nel territorio di provenienza. Questo fenomeno dimostra come il legame tra le soprintendenze e i musei del territorio fosse radicato a prescindere dallo statuto di questi ultimi. Se in numerosissimi casi è stato possibile attivare proficue forme di convergenza tra le soprintendenze e gli enti locali, a maggior ragione il legame con i musei statali non dovrebbe perdersi, bensì trovarsi privilegiato, trattandosi di strutture che si trovano all'interno dello stesso ministero [38].

È indubbio che la distinzione tra soprintendenze e musei abbia posto intricati problemi sul piano operativo, che hanno riguardato in primo luogo la delicata riassegnazione di istituti, edifici, personale e strutture. Tale operazione si è rivelata particolarmente complessa nel settore considerato [39], soprattutto con riferimento ai depositi di materiali archeologici. Questi ultimi conservano una mole, di entità inimmaginabile ai non addetti ai lavori, di manufatti provenienti dagli scavi delle soprintendenze, che solo in rari casi sono catalogati o quantomeno censiti: il rapporto tra i reperti inventariati e quelli che non lo sono (non facendo quindi parte del patrimonio indisponibile dello Stato) è allarmante e si colloca molto al di sotto dell'1%. La pericolosa situazione di mancata identificazione del patrimonio da tutelare (tale da compromettere la distinzione, all'interno dello stesso magazzino, tra i materiali appartenenti alle raccolte dei musei e quelli afferenti alle soprintendenze ma anche - nel lungo periodo - tra i diversi contesti), deriva da un lato dalla progressiva estensione della nozione di "bene culturale" con il conseguente aumento esponenziale dei reperti raccolti in scavo e la correlata mancanza di adeguate risorse per le attività di restauro, inventariazione e catalogazione.

D'altro lato essa è il risultato di un radicato e persistente atteggiamento di chiusura di funzionari e dirigenti del ministero verso lo studio dei reperti da parte di soggetti esterni all'amministrazione (in particolare le università) [40], con la rivendicazione di "proprietà" scientifiche e relative "riserve" sui dati di scavo e i materiali, i quali per loro natura sono pubblici (art. 91 e 122 d.lg. 42/2004). È opportuno richiamare alcune "Dichiarazioni" tratte dai lavori della Commissione Franceschini, molto spesso evocata dagli archeologi del ministero:

XVII - Godimento pubblico dei Beni culturali: "Dei Beni culturali devono essere assicurate adeguate forme di godimento pubblico e la più ampia facoltà di studio";

XXI - Informazione scientifica: "Di ogni attività di rinvenimento, di conservazione e di restauro, di valorizzazione di Beni culturali, l'Amministrazione (...) dà pronta comunicazione al pubblico, nelle forme più idonee sia ai fini scientifici sia a quelli della conoscenza culturale (...)";

XXX - Pubblicazione di campagne di scavo e di beni rinvenuti: "(...) Sono vietate le riserve di pubblicazione di durata superiore ai cinque anni, anche in ordine a vecchi scavi e a beni archeologici inediti" [41].

Si tratta di un problema che preesiste di gran lunga alla riforma, drammaticamente emerso in occasione del riordino degli uffici e al quale tuttavia viene dato scarso rilievo. Sarebbe invece questa un'ottima occasione per programmare una seria attività di catalogazione dei beni conservati nei magazzini di soprintendenze e musei: operazione lunga e complessa ma non inattuabile (se si considera il possibile e prezioso supporto delle università) e soprattutto rispondente ad una necessità ormai ineludibile [42].

5. Conclusioni

Come ha ricordato R. Cecchi, le disfunzioni della macchina burocratica sono "il sintomo di un sistema malato, non (...) la malattia" [43]. È di grande importanza riuscire a determinare, attraverso un'analisi rigorosa e non viziata da pregiudizi, se l'attuale sofferenza dell'archeologia all'interno del Mibac sia dovuta al modello organizzativo adottato, alle criticità legate alla sua realizzazione o a problemi radicati e latenti, per individuare una terapia che non si riveli peggiore del male. Per convincere che il ritorno a uno status quo - di cui fino alla viglia della riorganizzazione si lamentavano le carenze - possa risolvere i problemi della tutela archeologica in Italia occorrerebbe provare che l'integrazione dell'archeologia con gli altri settori sia in sé distruttiva per quest'ultima, dimostrando che i gravi problemi sedimentatisi negli anni non siano dovuti al precedente assetto organizzativo [44], ma anzi siano attraverso quest'ultimo meglio risolvibili.

