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Editoriale

“L’essenziale è (in)visibile agli occhi”: patrimonio culturale e riforme

di Lorenzo Casini

“What is essential is (in)visible to the eye”: Cultural heritage and Reforms
This editorial focuses on the main recent changes in the cultural heritage sector. Furthermore, the article gives an overview of the reform of the Italian Ministry for Cultural heritage and Tourism, which started in 2014 and is now in the middle of its implementation.

Keywords: Cultural Heritage; Reforms.

Nel proseguimento dell’attuazione della complessa riforma del Ministero, il secondo semestre del 2015 ha visto accadere molte novità nel diritto del patrimonio culturale, la maggior parte delle quali sono esaminate in questo numero della Rivista, mentre le altre saranno analizzate nei prossimi. Vi sono state l’approvazione della legge 7 agosto 2015, n. 124, sulla riforma della pubblica amministrazione; l’emanazione del decreto legge n. 78 del 2015, poi convertito nella legge n. 125 del 2015, contenente disposizioni in materia di enti territoriali; l’emanazione del decreto legge 20 settembre 2015, n. 146, poi convertito nella legge 12 novembre 2015, n. 182, concernente l’esercizio del diritto di sciopero negli istituti e luoghi della cultura di appartenenza pubblica; la presentazione del disegno di legge di stabilità 2016, di imminente approvazione in Parlamento.

La legge sulla riforma della pubblica amministrazione (c.d. legge Madia) detta diverse previsioni che riguardano anche il patrimonio culturale, come ad esempio l’introduzione del silenzio-assenso tra pubbliche amministrazioni; il riordino della disciplina della conferenza dei servizi; la riorganizzazione delle amministrazioni periferiche dello Stato. Sono argomenti su cui si è dibattuto molto, troppo spesso senza piena cognizione di causa. L’articolo di Girolamo Sciullo offre una lucida analisi su questi temi, mostrando con equilibrio i pregi e i difetti delle misure introdotte. L’auspicio è che i decreti attuativi tengano conto di tutte le implicazioni che una scelta o l’altra potranno determinare: ed è bene precisare che i pericoli concreti di un ridimensionamento delle soprintendenze non verranno tanto dal vituperato silenzio-assenso o dalla profetizzata prefettura onnivora, quanto dal modo in cui verrà effettivamente regolata la conferenza di servizi e con quali poteri sarà configurato il rappresentante unico.

Il decreto legge n. 78 del 2015, con un articolo 16 intitolato “Misure urgenti per gli istituti e i luoghi della cultura”, è intervenuto su vari aspetti. Nel testo originario, è stata introdotta una disposizione necessaria per consentire alle pubbliche amministrazioni di ricorrere a Consip s.p.a. come centrale di committenza anche per le gare relative alle concessioni di servizi museali. In sede di conversione, poi, sono state introdotte diverse norme: una su Pompei, al fine di “stabilizzare” la figura del direttore del Grande Progetto; l’altra sul trasferimento allo Stato di istituti e luoghi della cultura delle province e del relativo personale, nonché sulla ri-attribuzione all’amministrazione statale di competenze in materia di tutela di beni librari. Su quest’ultimo profilo si sofferma l’articolo di Geo Magri. La misura prevista dal decreto-legge era necessaria e indispensabile ed era stata chiesta a gran voce dalla maggior parte delle Regioni. È evidente, però, che il ritorno allo Stato di competenze che non erano esercitate dagli anni Settanta richiederà presto un aggiustamento della struttura del Ministero, almeno a livello periferico.

Il decreto legge n. 146 del 2015 è tra le novità più dirompenti, perché ha finalmente inserito in modo esplicito l’apertura al pubblico di istituti e luoghi della cultura tra i servizi pubblici essenziali rientranti nella sfera di applicazione della legge n. 146 del 1990 in materia di esercizio del diritto sciopero. L’articolo di Carlo Zoli e quello di Giuseppe Piperata ricostruiscono accuratamente il contesto e i contenuti del provvedimento, nonché le sue implicazioni sulla disciplina dei servizi pubblici. In sede di conversione, peraltro, è stata inserita una disposizione particolarmente rilevante, che va ben al di là dello sciopero, in base alla quale “In attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, la tutela, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale sono attività che rientrano tra i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, nel rispetto degli statuti delle regioni ad autonomia speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e delle relative norme di attuazione” (articolo 01). È una norma di principio, certamente importante, i cui effetti – ivi inclusa la sua riconducibilità alla disciplina in materia di federalismo fiscale – saranno visibili solamente nel tempo.

La legge di stabilità 2016, infine, ha previsto importanti misure per il patrimonio culturale. Oltre a stanziare oltre 500 milioni per la cultura – cosicché il bilancio del Ministero ha superato i 2 miliardi di euro ed è tornato ai livelli del 2000 – ha investito risorse per gli archivi e le biblioteche e per i musei. Ha stabilizzato il beneficio fiscale dell’artbonus al 65% e a titolo permanente. Ha previsto un concorso straordinario per 500 funzionari, in deroga a tutte le rigide norme in materia di assunzioni, così da colmare almeno la metà delle attuali carenze di organico del Ministero. Ha disposto la fusione di Arcus con Ales. È intervenuta ancora sul percorso di risanamento delle fondazioni lirico-sinfoniche. Ha previsto una revisione della disciplina del 2 per mille per la cultura. Ha introdotto, in risposta agli attentati terroristici di Parigi, una bonus card per i giovani che compiranno 18 anni nel 2016, con 500 euro da spendere per accedere a musei, cinema, teatri, spettacoli dal vivo, nonché per l’acquisto di libri.

