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I musei: organizzazione e gestione

Il "nuovo" statuto giuridico dei musei italiani [*]

di Lorenzo Casini

Sommario: 1. Lo "sviluppo lentissimo" dei musei italiani e la riforma del 2014. - 2. La creazione di un sistema museale nazionale e il riconoscimento dell'autonomia dei musei statali. - 3. I modelli organizzativi e lo statuto giuridico dei musei statali. - 4. Il ruolo strategico delle soprintendenze. - 5. Conclusioni.

The "New" Legal Status of State Museums
The article examines the reform of the Ministry of Cultural Heritage and Tourism (d.p.c. no. 171/2014), with specific regard to museums. The analysis deals with three main issues: the creation of a national system of museums and the recognition of the autonomy of state museums; the institutional models and the legal status of state museums; and the strategic role of the Ministry's field offices (namely, the "soprintendenze").

Keywords: Museums; Cultural Heritage; Administrative Reforms; Field Administration.

1. Lo "sviluppo lentissimo" dei musei italiani e la riforma del 2014

"La vendita dei biglietti per l'ingresso nel palazzo ducale di Venezia sarà fatta presso la scala d'oro del palazzo stesso, ove saranno anche distribuiti i biglietti per entrata gratuita alle persone che ne hanno diritto. Ciascun biglietto sarà a matrice e diviso in quattro cedole: la prima per visitare il secondo piano; la seconda per le sale del maggior consiglio e dello scrutinio; la terza per visitare il museo archeologico; la quarta per le prigioni dei pozzi. I visitatori consegneranno ai custodi delle diverse località cennate [...], le cedole che riguardano le località medesime. Ciascuno dei suddetti custodi perforerà con apposito punzone le cedole ritirate, e le gitterà in una cassetta bucata della quale terrà la chiave l'agente responsabile della riscossione della tassa d'entrata" [1].

Così recitava il "Regolamento generale per la riscossione e pel conteggio della tassa d'ingresso nei Musei, nelle Gallerie, negli Scavi e nei Monumenti nazionali", il regio decreto n. 3191 del 1885, in cui erano dettate norme speciali sul Palazzo ducale di Venezia [2]. Con un regio decreto, quindi, era regolato 130 fa l'ingresso in quello che è oggi il terzo "museo" più visitato d'Italia, con oltre un milione di ingressi l'anno. Diverse cose da allora sono cambiate nelle politiche museali italiane, ma, occorre riconoscerlo, i mutamenti sono avvenuti con profonda lentezza. Basti menzionare che il citato regio decreto del 1885 è stato abrogato ben un secolo dopo, quando nel 1997 la tassa di ingresso venne trasformata in biglietto.

Nel 2014, la riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact) cambia in modo significativo l'amministrazione italiana dei beni culturali - e forse davvero per la prima volta dal 1974, quando il Ministero venne istituito. In particolare, la riforma, attuata con il d.p.c.m. 29 agosto 2014, n. 171 (Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance, a norma dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89), avvia una importante trasformazione proprio con riguardo ai musei.

In questo scritto sono perciò analizzati gli aspetti del nuovo regolamento di organizzazione più strettamente attinenti ai musei: 1) la creazione di un sistema museale nazionale e il riconoscimento dell'autonomia dei musei statali; 2) i modelli organizzativi disegnati dalla riforma per tali istituti e il loro statuto giuridico; 3) il mutato ruolo delle soprintendenze.

Prima di esaminare questi tre aspetti, però, occorre sottolineare un dato della riforma che non sembra ancora essere emerso in tutta la sua portata. Alla base della riorganizzazione, infatti, vi è un preciso progetto culturale, quello di recuperare la missione di educazione e di ricerca che dovrebbe competere all'amministrazione dei beni culturali in Italia. Ciò riguarda l'intera struttura, non solo la neo istituita Direzione generale "Educazione e ricerca" - che non a caso è la prima ad essere elencata e regolata, a conferma del suo ruolo chiave - ma anche tutti gli uffici periferici. Inoltre, sono già stati siglati protocolli di intesa tra Mibact e Miur, così come sarà oggetto di riforma l'intero sistema di formazione del Ministero.

Si è voluto quindi rispondere, pur con qualche decennio di distanza, ai rilievi che venivano mossi all'amministrazione dei beni culturali, tra gli altri, da Ranuccio Bianchi Bandinelli e da Giulio Carlo Argan già negli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo. Bianchi Bandinelli osservava come le "preoccupazioni" gestionali e amministrative assorbissero completamente l'attività dei soprintendenti, impossibilitati perciò a "seguitare" a essere studiosi [3]. Argan notava come i musei italiani fossero incapaci di svolgere un ruolo attivo nella educazione e nella formazione, avessero uno "sviluppo lentissimo", una funzione con "un raggio limitatissimo" e una "presa" minima sulla società contemporanea, senza alcun legame con l'insegnamento nelle scuole e nelle università [4].

La riforma del Ministero va quindi letta innanzitutto come tentativo di migliorare tutto ciò, collegando l'amministrazione per i beni culturali alla scuola, all'università e alla ricerca, come richiesto dall'art. 9 Cost., in cui la promozione dello sviluppo della cultura e quella della ricerca scientifica e tecnica sono giustamente affiancate. Così come lo sono l'arte e la scienza nell'art. 33. Del resto, basta considerare che i maggiori musei del mondo possono tutti contare su un proprio dipartimento o una propria sezione dedicati alla ricerca (e, in Italia, il Museo d'Arte contemporanea Donna Regina (MADRE) di Napoli ne è un esempio). E il ripristino nel Ministero di una Direzione generale dedicata all'arte e all'architettura contemporanee e alle periferie urbane deve essere letta nella medesima ottica.