Va registrato come le criticità nell'attuazione della riforma e la mancanza di accompagnamento e coinvolgimento da parte del centro, soprattutto sul versante periferico maggiormente investito dai cambiamenti, hanno innescato un fenomeno di resistenza da parte dell'apparato, sfociato in un circolo vizioso di rivendicazioni e rimbalzi di responsabilità che erodono progressivamente l'operatività degli uffici e la motivazione del personale [45]. Questa situazione costituisce il primo e il più urgente dei problemi da affrontare, per evitare il rischio di un'autoreferenzialità difficilmente sostenibile nell'attuale quadro istituzionale, poco comprensibile per la collettività perciò in definitiva nociva per la legittimazione dell'operato degli addetti ai lavori.

Poiché al di là dei modelli organizzativi ciò che conta è il modo concreto di operare, il che chiama in causa la caratura delle figure chiamate a gestire questo periodo di cambiamenti [46], occorre ripartire dalle persone: in primo luogo dalla responsabilizzazione di tutti i livelli dell'amministrazione, perché la maggior parte delle criticità lamentate riguardano problemi organizzativi per cui è necessario (e sufficiente) saper prendere decisioni e agire nella consapevolezza che ciascuno faccia la propria parte [47]. Occorre poi recuperare il coinvolgimento dell'apparato valorizzando e potenziando le elevatissime competenze specialistiche dei funzionari, ai quali è necessario fornire una preparazione più specifica in materia amministrativa [48] e più ancora occasioni di formazione, aggiornamento, incontro e trasferimento di conoscenze ed esperienze, l'unica strada per 'educarsi' all'interdisciplinarietà e alla collegialità.

Fin dai lavori della Commissione Franceschini (1964-1966) era stato avvertito come il vero problema del Mibac non fosse quello della carenza di risorse umane e materiali (ad entrambe le quali peraltro gli interventi recenti hanno cercato di porre rimedio), bensì l'inadeguatezza del sistema stesso della tutela [49]. È quindi il caso di richiamare un ammonimento antico e sempre attuale: "Certo, nel campo pratico c'è moltissimo da fare. Ma è vano sperare che si faccia, moltiplicando i funzionari (...), senza rinnovarne gli spiriti" [50].

 

Note

[*] Sono grata alla direzione di Aedon per aver accolto questo contributo all'interno della Rivista; rivolgo un particolare ringraziamento al prof. Lorenzo Casini e al prof. Marco Cammelli, per aver stimolato e arricchito il mio percorso di studi. Il testo qui presentato costituisce l'esito del lavoro svolto per la tesi finale del Master Interuniversitario in Diritto Amministrativo (MIDA, discussa nell'aprile 2017) e delle successive riflessioni, qui espresse a titolo personale, maturate attraverso l'attività svolta all'interno di diversi uffici del ministero.

[1] Ne costituiscono la premessa i lavori della Commissione di studio istituita con decreto del Ministro Massimo Bray il 9 agosto del 2013: Commissione per il rilancio dei beni culturali e del turismo e per la riforma del Ministero in base alla disciplina della revisione della spesa, Relazione finale, 31 ottobre 2013. La riorganizzazione è stata realizzata attraverso molteplici atti, di cui si richiamano quelli principali: d.p.c.m. 29 agosto 2014, n. 171, modificato dal d.p.c.m. 1 dicembre 2017, n. 238, d.m. 23 gennaio 2016, n. 43 e d.m. 23 gennaio 2016, n. 44, rimandando per l'archivio completo al sito istituzionale www.beniculturali.it.

