Territorio e patrimonio culturale
Il rapporto tra funzione urbanistica e tutela paesaggistica oltre il “mito” della primarietà. Qualche considerazione a margine di Consiglio di Stato 31 marzo 2022, n. 2371
di Antonella Sau [*]
Sommario: 1. (Le solite) Premesse. - 2. L’evoluzione della nozione di paesaggio: le lusinghe e i rischi di una concezione olistica di paesaggio. - 3. La complessa dialettica tra paesaggio e governo del territorio nella giurisprudenza costituzionale e amministrativa: il “mito” della primarietà. - 4. La pianificazione paesaggistica, provando a guardare oltre la primarietà.
The relationship between urban planning function and landscape protection beyond the “myth” of primacy. Some considerations about the sentence of the Council of State no. 2371 of March 31, 2022
The analysis of sentence of the Council of State no. 2371 of March 31, 2022, allows us to reflect on some consolidated affirmations in the administrative jurisprudence regarding the primacy and absoluteness of the landscape value and its unavailability to any form of balance between different public interests. Thesis that contrasts with the recent jurisprudence of the Italian Constitutional Court that excludes the existence of so-called “tyrannical interests” and a hierarchy between constitutional values that must always be balanced each other according the constitutional principles of reasonableness and proportionality.
Keywords: Notion of Landscape; Landscape Protection; Urban Planning and Territorial Governance; Balance between the public interests.
La sentenza n. 2371 del 31 marzo 2022 con la quale il Consiglio di Stato, ribaltando la pronuncia di primo grado [1], ha ritenuto legittima la scelta del Piano territoriale di coordinamento provinciale con valenza paesaggistico-ambientale della Provincia di Monza e della Brianza di ricomprendere tra le “principali linee di continuità ecologica” del piano l’area comunale di insediamento di un impianto produttivo già assentito, senza tener conto della destinazione dell’area risultante dalle determinazioni assunte ad esito del procedimento autorizzatorio e del conseguente sacrificio imposto al privato, ci offre lo spunto per riflettere su alcuni affermazioni ricorrenti nella giurisprudenza del Consiglio di Stato richiamate a supporto della motivazione.
Ci si riferisce al passaggio nel quale il collegio prende atto dell’ampia discrezionalità esercitata dall’amministrazione in materia di pianificazione paesaggistica, della natura “sostanzialmente insindacabile delle scelte effettuate, che si giustifica alla luce del valore primario e assoluto riconosciuto dalla Costituzione al paesaggio e all’ambiente” che “precede e comunque costituisce un limite alla salvaguardia di altri interessi pubblici” richiamando, a conferma di tale assunto, il rapporto “rigidamente gerarchico” tra piano paesaggistico e strumenti di pianificazione e programmazione urbanistica e territoriale previsto dall’art. 145, comma 3, del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (di seguito Codice) [2].
Da tali “premesse” sono tratti alcuni “corollari” che indirizzano il sindacato di legittimità delle previsioni di tutela introdotte dal Piano territoriale di coordinamento provinciale nella direzione di una sostanziale irrilevanza degli assetti urbanistico-edilizi definiti al di fuori e prima del piano.
Partendo dall’assunto (certamente condivisibile) che la tutela del paesaggio non sia riducibile a quella dell’urbanistica, si precisa, nell’ordine: che “non può essere considerato vizio della funzione preposta alla tutela del paesaggio il mancato accertamento dell’esistenza, nel territorio oggetto dell’intervento paesaggistico, di eventuali prescrizioni urbanistiche che, rispondendo ad esigenze diverse, in ogni caso non si inquadrano in una considerazione globale del territorio, sotto il profilo dell’attuazione del primario valore paesaggistico” la cui salvaguardia non può “cedere a mere esigenze urbanistiche”; che “ai fini dell’imposizione del vincolo paesaggistico, l’ambiente rileva non solo come paesaggio ma soprattutto come assetto del territorio, comprensivo financo degli aspetti scientifico-naturalistici (come quelli relativi alla protezione di una particolare flora e fauna) pur non afferenti specificamente ai profili estetici della zona” [3]; che “in sede di imposizione del vincolo non è richiesta una ponderazione degli interessi privati unitamente ed in coerenza con gli interessi pubblici connessi con la tutela paesaggistica, neppure allo scopo di provare che il sacrificio imposto al privato sia stato contenuto nel minimo possibile” ritenendo quindi che l’intervenuta approvazione del progetto non determini in capo alla provincia un particolare onere motivazionale.
Corollari che si allineano alla concezione polisemica e aperta [4] di paesaggio accolta nel nostro ordinamento con il recepimento della Convenzione europea del paesaggio che ha indubbiamente aggiunto ulteriori elementi di complessità al rapporto, nel territorio, tra paesaggio, urbanistica e ambiente da cui pare opportuno partire prima di tornare, nell’ultimo paragrafo, all’analisi del caso concreto.
2. L’evoluzione della nozione di paesaggio: le lusinghe e i rischi di una concezione olistica di paesaggio
Non essendo possibile ripercorrere l’articolato e ampio dibattito dottrinale [5] relativo all’evoluzione della nozione di paesaggio rispetto all’accezione estetico-vedutista di matrice crociana accolta dalla legge Bottai del 1939 sulla protezione delle bellezze naturali riletta in chiave storico-sociale e antropologica in epoca repubblicana dalla Commissione Franceschini del 1964 [6], sia consentito prendere brevemente le mosse dai suoi approdi ovvero dalla concezione “dilatata” di paesaggio accolta dall’art. 131, comma 1, del Codice che la estende a tutto il territorio (se e) in quanto espressivo di valori identitari, il cui “carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni” [7].
Una nozione di “paesaggio”, quella del comma 1 dell’art. 131, strutturata come “sistema complesso di significati, nel quale convivono valori paesaggistici diversi, frutto di percezioni diverse, assoggettati a discipline diverse” [8] la cui valenza identitaria è da intendersi “in forma debole” rispetto a quella in “forma forte”, che rinvia all’”identità nazionale”, richiamata ai soli fini della tutela nel secondo comma dell’art. 131 [9]. Con la precisazione però che tale locuzione non identifica un tipo peculiare di paesaggio (quello nazionale, da contrapporsi ad un paesaggio locale o di rilevanza locale) ma delimita solo l’ambito di applicazione della funzione di tutela che si estende ai beni paesaggistici gravati da vincoli puntuali di tutela imposti per legge, in via provvedimentale o dal piano (c.d. vincoli del terzo tipo) e agli “eventuali ulteriori contesti” [10] diversi dai beni paesaggistici tipizzati dall’art. 134 del Codice che, ai sensi all’art. 143, comma 1, lett. e), possono essere identificati e salvaguardati dalle regioni mediante specifiche previsioni del piano paesaggistico [11].
Al di fuori di questo “primo strato” vi sarebbero poi i “paesaggi della vita quotidiana”, espressione per la comunità locale di valori di natura identitaria, vale a dire ambiti territoriali (normalmente) soggetti a trasformazione nel rispetto di un “uso consapevole del territorio” (art. 131, comma 6) in grado di salvaguardare tale identità e di implementarla in modo che ogni intervento urbanistico-edilizio sia coerente con un progetto territoriale attento a tale risvolto valoriale ed infine “i beni e i paesaggi degradati” (le “aree compromesse e degradate” di cui all’art. 135, comma 4, lett. b)) oggetto di interventi di recupero e riqualificazione nell’ambito del piano paesaggistico (art. 145, comma 1, lett. g)) al fine di ri-costruire nuovi assetti valoriali. Ovvero, per richiamare una felice formulazione dottrinale, i beni del c.d. “secondo” e “terzo” strato della nozione generale di paesaggio [12] la cui salvaguardia incrocia le politiche di governo del territorio postulando il ricorso a strumenti diversi da quelli vincolistici finalizzati a preservare l’integrità della struttura morfologica del bene paesaggistico [13].
Con l’ampliamento della nozione giuridica di paesaggio che guarda non solo al bene territoriale connotato da eccezionalità estetica ma al “territorio che una comunità avverte nel tempo come espressivo di senso e rispetto al quale essa ha maturato un rapporto identitario” [14] si rafforza “inevitabilmente il passaggio da una tutela meramente conservativa alla necessità di valorizzare gli interessi pubblici e delle collettività locali con interventi articolati, tra i quali, appunto, l’acquisizione e il recupero delle terre degradate” secondo un fenomeno che “si inquadra in un processo evolutivo diretto a riconoscere una nuova relazione tra la comunità territoriale e l’ambiente che la circonda, all’interno della quale si è consolidata la consapevolezza del suolo quale risorsa naturale eco-sistemica non rinnovabile, essenziale ai fini dell’equilibrio ambientale, capace di esprimere una funzione sociale e di incorporare una pluralità di interessi e utilità collettive, anche di natura intergenerazionale’ [15].
