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Territorio e patrimonio culturale

La cascina padana: un elemento del paesaggio rurale innanzi alle sfide della transizione ecologica [*]

di Gabriele Torelli [**]

Sommario: 1. Il paesaggio rurale del Nord Italia e la cascina padana come suo carattere identitario. - 2. Criticità nell’individuazione di una (condivisa) definizione giuridica. - 3. La cascina padana tra tradizione e innovazione: una possibile connessione con i temi della transizione ecologica?4. L’apporto della cascina padana agli obiettivi della transizione ecologica: le “spinte” verso l’autosufficienza energetica e le relative problematiche. - 5. Qualche appunto conclusivo.

La cascina padana è un manufatto edilizio caratterizzante il paesaggio rurale del Nord Italia, tradizionalmente adibita ad usi agricoli. Per favorirne i processi di recupero abitativo, l’articolo riflette sulla possibilità di rendere la cascina autosufficiente dal punto di vista energetico tramite l’installazione degli appositi impianti e strumenti di efficientamento. Tuttavia, disciplinare per legge questa operazione è particolarmente complicato, perché le azioni si inseriscono nell’ambito del dibattito sul coordinamento tra i valori costituzionali della tutela del paesaggio e della transizione ecologica.

Parole chiave: cascina; paesaggio; beni paesaggistici; transizione ecologica; transizione energetica.

The Po Valley farmstead: a rural landscape element facing the challenges of ecological transition
The Po Valley farmhouse is a characterising building of the rural landscape of Northern Italy, traditionally used for agricultural purposes. The paper considers the possibility of making the farmhouse energy self-sufficient through the installation of special systems to promote its housing recovery processes. However, the regulation of these actions is particularly complicated because it is influenced by the debate on the coordination of some constitutional values such as the landscape and ecological transition protection.

Keywords: farmhouse; landscape; landscape assets; ecological transition; energy transition.

1. Il paesaggio rurale del Nord Italia e la cascina padana come suo carattere identitario

Il “paesaggio rurale” descrive le relazioni tra il paesaggio agrario e pastorale, la struttura dell'insediamento, l’identità, la cultura locale e l’organizzazione economica di un territorio [1]. Diverse possono essere le opere dell’uomo che contribuiscono a plasmarlo, attribuendogli caratteristiche e connotati specifici che lo hanno modellato nei secoli; tra questi, nel rivolgere l’attenzione verso un particolare contesto geografico, meritano attenzione le vicende della c.d. “cascina padana”, sulla quale il presente studio intende concentrarsi.

La cascina è un edificio tipico della Pianura Padana in gran parte della sua estensione e costituisce un immobile caratteristico del paesaggio della Lombardia pre-montana e pre-collinare, oltre che di alcune aree del Nord-est del Paese, utilizzata per favorire lo svolgimento delle attività a vocazione agricola nel territorio rurale, fungendo sia da deposito delle sementi sia da abitazione per i coltivatori. In altre parole, la cascina rappresenta un anello di congiunzione tra la civiltà contadina e la struttura delle connotazioni storiche, culturali e paesaggistiche della Val Padana, integrandone una fondamentale testimonianza architettonica e di identità storico-culturale perché attraverso i secoli ne ha caratterizzato la modalità costruttiva, abitativa e produttiva prevalente. Identità che si è perciò gradualmente radicata per l’importanza antropologica che l’edificio ha assunto nel passato, essendo divenuto uno strumento prezioso per il sostentamento dell’uomo e del suo nucleo familiare.

Per le sopra elencate ragioni, la cascina è parte del patrimonio di architettura territoriale e fedele testimonianza della vita rurale e delle attività della tradizione agricola, inserendosi nel contesto paesaggistico ed elevandone la qualità in forza della sua complessità tipologica e della centralità del proprio ruolo sul versante sociologico. È corollario di quanto appena osservato che paesaggio agrario e cascina sono due elementi intimamente connessi e la seconda configura un carattere tipico del primo, assumendo la funzione di nodo di “maglia territoriale” [2].

Se, dunque, la cascina ha contraddistinto la vita agricola della Val Padana in base ad un modello fortemente dinamico, rappresentando il caposaldo di numerose azioni rivolte all’autosostentamento dell’uomo, allora la tutela di ciò che rappresenta non dovrebbe essere perseguita attraverso l’imposizione di un vincolo vero e proprio, il quale risulterebbe inefficace perché in contrasto con la natura - appunto - dinamica dell’edificio, ma dovrebbe essere più opportunamente assicurata tramite l’avvio di ponderate politiche di valorizzazione, idonee ed adeguate al contesto considerato [3]. Sarebbe invero più proficuo immaginare politiche di valorizzazione funzionali a ridare “nuova vita” alla cascina, prospettandone il recupero della sua vocazione agricola o (meglio ancora) abitativa [4].

È lungo questa traiettoria che, del resto, si è mosso anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), la cui missione n. 2 è dedicata, tra le altre cose, al recupero di parti del patrimonio culturale, prevedendo specifiche misure di sostegno a favore dell’architettura e del paesaggio rurale [5] in quanto beni da riutilizzare al fine di contrastare lo spopolamento delle zone più periferiche del Paese [6] e, al contempo, avviare processi di rigenerazione territoriale e sviluppo locale [7].

Ancora prima, un importante riconoscimento del carattere culturale dell’architettura rurale si era avuto per via legislativa, quando oltre un ventennio fa il Codice dei beni culturali e del paesaggio, all’art. 10, comma 4, lett. l), ha espressamente qualificato come beni culturali “le architetture rurali aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze dell’economia rurale tradizionale”, includendo altresì all’art. 135, comma 4, lett. d), la “dimensione” rurale del paesaggio nei valori da salvaguardare mediante gli strumenti della pianificazione territoriale.