[2] Un'ampia trattazione sui fondamenti, i metodi e gli obiettivi della riforma è in L. Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, Bologna, Il Mulino 2016. Il nuovo assetto del ministero è illustrato e commentato in Diritto del patrimonio culturale, (a cura di) C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, G. Sciullo, Bologna, Il Mulino, 2017. Per il dibattito sorto sul tema si vedano G. Volpe, Un patrimonio italiano. Beni culturali, paesaggio e cittadini, Torino, Utet, 2016 e alcuni luoghi di discussione sul web come www.patrimoniosos.it e il forum sulla Riforma dei Beni culturali attivato dal Fondo Ambiente Italiano (www.fondoambiente.it).

[3] Appello agli archeologi del 17 dicembre 2018 (www.inasaroma.org); si veda anche https://apimibact.wordpress.com.

[4] Per una storia del sistema di tutela in Italia si rimanda a A. Emiliani, Musei e museologia, in Storia d'Italia. I documenti, volume 5**, Torino, Einaudi, 1973, pagg. 1625-1629. Per il periodo che va dall'unità d'Italia al 1909 uno strumento fondamentale di raccolta e analisi dell'evoluzione delle strutture sia periferiche che centrali è nei due volumi di M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni, Monumenti e Istituzioni, Parte I. La nascita del servizio di tutela dei monumenti in Italia, 1860-1880, Firenze, Alinea, 1987 e M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni, Monumenti e Istituzioni, Parte II. Il decollo e la riforma del servizio di tutela dei monumenti in Italia, 1880-1915, Firenze, Alinea, 1992.

[5] Relazione sul Rendiconto generale dello Stato 2008, vol. II, punto 2.5, pag. 820.

[6] A. Emiliani, Leggi, bandi e provvedimenti per la tutela dei Beni Artistici e Culturali negli antichi stati italiani 1571-1870, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1978, pg. 1.

[7] A. Ranaldi, Da Rava-Rosadi a Ricci. La legge del 1909, questioni di terminologia e tutela, in 1909: le prime norme per l'antichità e le belle arti, Atti del convegno, Bologna 1 ottobre 2009, in Da "cose di interesse" ai "beni culturali". Ricerche e dibattiti negli uffici MiBAC dell'Emilia Romagna, (a cura di) P. Farinelli, P. Monari, Bologna, Minerva, 2012, pagg. 23-37; A. Ranaldi, L'evoluzione nel tempo degli organi periferici di tutela. Dagli Uffici Regionali alle Soprintendenze fino all'attuale articolazione del MiBAC, in La riforma del Ministero per i Beni e le Attività Culturali compie 10 anni, Atti del seminario, Ferrara 1 aprile 2011, in Da "cose di interesse" ai "beni culturali". Ricerche e dibattiti negli uffici MiBAC dell'Emilia Romagna, cit., pagg. 157-159; R. Balzani, Per le antichità e le Belle Arti: la legge n. 364 del 20 giugno 1909 e l'Italia giolittiana. Dibattiti storici in Parlamento, Bologna, Il Mulino, 2003.

[8] V. Cazzato (a cura di), Istituzioni e politiche culturali in Italia negli anni Trenta, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2001; S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, in Rass. arch. St., 1975, pagg. 116-142.

[9] F. Merusi, Art. 9, in Commentario della Costituzione, diretto da G. Branca, Bologna-Roma, Zanichelli-Il Foro italiano, 1975, I, pag. 442; S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, cit., pag. 131; S. Cassese, I beni culturali: sviluppi recenti, in Beni culturali e comunità europea, (a cura di) M.P. Chiti, Milano, Giuffrè, 1994, pag. 342; S. Settis, Paesaggio, Costituzione, Cemento. La battaglia per l'ambiente contro il degrado civile, Torino, Einaudi, 2010.

[10] Istituito con il decreto legge 14 dicembre 1974, n. 657 (convertito in legge 29 gennaio 1975, n. 5): G. Spadolini, Una politica per i beni culturali. Discorsi alla Camera e al Senato della Repubblica per la conversione del decreto istitutivo del Ministero, Firenze, Colombo, 1975. "Perché si è creata un'organizzazione nuova con funzioni vecchie?" si chiedeva S. Cassese (S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, cit., pag. 116).

