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Editoriale

Il grimaldello dei tagli di spesa nella riorganizzazione del Mibact

di Marco Cammelli

The Picklock of the Cuts of Spending in the Reorganization of Mibact
The director of the magazine, for introducing the comments to the organizational reform of the Mibact published in the latest issue of the magazine, outlines the legislative and political context of the reform (the spending review policies; the more recent institutional reforms of the sector) and identifies the main problems (organizational, legal and cultural) of the italian model ministerial which the recent organizational reform tries to resolve.

Keywords: Admninistrative Reform; Mibact; Ministry; Institutional Reforms.

1. Sotto le vesti (formalmente) un po' dimesse del semplice decreto, sia pure della Presidenza del Consiglio dei ministri, e dell'intitolazione (regolamento di organizzazione), è da qualche mese entrato in vigore e soprattutto in piena e diretta operatività un ampio intervento che sembra avere buone possibilità di incidere in modo significativo sul modo di essere e di operare del Mibact. E di conseguenza, considerata la forte concentrazione sull'amministrazione statale delle principali funzioni del settore e il crescente ridimensionamento del ruolo in materia delle regioni e degli enti locali, sul modo di essere e di operare dell'intero sistema pubblico.

Perché incidere sul Mibact indipendentemente dalle modalità utilizzate per farlo, questo è il punto, significa comunque toccare e modificare in profondità il funzionamento e il ruolo delle regioni e degli enti territoriali, cominciando dalle relazioni tra centro e periferia e da quelle con i soggetti privati.

La Rivista dedica al tema, sul quale già ha svolto qualche prima considerazione (editoriale 3/2014), la parte monografica di questo numero 1/2015 con approfonditi e autorevoli interventi di Giorgio Pastori, Girolamo Sciullo e Pier Paolo Forte.

I profili esaminati sono numerosi ma quello da cui partire, e al quale tornare una volta passati in rassegna le diverse innovazioni in modo da verificarne rilievo e tenuta, in fondo è più semplice.

E' vero che fino ad oggi il Mibact ha mostrato una lunga e rocciosa capacità di resistere a ogni innovazione della organizzazione, ecco perché ce ne sono state così tante negli ultimi anni..., ma questo ci dice soltanto che oggi la sfida è ancora più aperta e che le opzioni erano solo due: o riforma vera, che se non può certo significare una palingenesi può almeno consistere in una innovazione effettiva (cioè realmente avviata) e riconoscibile (cioè orientata verso obbiettivi individuati), o il graduale, ma sempre più evidente, processo di "banalizzazione" degli apparati pubblici operanti in materia, vale a dire la marginalizzazione di funzioni, strutture, saperi e controlli non tanto in funzione del "mercato" o del "privato" (che tra l'altro conoscono entrambi regole e sanzioni, e anche interessi di lungo periodo oltre a quelli immediati) ma di una terra di nessuno che in nome della semplificazione rischia l'abbandono, l'anomia, la paralisi.

2. Le cause prossime della riforma sono più d'una: la c.d. Spending Review, e dunque la riduzione di costi affidata prevalentemente alla semplificazione delle strutture organizzative e alla razionalizzazione del personale ivi compresa la diminuzione della dirigenza, il che spiega la peculiarità della forma utilizzata dai decreti legge 2012 e 2014; la necessità di porre mano alle ricadute organizzative di numerosi provvedimenti ad hoc adottati negli ultimi anni, come nei casi di Cinecittà-Luce s.p.a. (d.l. 98/2011) o del trasferimento delle funzioni già di Palazzo Chigi in materia di turismo (legge 71/2013). A cui si aggiunge la riconosciuta esigenza di andare al fondo dei problemi che riguardano il Mibact proponendone il superamento con un approccio più ampio e sistemico come quello praticato dalla Commissione D'Alberti (2013), peraltro ripreso in più elementi dal regolamento Franceschini.