Se dunque sembra evidente l’afferenza al patrimonio culturale della cascina quale manufatto edilizio tipico della vita socio-economica di una determinata area del Paese, altri sono i profili su cui residuano dei dubbi e, perciò, meritevoli di un approfondimento, a partire dalle questioni più squisitamente incentrate sulla certezza del diritto - specialmente quelle relative all’individuazione dei confini della definizione di “cascina” sotto il profilo normativo - per giungere alle “sfide” della contemporaneità relative alle politiche di recupero.

Con particolare riguardo a questo secondo aspetto, riconoscendo le strette connessioni tra gli edifici dell’architettura rurale e le azioni di rigenerazione del territorio [8], allora non pare illogico interrogarsi sul ruolo attivo che la cascina padana potrebbe rivestire (anche) nelle vicende di carattere più marcatamente ambientale e nei processi di transizione ecologica [9]. Ci si prefigge quindi di valutare, nell’ambito dei processi di recupero abitativo e valorizzazione della cascina padana, e fermo il suo possibile [10] valore paesaggistico, in che modo questa possa compartecipare alle attuali sfide della transizione ecologica, con specifico focus sull’efficientamento energetico, valutando così le criticità emergenti nel rendere tale edificio meno impattante sull’ambiente e allo stesso tempo più “appetibile” in termini abitativi.

2. Criticità nell’individuazione di una (condivisa) definizione giuridica

In fine del paragrafo precedente, si accennava alla difficoltà di individuare una compiuta definizione di “cascina”. Sebbene ne sia stato riconosciuto il carattere identitario e peculiare del paesaggio agrario della pianura padana, ciò non è sufficiente per una definizione valida e compiuta sotto il profilo giuridico, motivo per cui è opportuno un approfondimento del tema.

Non giunge in soccorso delle nostre esigenze il Codice, che non menziona in alcun modo il termine “cascina” (né tantomeno “cascina padana”), risultando questo un profilo probabilmente troppo specifico per essere considerato all’interno del d.lg. n. 42/2004.

È dunque alla legislazione regionale che bisogna guardare, consapevoli del fatto che se questa intende definire la cascina dal punto di vista normativo non dovrebbe incorrere in particolari problemi di ordine costituzionale. Infatti, è vero che la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di una legge regionale nella parte in cui individuava alcuni manufatti edilizi come profili identitari del paesaggio (costiero, nel caso di specie), perché la funzione di individuazione è assimilabile alla tutela, risultando perciò di competenza statale [11]; nondimeno, con riguardo alle cascine, si tratterebbe solo di specificare a quali condizioni un edificio a vocazione agricola ed abitativa rientri nella nozione già fatta propria dal Codice - e perciò dal legislatore statale - di “architettura rurale” (art. 10, comma 4, lett. l) o comunque di elemento tipico del paesaggio rurale (art. 135, comma 4, lett. d). Cioè si tratterebbe di specificare per tramite della legge regionale le caratteristiche di cui la cascina dovrebbe disporre per essere considerata parte del patrimonio culturale, a fronte di una prima apertura in tal senso da parte della legge statale. Un caso ben distinto da quello sopra richiamato su cui si è soffermata la Corte.

Tuttavia, anche rivolgendo l’attenzione alla legislazione regionale [12], non si rinviene una definizione normativa specifica sulle cascine né come testimonianze edilizie peculiari del paesaggio agrario né come manufatti della tradizione agricola, ma solo alcuni riferimenti generici sul riuso degli edifici rurali.

Ad esempio, nel contesto lombardo, l’art. 40-ter, l.r. 11 marzo 2005, n. 12, rubricato “Recupero degli edifici rurali dismessi o abbandonati”, prevede per tali edifici, dimessi o abbandonati, un favor nello sviluppo di politiche di recupero consistente nell’estensione delle previsioni sul permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici.

Sebbene la norma sia comprensibile nei suoi obiettivi, manca appunto una specifica menzione per le cascine, tanto è vero che la stessa regione Lombardia ha avvertito l’esigenza di predisporre una proposta di legge ad hoc in grado di colmare la lacuna. È all’interno di questo contesto che nell’XI legislatura è stata presentata la proposta di legge 18 aprile 2023, n. 7, “Misure per la conservazione, fruizione, e valorizzazione delle cascine lombarde - modifiche alla l.r. 12/2005”, specificamente rivolta a promuovere l’attuazione di politiche di recupero delle cascine anche sotto il profilo paesaggistico [13]. In particolare, merita menzione l’art. 2 della proposta di legge, incentrato sulla definizione normativa di “cascine”, che richiama come caratteristiche peculiari la realizzazione anteriore al 1967, la destinazione d’uso originaria agricola e la conservazione delle caratteristiche architettoniche originarie di stampo colonico tipiche del rustico lombardo.

Di rilievo, inoltre, è anche l’art. 3 che si prefigura l’obiettivo di redigere un albo delle cascine in modo tale da assicurare più facilmente lo sviluppo delle attività di riuso e rigenerazione su tali edifici. Senza dimenticare, inoltre, la volontà di introdurre l’art. 40-quater all’interno della l.r. n. 12/2005, che prevede la possibilità di eseguire sulle cascine le operazioni di “risanamento conservativo” e di “recupero funzionale” e “di uso anche diverso da quello agricolo, nel rispetto dei caratteri dell’architettura e del paesaggio rurale”. Nel momento in cui si scrive (febbraio 2025), la proposta di legge non è ancora stata approvata, ma l’iter sta proseguendo nell’auspicio che la vicenda possa esaurirsi in tempi brevi ed avere un esito positivo [14].