2.  La creazione di un sistema museale nazionale e il riconoscimento dell'autonomia dei musei statali

Con particolare riguardo ai musei, il primo profilo riguarda la creazione di un sistema museale nazionale e il conferimento di maggiore autonomia ai musei statali: iniziative, queste, attese in Italia da decenni, ma, al contempo e forse proprio per questo, aspramente criticate. Al netto di ogni vis polemica, certo nessuno in Italia può seriamente sostenere che i nostri musei siano all'avanguardia, né tanto meno che essi, nel complesso, siano un modello per il mondo intero.

Si può qui richiamare la riflessione di Umberto Eco sui tre principali "difetti" del museo tradizionalmente inteso, difetti che Eco ricava dai pensieri di Paul Valéry degli anni Venti. Il Museo "i) era un ambiente silenzioso, oscuro, non amichevole; ii) dove la mancanza di contesto per le singole opere rendeva difficile percepirle individualmente o memorizzarle tutte; e iii) opprimeva per la sua ingordigia" [5]. Eco ritiene che i musei contemporanei abbiano superato i primi due difetti, perché oggi essi sono luoghi luminosi, in cui chi entra è spesso preso per mano nel percorso di visita; il terzo tratto sarebbe invece ineliminabile perché il museo nasce come "lista aperta", ed è dunque teso ad accrescere la propria collezione. Ebbene, si condivida o no questa visione, bisogna ammettere che in Italia la maggior parte dei musei non solo non ha ancora vinto i primi due limiti - perché prevalgono sale buie e prive di sufficienti informazioni al visitatore - ma anche che, a causa degli esigui mezzi finanziari, forse mai i musei italiani sono stati davvero in grado di esprimere la terza caratteristica, ossia il "vorace" desiderio di crescita. A conferma di ciò, il fatto che nella lingua italiana il termine "museificare" è usato in modo spregiativo, nel senso di "rendere antiquato e superato, attribuendo caratteri inattuali"[6].

Il ritardo dei musei italiani, del resto, emerge anche dagli impietosi dati forniti da Museum Analytics circa l'uso dei siti web e dei social network: qui il primo nostro museo è il MAXXI, con appena 80mila "Mi piace" su Facebook (116° posto in classifica), contro le centinaia di migliaia, ad esempio, del Prado e del Victoria & Albert Museum [7]. Con quale strategie e quali mezzi è possibile migliorare tutto questo?

La riforma agisce innanzitutto lungo due principali linee di azione: la creazione di un sistema museale nazionale e il riconoscimento di maggiore autonomia agli istituti.

In primo luogo, quindi, è costituita una Direzione generale centrale, dotata di articolazioni periferiche su tutto il territorio nazionale, dedicata ai musei. Si tratta, rispettivamente, della Direzione generale Musei e dei poli museali regionali.

La Direzione generale cura - come l'omologa struttura francese - le collezioni dei musei e dei luoghi della cultura statali, con riferimento alle politiche di acquisizione, prestito, catalogazione, fruizione e valorizzazione; sovraintende al sistema museale nazionale e coordina i poli museali regionali; svolge altresì funzioni e compiti di valorizzazione del patrimonio culturale con riguardo a tutti gli istituti e luoghi della cultura che siano di pertinenza dello Stato o costituiti dallo Stato (art. 20). La Direzione è articolata in due servizi dirigenziali, anche questi ispirati al modello francese: il primo competente degli affari generali e delle collezioni (occupandosi di prestiti e acquisti, ad esempio); il secondo servizio della gestione e della valorizzazione dei musei e dei luoghi della cultura.

I poli museali regionali, articolazioni della Direzione generale Musei (e dunque i dirigenti dei poli sono nominati dal relativo direttore generale), assicurano sul territorio l'espletamento del servizio pubblico di fruizione e di valorizzazione degli istituti e dei luoghi della cultura in consegna allo Stato o allo Stato comunque affidati in gestione, provvedendo a definire strategie e obiettivi comuni di valorizzazione, in rapporto all'ambito territoriale di competenza, e promuovono l'integrazione dei percorsi culturali di fruizione, nonché dei conseguenti itinerari turistico-culturali (art. 34). Il d.m. di articolazione degli uffici dirigenziali di livello non generale del Ministero ha previsto che vi siano 17 poli dal punto di vista funzionale, ma 14 strutture dirigenziali: nelle Regioni Liguria, Marche e Umbria, infatti, le funzioni di direttore del polo museale regionale sono svolte rispettivamente dal direttore del Palazzo Reale di Genova, dal direttore della Galleria Nazionale delle Marche e dal direttore della Galleria Nazionale dell'Umbria.