[11] Riforme e decentramento alla prova dei fatti: i beni e le attività culturali nel d.lg. 112/1998 (Tavola rotonda), in Aedon, 1998, n. 1; L'istituzione del ministero per i Beni e le Attività culturali nel quadro delle riforme amministrative (Giornata di studio del 12 marzo '99), in Aedon 1999, 1; Il regolamento di organizzazione del ministero dei beni e delle attività culturali: scelte e modelli, Tavola rotonda promossa dall'Associazione per l'economia della cultura e da Aedon, Roma 9 marzo 2000, in Aedon, 2000, 2; Il riordino del ministero nel sistema dei beni culturali (giornata di studio, 25 novembre 2004, Roma, Musei Capitolini), in Aedon, 2005, 1; G. Sciullo, Il 'Lego' istituzionale: il caso del Mibac, in Aedon, 2006, 3; G. Sciullo, Il Mibac dopo il d.p.r. 91/2009: il "centro" rivisitato, in Aedon, 2009, 3.

[12] M. Cammelli, Un passaggio chiave del federalismo amministrativo: il riordino dell'amministrazione periferica dello Stato, in Aedon, 1998, 2; M. Cammelli, Intervento, Tavola Rotonda Il regolamento di organizzazione del ministero dei beni e delle attività culturali: scelte e modelli, cit.

[13] Testo Unico per i beni culturali e ambientali: una prima valutazione (Tavola rotonda, Bologna, 16 maggio 2000), in Aedon, 2000, 2; Il nuovo Codice dei Beni culturali. Primi commenti, in Aedon, 2004, 1; I beni culturali e il paesaggio dopo le ultime riforme, in Aedon, 2006, 2; Le modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio dopo i decreti legislativi 62 e 63 del 2008, in Aedon, 2008, 3.

[14] M. Cammelli, I tre tempi del Ministero dei beni culturali, in Aedon, 2016, 3; M. Cammelli, L'ordinamento dei beni culturali tra continuità e innovazione, in Aedon, 2017, 3.

[15] Ministero della Pubblica Istruzione. Note illustrative allo schema di regolamento per l'esecuzione delle legge 12 giugno 1902, n. 185, Roma 1903, citato in M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni, Monumenti e Istituzioni, Parte II. Il decollo e la riforma del servizio di tutela dei monumenti in Italia, 1880-1915, cit., pag. 185.

[16] Per le soprintendenze agli scavi e ai monumenti venne mantenuto il criterio regionale o interregionale; l'articolazione maggiore venne attuata per le soprintendenze ai monumenti, mentre una suddivisione intermedia venne messa in atto per le soprintendenze alle gallerie. Cfr. M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni, Monumenti e Istituzioni, Parte II. Il decollo e la riforma del servizio di tutela dei monumenti in Italia, 1880-1915, cit., pagg. 195-196.

[17] M. Grisolia, La tutela delle cose d'arte, Roma, Società Editrice Il Foro italiano, 1952, pag. 512; M. Grisolia, Il riordinamento delle soprintendenze all'arte e alle antichità, in Il Resto del Carlino 27 luglio 1939, ora in Istituzioni e politiche culturali in Italia negli anni Trenta cit., pagg. 627-629.

[18] C. Pavolini, Per una soprintendenza unica, in Ostraka, V, 1, pagg. 377-387; Manacorda, Università e tutela dei beni archeologici: prospettive di cooperazione, in Aedon, 1999, 1; A. Ricci, Attorno alla nuda pietra. Archeologia e città tra identità e progetto, Roma, Donzelli, 2006, pag. 127; G. Sciullo, L'organizzazione periferica, in Aedon, 2005, 1; S. Casciu, Il tema delle sponsorizzazioni / erogazioni liberali visto dalla parte delle Soprintendenze: difficoltà, equivoci, burocrazia, mentalità, in Aedon, 2013, 2; G. Sciullo, La riforma dell'amministrazione periferica, in Aedon, 2015, 1; G. Volpe, Patrimonio al futuro. Un manifesto per i beni culturali e il paesaggio, Milano, Electa, 2015, pagg. 34-37; G. Volpe, Un patrimonio italiano. Beni culturali, paesaggio e cittadini, cit., pagg. 187-200.