Per concludere sul punto, l’acclarata lacuna normativa sulle cascine quale elemento architettonico caratterizzante il paesaggio rurale non ci pare comunque precludere in toto l’avvio di politiche di rigenerazione e recupero, perché i riferimenti nel Codice da cui è desumibile la loro afferenza al patrimonio culturale sono sufficienti per la promozione di azioni ad hoc, anche in considerazione dell’attenzione che il Pnrr dedica a queste tematiche [15]. Al contempo, però, sarebbe preferibile disporre di una normativa specifica, soprattutto se funzionale - come nel caso della proposta di legge lombarda - ad avviare apposite operazioni di valorizzazione sulle cascine, evidenziandone il carattere storico, identitario, paesaggistico ed abitativo; infatti, la definizione di una legge specifica dovrebbe garantire previsioni di maggiore dettaglio anche sotto il profilo urbanistico, come ad esempio l’individuazione degli strumenti del governo del territorio mediante i quali ottenere gli obiettivi del recupero edilizio su un bene (potenzialmente) localizzato in un contesto di valore paesaggistico, assicurando utili riferimenti agli enti locali [16].

3. La cascina padana tra tradizione e innovazione: una possibile connessione con i temi della transizione ecologica?

Dopo avere ragionato sulle criticità riguardanti il livello normativo, è a questo punto opportuna qualche considerazione in merito al secondo profilo che ci si era prefissati di esaminare, ovvero le “sfide” della contemporaneità sotto il profilo ambientale, e più specificamente della transizione ecologica, che potrebbero riguardare anche singoli edifici che rivestono valore culturale, o comunque paesaggistico. In parole più semplici, si intende verificare se, con l’obiettivo di favorirne i processi di recupero e valorizzazione sotto il profilo rigenerativo e abitativo, la stessa cascina - presupposta la sua possibile afferenza al patrimonio culturale - possa divenire un “laboratorio” di sperimentazioni ed interventi in chiave di sostenibilità ambientale.

Domanda certamente non semplice se non altro perché tenta di coniugare due interessi, quello ambientale e paesaggistico, il cui rapporto è stato spesso critico da ricomporre sul piano legislativo ed amministrativo, nel senso che la protezione dell’uno ha talvolta determinato inesorabilmente la riduzione dell’altro [17]. Domanda, poi, resa ancor più complessa in ragione di alcune prese di posizione della giurisprudenza costituzionale e amministrativa che, al fine di assicurare il primario obiettivo della transizione ecologica, il contrasto al riscaldamento globale e quindi al cambiamento climatico, hanno fortemente valorizzato il principio di massima diffusione degli impianti di energia rinnovabile e pulita (c.d. “pale eoliche”) anche là dove ciò avesse potenzialmente influito negativamente sull’interesse paesaggistico, non più ritenuto prevalente a prescindere [18].

Il tema è dunque complesso, sebbene in linea generale il fine ultimo non dovrebbe tanto essere quello di una inversione gerarchica tra ambiente e paesaggio a favore del primo quanto, piuttosto, quello di una integrazione tra i due valori, come peraltro evidenziato anche dal Consiglio di Stato [19]. In breve, siccome nel presente periodo storico questo rapporto è centrale non solo all’interno del dibattito dottrinale e giurisprudenziale ma riveste anche assoluta importanza sul piano sociale, è naturale chiedersi se possa incidere anche sul tema del recupero della cascina padana.

La risposta - lo si sarà già intuito - è per chi scrive positiva, perché il progetto di ridare nuova vita alla cascina, soprattutto sotto il profilo abitativo, richiede uno sforzo che va nella direzione di coordinare il suo valore paesaggistico [20] con le operazioni edilizie da eseguire al fine di renderla compatibile con i processi di transizione ecologica, i quali non riguardano solamente i settori urbanistici, le aree urbane o la pianificazione territoriale, ma anche i singoli edifici.

Per averne conferma si pensi, solo per citare gli esempi più noti, alla direttiva sulle prestazioni energetiche nell’edilizia (c.d. “case green”, dir. 2024/1275/Ue) [21], da recepire entro maggio 2026, relativa alla prestazione energetica degli edifici, la quale prevede un impegno per gli Stati membri di una graduale riduzione del consumo di energia degli edifici residenziali entro il 2035 [22]. E se è pur vero che gli immobili di valore culturale potrebbero essere esentati dall’applicazione delle disposizioni della direttiva, è altrettanto certo che questa sia una eventualità, non un obbligo [23].

In definitiva, una riflessione sulle modalità in cui il singolo edificio, anche di origine rurale, possa offrire un proprio contributo ai processi di sostenibilità ambientale di più ampio respiro ci pare giustificata.

Tanto ritenuto, il passo successivo diviene quello di riflettere sulle azioni, e sulle relative basi normative, che possono essere avviate allo scopo di rigenerare la cascina rendendola un modello di economica circolare, ossia autosufficiente sotto il profilo energetico.

Del resto, il connubio tra transizione ambientale ed economia circolare rappresenta oggi un rapporto di assoluta importanza e, per questo motivo, già ampiamente indagato in dottrina in diversi settori; vari autori si sono sovente soffermati sui benefici in termini di sostenibilità offerti dal riutilizzo di beni già consumati, quali ad esempio residui alimentari e materiali di scarto (su tutti carta e plastica), essendo questo un meccanismo necessario per rendere l’immobile di uso residenziale “ecocompatibile” [24]. Perché sia pienamente efficace, lo stesso approccio circolare dovrebbe appunto applicarsi anche al “bene energia”, considerando che tali consumi, da un lato, configurano nel presente periodo storico uno dei principali parametri di benessere della vivibilità degli edifici e degli spazi abitativi, ma dall’altro risultano particolarmente inquinanti: è bene dunque tentare di individuare un punto di equilibrio con l’obiettivo di rendere l’immobile il più possibile “autosufficiente [25].

In altre parole, la circolarità - e quindi l’autosufficienza - energetica è uno dei paradigmi con cui sviluppare il modello della transizione ecologica, anche in ragione dei criteri più stringenti di derivazione europea, motivo per cui una riflessione più approfondita su come impiantare tale modello in un edificio configurante un elemento del paesaggio rurale rappresenta una sfida affascinante non solo sotto il profilo tecnico-architettonico ma anche (e per quanto in questa sede rileva) sotto il profilo giuridico.