In secondo luogo, sono riconosciuti come istituti autonomi ed elevati ad uffici dirigenziali ben 18 strutture (cui il citato d.m. ne aggiunge altre due), scelte in base a più criteri (numero di visitatori, superficie espositiva, consistenza delle collezioni, potenzialità di sviluppo): 7 con dirigente di prima fascia; 11 (più 2 previsti dal d.m.) con dirigente di II fascia [8]. In passato ciò si era verificato per casi isolati (il Museo Pigorini o la Soprintendenza della Galleria nazionale d'arte moderna di Roma, ad esempio, dove vi era un dirigente). Con la riforma, i musei da "oggetti" diventano finalmente "soggetti" e l'attenzione è posta innanzitutto sugli istituti [9]. Lo conferma l'articolo 35 del regolamento, in base al quale, riprendendo la definizione dell'International Council of Museums (Icom), "I musei sono istituzioni permanenti, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. Sono aperti al pubblico e compiono ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell'umanità e del suo ambiente; le acquisiscono, le conservano, le comunicano e le espongono a fini di studio, educazione e diletto" (comma 1). I musei, inoltre, "sono dotati di autonomia tecnico-scientifica e svolgono funzioni di tutela e valorizzazione delle raccolte in loro consegna, assicurandone la pubblica fruizione. I musei sono dotati di un proprio statuto e possono sottoscrivere, anche per fini di didattica, convenzioni con enti pubblici e istituti di studio e ricerca" (comma 2).

E' noto come queste due azioni, apparentemente semplici, ossia la creazione di un sistema museale nazionale e il riconoscimento di maggiore autonomia agli istituti, abbiano acceso numerose polemiche, che possono essere sintetizzate in un punto. L'Italia e il suo patrimonio si caratterizzano per essere un museo diffuso, "a cielo aperto", in cui la funzione di tutela non può essere dissociata dalla gestione dei musei. Il legame con il territorio è così forte che, inevitabilmente, l'amministrazione dei beni culturali italiana si è sviluppata con uffici, le soprintendenze, competenti a tutelare e gestire quel patrimonio in modo unitario, assicurando un "sistema territoriale" di tutela. In sostanza, osservava Antonio Paolucci negli anni Novanta, "nell'ordinamento statale delle Soprintendenze il museo praticamente non esiste" [10]; e forse per questo lo stesso Paolucci da Ministro nel 1995 aveva presentato un disegno di legge per dare autonomia a quattro musei statali, con annessi altri istituti (Uffizi, Brera, Capodimonte e Galleria Borghese) [11].

La riforma realizzata dal Ministro Dario Franceschini è stata perciò accusata di avere "smantellato" questa perfetta simbiosi tra museo e territorio o, meglio, tra soprintendenze e musei - una simbiosi invero che, già negli anni Settanta del XX secolo, Andrea Emiliani rilevava essere "nata solo da carenze di strutture e di personale" [12]. Ora, qui è necessario precisare che la riforma non ha inventato alcunché: essa rappresenta il precipitato di numerose iniziative e progetti presentati dal Secondo dopoguerra ad oggi, da ultimo la relazione finale della Commissione di studio presieduta nell'autunno 2013 da Marco D'Alberti, in cui vi erano anche dirigenti e funzionari del Ministero [13]. Basti menzionare come nel 1995 Tommaso Alibrandi e Piergiorgio Ferri sintetizzavano le conclusioni di un pluriennale "intenso dibattitto culturale e politico" sui musei: a) "affermata esigenza che i musei statali (o, almeno, i più importanti) vengano eretti ad organi dello Stato, con piena autonomia finanziaria e amministrativa compresa la facoltà di disporre di un proprio bilancio e di ricevere entrate finanziarie"; b) "affermata esigenza che tutti i musei italiani, ivi compresi i musei scientifici e demoetnoantroplogici [...], indipendentemente dalla loro appartenenza giuridica, vadano a costituire il Sistema museale nazionale"; c) "l'esigenza di restituire all'amministrazione dei beni culturali la piena potestà sulle sue risorse" [14].

Tra le tante proposte di riforma che si sono susseguite in questi decenni, meritano di essere citati i progetti di legge Chiarante e Covatta, entrambi volti a riconoscere autonomia ai musei [15], così come il noto atto di indirizzo sugli standard nei musei del 2001 [16]; vale la pena ricordare, poi, il progetto di legge Ragghianti presentato nel 1965 in seno alla Commissione Franceschini: oltre a proporre l'istituzione di una apposita amministrazione autonoma, era prevista la creazione di 30 istituti dotati di autonomia, tra i quali sono inclusi peraltro pressoché tutti i 18 (più i 2) musei elencati dalla Riforma del 2014 [17].

Ma, del resto, forse andrebbe rilevato che la asserita rottura della simbiosi tra museo e territorio, o meglio tra funzione di tutela e gestione museale, in Italia si è verificata da molto tempo. Fu la Costituzione del 1948 ad attribuire la materia "Musei e biblioteche di enti locali" alla potestà legislativa regionale [18]. E i musei non statali, sui quali lo Stato è comunque chiamato a svolgere la funzione di tutela, sono la maggior parte. Sotto questi profili, la riforma del titolo V e la soppressione della formula "musei" hanno segnato una ulteriore conferma di come il c.d. "benculturalismo" abbia l'effetto di offuscare gli istituti a esclusivo vantaggio delle cose. Se su migliaia di musei e siti in Italia solo poche centinaia rientrano nella piena competenza dello Stato, mentre per gli altri la titolarità e/o la gestione sono affidate ad altri soggetti, come si può seriamente sostenere che sia stata la riforma del 2014 a "smantellare" la simbiosi delle soprintendenze tra museo e territorio?

Al contrario, come emerge chiaramente dai compiti affidati ai musei, ai poli museali regionali e alla Direzione generale Musei, l'intento della riforma è proprio quello di assicurare che l'immenso patrimonio culturale italiano possa realmente essere fruito, mettendo in rete i diversi istituti e luoghi della cultura operanti nella medesima Regione.