Rispetto ai contesti urbani compromessi, in particolare, esclusi ovviamente i luoghi del cd. paesaggio scartato o espulso dalla città per assenza di usi, identità e funzioni che per definizione viola il paradigma del luogo antropologico (identitario, relazione, storico) dotato “di significati per chi vi abita” [16], l’istanza di “protezione dei valori estetici e culturali”, laddove presenti [17], sarà pertanto più ragionevolmente soddisfatta attraverso la promozione di politiche territoriali e paesaggistiche “attive” in grado di realizzare “nuovi valori paesaggistici integrati e coerenti, rispondenti a requisiti di qualità e sostenibilità”, in linea con la mission assegnata allo Stato e agli enti territoriali dall’art. 131, comma 6, del Codice [18]. Nessuna stretta consequenzialità, quindi, tra la “necessaria salvaguardia” del paesaggio identitario anche dei contesti urbanizzati o degradati e “vincolo di tutela” ma misure idonee e adeguate al valore paesaggistico del contesto territoriale considerato [19] evitando il rischio di “vincolare tutto per non tutelare nulla” [20].
Aperti i confini del paesaggio ed accoltane una dimensione identitaria/testimoniale i cui caratteri valoriali sono destinati a rinnovarsi “dinamicamente in un processo di continua reinterpretazione comunitaria” [21] era inevitabile che la territorializzazione delle politiche di tutela sancita dall’art. 135 del Codice inasprisse le tensioni fra i diversi interessi (tutela, valorizzazione, gestione e fruizione del territorio) che insistono sul territorio riproponendo il problema della delimitazione dei rispettivi ambiti funzionali (governo del territorio, paesaggio, ambiente), perché se per un verso la mancata adesione da parte del Codice alla “concezione integrale” di paesaggio, per lo meno nei termini in cui è stata proposta dalla Convenzione europea del paesaggio [22], ne rafforza l’autonomia giuridica, evitando che la funzione di tutela paesaggistica diventi un aspetto della funzione di pianificazione urbanistico-territoriale [23], dall’altro, non dovendosi filtrare attraverso l’interesse paesaggistico tutti gli usi ammissibili del territorio [24], si aprono le porte alle politiche, alle logiche di sviluppo del territorio [25] che rappresenta poi la vera cifra del “governo del territorio”.
Nozione che per la migliore dottrina evoca un “oggetto diverso da quello del pianificare, in quanto rappresenta una realtà, un’attività complessa, che fa riferimento al governo dei processi, della convivenza, delle evoluzioni…[che] prevede la predeterminazione di fini lontani, di mete a lunga scadenza” [26] in quanto “attiene alla gestione di una serie di interessi che in parte limitano l’urbanistica, in parte se ne differenziano; interessi che riguardano la politica delle grandi infrastrutture, la politica dello sviluppo economico (es. gli insediamenti industriali), la politica agricola” e anche quella ambientale nella misura in cui si occupa del territorio “come luogo generale di sviluppo della comunità” [27].
E allora, messe da parte le lusinghe di una concezione olistica di paesaggio che rischia di indebolirne proprio la tutela, rieccoci al nodo dei rapporti tra gli interessi, degli equilibri tra le funzioni, delle regole dei conflitti, delle relazioni fra gli strumenti.
3. La complessa dialettica tra paesaggio e governo del territorio nella giurisprudenza costituzionale e amministrativa: il “mito” della primarietà
Un ruolo determinante nella definizione della nozione di paesaggio e dei contorni della tutela paesaggistica nella ricostruzione dei suoi rapporti con la disciplina urbanistica è stato indubbiamente svolto dalla giurisprudenza costituzionale chiamata a risolvere i conflitti di competenza innescati dallo sviluppo del regionalismo [28].
Se in una prima fase la Corte ha tenuto separati i due ambiti materiali facendo leva sul contenuto e la finalità delle rispettive discipline [29] assegnando all’urbanistica la regolazione dell’”uso dell’intero territorio (e non solo degli aggregati urbani), ai fini della localizzazione e tipizzazione degli insediamenti di ogni genere con le relative infrastrutture” e riservando alla tutela del paesaggio la protezione, in termini statico-conservativi, di un ben differenziato “valore estetico-culturale relativo alle bellezze paesistiche” chiamato a contribuire “all’elevazione intellettuale della collettività” [30], con l’entrata in vigore della legge Galasso, 8 agosto 1985, n. 431, si è progressivamente affermata una concezione “dinamica” e “gestionale” di paesaggio tutelato dalla Costituzione come espressione del “valore culturale del rapporto tra ambiente e comunità umana”.
Concezione peraltro già visibile nella sentenza n. 94 del 1° aprile 1985, nella parte in cui si afferma che la tutela del paesaggio, ascritta dalla Costituzione a tutti i soggetti che operano all’interno della Repubblica, non può “venire realisticamente concepita in termini statici, di assoluta immodificabilità dei valori paesaggistici registrati in un momento dato, ma deve, invece, attuarsi dinamicamente e cioè tenendo conto delle esigenze poste dallo sviluppo socio-economico del paese per quanto la soddisfazione di esse può incidere sul territorio e sull’ambiente”, dal momento che, fermo il riparto delle competenze disposto dalle norme costituzionali e sulla base di esso, essa “presuppone, normalmente, la comparazione ed il bilanciamento di interessi diversi, in particolare degli interessi pubblici rappresentati da una pluralità di soggetti, la cui intesa è perciò necessario perseguire di volta in volta, se comune a tutti è il fine costituzionalmente imposto [corsivi aggiunti]” [31], lasciando intravedere l’idea che il paesaggio non costituisca oggetto di un’unica materia ma rappresenti essa stessa “luogo di incontro di diverse materie e prospettive” (rectius interessi) destinate a coordinarsi per il raggiungimento di un “risultato equilibrato” [32].
E poi ulteriormente sviluppata nella sentenza n. 359 del 21 dicembre 1985 [33] ove si precisa che la nozione “allargata” di urbanistica accolta dall’art. 80 del d.p.r. n. 616/1977 in risposta ad “esigenze di considerazione integrale del territorio e di globale disciplina dell’uso e delle [sue] trasformazioni...non esclude la configurabilità in ordine al territorio di valutazioni e discipline diverse, neppure se improntate anche esse ad analoghe esigenze di integralità e di globalità”. In questo senso, il territorio può ben essere, da un lato “punto di riferimento della pianificazione territoriale intesa come ordine complessivo, ai fini della reciproca compatibilità, degli usi e delle trasformazioni del suolo nella dimensione spaziale considerata e nei tempi ordinatori previsti” e dall’altro “punto di riferimento di una regolazione degli interventi orientata all’attuazione del valore paesaggistico come aspetto del valore estetico-culturale” [34] eretto dall’art. 9 della Costituzione a “valore primario dell’ordinamento”, impegnando in tal modo tutte le pubbliche istituzioni, e particolarmente lo Stato e le regioni, a concorrere alla sua tutela e promozione risolvendo gli inevitabili “complessi problemi di coordinamento” sul piano procedimentale attraverso strumenti consensuali.
La Corte torna sul carattere “non più conservativo e statico, ma gestionale e dinamico” del paesaggio anche nella sentenza 27 giugno 1986, n. 151, ricordando che per quanto la legge Galasso abbia introdotto una tutela del paesaggio “improntata a integralità e globalità, implicante, cioè, una riconsiderazione assidua dell’intero territorio nazionale alla luce del valore estetico-culturale, in aderenza all’art. 9 Cost., che assume tale valore come primario” [35], tale “tutela non esclude né assorbe la configurazione dell’urbanistica quale funzione ordinatrice degli usi e delle trasformazioni del suolo nello spazio e nel tempo” in quanto la nuova normativa provvede al raccordo tra competenze statali e regionali “mediante soluzioni ispirate al principio di leale cooperazione...proiettando [la tutela paesaggistica] (in modo dinamico) sul piano dell’urbanistica” la quale “è soltanto limitata dal rispetto del valore estetico-culturale e piegata a realizzarlo [corsivi aggiunti]” [36].
Nonostante il concetto tradizionale di paesaggio abbia subito una profonda trasformazione, “evolvendo verso un allargamento dell’area della tutela riferibile al complesso dei valori inerenti al territorio, con il conseguente intrinseco collegamento di paesaggio e di strutture urbane (edilizie, sociali, produttive)”, nella lettura che ne dà la Corte le due funzioni, quella di pianificazione paesistica e quella di pianificazione urbanistica, continuano a restare “ontologicamente distinte, avendo obiettivi, in linea di principio, diversi, da ricollegare, sostanzialmente, per la prima, alla tutela dei valori estetico-culturali, per la seconda alla gestione del territorio a fini economico-sociali” nell’ambito di una sorta di “mutualità integrativa, per effetto della quale la tutela dei valori paesaggistico-ambientali si realizza anche attraverso la pianificazione urbanistica” [37].
Questa visione integrata di territorio [38], che delinea il quadro di un governo del territorio (ante litteram) in cui le competenze statali e regionali sono ordinate secondo una “schema di concorrenza di poteri”, è stata messa in crisi dalla sentenza n. 367 del 7 novembre 2007 nella quale il paesaggio, sovrapponendosi perfettamente con l’ambiente [39], da punto di convergenza di diverse materie e di interessi, sveste i panni della “materia-attività” per divenire “un bene giuridico complesso e unitario” [40] che è “di per sé un valore costituzionale” anzi un valore costituzionale non solo “primario” [41] ma anche “assoluto” [42].