4. L’apporto della cascina padana agli obiettivi della transizione ecologica: le “spinte” verso l’autosufficienza energetica e le relative problematiche

Nel contesto della transizione ecologica, il profilo dell’efficientamento energetico è dunque un elemento indispensabile per rendere la cascina un edificio autosufficiente dal punto di vista dei consumi di base e favorirne il recupero a livello abitativo. È bene a questo punto verificare se il perseguimento di questi obiettivi è agevolato da un quadro normativo coerente e completo o se, al contrario, si ravvisano delle lacune.

È preliminare a qualsiasi ragionamento al riguardo riconoscere la stratificazione normativa nel settore dell’efficienza delle prestazioni energetiche nell’edilizia, sviluppatasi sul triplice livello europeo, nazionale e regionale [26], ed il cui ultimo riferimento in ordine cronologico a livello sovranazionale è oggi dato dalla già sopra menzionata direttiva Ue 2024/1275, a sua volta da coordinare con quanto previsto dalla missione n. 2 del Pnrr che prevede una serie di azioni a favore dell’“Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici” [27].

Tuttavia, al di là delle linee strategiche definite a livello europeo [28] e statale, la specificità del tema in questa sede affrontato consiglia di concentrarsi soprattutto sull’ambito regionale, ricordando che alle stesse Regioni nel corso degli anni sono state riconosciute significative competenze non solo sulla regolazione delle prestazioni energetiche, ma anche in tema di valorizzazione e persino di tutela ambientale e paesaggistica [29], a condizione che ciò non determini un minore grado di salvaguardia rispetto alle previsioni di rango statale [30]. In particolare, poiché la cascina è un edificio caratterizzante il Nord della Val Padana, l’attenzione sarà rivolta alle disposizioni legislative di Lombardia e Veneto per valutare la vigenza di eventuali previsioni utili per favorire i processi di autosufficienza energetica della cascina [31].

Con riferimento al Veneto, l’art. 5, l.r., 8 luglio 2009, n. 14 e s.m.i., prevede al comma 1 che, al fine di favorire l’installazione di impianti solari e fotovoltaici e di altri sistemi di captazione delle radiazioni solari, tale installazione non concorre a formare cubatura sulle abitazioni esistenti, mentre il comma 2 specifica che essa è possibile anche in zona agricola ed è sottoposta a SCIA, fatto salvo quanto previsto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio. Proprio la previsione della “clausola di salvezza” induce a concludere che, qualora la cascina sia considerata un bene paesaggistico o comunque sia localizzata all’interno di area di valore paesaggistico [32], gli interventi di prestazione energetica non potrebbero essere realizzati prescindendo dalla relativa autorizzazione ex art. 146; pertanto, e pur accettando il rischio che la considerazione appaia troppo tranchant, l’interesse afferente al patrimonio culturale non pare recessivo rispetto all’interesse ambientale e nella sua specifica declinazione della transizione ecologica, in apparente distonia con i ragionamenti della Corte costituzionale evidenziati nel paragrafo 3.

Ancora, altra norma meritevole di richiamo è la l.r. Veneto 5 aprile 2019, n. 14 (c.d. “Veneto 2050”, sulla promozione di politiche per la riqualificazione urbana e la rinaturalizzazione del territorio), ed in particolare gli artt. 6, 7 e 8. Questi consentono, rispettivamente, interventi edilizi di ampliamento in termini di volumetria o superficie per gli immobili oggetto di riqualificazione energetica [33]; incrementi volumetrici sul patrimonio edilizio esistente in caso di adeguamento a standard qualitativi energetici; interventi edilizi di ampliamento di volumi o superfici su manufatti in zone agricole purché siano svolti interventi di riqualificazione energetica, che però sono ammessi solo per la prima casa di abitazione e le relative pertinenze. Nondimeno, come specificato dall’art. 17, comma 3 della stessa legge regionale, per tutti gli interventi elencati “è fatta salva la legislazione statale vigente in materia di tutela dei beni culturali e paesaggistici”; soprattutto, l’art. 3, comma 4, lett. a), esclude l’applicazione dei summenzionati artt. 6, 7 e 8 - e dunque dei relativi incentivi in caso di interventi di riqualificazione energetica - agli edifici “vincolati ai sensi della parte seconda del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 ‘Codice dei beni culturali e del paesaggio’”, mentre “nel caso di immobili oggetto di vincolo indiretto, ai sensi dell’articolo 45 del citato decreto legislativo, gli interventi sono consentiti unicamente laddove compatibili con le prescrizioni di tutela indiretta disposte dall’autorità competente in sede di definizione o revisione del vincolo medesimo”.

Due considerazioni sono da farsi in merito.

La prima: l’impossibilità di applicare integralmente gli interventi di cui agli artt. 6, 7 e 8, l.r. Veneto n. 14/2019, riguarda i soli immobili gravati da vincolo culturale, ma non quelli gravati da vincolo paesaggistico, perché l’art. 3, comma 4, lett. a), richiama solo la parte seconda del Codice e non la terza. La seconda considerazione, strettamente correlata alla precedente: anche i vincoli indiretti condizionano la realizzabilità degli interventi solo se l’immobile è gravato da vincolo culturale ma non da vincolo paesaggistico.

Dalla stretta interpretazione delle previsioni della l.r. n. 14/2019 (c.d. “Veneto 2050), si desume che l’eventuale valore paesaggistico della cascina non interferirebbe con le operazioni di riqualificazione energetica, diversamente da quanto previsto dall’art. 5, comma 2, l.r. Veneto n. 14/2009, il quale invece come già sopra riportato richiederebbe l’autorizzazione paesaggistica ex art. 146 del Codice per consentire l’intervento di efficientamento energetico. In breve, nella legislazione della medesima regione, si rilevano indicazioni non univoche sul rapporto tra i valori paesaggistici e quelli ambientali (declinati in termini di prestazione energetica dei manufatti edilizi), perché in un caso il provvedimento autorizzatorio per l’intervento di efficientamento energetico incidente su un bene paesaggistico sarebbe necessario, mentre nell’altro caso superfluo.