3. I modelli organizzativi e lo statuto giuridico dei musei statali

Il secondo aspetto riguarda quali modelli organizzativi e status giuridico la riforma disegna per i musei statali. Qui la scelta è stata dettata, in larga misura, dal contesto in cui il regolamento si inserisce, vale a dire l'assetto organizzativo previsto per i Ministeri. D'altra parte anche i numeri circa gli uffici - le caselle, per intenderci - e le unità di personale in cui la riforma si è dovuta muovere erano già stati dettati un anno e mezzo fa, dal d.p.c.m. 22 gennaio 2013 (Rideterminazione delle dotazioni organiche del personale di alcuni Ministeri, enti pubblici non economici ed enti di ricerca, in attuazione dell'articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135).

Per superare la "anomalia italiana" circa lo status giuridico dei musei, dunque, la riforma ha previsto quattro ipotesi [19]: il museo-ufficio; il museo-ufficio dirigenziale dotato di autonomia speciale; il polo museale regionale; il museo-fondazione.

Il museo-ufficio. La prima ipotesi è quella dei musei in quanto tali che, a parte quelli dotati di autonomia speciale, resteranno uffici non dirigenziali dei poli museali regionali. La riforma si è preoccupata di riconoscere espressamente l'autonomia per queste strutture - come si era già pensato di fare nella bozza di riforma Bray - riprendendo la definizione dell'Icom e prevedendo uno statuto. Il dm attuativo di prossima emanazione imporrà, per questi musei come per quelli dirigenziali, anche un bilancio, in linea con gli standard previsti nell'atto di indirizzo del 2001. Soprattutto, ogni museo dovrà avere comunque un "direttore" e saranno previste aree funzionali, ognuna assegnata a una o più unità di personale responsabile, quali

cura e gestione delle collezioni, studio e ricerca, marketing, fundraising, servizi e rapporti con il pubblico; amministrazione, finanze, gestione delle risorse umane e delle relazioni pubbliche; strutture, allestimenti e sicurezza. Tutto ciò in coerenza con il decreto ministeriale 10 maggio 2001, recante "Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei" e con gli standard elaborati dall'International Council of Museums (ICOM).

Questa ipotesi è sostanzialmente quella da cui si è partiti - ossia musei come semplici uffici all'interno di un ufficio dirigenziale periferico, fino a oggi la soprintendenza. Ebbene, la differenza è proprio questa: la riforma prevede che tale ufficio periferico non sia più la soprintendenza, bensì una apposita struttura, il polo museale regionale. Così facendo, le funzioni relative ai musei potranno essere "liberate", alleggerendo i compiti delle soprintendenze. Ma, mai come in questo caso, per le soprintendenze può valere il motto di Mies van der Rohe, artefice di uno dei musei più belli del mondo, la Neue Nationalgalerie di Berlino: "Less is more".

Il museo-ufficio dirigenziale dotato di autonomia speciale. La seconda ipotesi sono i musei dotati di status dirigenziale - i 18 prima menzionati, cui si aggiungono i 2 previsti dal d.m. di articolazione degli uffici dirigenziale di livello non generale del Ministero. Non si tratta di una lista chiusa, perché il regolamento ha previsto meccanismi di flessibilità, riguardanti il numero, il nome e la composizione di questi istituti autonomi. Non vi sono, poi, musei di serie A e di serie B per il fatto che alcuni siano di I fascia e altri di II fascia, anche se ovviamente vi sono differenze circa il trattamento economico e le modalità di nomina, perché i direttori dei 7 musei uffici dirigenziali di I fascia sono nominati come dirigenti generali, con d.p.c.m. ai sensi dell'art. 19, comma 4, del d.lg. n. 165 del 2001, mentre i direttori dei 18 (più 2) musei uffici dirigenziali di II fascia sono nominati dal Direttore generale Musei, ai sensi dell'art. 19, comma 5, del d.lg. n. 165 del 2001. Ma in termini di autonomia organizzativa e contabile non vi è alcuna differenza. In aggiunta, in entrambi i casi, la nomina del direttore potrà avvenire a séguito di selezione pubblica, mediante un'apposita commissione di esperti di chiara fama, come previsto dal d.m. sul conferimento degli incarichi dirigenziali [20].

Si tratta, certo, sempre di uffici ministeriali e l'autonomia non comprende (ancora) il personale: ma la strada dell'autonomia è stata intrapresa, come ha trovato conferma anche il tentativo di inserire i musei, nel recente disegno di legge sulla riforma della pubblica amministrazione, accanto a archivi, biblioteche, scuole e università.

Per i musei dotati di autonomia, inoltre, il decreto attuativo dovrà prevedere organi di governo più efficienti ed efficaci di quanto sinora stabilito per gli istituti dotati di autonomia speciale del Ministero. Vi saranno un vero consiglio di amministrazione (in questa prima fase, comunque presieduto dal direttore/dirigente del museo), un comitato scientifico (aperto anche alle amministrazioni locali e alla società civile) e un collegio dei revisori dei conti. Infine, la definizione dei nuovi istituti dotati di autonomia speciale potrà portare ad accorpamenti anche tra musei, archivi e biblioteche, purché sostenuto da ragioni storico-culturali e logistiche (come nel caso della Biblioteca Braidense e della Pinacoteca di Brera, ad esempio).