Certo, si ricorda che sul territorio “gravano più interessi pubblici”, quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica e quelli concernenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), ma il richiamo alla pluralità dell’assetto degli interessi sembra slegata da una visione dinamica della tutela del paesaggio (per lo meno nel senso indicato nella sentenza n. 94/1985): si tratta di due tipi di tutela, si legge in motivazione, “che ben possono essere coordinati fra loro [nell’adozione dei piani territoriali a valenza ambientale o nei piani paesaggistici regionali], ma che debbono necessariamente restare distinti” e quella ambientale e paesaggistica, proprio perché grava “su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici [corsivi aggiunti]” [43].
Insomma, dalla “proiezione dinamica” del paesaggio sulla funzione urbanistica alla “precedenza” sugli interessi urbanistico-edilizi, dalla “primarietà” del valore costituzionale (“perché in presenza di scelte di fondo, quali sono quelle finalizzate alla realizzazione di un ambiente vivibile, non possono essere accettati squilibri nell’ambito della collettività nazionale” [44]) all’”assiomatica prevalenza” del valore paesaggistico sugli interessi urbanistico edilizi.
Circa il peso da assegnarsi alla natura primaria e assoluta del paesaggio, la maggiore dottrina è tuttavia concorde nel ritenere che se la “primarietà” sta a indicare la prevalenza del valore paesaggistico, in quanto espressione di “interessi spirituali e culturali”, su altri interessi che non hanno la stessa forza sul piano costituzionale (come quelli economici), l’”assolutezza”, tanto più senza ulteriori specificazioni, assume il solo significato di “rafforzare” tale primarietà senza che possa escludere la possibilità di un “bilanciamento, all’interno dei processi decisionali in cui si esprime la discrezionalità delle scelte politiche o amministrative, con altri valori di fondamentale rilevanza costituzionale” [45] dal quale possono ritenersi esentati i soli valori supremi dell’ordinamento giuridico richiamati dalla Corte nella nota sentenza 29 dicembre 1988, n. 1148 [46].
A voler poi prendere sul serio la nozione identitaria di paesaggio che rinvia all’”insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che presentano valore paesaggistico” in ragione anche della percezione che i fruitori ne hanno, prescindere da ogni considerazione di altri interessi e aspetti, anche nel graduare la rilevanza del paesaggio, significa tradire il significato autentico del rapporto tra attività umane e fattori naturali richiamato dal primo comma dell’art. 131 del Codice, dell’impatto dell’azione umana sul territorio e della sua capacità di creare paesaggi o concorrere alla definizione di paesaggi [47].
Ne consegue che il richiamo alla “precedenza” della tutela paesaggistica rispetto ad altri interessi pubblici, che ben si giustifica sul piano logico-giuridico per il fatto “che si può fruire soltanto di ciò che si conserva e non di ciò che si distrugge” e il “limite” opposto allatutela di altri interessi pubblici andrebbero intesi nel solo e unico significato che può riconnettersi ad una pronuncia relativa alla definizione del riparto di competenze ovvero che la “competenza affidata in via esclusiva allo Stato in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio delimita i confini [legislativi] entro i quali può avvenire la fruizione del territorio, mentre le Regioni, esercitando le loro competenze in materia di governo del territorio e valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, dettano le norme d’uso necessarie affinché detta fruizione avvenga entro i limiti prescritti” [48]. Questo perché, quando è in gioco un valore primario, costituente un “patrimonio dell’intera collettività nazionale”, ogni normativa preordinata alla sua attuazione non può che richiedere un’applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale [49] assumendo carattere di riforma economico-sociale in grado di incidere sulla potestà normativa delle regioni, anche a statuto speciale [50].
Alle regioni, che non possono usare la potestà concorrente in materia di valorizzazione dei beni culturali ed ambientali o governo del territorio per derogare alle prescrizioni paesaggistiche degradando la tutela paesaggistica da “valore unitario prevalente” a mera “esigenza urbanistica” parcellizzata tra i vari comuni competenti al rilascio dei singoli titoli edilizi [51] o per contraddire la disciplina statale [52] che si impone sull’autonomia legislativa regionale senza incontrare il limite della determinazione dei principi fondamentali della materia, rimane pur sempre la possibilità di aggiungere vincoli o limiti allo sfruttamento/uso/fruizione del territorio al fine di “arricchire il catalogo dei beni paesaggistici in virtù della conoscenza che ne abbia l’autorità più vicina al territorio ove essi sorgono” secondo una “logica incrementale delle tutele” [53].
A stupire è che sia il giudice amministrativo, il giudice della discrezionalità amministrativa, a non aver colto tale aspetto facendo leva sulla citata giurisprudenza costituzionale per rifuggire da un controllo di ragionevolezza e proporzionalità delle scelte paesaggistiche dimenticando quale sia il senso (l’unico accettabile) della primarietà del valore paesaggistico nell’attuale contesto istituzionale, ossia la necessità di un’adeguata rappresentazione e un bilanciamento degli stessi nell’ambito del procedimento amministrativo (con le garanzie offerte dalla struttura del procedimento amministrato [54]) sulla scorta, peraltro, di quella giurisprudenza costituzionale che anche di recente con una certa fermezza ha escluso l’esistenza un ordine gerarchico statico tra valori costituzionali precisando che gli stessi si pongono in un rapporto di integrazione reciproca tale per cui nessuno è destinato ad imporsi a priori sugli altri a meno di non trasformare la “primarietà in “sopraffazione” (e l’”interesse primario” in “interesse tiranno”) [55].
Principio già espresso nella giurisprudenza sul condono edilizio [56] ove la Corte ha chiarito che la “primarietà” del valore paesaggistico evocata nelle sentenze n. 151/1986, n. 359 e n. 94 del 1985 in termini di “insuscettibilità di subordinazione ad ogni altro valore costituzionalmente tutelato, ivi compresi quelli economici”, non ne determini affatto la collocazione al vertice di una “ipotetica [rectius inesistente] scala gerarchica dei valori costituzionali” [57] tantomeno la sua “intangibilità”, bensì la necessità che debba sempre essere “presso in considerazione”, compiutamene ed esplicitamene “rappresentato” nei concreti bilanciamenti operati dal legislatore ordinario e dalle pubbliche amministrazioni nell’ambito dei processi decisionali in cui si esprimono le scelte discrezionali, politiche o amministrative.
Dinnanzi ad una pluralità di interessi pubblici, infatti, il compito del legislatore non può che essere quello di “trovare un punto di equilibrio...di realizzare un contemperamento dei valori in gioco” che in materia di condono sono poi quelli “del paesaggio, della cultura, della salute, della conformità dell’iniziativa economica privata all’utilità sociale, della funzione sociale della proprietà da una parte, e quelli, pure di fondamentale rilevanza sul piano della dignità umana, dell’abitazione e del lavoro, dall’altra” [58] e “il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato - dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo - secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale” [59]. Spetterà invece all’amministrazione, nella regolazione del caso concreto, acquisire gli interessi che rilevano nella specifica situazione procedimentale, rappresentarli adeguatamente in relazione agli elementi di fatto che connotano la situazione e che concorrono, unitamente, a tutti gli altri interessi in gioco (pubblici e privati, generali e particolari) a determinarne l’obiettiva consistenza [60] e operare un bilanciamento che consenta la migliore valorizzazione e adeguata tutela dei molteplici e rilevanti interessi pubblici coinvolti.
A dispetto di ciò, nella giurisprudenza amministrativa, al netto di qualche apertura nella gestione del vincolo [61], di questa ponderazione si trovano sporadiche tracce (nel vincolo di aree vaste, nella tutela del paesaggio agrario [62]) come se il paesaggio fosse un dato acquisito, “un fatto costitutivo giustificato dalla ricognizione dell’identità stessa della Repubblica italiana” che “una volta accertato, perimetrato e definito, si pone comunque come confine invalicabile, anche a fronte dell’individuazione di altri e compresenti limiti o di altri e compresenti obiettivi, eventualmente più flessibili o variabili”[63].
4. La pianificazione paesaggistica, provando a guardare oltre la primarietàE se ne trovano ancora meno nell’esercizio della funzione di pianificazione sebbene nell’impostazione codicistica il piano “non si ponga solo come strumento di tutela ma anche come sede di colloquio/integrazione tra paesaggio e governo del territorio” [64] aprendosi naturaliter alla considerazione di altri interessi, altresì costituzionalmente tutelati, che pur attuati nel contesto e per mezzo della strumentazione urbanistica, non possono essere “ignorati” (nel senso di non adeguatamente considerati e rappresentati) e immotivatamente compressi nell’adozione del piano [65] a meno di non voler cadere nell’equivoco di un’assoluta inconciliabilità delle esigenze di tutela dei valori paesaggistici-ambientali con quelle di sviluppo del territorio che si annida nella visione statica di paesaggio abbandonata da tempo dall’ordinamento.