Certo, potrebbe obiettarsi che, in una prospettiva di interpretazione uniforme del quadro legislativo, con riguardo agli interventi di cui alla l.r. n. 14/2019 sia preferibile estendere il provvedimento autorizzatorio anche ai beni ed alle aree vincolate dal punto di vista paesaggistico e non solo culturale in senso stretto, ma rimane l’impressione di un quadro normativo eterogeneo e non ben coordinato per i temi qui esaminati.

Muovendo ora lo sguardo verso la disciplina della Lombardia, la situazione non sembra migliore in termini di certezza del diritto, tutt’altro.

Oltre al già ricordato d.d.l. sulle cascine, merita menzione il decreto dirigenziale 30 luglio 2015, n. 6480 (c.d. “Testo unico sull’efficienza energetica”, attuativo della delibera della giunta regionale 17 luglio 2015, n. 3868), il quale, nel prevedere una serie di misure di efficientamento delle prestazioni energetiche sugli edifici ad uso abitativo, all’art. 3.3. lett. a) esclude dall’obbligo di applicazione di tali misure gli immobili di valore paesaggistico di cui all’art. 136, comma 1, lett. a), b) e c), del Codice, ivi incluse dunque le cascine. Tuttavia, non sono rese ulteriori specificazioni con riferimento né ai possibili interventi di efficientamento da eseguire né alle condizioni e/o autorizzazioni necessarie per ammetterli su immobili ad uso abitativo che abbiano valore paesaggistico. Per colmare la lacuna, non sembra si possa fare a meno di rivolgere lo sguardo alla normativa nazionale, e dunque al Codice, che dovrebbe però andare nella direzione di subordinare gli interventi di prestazione energetica su edifici vincolati sotto il profilo paesaggistico all’autorizzazione di cui all’art. 146 [34].

5. Qualche appunto conclusivo

L’autosufficienza energetica della cascina padana è un tema estremamente specifico per cui, in mancanza di una normativa ad hoc, sembra fisiologica la carenza di adeguate disposizioni nazionali e/o regionali relative alle prestazioni di efficientamento energetico per favorirne il riuso a livello abitativo.

La mancanza di dettagli del dato legislativo impone quindi di individuare un punto di equilibrio tra la tutela e la valorizzazione della cascina intesa come bene paesaggistico o (quantomeno localizzato su area paesaggisticamente vincolata) e la crescente sensibilità verso i processi di efficientamento energetico riguardanti anche i manufatti edilizi, ivi compresi quelli vincolati.

Si ha però l’impressione che questa criticità difficilmente possa essere risolta sul piano regionale sia per motivi di omogeneità di disciplina sia per l’importanza della questione, che evoca scenari di rilievo statale, su tutti quelli in relativi alla tutela del patrimonio culturale. Non a caso, si è detto, il bilanciamento tra profili afferenti a patrimonio culturale e transizione ecologica è oggetto di crescente attenzione da parte della Corte costituzionale e se questa stessa non si sbilancia su una prevalenza assoluta di un valore sull’altro, preferendo evidenziare come il paesaggio non debba essere ritenuto a priori prevalente sulla necessità di “energia pulita”, ben si comprendono allora le difficoltà del legislatore regionale nel dettare disposizioni specifiche che presumibilmente dovrebbero individuare un valore prevalente. Ragionamento che ovviamente riguarda anche i processi di efficientamento energetico insistenti sulla cascina a fini abitativi.

Che fare, dunque?

Viste le tante incertezze, e considerando che la Corte costituzionale richiama ad un atteggiamento prudenziale e senza preconcetti ideologici, si ritiene che il legislatore regionale non possa beneficiare di ampi margini di autonomia nella disciplina della materia, i cui conflitti andrebbero risolti sul piano amministrativo - e dunque concreto - e non su quello legislativo. Ciò non significa che le leggi regionali, seguendo l’esempio lombardo, non possano opportunamente concentrarsi sulla valorizzazione delle cascine come bene paesaggistico, così da offrirne una definizione normativa, individuare gli interventi più adeguati dal punto di vista della riqualificazione energetica, anche rispetto agli strumenti urbanistici, e indicare incentivi e tempistiche; diversamente, si intende sostenere che, proprio in base agli attuali indirizzi della Corte, gli interventi rivolti a rendere autosufficiente dal punto di vista energetico la cascina padana non potranno essere realizzati ignorando le prescrizioni di tutela del paesaggio, le quali a loro volta non potranno però precludere in assoluto l’installazione di pannelli fotovoltaici o di qualsiasi altro impianto di efficientamento energetico.

In mancanza di più specifiche indicazioni sul coordinamento tra i “macro-valori” da parte della consulta o del legislatore statale, il legislatore regionale non sembra in grado di assumersi una responsabilità né per acconsentire né per vietare tout court gli interventi di efficientamento, i quali andranno perciò disciplinati con estrema cura ed esaminati di volta in volta nel caso concreto. Con buona pace della certezza del diritto (quantomeno a livello positivo), ma nel presente momento storico questa appare l’unica soluzione possibile.

 

Note

[*] La ricerca fa parte del progetto “Autarchia energetica, idrica, alimentare, del sistema abitativo unifamiliare del Nord Est”, finanziata dal PNRR - Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, Missione 4, Componente 2, Investimento 1.5, Ecosistema INEST-Interconnected Nord-Est Innovation, Spoke 4 (Università Iuav di Venezia). Sono responsabili scientifici della ricerca: Gabriele Torelli, Susanna Pisciella, Elena Giacomello, Francesco Trovò.

[**] Gabriele Torelli, ricercatore “B” di Diritto amministrativo presso il Dipartimento di culture del progetto dell'Università IUAV di Venezia, Santa Croce 191, Tolentini, 30135 Venezia, gabriele.torelli@iuav.it.