Proprio questa genesi, e soprattutto la pesante incidenza delle logiche del taglio della spesa pubblica perseguito in modo pressante e (inevitabilmente?) sommario, hanno portato più d'uno a sottolineare i non trascurabili costi anche metodologici di questo modo di intervenire: l'alterazione della sistematica delle procedure e di atti-fonte dell'organizzazione amministrativa statale (d.lgs. 300/1999), il by pass del parere del Consiglio di Stato (ma non Corte di conti), la definizione di profili istituzionali generali (v. il rapporto centro-periferia) lasciata ai singoli ministeri (quando non alle singole direzioni generali) e dunque a valutazioni settoriali, o la pesante incidenza delle dinamiche del personale in tutte le possibili proiezioni, dai seri limiti (già segnalati dalla Rivista) nella scelta di coloro cui affidare le nuove politiche, specie se dirigenti generali, alle conseguenze della riduzione delle sedi e al relativo imponente processo di mobilità dei dirigenti di II livello, appena esaurito.

E' tuttavia doveroso osservare che tutto ciò è stato pesantemente condizionato da un quadro istituzionale e legislativo molto complesso, basti pensare ai governi e ai provvedimenti legislativi che si sono susseguiti senza soluzione di continuità dal 2011 ad oggi e aggiungere che, paradossalmente, proprio il terreno del personale ha costituito la porta di ingresso per incidere davvero sulla organizzazione, con una intensità certamente inedita.

Tanto basta per suggerire un metodo di valutazione più ampio e dunque più affidabile, riferendo le innovazioni introdotte alle esigenze di fondo del sistema e al modo di giungervi piuttosto che a singoli aspetti giuridici e procedurali.

3. Sui difetti e le contraddizioni del Ministero si sono versati fiumi di inchiostro e questa Rivista vi è tornata decine di volte. Un buon motivo per limitarsi a osservare che negli ultimi decenni il Mibact prima ancora di essere accentrato si è per così dire "attorcigliato" su se stesso, da cui tre macro anomalie:

- la prima organizzativa, l'essere cioè una anomala figura organizzativa che contro ogni principio di specializzazione concentra nelle stesse sedi, e nelle stesse forme (giuridiche, contabili, procedimentali) funzioni e compiti tra loro profondamente diversi se non opposti. Con estese sovrapposizioni e altrettanto eclatanti lacune, perché questa è una delle ragioni per le quali non il concetto o l'astratta competenza ma la vera e propria funzione di valorizzazione fa la sua apparizione, sul piano organizzativo e amministrativo del ministero, solo nel 2009;

- la seconda giuridica, per l'essersi ispirato fino ad oggi non tanto al principio di Montesquieu del bilanciamento tra il prevedere (norma) il provvedere (amministrazione) e il controllare e sanzionare, ma a quello proprio dell'Ancien Régime (o, se si preferisce, del sistema dei Soviet delle costituzioni di guerra nel 1917-21) della concentrazione dei poteri;

- la terza e ultima di tipo psicologico e comportamentale: la diffusa incapacità di vedersi da fuori e di guardarsi nel proprio insieme.

Certo, si tratta di tendenze non marginali nei sistemi contemporanei, ma se tutto ciò ha qualche fondatezza il punto di attacco consiste allora nello sciogliere i nodi e distendere le diverse filière, in modo che ad ognuna di queste corrispondano diverse funzioni, diversi regimi, diverse soluzioni organizzative: basti considerare il rapporto con la legge e l'atteggiarsi della legalità, l'assetto organizzativo, il reperimento e gestione risorse, il reclutamento personale, il ruolo del centro e l'asse centro-periferia o il rapporto con l'esterno (pubblico, enti locali, le varie forme del privato), ognuno dei quali richiede modalità e soluzioni diverse per ciascuna di queste variabili. Tra l'altro, la nobile arte del distinguere permetterebbe all'amministrazione di individuare, all'interno dell'indifferenziato "privato", quella varietà di soggetti dal FAI al volontariato al terzo settore o alle fondazioni, di origine bancaria o meno, che per motivazione culturale e disponibilità di risorse organizzative o finanziarie potrebbero alleggerire significativamente il peso dell'altrettanto indifferenziata attività quotidiana e operativa.