Dimenticando, per di più, “che progettare nuovi paesaggi guardando al futuro non è un mero adempimento tecnico, conseguenza di un intuizione di tipo meramente formale, ma è il risultato di una valutazione complessiva, socialmente condivisa, di scelte alternative collocate entro uno scenario di diverse proposte alternative, come condizione per delineare un’analisi paesaggistica bilanciata fra la valorizzazione delle risorse ecologiche e culturali e le aspettative socio-economiche” [66]. Di qui il riemergere del tema della comparazione degli interessi e di apprezzamenti che vadano oltre la tutela nel senso di agganciare la tutela alle legittime aspettative di sviluppo e valorizzazione del patrimonio territoriale [67].
Che il piano paesaggistico sia “sede di diversi apprezzamenti legati anche alla dimensione urbanistica del territorio” lo ricorda poi la stessa Consulta nella citata sentenza n. 164/2021 aggiungendo che per quanto non spetti alla regione “opporre alla scelta di tutela conservativa compiuta dallo Stato l’esigenza di alterare il bene paesaggistico nell’ottica dello sviluppo del territorio e dell’incentivo alle attività economiche che vi si svolgono, ... un profilo di intervento dinamico, che coinvolge la Regione, può legittimamente articolarsi in attività finalizzate alla promozione e al sostegno della conoscenza, fruizione e conservazione del patrimonio culturale (sentenze n. 138 del 2020 e n. 71 del 2020)” e che “sotto tale aspetto, è del tutto connaturato alla finalità di conservazione del paesaggio che la dichiarazione di notevole interesse pubblico non si limiti a rilevare il valore paesaggistico di un bene, ma si accompagni a prescrizioni intese a regolamentarne l’uso, fino alla possibilità di vietarlo del tutto” con l’ulteriore precisazione che di “prevalenza assiomatica della tutela dell’ambiente sugli interessi urbanistico-edilizi” si parla “quando, naturalmente, la dichiarazione di notevole interesse pubblico sia stata legittimamente adottata con riferimento alle categorie di beni elencate dall’art. 136 cod. beni culturali [corsivi aggiunti]” [68].
Portando a sviluppo il ragionamento della Corte paiono diversi i momenti in cui nel piano paesaggistico si realizza il “coordinamento fra i due tipi di tutela” previsto dalla sentenza n. 367/2007: nella graduazione delle misure di tutela in ragione del valore paesaggistico delle specifiche realtà territoriali [69]; nella vestizione dei vincoli che consente, integrando la visuale paesaggistica con quella urbanistica [70], di definire in concreto le dinamiche di trasformazione e utilizzo di ciascun bene o area vincolata dando corpo a quella “tutela dinamica” del paesaggio di cui si parla nelle sentenze n. 94/1985 e 151, 153/1986 [71] e in ultimo nella “saldatura” tra le prescrizioni di tutela (sia quelle in senso “forte” ex art. 143, comma 1, lett. b), c), d) ed e) che quelle in senso “debole” ex art. 143, comma 1, lett. g) e h)) e le misure atipiche di valorizzazione [72], elaborate dal piano per ripristinare valori paesaggistici, per aggiungerne di nuovi, per accompagnare la trasformazione del territorio e garantirne la fruizione, che aprono necessariamente a politiche territoriali attive, di governo del territorio.
Ragione per cui dovrebbe più correttamente parlarsi di distinzione e continuità fra paesaggio e governo del territorio piuttosto che di separazione [73].
Ridefinito in questi termini il rapporto fra le due funzioni lascia perplessi la scelta del Consiglio di Stato nella sentenza n. 2371/2022, qui analizzata, di trascurare ogni altro interesse, compreso quello urbanistico legato allo sviluppo di un’attività economica, trincerandosi dietro il “mito” della primarietà.
La questione controversa, come anticipato all’inizio del presente lavoro, riguarda l’inclusione da parte del P.t.c.p. della Provincia di Monza e Brianza (approvato nell’ottobre del 2013) delle aree interessate dalla realizzazione di un impianto produttivo (Suap 2), già assentito ad esito di una procedura dinnanzi allo sportello unico delle attività produttive [74], tra le “principali linee di continuità ecologica” della Rete verde di ricomposizione paesaggistica provinciale (RV) quale “elemento ecologico di secondo livello” della Rete ecologica regionale (RER) [75] e negli ambiti destinati all’attività agricola di interesse strategico (ASS), senza considerare la posizione del privato proponente da ritenersi particolarmente qualificata in ragione della stipulazione, ad esito della procedura autorizzatoria, di una convenzione urbanistica seguita a stretto giro dal rilascio del permesso di costruire e dalla comunicazione di avvio dei lavori (dicembre 2011) a quanto consta mai avviati.
Premesso che nella ricostruzione del fatto il collegio ha escluso che la porzione del territorio comunale interessata dal progetto Suap2 rientrasse in un “corridoio ecologico primario” [76], occorre forse precisare, per un migliore inquadramento della complessa vicenda e dei suoi risvolti pratici, che se persino per i corridoi regionali primari “ad alta” e “a bassa o moderata antropizzazione” la RER non esclude affatto interventi infrastrutturali [77] a maggior ragione non sono precluse trasformazioni per gli elementi di secondo livello delle reti ecologiche provinciali ai quali è comunque attribuita una rilevante “funzione di connessione ecologica”. I limiti in tal senso sono previsti, in attuazione degli indirizzi del P.t.r. e del tracciato della RER, dalle norme tecniche di attuazione del P.t.c.p. della Provincia di Monza e Brianza [78].
Ora, non si intende qui discutere del carattere prescrittivo delle previsioni del piano territoriale di coordinamento provinciale sugli strumenti urbanistici per le aree vincolate sotto il profilo ambientale e paesaggistico [79] né dell’ampia discrezionalità [80] di cui dispone l’amministrazione, in linea con gli indirizzi del piano territoriale regionale, nell’attribuire una “funzione di ricomposizione paesaggistica” alle aree del territorio provinciale rientranti nel tracciati della RER ma il fatto che tale scelta sia stata adottata (a discapito della ragionevolezza quantomeno) senza valutare “in concreto” la posizione di affidamento qualificato del privato e con essa la particolare situazione dell’area, compreso l’impegno, assunto nella convenzione, a realizzare opere di mitigazione e compensazione con le quali ripristinare il corridoio ecologico [81].
In altri termini, senza ritenere di dover motivare in ordine alla necessità e all’adeguatezza della misura adottata. Ciò, sul presupposto che tale onere motivazionale, anche a fronte dell’intervenuta approvazione del progetto Suap2, sia escluso dalla “natura della pianificazione in esame, avente efficacia paesaggistico - ambientale” e che “le scelte urbanistiche comunali non siano “idonee a vincolare e/o condizionare i contenuti del P.t.c.p., atteso il carattere primario e prevalente dei valori paesaggistici e ambientali con lo stesso declinati”.
Ma come si è detto, il carattere “primario e prevalente dei valori paesaggistici” impedisce solo che nei processi decisionali in cui si esprimono le scelte discrezionali dell’amministrazione il nucleo essenziale di questi venga integralmente sacrificato ma non esonera affatto l’amministrazione dal prendere in considerazione anche gli interessi confliggenti con quello primario che è chiamata ad assicurare valutandoli coerentemente con gli interessi pubblici connessi alla tutela paesaggistica [82].
Solo così sarà in grado di valutare soluzioni altrettanto satisfattive dell’interesse pubblico primario ma meno pregiudizievoli sugli interessi destinati a soccombere ad esito del bilanciamento (ad es. una modifica del tracciato o un’integrazione della convenzione urbanistica). Come ribadito anche di recente dalla giurisprudenza, “il principio di proporzionalità impone all’amministrazione di valutare l’intensità della misura di tutela non solo in funzione del valore culturale protetto, ma comparando le diverse misure adottabili anche con gli altri valori che possono esserne pregiudicati, non potendo l’amministrazione limitarsi, in virtù di una concezione totalizzante dell’interesse pubblico primario, ad affermarne la rilevanza assoluta, paralizzando con ciò ogni altra attività e sacrificando ogni altro interesse. Quale precipitato di tale impostazione, può ammettersi che l’applicazione del canone di proporzionalità possa anche implicare un parziale sacrificio dell’interesse pubblico primario per la parte non strettamente necessaria rispetto alla garanzia della tutela (propriamente intesa), in modo da consentire anche una ragionevole estrinsecazione (se del caso ridotta) dell’attività privata e della libertà di impresa del proprietario del bene” [83].
Nessun “cedimento” a mere esigenze urbanistiche quindi, non almeno nel senso indicato dalla giurisprudenza costituzionale [84], ma solo adeguata rappresentazione, valutazione e bilanciamento di tutti gli interessi in gioco perché la “valenza superprimaria del paesaggio” non significa che non si debba procedere ad “una ponderazione degli altri interessi secondo i principi di ragionevolezza e proporzionalità (che rendono illegittime le prescrizioni esorbitanti rispetto alle finalità di tutela), ma comporta che tutta la struttura del piano debba essere ordinata al fine primario, il quale può volta a volta: integrarsi con interessi complementari, ad esempio quelli dell’agricoltura-protezione; o necessariamente coordinarsi con altri interessi superprimari” [85].