[1] Diversi sono gli studi che hanno messo in evidenza lo stretto rapporto tra paesaggio e architettura rurale: tra i tanti, senza pretese di completezza, E. Del Mastro, La tutela del paesaggio rurale: tendenze evolutive a livello nazionale e comunitario, in Aedon, 2005, 2; con particolare riguardo ai profili naturalistici che caratterizzano il paesaggio rurale, A. Denuzzo, La vicenda degli ulivi secolari pugliesi: un paesaggio rurale in cerca di tutela, in Aedon, 2017, 3. N. Ferrucci, Architettura e paesaggio rurale tra permanenze, recuperi e trasformazioni, in Dir. giur. agr., alim. e amb., 2010, n. 5, pag. 296 ss. In una prospettiva più marcatamente architettonica, ma di estremo rilievo sul piano operativo, si segnala altresì il lavoro monografico di S. Agostini, V. Di Battista e C. Fontana, Architettura rurale nel Paesaggio - Analisi e indirizzi di intervento, Rimini, Maggioli, 2016.

[2] I tratti caratteristici delle cascine, anche sotto il profilo architettonico, nel territorio lombardo-veneto e le loro funzioni tradizionali sono ben descritti da R. Schena, Milano. Il patrimonio dimenticato. Borghi ducali, antiche cascine, arte, storie, Milano, Magenes, 2020.

[3] Ai fini di una efficace tutela del patrimonio culturale, lo stesso giudice amministrativo si è espresso in senso contrario ad un vincolo “fine a sé stesso”, cioè incapace di assicurare una protezione effettiva ad un bene paesaggistico vivo e dinamico quale è il paesaggio agrario (si v. al riguardo Tar Lazio, Roma, sez. I, 27 gennaio 2021, n. 1080). Per un commento su questo punto ed alcuni rinvii a questa medesima sentenza, A. Sau, Il rapporto tra funzione urbanistica e tutela paesaggistica oltre il “mito” della primarietà. Qualche considerazione a margine di Consiglio di Stato 31 marzo 2022, n. 2371, in Aedon, 2022, 2, pag. 68 ss.

[4] La stretta correlazione tra tutela e valorizzazione del paesaggio agrario è ben evidenziata anche dai contributi rinvenibili in Aa.Vv., Tutela paesistica e paesaggio agrario, (a cura di) D. Granara, Torino, Giappichelli, 2017. Sulla tutela e valorizzazione del paesaggio in generale, ex multis, G. Sciullo, Tutela del paesaggio e ripensamenti del legislatore, in Aedon, 2022, 3, pag. 124 ss.

[5] Le connessioni tra PNRR e recupero del patrimonio paesaggistico, anche di carattere rurale, sono ben evidenziate da G. Piperata, Rigenerazione urbana e patrimonio culturale nell’esperienza amministrativa italiana di ripresa e resilienza, in Aedon, 2024, 1, pag. 7 ss.

[6] Il concetto di spopolamento delle aree interne, con particolare focus ai c.d. “borghi”, è tema esaminato da A. Sau, La rivitalizzazione dei borghi e dei centri storici minori come strumento per il rilancio delle aree interne, in www.federalismi.it, 2018, n. 3.

[7] L’estensione del concetto di “riuso” e “rigenerazione” ai profili culturali e paesaggistici, con particolare riguardo alle aree interne e rurali, è stata approfondita in una recente monografia di C. Vitale, Riuso e valorizzazione del patrimonio culturale nelle aree interne. Profili giuridici, Torino, Giappichelli, 2024. Analoghe considerazioni preliminari alla stesura del lavoro monografico erano già state svolte da Id., Rigenerare per valorizzare. La rigenerazione urbana “gentile” e la riduzione delle diseguaglianze, in Aedon, 2021, 2, pag. 82 ss. Inoltre, l’opportuna estensione del concetto di rigenerazione dall’ambito strettamente urbanistico ai profili territoriali (e, di conseguenza, paesaggistici) è elemento desumibile anche dai contributi rinvenibili in Aa.Vv., Agenda Re-cycle: proposte per re-inventare la città, (a cura di) E. Fontanari e G. Piperata, Bologna, il Mulino, 2017.

[8] Si v. in particolare la nota precedente.

[9] Non è dubitabile, infatti, che l’approccio rigenerativo sia strettamente legato a politiche di tutela e valorizzazione ambientale, su tutte quelle relative al contrasto al consumo di suolo e contenimento dell’innalzamento delle temperature dovuto ai cambiamenti climatici, senza dimenticare quelle specificamente rivolte alla transizione ecologica. Tra le varie opere sul tema, tra i numerosi studi e senza pretese di completezza, oltre alla già ricordata Agenda Re-cycle, cit., è possibile richiamare M. Cammelli, Politiche urbane e protezione del patrimonio culturale, in Aedon, 2022, 2, pag. 66 ss.; Aa.Vv., La rigenerazione di beni e spazi urbani, (a cura di) F. Di Lascio e F. Giglioni, Bologna, Il Mulino, 2017; W. Gasparri, Suolo, bene comune? Contenimento del consumo di suolo e funzione sociale della proprietà privata, in Dir. pubbl., 2016, 1, pag. 69 ss.; G.F. Cartei, Il problema giuridico del consumo di suolo, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2014, 6, pag. 1261 ss.; E. Boscolo, Oltre il territorio: il suolo quale matrice ambientale e bene comune, in Urb. e app., 2014, 2, pag. 129 ss.; P. Otranto, Regolazione del consumo di suolo e rigenerazione urbana, in giustamm.it, 2015. In merito al rapporto tra rigenerazione e cambiamenti climatici, G. Torelli, Il contrasto ai cambiamenti climatici nel governo del territorio. Un PAESC per la laguna di Venezia, in www.federalismi.it, 2020, n. 2. Sul collegamento tra territorio, politiche rigenerative e transizione ecologica, A. Moliterni, Transizione ecologica, ordine economico e sistema amministrativo, in Riv. diritti comparati, 2022, 2, pag. 395 ss.; P. Dell’Anno, I cambiamenti climatici e gli eventi estremi. La transizione energetica e i suoi nemici, in Riv. quadr., dir. amb., 2024, 1, pag. 26 ss.