Proprio per queste ragioni va valorizzato l'inizio, pur inevitabilmente limitato, di distinzione o di vero e proprio "spacchettamento" che il regolamento lascia intravedere: si vedano le funzioni di regolazione e di ordine (centro/soprintendenze) e le distinte funzioni di promozione e gestione di beni e servizi (segretariato regionale e musei autonomi), i compiti di studio, ricerca e educazione, la produzione di beni e servizi.

Naturalmente tutto questo non toglie il permanere di significative resistenze all'innovazione, specie là dove è in discussione il riconoscersi e farsi centro di un sistema e non centro di una amministrazione statale con l'inevitabile (ahimè) corollario, nei fatti al di là delle dichiarazioni di principio, dello scollamento con le altre amministrazioni pubbliche e in particolare con le regioni e gli enti locali, quando invece proprio questo è il segmento da cui muovere per ricostruire le fondamenta del sistema.

I saggi pubblicati nel presente numero danno un quadro molto più approfondito di queste tematiche, partendo dai motivi di continuità e dalle effettive innovazioni messi in luce da Giorgio Pastori con riguardo ai profili principali del livello centrale, vale a dire il rapporto sedi politiche-apparati (segretariato-dipartimenti), le strutture di staff e line, l'interfaccia rispetto alla amministrazione periferica. Di quest'ultima, Girolamo Sciullo giustamente sottolinea non solo le trasformazioni (profonde) avviate, ma la tensione tra l'attrazione verticale delle strutture di settore verso la o le (non del tutto) corrispondenti direzioni generali e l'esigenza di coordinamento orizzontale che viene a cadere sulle due "cerniere" rappresentate, in sede periferica, dai Segretariati regionali e dai Poli museali regionali.

Oltre a non trascurabili innovazioni introdotte, e anche "facoltizzate" in tema di Archivi (Lorenzo Casini), un passo importante verso l'autonomia gestionale e organizzativa è poi costituito, come mette in luce Pier Paolo Forte, dal nuovo regime dei musei la cui autonomizzazione rispetto alle soprintendenze rappresenta una svolta decisiva nella separazione tra funzioni di regolazione e vigilanza (soprintendenza) e gestione ivi compresa la operatività della tutela (direzione museale) che andrà attentamente seguita specie nelle implicazioni contabili e di puntuale individuazione dei beni. Come si sa, infatti, la compenetrazione fino ad oggi tra soprintendenza e museo porta al fatto che i beni di quest'ultimo spesso non siano catalogati, con il risultato (v. museo Egizio) di renderne impraticabile o gravemente ritardato (anche per condotte obbiettivamente dilatorie) il trasferimento.

Il regolamento di organizzazione, proprio perché tale, non poteva affrontare il tema delle Agenzie, che invece rimangono uno degli elementi chiave del sistema come anche di recente questa Rivista ha ricordato (Covatta), perché da un lato rappresentano (una delle) soluzioni organizzative per i compiti gestionali e di supporto al Mibact (e non solo) e per altro verso restano strette nella morsa di una autonomia funzionale non ancora sufficientemente definita.

Emblematica in questo senso la pronuncia dell'ex Autorità dei contratti pubblici sulla vicenda di Arcus e Ales (v. Autorità contratti pubblici 67/2011) e relativo affidamento di funzioni gestionali e operative, perché se il rapporto tra Mibact e agenzie è troppo stretto finiscono per riproporsi i lacci e lacciuoli del Ministero e della amministrazione diretta mentre se il rapporto è più lasco queste ultime si trovano esposte al rilievo della carenza del requisito del "controllo analogo" e dunque della impraticabilità della gestione in house.

4. In conclusione. Il regolamento di organizzazione si muove su un percorso riconoscibile, ancorché appena imboccato, nel senso che sembra corrispondere alle macro-esigenze che si sono richiamate.