Il che ci porta a fare i conti con l’altro interesse “potenzialmente tiranno” che grava sul territorio, la tutela dell’ambiente, la cui prorompente vis espansiva è stata sublimata nella riforma costituzionale n. 1/2022 [86] portando con sé l’evidente rischio, in caso di contrasto con la tutela del paesaggio [87], non solo di relativizzarne la protezione (ri-confinandola entro gli angusti limiti di una tutela statico-conservativa) ma soprattutto di ridurre per tutti, per vecchi e nuovi “valori primari e assoluti”, la protezione complessiva [88].
Esiti che si ritiene possano essere scongiurati solo evitando di insistere sull’assoluta primarietà degli interessi e riportando i termini del confronto sul bilanciamento e sui criteri di un corretto bilanciamento fra interessi così da difendere il “volto amato della patria” [89] soddisfacendo al contempo “sul piano sociale, le esigenze connesse ad una migliore qualità della vita” (Corte cost., n. 151/1986).
Note
[*] Antonella Sau, è professore associato in Diritto Amministrativo presso l’Università IULM di Milano, Facoltà di Arti e turismo, Via Carlo Bo, 1, 20143, Milano, antonella.sau@iulm.it.
[1] Tar Lombardia, Milano, 5 settembre 2018, n. 2047, in giustizia-amministrativa.it.
[2] Principio che vincola il legislatore regionale ma non quello statale che può discostarsene a fronte di un ragionevole ed equilibrato bilanciamento dei valori costituzionali in gioco rispondente a criteri di proporzionalità e di ragionevolezza (si pensi alla deroga introdotta per il DPSS, Documento di programmazione strategica di sistema, dall’art. 4, comma 1-septies, lett. a), del d.l. 10 settembre 2021, n. 121, c.d. Infrastrutture, impugnato nel gennaio 2022 dinanzi alla Corte per violazione degli articoli 117, co. 3 e 4, 118, co. 1 e 2 della Costituzione nonché del principio di leale collaborazione).
[3] Sfumando i confini tra paesaggio e ambiente.
[4] Come osserva S. Amorosino, Introduzione al diritto del paesaggio, Bari-Roma, Laterza, 2010, pagg. 5-10, il paesaggio come fenomeno “non giuridico, può essere letto da differenti angoli prospettici: paesaggio come “storia”, come “spazio fisico, ed economico”, come “arte o, più ampiamente come rappresentazione visiva e letteraria”, e ancora paesaggio come “percezione per chi lo guarda o anche come avventura per chi lo percorre”.
[5] Per una ricostruzione del dibattito in materia si rinvia a: M. Cantucci, Bellezze naturali, in Nss. D.I., II, Torino, 1968, pag. 295 ss.; A.M. Sandulli, La tutela del paesaggio nella Costituzione, in Riv. giur. ed., 1967, pag. 69 ss. fautori della tesi di una corrispondenza tra paesaggio e bellezze naturali, contra A. Predieri, Paesaggio, in Enc. Dir., XXXI, Milano, 1981, pag. 503 ss. per il quale il paesaggio andrebbe “dinamicamente inteso come continua modificazione della natura e della precedenti opere dell’uomo” e la “locuzione tutela del paesaggio coincide con quella di tutela della forma del territorio e, quindi, con l’assunzione da parte dell’apparato della Repubblica della regolazione degli interventi e dei mutamenti” (512-513); B. Cavallo; Profili amministrativi della tutela dell’ambiente: il bene ambientale tra tutela del paesaggio e gestione del territorio, in Riv. trim. dir. pubbl., 1990, 2, pag. 397 ss.; T. Alibrandi-P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, Giuffrè, 2001, pag. 65 ss.; M. Immordino, Paesaggio (tutela del), in Dig. Disc. Pubbl., X, Torino, 1995, pag. 573 ss.; M. Immordino, Vincolo paesaggistico e regime dei beni, Padova, Cedam, 1991; G. Cartei, La disciplina del paesaggio tra conservazione e fruizione, Torino, Giappichelli, 1995; G. Cartei, Il Paesaggio, in Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale, II, diretto da S. Cassese, Milano, Giuffrè, 2003, pag. 2109 ss.; P. Carpentieri, La nozione giuridica di paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., 2004, 2, pag. 363 ss.; P. Marzaro, L’amministrazione del paesaggio. Profili critici ricostruttivi di un sistema complesso, Torino, Giappichelli, 2011; S. Amorosino, Introduzione al diritto del paesaggio, cit.; G. Severini, Culturalità del paesaggio e passaggi culturali, in Riv. giur. urb., 2020, 3, pag. 666 ss.; G. Piperata, Paesaggio, in C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G, Piperata, G. Sciullo, Diritto del patrimonio culturale, Bologna, Il Mulino, 2020, pag. 249 ss.
Con particolare riferimento alla nozione di paesaggio introdotta dalla Convenzione europea del paesaggio e ai rapporti tra questa e il Codice, vedasi, in particolare: G. Cartei (a cura di) Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Bologna, Il Mulino, 2007; E. Boscolo, La nozione giuridica di paesaggio identitario ed il paesaggio ‘a strati’, in Riv. giur. urb., 2009, 1-2, pag. 57 ss.; S. Amorosino, La governance e la tutela del paesaggio tra Stato e Regioni dopo il secondo decreto correttivo del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ibidem, pag. 99 ss.; G. Sciullo, Il paesaggio fra la Convenzione e Codice, in Aedon, 2008, 3; C. Marzuoli, Il paesaggio nel nuovo Codice dei beni culturali, ibidem; G. Cartei, Codice dei beni culturali e del paesaggio e Convenzione europea: un raffronto, ibidem.
[6] Sulle origini della tutela paesaggistica vedasi: P. Carpentieri, La nozione giuridica di paesaggio, cit., pag. 369 s.; A. Ragusa, Alle origini dello Stato contemporaneo. Politiche di gestione dei beni culturali e ambientali tra Ottocento e Novecento, Milano, Franco Angeli, 2011, pag. 170 ss. e G. Severini, “Paesaggio”: storia italiana, ed europea, di una veduta giuridica, in Aedon, 2019, 1, pag. 65 ss.
[7] Sul mancato riferimento alla percezione delle popolazioni, presente invece nella Convenzione del paesaggio, e l’enfasi assegnata al valore identitario, attenta dottrina ben evidenzia come “l’idea di paesaggio presuppone un momento di contemplazione e di riflessione sul territorio o come si afferma una ‘cognizione’, quindi il momento della percezione, ancorché non menzionato, resta intatto” (cfr. G. Sciullo, Il paesaggio fra la Convenzione e Codice, cit. par. 4).
[8] P. Marzaro, Epistemologie del paesaggio: natura e limiti del potere di valutazione delle amministrazioni, in Dir. pubbl., 2014, 3, pag. 843 ss. e in particolare 885.
[9] Così, sul rapporto tra primo e secondo comma dell’art. 131, G. Sciullo, Il paesaggio fra la Convenzione e Codice, cit., par. 4; P. Marzaro, Epistemologie del paesaggio: natura e limiti del potere di valutazione delle amministrazioni, cit., pag. 88 ss.; S. Amorosino, La governance e la tutela del paesaggio tra Stato e Regioni dopo il secondo decreto correttivo del Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., per il quale “distinguere tra paesaggio nazionale e locale è, in termini scientifici, un non senso. Il paesaggio [infatti] è un continuum, un tessuto unitario, nel quale alcune parti possono avere minore rilevanza, e quindi necessitare di una tutela meno incisiva, altre hanno qualità o valenza identitaria maggiore” (105) ed E. Boscolo, La nozione giuridica di paesaggio identitario ed il paesaggio ‘a strati’, cit., per il quale la nozione di paesaggio del comma 1 dell’art. 131 ha “unicamente la funzione debole di iperonimo classificatorio” nel senso di esprimere una “definizione necessariamente comprensiva, capace di abbracciare fenomeni parzialmente diversi” considerati distintamente dai commi successivi dell’art. 131 e dagli articoli seguenti del Codice (66).
[10] E. Boscolo, La nozione giuridica di paesaggio identitario ed il paesaggio ‘a strati’, cit., pag. 68; quelli che C. Marzuoli, Il paesaggio nel nuovo Codice dei beni culturali, cit., definisce “beni paesaggistici residuali, coincidenti con la forma paesaggistica della restante parte del territorio considerata e apprezzata sotto il profilo identitario”; tra questi G. Sciullo, Il paesaggio fra la Convenzione e Codice, cit., par. 4, iscrive i paesaggi rurali o i siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco la cui “salvaguardia” rientra tra i contenuti del piano paesaggistico (art. 135, comma 4, lett. d)).
[11] Oggetto anche della funzione di valorizzazione delineata dagli artt. 6, comma 1 e 131, comma 5 del Codice. Sulle coordinate della valorizzazione del paesaggio v. L. Casini, La valorizzazione del paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., 2014, 2, pag. 385 ss.
[12] E. Boscolo, La nozione giuridica di paesaggio identitario ed il paesaggio ‘a strati’, cit., pagg. 68-70.