Il polo museale regionale. La terza ipotesi è quella del polo museale, ossia di un ufficio cui afferiscono più istituti, da gestire in forma singola o integrata. Qui il modello è appunto quello degli uffici dirigenziali periferici dei poli museali regionali. Ma l'intento della riforma è quello di favorire la creazione di sistemi misti, costituiti da musei statali, di altre amministrazioni e di privati [21]. In questo modo dovrà essere assicurata la fruizione del museo-territorio italiano. Il direttore del polo museale è perciò chiamato a coordinare i diversi musei ad esso afferenti, garantendo altresì che questi ultimi possano gradualmente divenire istituti autonomi. Di qui la necessità di dotare tutti i musei-ufficio di uno statuto e di un bilancio, nonché di specifiche professionalità.

Il principale compito dei poli museali regionali, dunque, è quello di predisporre dei progetti culturali sulla gestione e sulla valorizzazione degli istituti e dei luoghi della cultura statali, anche con riguardo a quali servizi per il pubblico debbono essere affidati in concessione.

Il museo-fondazione. La quarta ipotesi, infine, a cui il regolamento accenna soltanto, è quella della Fondazione museale, uno strumento che dovrebbe essere inteso in modo virtuoso quale mezzo in grado di coniugare pubblico e privato. Si tratta di una fattispecie già sperimentata in passato (si pensi ai casi del Museo egizio di Torino o del MAXXI a Roma), ma non priva di difficoltà in sede applicativa. Non esiste, infatti, un modello unico adatto per tutti i musei. Significativo, del resto, è che l'Istat distingua solo tra musei pubblici e musei privati e tra 3 forme di gestione (diretta, consortile o in concessione) [22]. Non va allora ripetuto l'errore già commesso con le fondazioni lirico-sinfoniche, quando si è ritenuto che una sola "scatola" potesse contenere realtà tra loro tanto diverse. Il modello della fondazione non è positivo o negativo in sé: si tratta di uno strumento organizzativo e, in quanto tale, neutro, che potrà essere adottato solo ove ricorrano determinate condizioni. Altrimenti si avrebbero altri casi di lenta e difficile attuazione, come è stato appunto per il Museo egizio per il MAXXI [23]. Senza tralasciare le problematiche legate al regime giuridico del personale: basti citare il caso del Museo egizio, che ha visto ridursi di oltre l'80 per cento il numero di dipendenti dopo la trasformazione in Fondazione.

I quattro modelli delineati, dunque, dovranno tutti perseguire un obiettivo prioritario: trasformare il museo davvero in quello che nel mondo anglosassone è definita una "empowering institution", inserita nella comunità e nel territorio in cui il museo vive e si sviluppa [24]. Questa la principale finalità della riforma. Il museo deve diventare un luogo capace di attrarre i visitatori per trattenerli, educarli, divertirli e farli tornare: davvero non si può avere in Italia un luogo da vivere come il Garden del Victoria & Albert Museum?

4. Il ruolo strategico delle soprintendenze

Veniamo quindi al terzo aspetto, ossia il ruolo delle soprintendenze. Qui possono esaminarsi tre profili: 1) il riassetto dei compiti; 2) la ridefinizione delle linee di comando; 3) l'istituzionalizzazione delle soprintendenze c.d. miste.

Quanto ai compiti, l'aver alleviato dalla gestione dei musei i soprintendenti servirà per dare loro la possibilità non solo di concentrarsi sulla tutela, ma anche di dedicarsi all'attività che, come anticipato all'inizio, rappresenta il sostrato culturale di tutta la riforma: la ripresa di un'attività di studio, di formazione e di ricerca da parte del Ministero, in collaborazione con la scuola e l'università.

Circa le linee di comando, le soprintendenze sono poste nuovamente in rapporto diretto con le strutture centrali. Scompare la Direzione regionale come superiore gerarchico. Le Soprintendenze Archeologia fanno capo alla Direzione generale Archeologia e sarà questo direttore a nominare i soprintendenti; analogamente, le Soprintendenze Belle arti e paesaggio sono ricondotte direttamente alla omonima Direzione generale - già "mista" prima della riforma - e sarà il direttore di quest'ultima a nominare i soprintendenti. Tale semplificazione è stata operata anche per archivi e biblioteche, istituti che, oltre ad aver visto ampliata la propria autonomia, risponderanno direttamente alle rispettive Direzioni generali, senza passare per il filtro della Direzione regionale.

Il principale interlocutore nella Regione e per la Regione e gli enti locali diviene così il segretario regionale per i beni e le attività culturali e il turismo, che avrà anche il potere di attivare l'avocazione dei Direttori generali centrali nei confronti dei soprintendenti, nonché il compito di convocare e presiedere la Commissione regionale del patrimonio culturale. A detta Commissione sono affidati molti dei compiti prima spettanti alla Direzione regionale, come ad esempio la verifica e la dichiarazione di interesse culturale, e ad essa spetta il riesame dei nulla osta o pareri rilasciati dai soprintendenti (ai sensi dell'art. 12, comma 1-bis, del d.l. n. 83 del 2014, conv. legge n. 106 del 2014). Questo meccanismo - fondato sulla collegialità - costituisce un punto di equilibrio tra l'aver trasformato il modello per Direzioni regionali quali contenitori delle soprintendenze in un altro in cui il segretariato regionale coordina le strutture periferiche, che dipendono però direttamente dal centro: la commissione serve a contemperare il potere delle strutture periferiche, evitando gli scontri e i personalismi avuti in passato tra Direttori regionali e soprintendenti.