Le maggiori innovazioni organizzative sono collocate in periferia e seguono, giustamente per quanto si è detto, dinamiche che si muovono su un doppio binario solo apparentemente contraddittorio: scomposizione di funzioni di natura diversa (v. musei e poli museali regionali rispetto alle soprintendenza) e nello stesso tempo ricomposizione sotto un unico tetto, soprintendenza belle arti e paesaggio, di funzioni omogenee quanto a natura (regolazione e controllo) anche se riferibili a interessi, profili disciplinari e (non sempre) oggetti, distinti.

La innovazione, che pure per certi aspetti costituisce un ritorno a modelli (v. soprintendenze) preesistenti, è forte e richiede di essere assistita nella sua messa in opera con una attività di controllo e messa a punto che è facile prevedere decisiva per la riuscita del disegno. Ancora notevole incertezza permane invece sull'innesto delle realtà territoriali nell'indirizzo e operatività del Mibact e più ampiamente nel "sistema" dei Beni Culturali.

Per quanto non manchino tentativi di favorire questi contatti predisponendo alcune sedi, come i segretariati regionali, la netta caratterizzazione in senso tecnico delle relative funzioni, la assegnazione dei responsabili al secondo livello della dirigenza, e soprattutto la forte e intensa relazione/dipendenza degli organi periferici dalle direzioni generali non sembrano andare in questa direzione.

Ma così torniamo al centro, ove non a caso si registra molta più prudenza: qualche segnale importante sul piano delle prospettive coltivate, v. direzione educazione o musei, e molti congegni frenanti, sperimentati e (probabilmente) senza troppi incentivi per essere invogliati e/o costretti a cambiare di passo.

Sullo sfondo, e neppure tanto, una mina vagante: la "banalizzazione" di apparati che se non si riescono a riformare e innovare, come si sforza di fare il regolamento Franceschini pur nei limiti anche formali appena ricordati, vengono appunto aggirati e bypassati in più modi.

Si tratta di un pericolo già segnalato da questa Rivista e sempre più riconoscibile secondo la linea "quel che non si può o vuole modificare, si evita" fatta di automatismi, riduzioni di competenze, apnea o vera e propria asfissia per mancanza di risorse e personale (alcune vicende di apparati tecnici in materia di ambiente, v. Arpa, sono emblematiche), leggi auto applicative, riduzione di discrezionalità amministrativa, sostanziale devoluzione al contenzioso e ai giudici delle decisioni in interi settori (cominciando da quello delle infrastrutture). Con il risultato che in questo contesto anche politiche istituzionali sacrosante, come quelle in tema di procedimento amministrativo, di nuovi diritti (privacy), di trasparenza, di lotta alla corruzione lasciano vuoto il piatto degli incentivi al risultato e al buon funzionamento e finiscono invece su quello, anche troppo pieno, dei disincentivi e di ulteriori difficoltà che spingono l'amministrazione verso una situazione di stallo di cui la marginalizzazione e l'assurda tentazione di amministrare senza amministrazione costituiscono l'esito finale.

La partita in materia è aperta e guai a darla persa. Ma non si può fare a meno di segnalare gli evidenti rischi che emergono nel ddl Madia sulla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (AS 1577), attualmente all'esame della Commissione Affari costituzionali del Senato.

Disposizioni come quelle dettate in ordine alla Conferenza di servizi, con la concentrazione della rappresentanza delle amministrazioni pubbliche in un unico soggetto e il parere di competenza da considerare acquisito anche se non reso (art. 2.1) o come il rinnovato UTG (Ufficio Territoriale dello Stato, ex prefettura) accreditato come unico punto di contatto tra amministrazione statale e cittadini con la confluenza di tutti gli altri organi periferici statali (art. 7.1), offrono una plastica dimostrazione di quanto lontano potrebbe spingersi la "banalizzazione" di cui si era detto all'inizio.

 

 

 



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