[13] Come evidenzia efficacemente E. Boscolo, La nozione di paesaggio: la tutela giuridica di un bene comune (in appartenenza diffusa) tra valori culturali e identitari, in giustamm.it, 2016, 5, se “rispetto al primo ‘strato’ si tratta di impedire trasformazioni svalutanti e di imporre la maggior qualità degli interventi; rispetto al secondo ‘strato’ si tratta di orientare l’azione spontanea dei privati in direzione di una coerenza con i valori diffusi; nel caso del terzo ‘strato’ si tratta invece di identificare le risorse necessarie per attivare azioni di riqualificazione di beni puntuali o di interi areali” (10).
[14] È in questi termini che E. Boscolo, op. ult. cit., pagg. 68-70, parla di “paesaggio sociale”.
[15] Così Corte cost., 24 aprile 2020, n. 71 richiamando Corte cost., 16 luglio 2019, n. 179, in cortecostituzionale.it e con essa la nuova dimensione della pianificazione urbanistica sempre più attenta ad un “uso accettabile del territorio” per citare M. Dugato, L’uso accettabile del territorio, in Le Ist. del federal., 2017, 3, pag. 597 ss.
[16] Nella lettura che ne dà E. Rullani, La città infinita: spazio e trama della modernità riflessiva, in La città infinita, (a cura di) A. Bonomi, A. Abruzzese, Milano, Bruno Mondadori, 2004, pag. 65 ss., 75-76.
[17] Per P. Carpentieri, Paesaggio, ambiente e transizione ecologica, in giustiziainsieme.it, maggio 2021, non bisogna mai perdere di vista il nucleo estetico della nozione di paesaggio sacrificandolo sull’altare dell’estetica generalizzata moderna (5). In questa prospettiva anche l’ammonimento di Cons. St., 28 gennaio 2022, n. 624, in giustizia-amministrativa.it, per il quale “l’arricchimento in senso contenutistico voluto dalla Convenzione non può intaccare il nucleo essenziale di carattere estetico, in senso gnoseologico, del ‘paesaggio’, al quale è inevitabilmente attribuibile un carattere soggettivo (e non oggettivo), dal quale discende l’importanza da attribuire alla fruibilità da parte della popolazione”; in termini analoghi Tar Lazio, Roma, 27 gennaio 2021, n. 1080, in giustizia-amminsitrativa.it.
[18] Di “tutela dinamica” del paesaggio degradato volta non a conservare ma a migliorarne le condizioni affinché possa divenire un paesaggio “accettabilmente quotidiano...nel quale riconoscere una accettabile identità”, parla G. Falcon, I principi costituzionali del paesaggio (e il riparto di competenze tra Stato e Regioni), in Riv. giur. urb., 2009, 1-2, pag. 78 ss., 85.
[19] A meno di non voler confondere, come osserva P. Carpentieri, Semplificazione e tutela del paesaggio, in Riv. giur. urb., 1-2, 156 ss. “gli oggetti da studiare” (i beni, il territorio, le diverse realtà territoriali) e “le causa da difendere” (politiche di recupero urbano, politiche di tutela paesaggistica) arrivando così “all’unificazione di realtà diverse sotto lo stesso cappello logico-giuridico [quello di paesaggio], che però, in tal modo, rischia di perdere completamente ogni suo significato proprio e sensato”.
[20] Così Tar Lazio, Roma, n. 1080/2021 cit., che in merito alla tutela del paesaggio agrario, “bene paesaggistico vivo e dinamico” per definizione, ammonisce contro gli “effetti perversi” di un vincolo di tutela che rischia di imporre usi che ne limitano la naturale vocazione produttiva, frustando in definitiva le stesse finalità di tutela.
[21] Ancora E. Boscolo, La nozione di paesaggio: la tutela giuridica di un bene comune (in appartenenza diffusa) tra valori culturali e identitari, cit., pag. 5. Sul paesaggio quale “manifestazione sintetica delle culture che si sono succedute sul territorio e che, perciò, si qualifica come bene al quale si connettono altri beni culturali, anche immateriali, come i fenomeni etnografici, la memoria orale, il patrimonio linguistico dialettale”, si rinvia alla ricostruzione proposta da C. Barbati, Il paesaggio come realtà etico-culturale, in Aedon, 2007, 2.
[22] Su questa lettura della Convenzione v. R. Priore, La Convenzione europea del paesaggio: matrici politico-culturali e itinerari applicativi, in Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, cit., pag. 27 ss., 35 e R. Gambino, Il ruolo della pianificazione territoriale nell’attuazione della Convenzione, ibidem, pag. 115 ss. e in part. 127-129; contra G. Sciullo, Il paesaggio fra la Convenzione e Codice, cit., par. 2, per il quale nella Convenzione non vi sarebbe una coincidenza fra territorio e paesaggio in quanto si afferma “l’idea che ogni parte del territorio è in grado di esprimere un paesaggio, a condizione che essa risulti connotata (id est identificata cfr. art. 6, comma 1, lett. a)) nella percezione della popolazione”; anche C. Marzuoli, Il paesaggio nel nuovo Codice dei beni culturali, cit., par. 2.2, parla di paesaggio come “autonoma dimensione del territorio”.
[23] Osteggiata da P. Carpentieri, Regime dei vincoli e Convenzione europea, in Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, pag. 135 ss., 138-139, perché accogliere la tesi che “tutto il territorio sia paesaggio” significherebbe svuotare di senso giuridico la nozione di paesaggio riducendone la rilevanza a meno profilo interno del governo del territorio.
[24] Per S. Civitarese Matteucci, La concezione integrale del paesaggio alla prova della prima revisione del Codice del paesaggio, in Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, cit., pag. 209 ss., assumere seriamente la prospettiva della concezione integrale di paesaggio, a meno di non giocare con le parole, finisce infatti per voler dire che “siccome tutto il territorio può avere un valore culturale, identitario ecc., il processo che porta a identificare gli usi ammissibili di un certo territorio debba sempre partire dall’uso morfologico-culturale e non dalle sue vocazioni produttive [corsivo aggiunto]” (209).
[25] Del quale il piano paesaggistico è chiamato ad occuparsi fissando per ciascun ambito paesaggistico “adeguati obiettivi di qualità” e individuando le “linee di sviluppo urbanistico ed edilizio” (cfr. art. 135, comma 3 e 4, lett. d), e art. 143, comma 1, lett. i)).
[26] M. Dugato, Gli strumenti territoriali come strumenti di programmazione economica, in Ist. fed., 2009, 2, pag. 261 ss., 261.
[27] V. Cerulli Irelli, Il “governo del territorio” nel nuovo assetto costituzionale, in Il governo del territorio, (a cura di) S. Civitarese Matteucci, E. Ferrari, P. Urbani, Milano, Giuffrè, 2003, pag. 499 ss., 504; analogamente L. Casini, L’equilibrio degli interessi nel governo del territorio, Milano, Giuffrè, 2005, pag. 4 ss.
[28] Per un’analisi della giurisprudenza costituzionale in materia di paesaggio nei suoi rapporti con l’urbanistica v. D. Borgonovo Re, Corte costituzionale e ambiente, in Riv. giur. amb., 1989, 3, pag. 461 ss. e dopo la riforma del Titolo V. G. Falcon, I principi costituzionali del paesaggio (e il riparto di competenze tra Stato e Regioni), cit., pag. 86 ss.; P. Marzaro, Epistemologie del paesaggio: natura e limiti del potere di valutazione delle amministrazioni, cit., pag. 874 ss.; D.M. Traina, Il paesaggio nell’evoluzione del diritto urbanistico, in Riv. giur. urb., 2019, 3, pag. 473 ss. e P. Chirulli, Urbanistica ed interessi differenziati: dalle tutele parallele alla pianificazione integrata, in Dir. amm., 2015, 1, pag. 51 ss.
[29] Tenute nettamente separate dal legislatore, tanto quanto all’ambito d’applicazione (centro abitato versus bellezze naturalistiche) che agli strumenti operativi (piani urbanistici versus vincoli puntuali), le discipline dell’urbanistica e del paesaggio si sono sviluppate parallelamente fino a quando con la modifica da parte della Legge Ponte all’art. 10 della legge n. 1150/1942 si è aperta la strada ad un uso della pianificazione urbanistica per finalità di protezione del territorio consentendo l’introduzione, in sede di approvazione del piano regolatore, di misure di “tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali e archeologici” differenziate dai modelli della legge n. 1947/1939. Tale novità, complice l’istituzione delle regioni, innescò quel fenomeno noto come panurbanesimo che, sulla scia della visione prederiana del paesaggio come forma del territorio, ha trovato riconoscimento nell’art. 80 del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 che ha esteso i confini dell’urbanistica fino a ricomprendervi oltre alla “disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo” anche “la protezione dell’ambiente”.
[30] Ci si riferisce alla sentenza n. 239 del 29 dicembre 1982 con la quale viene superato l’orientamento precedente che rimetteva all’urbanistica la definizione dell’assetto e dell’incremento edilizio dei soli. centri abitati (cfr. Corte cost., 24 luglio 1972, n. 141; Corte cost., 20 febbraio 1973, n. 9, in cortecostituzionale.it).