Si tratta di una inversione netta di tendenza, che conferma la linea di riforma intrapresa dal 2014. Proprio sulla riforma, infine, è opportuno fare il punto, soffermandosi sullo stato dell’arte del processo di riorganizzazione e sui prossimi passi che saranno compiuti.

Innanzitutto, il 6 agosto 2015 è stato approvato il decreto con cui, dopo 18 anni, il Ministero ha finalmente ridefinito la distribuzione delle proprie dotazioni organiche. Era stata la spending review del 2012-2013 a fissare per il Ministero il numero massimo a 19.050 unità più le 191 posizioni dirigenziali. Il d.m. del 2015 ha così razionalmente distribuito la dotazione del personale tra gli uffici come riformati nel 2014: un’operazione resa improba dalle condizioni di opacità organizzativa in cui versava il Ministero e che mai, nelle precedenti 4 riorganizzazioni avvenute dal 1998 al 2009, era stata compiuta. Sono pertanto in corso su tutto il territorio nazionale i procedimenti di mobilità per assicurare che tutti gli uffici periferici, inclusi quelli creati ex novo dalla riforma, come i poli museali regionali, abbiano le rispettive dotazioni organiche. Il capitolo personale avrebbe bisogno di studi dedicati, sia per mostrare gli effetti negativi sulla macchina prodotti dal ritmo incalzante delle cessazioni (con cambi di direttori di poli museali, segretariati o soprintendenze anche dopo pochi mesi), sia per mettere in luce la inadeguatezza dell’attuale normativa in materia di pubblico impiego rispetto ai mutati ritmi e bisogni della collettività e, conseguentemente, della istituzione deputata a curarne gli interessi, ossia l’amministrazione.

Procede, inoltre, l’attivazione dei musei autonomi. Completato l’insediamento dei direttori, è iniziata la fase di costituzione giuridica dei nuovi istituti: in via di completamento le nomine degli organi (consiglio di amministrazione; comitato scientifico; collegio dei revisori), dovranno ora approvati gli statuti e predisposti i progetti culturali per la messa a gara dei servizi museali. Queste ultime attività saranno svolte anche dai direttori dei poli museali per gli istituti loro assegnati, per i quali è stata anche terminata la procedura che ha portato alla nomina di oltre cento direttori di musei e istituti, selezionati tra funzionari del Ministero a séguito di apposito interpello. Le nuove gare saranno bandite nella Primavera 2016 e saranno gestite da Consip s.p.a., in base a un disciplinare siglato con il Ministero nel mese di dicembre 2015. Tale accordo prevede appunto che il Ministero predisporrà i progetti – stabilendo quali servizi saranno gestiti in house, quali messi a gara e con quali esigenze – mentre Consip elaborerà i bandi e svolgerà il ruolo di centrale di committenza. Nel mese di gennaio 2016, inoltre, saranno emanati nuovi decreti su vigilanza, orario e apertura di musei e luoghi della cultura.

Una discussione a parte merita l’archeologia, sulle cui problematiche si sofferma l’interessante articolo di Luigi Malnati, Maria Grazia Fichera e Sonia Martone. Nella attuazione della riforma, infatti, il settore dei beni archeologici è forse quello che sta suscitando i maggiori problemi. Ciò era prevedibile, come testimoniano gli interventi sia del d.p.c.m. n. 171 del 2014, sia del d.m. 23 dicembre 2014 sui musei, cosicché le aree e i parchi archeologici sono stati sempre più spostati nell’ambito di competenza dei poli museali.

Il 2016 sarà quindi un anno decisivo per vedere i primi effetti della riforma e misurarne l’efficacia. Il Ministero potrà contare sulle risorse stanziate dalla legge di stabilità e sul personale specialistico in arrivo dalle province. Dovranno essere svolte le nuove gare per i servizi museali. Saranno svolte le procedure concorsuali per i 500 funzionari. Dovrà essere affinata la struttura organizzativa, anche per tenere conto delle recuperate competenze in materia di tutela di beni librari. Entrerà in funzione la nuova Scuola del Ministero, su cui sarà costruito un nuovo di sistema di formazione, punto centrale della riforma. In più sono previste rilevanti novità di sistema, che produrranno effetti sul Ministero: i decreti attuativi della legge Madia, la legge in materia di concorrenza (che dovrebbe introdurre semplificazioni nel mercato dell’arte e nella consultazione di archivi e biblioteche) e il nuovo Codice dei contratti pubblici (che dovrebbe auspicabilmente semplificare le norme sui beni culturali, incluse quelle sulla sponsorizzazione).

Nell’attesa, è opportuno e utile proseguire l’approfondimento di problemi importanti che contraddistinguono il diritto del patrimonio culturale e le sue evoluzioni. Come fanno il bel saggio di Giuseppe Severini sulla immaterialità economica nei beni culturali e l’interessante articolo di Annalisa Gualdani dedicato alle intricate vicende giuridiche della Madonna del Parto di Piero della Francesca.



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