[19] Parole di C. Pavone (L'inserimento dell'amministrazione archivistica nel Ministero per i beni culturali, in La Regione e gli archivi locali in Lombardia, (a cura di) E. Rotelli, Milano, Regione Lombardia, 1976, pagg. 62-63) riprese da S. Vitali, Il processo di riforma e i suoi limiti, in La riforma del Ministero per i Beni e le Attività Culturali compie 10 anni, cit., pagg. 142-143.

[20] F.M. Gambari, Tutela archeologica e organizzazione del MiBAC: modernità e razionalizzazione sono ancora un obiettivo lontano?, in La riforma del Ministero per i Beni e le Attività Culturali compie 10 anni, cit., pagg. 147-148.

[21] L. Casini, L'essenziale è (in)visibile agli occhi: patrimonio culturale e riforme, in Aedon, 2015, 3; L. Casini, La riforma del Mibact tra mito e realtà, in Aedon, 2016, 3; G. Sciullo, Legge Madia e amministrazione del patrimonio culturale: una prima lettura, in Aedon, 2015, 3.

[22] G. Sciullo, La riforma dell'amministrazione periferica, cit.; L. Casini, Ereditare il futuro, cit., pag. 189.

[23] G. Sciullo, Direzione generale "unica" e soprintendenze "uniche", in Aedon, 2016, 1.

[24] Mette bene in luce il senso di incertezza e le sue cause R. Cecchi, Abecedario. Come proteggere e valorizzare il patrimonio culturale italiano, Milano, Skira, 2015. L'ambigua definzione degli ambiti e delle responsabilità traspare anche dalla recente circolare della direzione generale archeologia belle arti e paesaggio n. 4 del 18/01/2019 (www.ic_archeo.beniculturali.it) in materia di concessioni di scavo, ove si afferma l'"inopportunità di confermare le deleghe a suo tempo concesse (in apparente continuità con il preesistente assetto organizzativo) dal direttore generale archeologia belle arti e paesaggio ai dirigenti territoriali", in considerazione "del fatto che a dirigere le neoistituite soprintendenze archeologia belle arti e paesaggio sono stati chiamati anche dirigenti architetti e storici dell'arte".

[25] M. Cammelli, L'avvio della riforma del Mibact: echi dalla periferia, in Aedon, 2016, 1.

[26] M. Cammelli, Nuova legislatura e patrimonio culturale: il tempo è scaduto, in Aedon, 2012, 3; M. Cammelli, Bonus cultura e riorganizzazione del ministero: navigazione difficile, direzione giusta, in Aedon, 2014, 2; M. Cammelli, Il grimaldello dei tagli della spesa nella riorganizzazione del Mibact, in Aedon, 2015, 1; M. Cammelli, Problemi, soluzioni, riforme, in Aedon, 2016, 2; G. Sciullo, Legge Madia e amministrazione del patrimonio culturale: una prima lettura, in Aedon, 2015, 3.

[27] M. Cammelli, L'avvio della riforma del Mibact: echi dalla periferia, cit.

[28] "Lavorare per punti è come operare un distacco tra valori": R. Cecchi, Abecedario. Come proteggere e valorizzare il patrimonio culturale italiano, cit., pag. 135; G. Pastori, Tutela e valorizzazione dei beni culturali in Italia: situazione in atto e tendenze, in Aedon, 2004, 3; P. Capriotti, Per un approccio integrato al patrimonio culturale, in Aedon, 2017, 1.

[29] L. Casini, Oltre la mitologia giuridica dei beni culturali, in Aedon 2012, 1-2; L. Casini, La globalizzazione giuridica dei beni culturali, in Aedon, 2012, 3; L. Casini, Un patrimonio culturale senza frontiere?, in Aedon, 2018, 2; P. Carpentieri, Il ruolo del paesaggio e del suo governo nello sviluppo organizzativo e funzionale del Ministero e delle sue relazioni inter-istituzionali, in Aedon, 2018, 2; T. Montanari (a cura di), Costituzione incompiuta. Arte, paesaggio, ambiente, Torino, Einaudi, 2013; S. Settis, Italia S.p.A. L'assalto al patrimonio culturale, Torino, Einaudi, 2002; S. Settis, Battaglie senza eroi, Milano, Electa, 2005; S. Settis, Paesaggio, Costituzione, Cemento. La battaglia per l'ambiente contro il degrado civile, Torino, Einaudi, 2010.