[31] In questa prospettiva anche Corte cost., 3 marzo 1986, n. 39 che pur concludendo nel senso dell’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale censura l’inesistenza di un qualsiasi bilanciamento tra i beni protetti dalla norma del codice civile impugnata (paesaggio-ambiente e proprietà) rimettendo al legislatore il compito di realizzarlo e Corte cost., ord., 30 luglio 1993, n. 365, entrambe in cortecostituzionale.it.
[32] Così, G. Falcon, op. ult. cit., pag. 88.
[33] In Foro. it., 1986, I, 1196 ss. con nota di M.R. Cozzuto Quadri, Paesaggio e urbanistica: la Corte costituzionale alla ricerca di un difficile equilibrio nei rapporti fra Stato e regioni, pag. 1198 ss., per la quale il paesaggio, “inteso come riflesso dinamico della necessaria attività modificatrice dell’uomo”, esige “il coordinamento di tutte le istanze riconducibili ai soggetti storicamente operanti all’interno del territorio, al fine di consentire, come risultato, un paesaggio che sia espressione dell’equilibrio di una società in atto” (1203).
[34] Quale “interesse differenziato” oggetto di una tutela parallela a quella urbanistica regolata da specifici procedimenti affidati ad autorità diverse da quelle titolari della funzione urbanistico-territoriale, secondo la tesi elaborata da V. Cerulli Irelli, Pianificazione urbanistica e interessi differenziati, in Riv. trim. dir. pubbl., 1985, pag. 386 ss. e in part. 388-392 e P. Urbani, Urbanistica, tutela del paesaggio e interessi differenziati, in Le Regioni, 1986, pag. 665 ss. e in part. 687-688.
[35] Analizzando il ragionamento seguito dalla Corte nelle sentenze n. 151 e 153 del 1986, M. Immordino, “Primarietà” ed “essenzialità” del valore paesaggistico e conseguente assetto delle competenze Stato-Regioni, in Riv. giur. urb., 1987, 1, pag. 22 ss., osserva che l’assunzione di primarietà del valore paesaggistico “non è riferita, come termine di confronto, ad altri valori costituzionali sottoposti ad una improbabile gerarchia rispetto al valore paesaggistico, bensì al modo in cui il legislatore ordinario configura i rapporti Stato-Regioni riguardo alla tutela del paesaggio” che “devono essere improntati più che ad un principio di netta separazione delle competenze ad un principio di integrazione e di collaborazione” (29); analoga la lettura proposta da P. De Leonardis, Verso la tutela del paesaggio come situazione oggettiva costituzionale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1988, 2, pag. 342 ss., 355-356.
[36] Inciso che per M.R. Cozzuto Quadri, Stato, regioni e tutela ambientale: la l. 431/1985 supera il vaglio della Corte costituzionale, in Foro. it., 1986, I, pag. 2689 ss., sembrerebbe porre la funzione urbanistica in una posizione di maggiore strumentalità nei confronti della tutela paesaggistica rispetto a quanto affermato nella sentenza n. 395/1985 (2967).
[37] Cfr. Corte cost., 7 novembre 1994, n. 379 e anche Corte cost., 29 dicembre 1995, n. 529, in cortecostituzionale.it.
[38] Per la quale le forme di tutela dei beni culturali, del paesaggio e dell’ambiente, in quanto “espressione di principio fondamentale unitario dell’ambito territoriale in cui si svolge la vita dell’uomo”, rappresentano “un’endiadi unitaria”, così Corte cost., 1° aprile 1998, n. 85; Corte cost., 27 luglio 2000, n. 378, in cortecostituzionale.it e più di recente Corte cost. n. 179/2019, cit., che guarda al territorio come ad una “risorsa complessa che incarna molteplici vocazioni (ambientali, culturali, produttive, storiche)”. Sul tema diffusamente T. Bonetti, Il diritto del “governo del territorio” in trasformazione. Assetti territoriali e sviluppo economico, Napoli, Editoriale Scientifica, 2011, in par. pag. 55 ss.
[39] Per quanto meramente strumentale all’affermazione delle competenze statali in materia di paesaggio questa sovrapposizione ha impedito alla Corte di segnare sin da subito un confine preciso tra paesaggio e ambiente che in dottrina è sempre stato piuttosto netto. Gli autori che si sono occupati del tema concordano sul fatto che il paesaggio implica una percezione (per lo più qualitativa) e un’interpretazione da un punto di vista soggettivo del valore estetico-culturale del territorio mentre l’ambiente comporta l’apprezzamento da un punto di vista oggettivo delle quantità fisico-chimiche e dei loro effetti biologici sull’ecosistema (in tema, T. Alibrandi-P. Ferri, I beni culturali e ambientali, cit., pag. 72 ss. che parla di ambiente come biosfera per distinguerlo dal paesaggio; M. Immordino, Paesaggio (tutela del), cit., pag. 576 s.; P. Carpentieri, Paesaggio, ambiente e transizione ecologica, cit.).
[40] Con le sentenze n. 367/2007 e n. 378 del 14 novembre 2007 si assiste ad una “materializzazione” dell’ambiente che da “bene immateriale” diviene “valore costituzionale” e “bene della vita, materiale e complesso, la cui disciplina comprende anche la tutela e la salvaguardia delle qualità e degli equilibri delle sue singole componenti”, prendendo le distanze dal carattere “trasversale” affermato nelle sentenze n. 407 del 26 luglio 2002 e n. 307 del 30 ottobre in ragione del quale la legge statale fissa un principio che segnando il “punto di equilibrio” tra più interessi concorrenti si impone anche alle regioni (la tesi della trasversalità della materia ambientale è stata poi ripresa dalla giurisprudenza successiva, per tutte: Corte cost. 16 settembre 2016, n. 210; Corte cost., 22 settembre e 6 luglio 2012, n. 171: Corte cost. 12 aprile 2017, n. 77; Corte cost., 14 novembre 2018, n. 178; Corte cost., 17 gennaio 2019, n. 7 e Corte cost., 15 maggio 2020, n. 88, in cortecostituzionale.it).
[41] Come già riconosciuto nelle sentenze n. 359/1985 e n. 151/1986 e nella giurisprudenza immediatamente successiva (cfr., ex multis, in Corte cost., 28 maggio 1987, n. 210; Corte cost., 6 giugno 1989, n, 324; Corte cost., 9 dicembre 1991, n. 437, tutte in cortecostituzionale.it).
[42] Ovvero fraseggiati “senza alcun riferimento, legame o condizionamento derivante dal resto dell’ordinamento giuridico”, talora perché si tratta di principi dalla forte connotazione programmatica che devono essere ancora attuati e si pongono in uno stato di potenziale tensione con l’ordinamento sub-costituzionale, in altri casi perché si tratta di principi che appartengono ad una lunga tradizionale culturale e sono già concretizzati nell’ordinamento giuridico attraverso norme più o meno coerenti tra loro e con il dettato costituzionale, così R. Bin, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, Giuffrè, 1992, pagg. 16-17. Se l’uso dell’attributo “assoluto” accoppiato a “principio” o “valore” non indica una particolare posizione del diritto in questione rispetto agli interessi potenzialmente concorrenti ma semplicemente il modo in cui è fraseggiato, conclude l’Autore, tale aggettivazione non esclude ex se un “bilanciamento fra interessi protetti in assoluto” dall’ordinamento costituzionale (35).
[43] Tra le tante che sono seguite, Corte cost., 27 giugno 2008, n. 232; Corte cost., 30 novembre 2011, n. 309; Corte cost., 18 luglio 2014, n. 210; Corte cost., 17 aprile 2015, n. 64; Corte cost., 16 settembre 2016, n. 210; Corte cost., 29 novembre 2017, n. 246; Corte cost., 4 luglio n. 178/2018 cit., Corte cost., 22 luglio 2021, n. 164; Corte cost., 23 dicembre 2021, n. 257, tutte in cortecostituzionale.it.
[44] Cfr. Corte cost., n. 151/1986, cit.
[45] Così M. Immordino, La dimensione “forte” della esclusività della potestà legislativa statale sulla tutela del paesaggio nella sentenza della Corte costituzionale n. 367 del 2007, in Aedon, 2008, 1, par. 4; in termini analoghi G. Cartei, La disciplina del paesaggio tra conservazione e fruizione, cit., pagg. 32-33 e 211-216; Idem, Codice dei beni culturali e del paesaggio e Convenzione europea: un raffronto, cit., par. 4.; C. Marzuoli, Il paesaggio nel nuovo Codice dei beni culturali, cit., par. 4; C, Labriola, Dal paesaggio all’ambiente: un caso di interpretazione evolutiva della norma costituzionale. Il concorso della Corte e il problema delle garanzie, in Dir. soc., 1987, 1, pag. 113 ss., 118; anche B. Caravita, A. Morrone, Ambiente e Costituzione, in Diritto dell’ambiente, (a cura di) B. Caravita, Luisa Cassetti, Andrea Morrone, Bologna, Il Mulino, 2016, pag. 17 ss., ricordano come nella giurisprudenza costituzionale sia “pacifico” che la tutela dell’integrità del paesaggio e dell’ambiente non sia “comunque assoluta ma suscettibile di estimazione comparativa nell’ordinamento giuridico, poiché esistono altri valori costituzionali che ben possono legittimare il bilanciamento delle tutele” (37).