[10] “Possibile”, nel senso che la cascina padana non è ovviamente bene afferente ex lege al patrimonio culturale, ma avrebbe bisogno di un esplicito riconoscimento in tal senso in via amministrativa, in base alle norme previste dal Codice sopra menzionate.

[11] Corte cost. 28 febbraio 2022, n. 45, in riferimento alla l.r. Molise, 11 novembre 2020, n. 12, nella parte in cui individuava i “trabocchi” sulla costa molisana come bene di valore paesaggistico.

[12] Su cui, per maggiori approfondimenti, si v. il par. 4.

[13] Il testo integrale della proposta di legge è consultabile e scaricabile al seguente indirizzo web: https://www.consiglio.regione.lombardia.it/wps/portal/crl/home/leggi-e-banche-dati/Elenco-generale-atti/Dettaglio-atto?tipoatto=Pdl&numeroatto=7&estensioneatto=&legislatura=XII.

[14] Queste informazioni sono desumibili dalla lettura di alcuni comunicati stampa, rinvenibili all’indirizzo web https://askanews.it/2024/12/19/lombardia-passa-proposta-pd-per-valorizzare-e-recuperare-cascine/.

[15] Al riguardo, si v. le considerazioni svolte nel paragrafo precedente.

[16] Cioè, una legge ad hoc sarebbe in grado di prevedere (come del resto è previsto dall’art. 6 della proposta di legge lombarda) le modalità in cui gli interventi di recupero possono essere concretamente effettuati attraverso la definizione di apposite prescrizioni per i piani urbanistici, in relazione ad esempio alla costruzione delle dotazioni territoriali, al mutamento della destinazione d’uso degli edifici, alla qualificazione edilizia degli edifici, etc.

[17] Il tema è approfondito da S. Amorosino, La “dialettica” tra tutela del paesaggio e produzione di energia da fonti rinnovabili a tutela dell’ambiente atmosferico, in Riv. giur. ed., 2022, II, pag. 273 ss.

[18] Lo ricorda G. Piperata, Territori da tutelare e transizioni ecologiche da promuovere: armonizzazione degli interessi e ruolo dei poteri regionali e locali, in Le Regioni, 2023, 5, pag. 903 ss., spec. pag. 920 ss., il quale comunque ritiene che il rapporto tra interesse ambientale e paesaggistico non debba essere risolto in termini di contrapposizione ma di integrazione. L’A. richiama le sentenze Corte cost., 23 febbraio 2023, n. 27; Corte cost., 30 maggio 2016, n. 12; Corte cost., 21 ottobre 2022, n. 216 e, sul versante della giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato, Sez. IV, 8 settembre 2023, n. 8235, che valorizza il principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, in linea con quanto previsto dalla normativa europea. Altre sentenze che vanno nella medesima direzione sono Corte cost., 5 aprile 2018, n. 69, e per quanto riguarda il versante della giurisprudenza amministrativa è possibile segnalare Cons. Stato, sez. IV, 11 settembre 2023, n. 8258; Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 2022, n. 1742; Cons. Stato, sez. VI, 11 novembre 2016, n. 4676. Per ulteriori approfondimenti sul tema, si rinvia a E. Boscolo, Agricoltura e produzione di energia: l’agrivoltaico di fronte al Consiglio di Stato, in Giur. it., 2023, pag. 2701 ss.; G.D. Comporti, Energia, ambiente e sviluppo sostenibile, in www.federalismi.it, 2023, n. 13.

[19] Il riferimento è alla celebre pronuncia Cons. Stato, sez. VI, 23 settembre 2022, n. 8167, dove si legge che “la primarietà di valori come la tutela del patrimonio culturale o dell’ambiente implica che gli stessi non possono essere interamente sacrificati al cospetto di altri interessi (ancorché costituzionalmente tutelati) e che di essi si tenga necessariamente conto nei complessi processi decisionali pubblici, ma non ne legittima una concezione ‘totalizzante’ come fossero posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto”. Evidenzia l’importanza dell’approccio in termini di integrazione anche G. Piperata, Territori da tutelare e transizioni ecologiche da promuovere, cit., 921-922. Per un commento alla sentenza appena citata, F. Pellizzer e E. Caruso, Tutela della cultura e transizione ecologica nel vincolo culturale indiretto: un binomio (solo) occasionale. Alcune riflessioni a margine di Cons. Stato, sez. VI, n. 8167/2022, in Aedon, 2023, 2; A. Persico, Promozione dell’energia rinnovabile e tutela del patrimonio culturale: verso l’integrazione delle tutele, in www.giustiziainsieme.it, 2022, pag. 289 ss.

[20] Oltre a quanto già osservato in precedenza, il valore “strettamente” paesaggistico della cascina potrebbe essere desunto non solo in forza del suo interesse culturale per essere un elemento dell’architettura rurale ex art. 10 del Codice, ma anche ai sensi dell’art. 134, comma 1, lett. a), d.lg. n. 42/2004, nella parte in cui prevede che sono beni paesaggistici - a condizione che venga impresso il vincolo tramite provvedimento amministrativo o piano paesaggistico - gli immobili di cui all’art. 136, norma che a sua volta al comma 1 lett. a) indica “le cose immobili che hanno cospicui caratteri di [...] memoria storica”.

[21] Questi temi, seppure in modo tangente rispetto all’edilizia privata e comunque riferiti alle direttive antecedenti rispetto a quella del 2024 sulle “case green”, sono affrontati da E. Chiti, Il sistema amministrativo italiano alla prova del “Green deal”, in Giorn. dir. amm., 2023, pag. 573 ss., e da F. Cusano, L’efficienza energetica nel quadro della transizione ecologica, in Riv. quadr. dir. amb., 2022, 2, pag. 150 ss., a cui si rinvia anche per una puntuale ricostruzione delle varie strategie nazionali attuative delle direttive europee (es. Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima e il Piano per la Transizione Ecologica, etc.) che per questioni di brevità non possono essere richiamate in questa sede.