E veniamo così all'ultimo aspetto, ossia la istituzionalizzazione delle soprintendenze c.d. miste, ossia Belle arti e paesaggio. Un modello, anche questo, non "inventato" dalla riforma, ma già presente in alcune Regioni (Sardegna, Toscana e Campania), e comunque attuato in passato, tra il 1923 e il 1939. Proprio su questa esperienza, Mario Grisolia osservò come il criterio di avere soprintendenze miste sarebbe potuto risultare "benefico" a due condizioni: "che ciascuna soprintendenza disponesse di personale specializzato per ogni settore della propria competenza; che l'accentramento periferico non fosse accompagnato da larghe circoscrizioni territoriali" [25]. Ebbene, queste due condizioni sono state rispettate dalla riforma. L'accorpamento di sedi dirigenziali, infatti, non determina la scomparsa del relativo personale, né degli uffici, ove logisticamente necessari al buon andamento dell'amministrazione; inoltre, il d.m. di attuazione ha rispettato la distribuzione territoriale delle soprintendenze, procedendo in limitate ipotesi alla soppressione di sedi dirigenziali (mantenendo però le strutture nelle relative province, allo scopo di preservare la presenza di un presidio territoriale dell'amministrazione).

5. Conclusioni

Come si può agevolmente constatare, si è appena all'inizio del processo di riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di cui i musei sono solo un aspetto, seppur probabilmente il più rilevante. I prossimi passi sono in realtà i più ardui. La riforma, infatti, cambia in modo profondo il Ministero, cercando di razionalizzare le funzioni da svolgere, soprattutto con riguardo alla tutela e alla valorizzazione. Il tentativo è stato quello di individuare prima le funzioni e poi affidarle a strutture dedicate: si è così voluto correggere il vizio di origine del Ministero per i beni culturali e ambientali, quando nel 1974 all'organo appena istituito furono sì affidate la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, ma senza di fatto modificare la struttura della Direzione Antichità e belle arti, costruita pressoché esclusivamente per esercitare compiti di conservazione e protezione. Si è voluto dunque applicare "una delle regole fondamentali di scienza dell'amministrazione", ossia che "i singoli centri organizzativi di cui si compone un apparato abbiano ciascuno una funzione propria, ossia, dal punto delle funzioni, che queste siano assegnate secondo unità di materia ciascuna ad un suo centro di imputazione" [26].

Nel "nuovo" Mibact, se la tutela resta assegnata alle soprintendenze archeologia e belle arti e paesaggio e alle rispettive Direzioni generali, la valorizzazione è ora attribuita ai poli museali, ai musei e alla rispettiva Direzione generale e a questi uffici spetterà gestire i luoghi della cultura e migliorarne la qualità della fruizione. Mettere in pratica tutto ciò richiederà una complessa operazione di riassegnazione di istituti, edifici, uffici, personale, aree tra le strutture periferiche, operazione che, nel caso dell'archeologia, raggiunge un tasso di complessità elevatissimo (basti citare le aree archeologiche in cui siano in corso scavi). Ma la cronica inefficienza degli istituti e dei luoghi della cultura italiani ha reso ormai non più procrastinabile un intervento di riforma teso a identificare chiaramente nell'ambito del Ministero non solo i compiti di tutela, bensì anche quelli di valorizzazione (quest'ultima nella sua accezione "costituzionale" di promozione dello sviluppo della cultura). Si è sostanzialmente corretto il difetto originario della funzione di valorizzazione, ossia l'essere priva di adeguati "mezzi, istituti e procedure" [27].

Le difficoltà restano quindi numerose. Quella principale è l'assenza di dati sugli uffici, sul personale, sulle risorse. La "inesistenza" giuridica del museo rende molto complicato oggi ricostruire per i singoli istituti tutte le informazioni - ed è rimasta sostanzialmente lettera morta il tentativo, avviato nel 2005, di avere meccanismi di censimento e autovalutazione. Il Ministero paga almeno un decennio di "maltrattamento" politico, facilmente visibile in termini di bilancio, quasi dimezzato, di rapporto tra dirigenti e funzionari e di budget per pagare gli straordinari. Ma è dal 1948 che questa amministrazione riceve poco, molto meno di quanto dovrebbe: Cesare Brandi nel 1957 denunciava già "l'assoluta inadeguatezza, ma nell'ordine di uno ad un milione, dei fondi a disposizione per il patrimonio artistico; [...] l'insufficienza quantitativa del personale; [...] la mancanza di una coscienza politica dell'importanza della preservazione del patrimonio artistico" [28].

La strada è ancora lunga e la distanza da colmare rispetto alle esperienze internazionali non piccola. La riforma almeno consentirà di avere strutture dedicate ai musei, con responsabili ben individuati e con la possibilità di avere adeguati meccanismi di valutazione. Andranno poi costruite anche le diverse professioni museali, come già segnalato nell'atto di indirizzo del 2001. Soprattutto, è indispensabile formare e valorizzare lo stanco personale esistente nel Ministero (con una età media di 57 anni) e procedere quanto prima anche a nuove assunzioni: altrimenti nessuna riforma potrà andare a buon fine.

Nonostante le difficoltà, dunque, la riforma del 2014 segna una direzione netta, ossia quella di dare per la prima volta vita in Italia alla istituzione-museo, dotata di un proprio specifico statuto giuridico. Così facendo, il nostro Paese si allinea, seppur con decenni di ritardo, a quanto avviene nel resto del mondo. Non resta allora che continuare il percorso, seguendo quanto Fernand Braudel suggeriva alla città di Venezia, negli anni Ottanta, per "reinventare se stessa" e farla diventare il "punto di incontro di tutte le culture": bisogna continuare a fare "ricorso alle energie e all'immaginazione. Grazie alla quale tante cose sono possibili" [29].