[30] A. Bondini, Archeologia e lavori pubblici, in Beni culturali. Programmazione, sponsorizzazione e valorizzazione, (a cura di) M.A. Cabiddu, M.C. Colombo, Collana Appalti pubblici, Gruppo24ore, 2018, vol. 5, pagg. 61-83.

[31] A titolo di esempio, si pensi, con riguardo ai tempi, alle autorizzazioni paesaggistiche comprese nell'ambito della conferenza di servizi; per ciò che concerne i livelli progettuali, in generale il parere monumentale è dato sul progetto definitivo mentre la tutela archeologica comincia con lo studio di fattibilità tecnica ed economica; quanto al terzo punto, l'estensione dell'ambito di intervento si rivela 'a geometria variabile' per cui non è sempre possibile sottoporre il medesimo progetto alle prescrizioni di tutti i settori.

[32] Su questo argomento si rimanda alla discussione e ai dettagliati riferimenti contenuti in D. Lamonica, Assetti della tutela: centro e periferie, musei e soprintendenze, in Riv. trim. sc. amm., 2016,1. Si vedano in particolare: T. Montanari, Istruzioni per l'uso del futuro. Il patrimonio culturale e la democrazia che verrà, Roma, Minimumfax, 2014; T. Montanari, Privati del patrimonio, Torino, Einaudi, 2015; D. Manacorda, L'Italia agli italiani. Istruzioni e ostruzioni per il patrimonio culturale, Bari, Edipuglia, 2014; S. Settis, Azione popolare. Cittadini per il bene comune, Torino, Einaudi, 2014.

[33] A. Emiliani, Musei e museologia, cit., pagg. 1632-1633.

[34] Si pensi ad esempio all'opposto peso, nei due ambiti, rivestito dall'esercizio di poteri autoritativi, così come venuto in rilievo nella questione delle nomine dei direttori dei musei: Cons. St., Ad. Pl., sentenza 25 giugno 2018, n. 9; M. Cammelli, Direttori dei musei: grandi riforme, piccole virtù e un passato che non passa, in Aedon, 2018, 1.

[35] L. Casini, Il "nuovo" statuto giuridico dei musei italiani, in Aedon, 2014, 3; L. Casini, La lentissima formazione dei musei statali in Italia, in Impresa cultura. Creatività, partecipazione, competitività, XII rapporto annuale Federculture, Roma, Gangemi, 2016, pagg. 39-59, pag. 54.

[36] ISTAT: "I musei, le aree archeologiche e i monumenti in Italia", Comunicato stampa 29/01/2019: www.istat.it.

[37] Dall'esterno si ha chiara consapevolezza dell'atteggiamento di "geloso presidio del proprio settore" da parte dei soprintendenti: G. Sciullo, L'organizzazione periferica, cit.

[38] I richiami alla collaborazione si avvertono fin dai primi momenti di vita delle soprintendenze; tra i tanti, si segnala la circolare (1900) destinata ai prefetti presidenti delle commissioni conservatrici dei monumenti per correggere lo scollamento tra gli uffici preposti alla tutela e la mancanza di "quella reciprocità di comunicazione che è indispensabile al retto funzionamento delle istituzioni stesse e al migliore vantaggio di quelle opere, alla cui conservazione debbano essere rivolte assidue e amorevoli cure": M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni, Monumenti e Istituzioni, Parte II. Il decollo e la riforma del servizio di tutela dei monumenti in Italia, 1880-1915, cit., pagg. 162-165.

[39] L. Casini, Il "nuovo" statuto giuridico dei musei italiani, cit.; L. Casini, Ereditare il futuro, cit., pag. 190; L. Casini, La lentissima formazione dei musei statali in Italia, cit., pag. 57.

[40] D. Manacorda, Università e tutela dei beni archeologici: prospettive di cooperazione, cit.; D. Manacorda, L'Italia agli italiani. Istruzioni e ostruzioni per il patrimonio culturale, cit., pagg. 141-144.