[22] Con la specificazione che l’Unione europea aveva già in passato promosso la dir. 2018/844, sempre sui temi della prestazione energetica nell’ambito dell’edilizia, che richiede a ciascuno Stato membro di disporre di un parco immobiliare ad alta efficienza energetica e decarbonizzato entro il 2050, rispetto alla quale la direttiva del 2024 costituisce una sostanziale evoluzione.

[23] Si v. l’art. 5 dir. 2024/1275/Ue.

[24] Per una lettura più generale sulle problematiche inerenti al ciclo dei rifiuti, A. Benedetti, Organizzazione e regolazione dei servizi locali di interesse economico: il caso del ciclo dei rifiuti urbani, in www.federalismi.it., 2021, n. 6, pag. 1 ss.; Id., La regolazione del ciclo integrato dei rifiuti e il ruolo dell’ARERA, in Economia pubblica, 2019, n. 2, 105 ss. Diversamente, con riguardo al rapporto tra circolarità alimentare e profili ambientali (nello specifico il contrato ai cambiamenti climatici), M. Cocconi, Sostenibilità dell’accesso al cibo e neutralità climatica: un equilibrio da ricomporre?, in www.federalismi.it., 2023, n. 27, 1 ss.; per un’indagine relativa ai profili della circolarità degli sprechi alimentari, C. Napolitano, Il bene alimentare: necessità e sostenibilità, in Il dir. econ., 2021, 1, pag. 159 ss.

[25] Del resto, il rapporto tra consumi e risparmio energetico negli edifici, è tema già evidenziato da F. Cusano, L’efficienza energetica nel quadro della transizione ecologica, in Riv. quadr. dir. amb., 2022, cit., spec. 158 ss.; prima ancora, L. Cuocolo, Gli incentivi agli interventi di efficienza energetica. I certificati bianchi, in Annuario di diritto dell’energia, (a cura di) L. Carbone, G. Napolitano e A. Zoppini, Bologna, il Mulino, 2019, pag. 94 ss.

[26] Gli approfondimenti sul settore dell’energia e sulla sua disciplina a livello europeo, nazionale e regionale sono numerosi, motivo per cui, per questioni di brevità, si richiamano alcuni dei lavori più significativi, tra cui: F. Scalia, Energia sostenibile e cambiamento climatico: profili giuridici della transizione energetica, Torino, Giappichelli, 2020; D. Bevilacqua e E. Chiti, Green deal: come costruire una nuova Europa, Bologna, Il Mulino, 2024; G.D. Comporti Energia e Ambiente, in Aa.Vv., Diritto dell’ambiente, (a cura di) G. Rossi, Torino, Giappichelli, 2017, pag. 271 ss.; M. Delsignore, Ambiente, in Enc. dir., vol. III, Funzioni amministrative, Milano, Giuffrè, 2022. Con particolare riguardo al Green Deal europeo e alle politiche normative e strategiche che ne seguono a livello nazionale (e quindi regionale), E. Chiti, Managing the ecological transition of the EU: the European Green Deal as a regulatory process, in Common Market Law Review, 19 ss.; A. Moliterni, Il Green Deal Europeo e le sfide per il diritto dell’ambiente, in Riv. quadr. amb., 2021, 1, pag. 4 ss. Per una ricostruzione del quadro regolatorio europeo, L. Corradetti, La rigenerazione urbana e le azioni in materia di energia come endiadi del processo di transizione energetica, in Riv. quadr. amb., 2023, 2, pag. 48 ss.

[27] È sottinteso che, anche prima del 2024, l’Unione europea aveva già promosso svariate disposizioni sul tema: si pensi, innanzitutto, agli artt. 179 e 194 Tfue, oltre ad un cospicuo numero di direttive sull’efficientamento energetico nell’edilizia privata, quali ad esempio la dir. 2018/844/Ue e la dir. 2023/1791/Ue.

[28] Peraltro, si ricorda che la direttiva UE 2024/1275 deve essere recepita entro la fine di maggio 2026, per cui non è ancora in vigore nel momento in cui si scrive (febbraio 2025).

[29] Cfr. G. Piperata, Territori da tutelare e transizioni ecologiche da promuovere: armonizzazione degli interessi e ruolo dei poteri regionali e locali, cit., passim.

[30] È questo il noto insegnamento della Corte costituzionale sul punto: ex multis, di recente, Corte cost., 20 dicembre 2022, n. 254; Corte cost., 13 giugno 2022, n. 144. Sul tema, in dottrina, G. Sciullo, La “resilienza” della tutela del paesaggio, in Giorn. dir. amm., 2022, pag. 771 ss.

[31] La scelta di chi scrive, anche per ragioni di brevità della ricerca, è dunque quella di concentrarsi sulle vicende legislative e non sul livello tecnico-operativo, in relazione al quale è possibile ricordare che le Regioni sono chiamate ad adottare piani energetici regionali, rivolti a definire la programmazione energetico-ambientale del proprio territorio. L’adozione dei piani energetico-ambientali è stata prevista dal Protocollo d’intesa della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome per il coordinamento delle politiche finalizzate alla riduzione dell’emissione di gas serra nell’atmosfera (c.d. Protocollo di Torino). Ovviamente, poi, i piani energetico-ambientali regionali trovano una propria legittimazione normativa all’interno delle leggi regionali: si v. ad esempio l’art. 2, l.r. 27 dicembre 2000, n. 25.

[32] Eventualità già sopra ritenuta possibile (par. 3) ai sensi dell’art. 136, comma 1, lett. a) del Codice, in quanto immobile di memoria storica, pur senza dimenticare che l’immobile potrebbe essere anche ritenuto bene culturale ex art. 10, comma 3, lett. a), del Codice.

[33] Le specifiche azioni di riqualificazione sono descritte dall’art. 6.

[34] Norma che, infatti, va invocata per modifiche che potrebbero arrecare pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione.

 

 

 



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