 

Note

[*] Il presente scritto sviluppa e approfondisce i contenuti della relazione presentata al Convegno "Beni culturali e le eccellenze internazionali: la scommessa italiana", Venezia, Palazzo Ducale, 13 ottobre 2014.

[1] R.d. 11 novembre 1885, n. 3191, "Regolamento generale per la riscossione e pel conteggio della tassa d'ingresso nei Musei, nelle Gallerie, negli Scavi e nei Monumenti nazionali", articoli 1-4 delle Norme speciali per l'entrata nel palazzo ducale di Venezia.

[2] In argomento, A. Ricco, Tasse e tessere d'ingresso in musei, gallerie, scavi e monumenti governativi del Regno d'Italia (1875-1939), in Aedon, 2011, 3.

[3] "Il Soprintendente fa il travet, con responsabilità di direzione del personale (custodi, ecc.), esposto alle pressioni del pubblico e delle autorità perché egli non applichi le disposizioni che limitano il possesso delle opere d'arte, o la disponibilità di un'area fabbricativa, o non interferisca in un progetto di piano regolatore o di strada turistico-alberghiera, ecc. Accanto a queste preoccupazioni, egli dovrebbe seguitare ad essere uno studioso: redigere cataloghi scientifici delle opere conservate nei musei a lui sottoposti; pubblicare nuove scoperte; disporre e dirigere restauri che presuppongono (o dovrebbero presupporre) una profonda immedesimazione nell'opera d'arte o nel monumento da restaurare; dar vita al museo, alla galleria, con mostre periodiche, conferenze, ecc.": "Tavola Rotonda" durante i lavori della Commissione parlamentare mista (1957), in Per la salvezza dei beni culturali, Roma, Colombo, 1967, II, pag. 157 ss., qui 163.

[4] G.C. Argan, La crisi dei musei italiani (1957), in Per la salvezza dei beni culturali, cit., III, pag. 466 ss.

[5] U. Eco, La vertigine della lista, Milano, Bompiani, 2009, pagg. 169-170. In prospettiva storica, M.T. Fiorio, Il museo nella storia. Dallo studiolo alla raccolta pubblica, Milano-Torino, Bruno Mondadori, 2011.

[6] T. De Mauro, Grande dizionario italiano dell'uso, ad vocem.

[7] http://www.museum-analytics.org.

[8] Si tratta, quali uffici di I fascia, dei seguenti istituti: la Galleria Borghese; la Galleria degli Uffizi; la Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma; le Gallerie dell'Accademia di Venezia; il Museo di Capodimonte; la Pinacoteca di Brera; la Reggia di Caserta. Sono invece uffici di II fascia: la Galleria dell'Accademia di Firenze; la Galleria Estense di Modena; la Galleria Nazionale d'arte antica di Roma; il Museo Nazionale del Bargello; il Museo Archeologico Nazionale di Napoli; il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria; il Museo Archeologico Nazionale di Taranto; Paestum; il Palazzo Ducale di Mantova; il Palazzo Reale di Genova; il Polo Reale di Torino. A questi si aggiungono la Galleria Nazionale delle Marche, con sede a Urbino, e la Galleria Nazionale dell'Umbria, con sede a Perugia, istituti dal d.m. 27 novembre 2014, ma non ancora dotati dell'autonomia speciale. Come uffici di I fascia vi sono poi anche la Soprintendenza speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l'area archeologica di Roma e la Soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia.

[9] D. Jalla, Il museo contemporaneo. Introduzione al nuovo sistema museale italiano, Torino, Utet, 2000. In argomento, si v. anche V. Falletti e M. Maggi, I musei, Bologna, Il Mulino, 2012, A. Gob, Le musée, une institution dépassée? Elements de réponse, Paris, Armand Colin, 2010, e F. Mairesse, Le culte des musées, Bruxelles, Académie Royale de Belgique, 2014. Con specifico riguardo all'ordinamento giuridico francese, M. Cornu e N. Mallet-Poujol, Droit, oeuvres d'art et musées. Protection et valorisation des collections, Nouv. Ed., Paris, Lgdj, 2006.

[10] A. Paolucci, Italia, paese del museo diffuso. Pubblico e privato, in La gestione dei musei civici, (a cura di) C. Morigi Govi, A. Mottola Molfino, Torino, Allemandi, 1996, pag. 36.

[11] Si tratta del d.d.l. A.S. n. 1649 del 2 maggio 1995, recante "Attribuzione dell'autonomia ad alcuni istituti del Ministero per i beni culturali e ambientali".

[12] A. Emiliani, Musei e Museologia, in Storia d'Italia, V.2, Torino, Einaudi, 1973, pag. 1617 ss., qui pag. 1632, per il quale tale simbiosi "nasconde qualche dato abbastanza pregevole di officinalità, di contatto con quel tanto di laboratorio e di opera quotidiana che il museo indubbiamente consente ed esprime. Forse, proprio attraverso questa appendice officinale il soprintendente ha saputo, più di altri burocrati, conservare il senso del progetto, dell'opera e del metodo connesso. Risulta sempre difficile, comunque, spiegare agli studiosi stranieri quale sia il legame che consente a un amministratore preoccupato delle cure del territorio, e per di più di un territorio complesso qual è quello italiano, di assumere anche la gestione di un organismo altrettanto difficile e specifico qual è appunto quella del museo pubblico".