[41] Per la salvezza dei beni culturali, Roma, Colombo, 1967, volume I, pagg. 44, 50, 61.

[42] La gravità della situazione non è sfuggita a Marco Cammelli, che da qualche anno ha riproposto un problema prima sopito, sollecitando almeno una tempestiva inventariazione-identificazione: M. Cammelli, Nuova legislatura e patrimonio culturale: il tempo è scaduto, cit.; M. Cammelli, Il grimaldello dei tagli della spesa nella riorganizzazione del Mibact, cit; M. Cammelli, Problemi, soluzioni, riforme, cit.

[43] R. Cecchi, Abecedario. Come proteggere e valorizzare il patrimonio culturale italiano, cit., pag. 114.

[44] R. Cecchi nel 2015 illustra invece come le tante (e innegabili) disfunzioni dell'amministrazione dei beni culturali dipendano dalla struttura organizzativa, "alle cui carenze non riescono a far fronte neanche l'abnegazione e la professionalità di chi svolge questo mestiere" (Abecedario. Come proteggere e valorizzare il patrimonio culturale italiano, cit., pag. 147).

[45] La riorganizzazione del Mibact alla prova dei fatti: l'amministrazione periferica, nota della Direzione della Rivista (4 aprile 2016), in Aedon, 2016, 1; M. Cammelli, L'avvio della riforma del Mibact: echi dalla periferia, cit.; M. Cammelli, Problemi, soluzioni, riforme, cit.; M. Cammelli, La carta di Padula: la parola ai soprintendenti, in Aedon, 2011, 2.

[46] M. Cammelli, Voci dall'interno - Decentramento amministrativo e patrimonio culturale (a proposito del saggio di Emanuela Carpani), in Aedon, 2009, 3; M. Cammelli, La riga della prima riga, ovvero: ragionando su Art Bonus e dintorni, in Aedon, 2014, 3.

[47] "Non c'è dubbio che dei tanti problemi che esistono in questa materia, l'assoluta maggioranza è solubile con gli strumenti propri dell'armamentario proprio di qualunque amministrazione pubblica": M.S. Giannini, Ristrutturiamo il Ministero dei beni culturali (1986), ora in Id., Scritti, VIII, Milano, Giuffrè, 2006, pag. 541.

[48] Molto dure le parole di M.S. Giannini sui funzionari tecnici del ministero: "la loro massiccia incompetenza giuridica costituisce tuttora una delle maggiori difficoltà che si incontrano in sede di riforma: lo dovette constatare la Commissione Franceschini prima, quella Papaldo poi...": M.S. Giannini, Uomini, leggi e beni culturali (1971), ora in Id., Scritti, VI, Milano, Giuffrè, 2005, pag. 289.

[49] "La Commissione d'indagine ha tratto il sicuro convincimento che lo stato di generale precarietà e decadenza del patrimonio archeologico, artistico, storico, ambientale, librario ed archivistico italiano non può essere attribuito esclusivamente, e neppure prevalentemente, ad una deficienza quantitativa di personale e di finanziamento delle competenti Amministrazioni pubbliche di tutela, come spesso si è affermato o si afferma; ma deve essere spiegato, soprattutto, come conseguenza di un basilare difetto d'impostazione del sistema stesso della tutela dei beni culturali, tale da esigere non miglioramenti o perfezionamenti, bensì rimedi di natura radicale": Per la salvezza dei beni culturali, cit., I, pagg. 5-6. L'inadeguatezza dell'assetto preesistente è considerata alla base di un sicuro sotto-utilizzo tanto delle risorse materiali quanto di quelle umane: R. Cecchi, Abecedario. Come proteggere e valorizzare il patrimonio culturale italiano, cit., in particolare pag. 12, 147.

[50] F. Malaguzzi Valeri, Editoriale, in Il Marzocco, S.E. l'Arte, 21 settembre 1919, citato in G.P. Cammarota, Una premessa fondamentale: la legge del 1907, in Da "cose di interesse" ai "beni culturali". Ricerche e dibattiti negli uffici MiBAC dell'Emilia Romagna, cit., pagg. 40-41.

 

 



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