[13] Commissione per il rilancio dei beni culturali e del turismo e per la riforma del Ministero in base alla disciplina sulla revisione della spesa, la cui relazione finale del 31 ottobre 2013 è pubblicata in Riv. trim. dir. pubbl., 2014, pag. 161 ss., e in Aedon.

[14] T. Alibrandi e P.G. Ferri, I beni culturali e ambientali, III ed., Milano, Giuffrè, 1995, pag. 177.

[15] Una comparazione tra le due proposte, presentate tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta, si v. D. Jalla, Il museo contemporaneo, cit., pag. 85 ss.

[16] Decreto ministeriale 10 maggio 2001, Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei.

[17] Proposta di istituzione e di ordinamento dell'amministrazione statale autonoma del patrimonio artistico e storico, presentata il 4 ottobre 1965 alla Commissione Franceschini da Carlo Ludovico Ragghianti (in Per la salvezza dei beni culturali, cit., II, pag. 881 ss. All'articolo 26 venivano previsti 30 istituti autonomi: a Torino, il Museo Egizio e la Galleria Sabauda; a Milano, la Pinacoteca di Brera; a Venezia, la Galleria dell'Accademia e il Museo Orientale; ad Aquileia, il Museo e gli scavi; a Bologna, la Pinacoteca Nazionale; a Modena, la Galleria e le collezioni estensi; a Ferrara, il Museo e gli scavi di Spina; a Firenze, il Museo Archeologico, la Galleria degli Uffizi, il Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, la Galleria Palatina, il Museo del Bargello e il Museo degli argenti, la Galleria d'arte moderna; a Perugia, la Pinacoteca e il Museo nazionale; a Roma, il Museo preistorico ed etnografico, il Museo Arti e tradizioni popolari, il Foro e il Palatino, il Museo nazionale romano, il Museo d'arte orientale, il Gabinetto nazionale delle stampe, la Galleria Borghese, la Galleria nazionale d'arte antica, la Galleria nazionale d'arte moderna, il Medagliere nazionale; a Ostia, il Museo e gli scavi; a Napoli, il Museo nazionale d'arte antica, il Museo nazionale di Capodimonte e Floridiana; a Pompei, Ercolano e Stabia, gli Scavi e i musei.

[18] Sul punto, M. Ainis, Lo statuto giuridico dei musei, in Riv. trim. dir. pubbl., 1998, pag. 393 ss.

[19] A tale anomalia corrisponde un esiguo numero di studi giuridici sul tema. Si veda ora il volume I Musei. Discipline, gestioni, prospettive, (a cura di) G. Morbidelli e G. Cerrina Ferroni, Torino, Giappichelli, 2010; tra gli articoli, oltre al citato scritto di M. Ainis, si leggano P. Forte, I musei statali in Italia: prove di autonomia, in Aedon, 2011, 1, e G. Severini, Musei pubblici e musei privati:
un genere, due specie, ivi, 2003, 2.

[20] L'art. 3, comma 3, del d.m. 27 novembre 2014 prevede infatti che per gli incarichi dirigenziali per il cui conferimento sia stata scelta la procedura di selezione pubblica di cui all'art. 14, comma 2-bis, del d.l. n. 83 del 2014, conv. legge n. 106 del 2014, "il Ministro e il Direttore generale Musei, con riguardo rispettivamente agli incarichi di prima fascia e agli incarichi di seconda fascia, si avvalgono, ai fini della selezione, di una o più commissioni nominate dal Ministro, composte ciascuna da tre a cinque membri esperti di chiara fama nel settore del patrimonio culturale".

[21] Questa forma richiama dunque i musei multipli della legge 22 settembre 1960, n. 1080, "Norme concernenti i musei non statali", una delle quattro categorie di musei ivi prevista (le altre sono i musei grandi, i musei medi e i musei minori).

[22] http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_VISITMUSEI.

[23] Su cui si legga ora A. Monti, Il MAXXI a raggi X. Indagine sulla gestione privata di un museo pubblico, Monza, Johan e Levi, 2014.

[24] E.P. Alexander e M. Alexander, Museums in motions. An Introduction to the History and Functions of Museums, II ed., Lanham, Altamira, 2008; G. Anderson (ed.), Reinventing the Museum. The Evolving Conversation on the Paradigm Shift, II ed., Lanham, Altamira, 2012. Si leggano inoltre I. Pezzini, Semiotica dei nuovi musei, Roma-Bari, Laterza, 2011, e C. Acidini Luchinat, Il museo d'arte americano. Dietro le quinte di un mito, Electa, Milano, 2000.

[25] M. Grisolia, La tutela delle cose d'arte, Roma, Soc. Ed. Il Foro It., 1952, pag. 512, e già in Id., Il riordinamento delle soprintendenze all'arte e all'antichità (1939), ora in Istituzioni e politiche culturali in Italia negli anni Trenta, (a cura di) V. Cazzato, II, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2001, pag. 627 ss.

[26] M.S. Giannini, In principio sono le funzioni, in Amm. civ., 1959, II, p. 11 ss., ora in Id., Scritti. IV. 1955-1962, Milano, Giuffrè, 2004, p. 721 ss., qui 723.

[27] S. Cassese, I beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione, in Giornale di diritto amministrativo, 1998, p. 673 ss.

[28] "Tavola Rotonda" durante i lavori della Commissione parlamentare mista (1957), cit., pag. 158.

[29] F. Braudel, Venezia (1984), trad. it., Bologna, Il Mulino, 2013, pag. 109.

 

 



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