[46] Sul cui uso suggerisce pertanto una certa cautela e parsimonia A. Cerri, Il «principio» come fattore di orientamento interpretativo e come valore «privilegiato»: spunti ed ipotesi per una ricostruzione, in Giur. cost., 1987, 6, I, pag. 1806 ss., 1827.
[47] In questo senso si interpretano anche le parole di C. Marzuoli, op. ult. cit., par. 4, per il quale “l’assolutezza produrrebbe fatalmente una restrizione del significato di paesaggio e costringerebbe a escludere la rilevanza paesistica di molti aspetti, in conseguenza, dell’impossibilità di tutelare ogni profilo”.
[48] P. Maddalena, La tutela dell’ambiente nella giurisprudenza costituzionale, in Giorn. dir. amm., 2010, 3, pag. 307 ss., 310. Come si legge in Corte cost., 21 aprile 2021, n. 74, in cortecostituzionale.it, “il principio di prevalenza della tutela paesaggistica deve essere declinato nel senso che al legislatore regionale è impedito non solo adottare normative che deroghino o contrastino con norme di tutela paesaggistica che pongono obblighi o divieti, ossia con previsioni di tutela in senso stretto, ma, altresì, introdurre limiti o condizioni, in qualsiasi forma, senza che ciò sia giustificato da più stringenti ragioni di tutela, le quali possono se del caso trovare riconoscimento anche negli strumenti urbanistici regionali o comunali, tanto più, poi, se dette limitazioni trovino giustificazione in mere esigenze urbanistiche”.
[49] Ancora M.R. Cozzuto Quadri, Stato, regioni e tutela ambientale: la l. 431/1985 supera il vaglio della Corte costituzionale, cit., pag. 2698.
[50] Carattere assegnato alla tutela paesaggistica sin dalla sentenza n. 151/1989; quanto all’affermazione nella giurisprudenza successiva, ex multis: Corte cost., 7 novembre 2007, n. 367; Corte cost., 27 giugno 2008, n. 232; Corte cost. 23 marzo 2012, n. 66; Corte cost., 24 luglio 2012, n. 207; Corte Cost, 20 luglio 2016, n. 189; Corte cost., 12 ottobre 2017, n. 212; Corte cost., 23 luglio 2018, n. 172; Corte cost., 15 novembre 2018, n. 201; Corte cost., 26 giugno 2020, n. 130 e Corte cost., 22 luglio 2021, n. 160, tutte in cortecostituzionale.it.
[51] Corte cost., 29 gennaio 2016, n. 11; Corte cost., 11 luglio 2014, n. 197 e Corte cost., 23 dicembre 2008, n. 437; Corte cost., 5 maggio 2006, n. 182, tutte in cortecostituzionale.it.
[52] Di qui le numerose censure di legittimità di leggi regionali che, in deroga alla disciplina codicistica, hanno variamente inciso sul procedimento di gestione del vincolo paesaggistico, sui contenuti del piano paesaggistico o sul suo rapporto con gli altri strumenti di pianificazione e programmazione. Da un’attenta analisi di queste pronunce, per P. Marzaro, L’amministrazione del paesaggio. Profili critici ricostruttivi di un sistema complesso, cit., pagg. 10-21, emerge come il richiamo costante, talora tralatizio, alla primarietà e all’assolutezza dell’interesse paesaggistico, abbia portato la Corte ad astenersi dall’indicare le modalità di bilanciamento della pluralità di interessi che emergono ogniqualvolta il legislatore, sia statale che regionale, è chiamato a disciplinare i differenti modi di utilizzo del territorio.
[53] Richiamata espressamente da Corte cost. n. 164/2021, cit. e Corte cost., 3 giugno 2022, n. 135, entrambe in cortecostituzionale.it, alla quale Corte stessa non sembra poi credere troppo come rileva R. Bin, Ambiente sempre! Lo dice la Corte costituzionale (ma subito si smentisce), in lacostituzione.info, 2021.
[54] “È nella sede procedimentale, dunque, che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l’interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei princìpi costituzionali la loro previsione e tutela. La struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili l’emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei princìpi di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi): efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza. Viene in tal modo garantita, in primo luogo, l’imparzialità della scelta, alla stregua dell’art. 97 Cost., ma poi anche il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell’interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell’amministrazione, di cui allo stesso art. 97 Cost. In definitiva viene in tal modo garantito il rispetto del principio di legalità − anch’esso desumibile dall’art. 97 Cost. − in senso non solo formale, come attribuzione normativa del potere, ma anche sostanziale, come esercizio del potere in modo coerente con la fonte normativa di attribuzione”, così Corte cost. 5 aprile 2018, n. 69, con nota di F. Cortese, Sulla riserva di preferenziale di procedimento come strumento di garanzia, in Le Regioni, 2018, 4, pag. 759 ss. e anche Corte cost., 30 maggio 2018, n. 66 e Corte cost., 30 luglio 2021, n. 177, tutte in cortecostituzionale.it.
[55] Ci si riferisce alle note sentenze sul caso Ilva, Corte cost., 9 maggio 2013, n. 85 e Corte cost. 23 maggio 2018, n. 58 ma analogo ragionamento lo si ritrova in Corte cost., 24 marzo 2016, n. 63 e Corte cost., 9 marzo 2021, n. 33, tutte in cortecostituzionale.it.
[56] Cfr. Corte cost., 28 giugno 2004, n. 196; Corte cost., 1° luglio 1998, n. 85, cit.; Corte cost., 23 luglio 1996, n. 302; Corte cost., 12 settembre 1995, n. 427, che ha portato taluna dottrina a parlare di “relativismo proceduralista” (così P. Carpentieri, La tutela dei beni culturali, paesaggistici e ambientali nelle riforme della legge n. 124 del 2015, in Riv. giur. urb., 2016, 3, 41 ss., 47-48)
[57] In quanto “la Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi” (cfr. Corte cost., n. 85/2013, cit.). Per G. Cartei, La disciplina del paesaggio tra conservazione e fruizione, cit., non dobbiamo mai dimenticarci che da un lato il paesaggio è “principio rivolto all’organizzazione sociale” e dall’altro che l’art. 9 della Cost. (evocato, è bene ricordarlo, a giustificazione dell’assolutezza del valore paesaggistico) riflette “il carattere democratico dell’ordinamento ed inserisce nel cuneo della nozione la considerazione delle esigenze intrecciate ai bisogni dell’uomo: da qui la necessità di intendere la disposizione costituzionale in funzione correttiva e riformatrice quanto al riparto ed alla distribuzione delle risorse sociali ed economiche. Diversamente attribuiremo al concetto di paesaggio una nozione olistica, caratterizzandone la nozione con la pretesa di cogliere nel suo insieme un’entità autonoma ed astratta, oltre e al di là della considerazione degli elementi che la compongono” (213).
[58] Parole tratte da Corte cost., n. 196/2014, cit., che prosegue sottolineando come sia “evidente che la tutela di un fondamentale valore costituzionale sarà tanto più effettiva quanto più risulti garantito che tutti i soggetti istituzionali cui la Costituzione affida poteri legislativi ed amministrativi siano chiamati a contribuire al bilanciamento dei diversi valori in gioco”.
[59] Sempre Corte cost., n. 85/2013, cit.
[60] Senza che ciò implichi, almeno per G. Sciullo, ‘Interessi differenziati’ e procedimento amministrativo, in giustamm.it, 2016, 5, una sorta di “riserva di considerazione a favore delle amministrazioni che li hanno in carica, anche se i canoni generali di ragionevolezza e di buon andamento esprimono una preferenza a favore delle stesse (14).
[61] Per Cons. St., 25 febbraio 2013, n. 1129, sebbene la difesa del paesaggio si attui “eminentemente a mezzo di misure di tipo conservativo, nel senso che la miglior tutela di un territorio qualificato sul piano paesaggistico è quella che garantisce la conservazione dei suoi tratti naturalistici, impedendo o riducendo al massimo quelle trasformazioni pressoché irreversibili del territorio propedeutiche all’attività edilizia”, tali “esigenze di tipo conservativo devono naturalmente contemperarsi, senza tuttavia mai recedere completamente, con quelle connesse allo sviluppo edilizio del territorio che sia consentito dalla disciplina urbanistica nonché con le aspettative dei proprietari dei terreni che mirano legittimamente a sfruttarne le potenzialità edificatorie”; analogamente Cons. St., 14 novembre 2019, n. 7839; Cons. St., 2 aprile 2020, n. 2225; Cons. St., 9 giugno 2020, n. 3696; Cons. St., n. 624/2022, cit.; Tar Lombardia Brescia, 18 settembre 2017, n. 1118 Tar Lombardia Brescia, 11 dicembre 2018, n. 1196 ribaltata da Cons. St., 2 aprile 2020, n. 2225. Tra le tante sentenze che a contrario escludono la necessità di una ponderazione fra interessi nella gestione del vincolo v.: Cons. St., 23 luglio 2015, n. 3652; Cons. St., 15 settembre 2020, n. 5451, in giustizia-amministrativa.it.
[62] Cons. St., 29 gennaio 2013, n. 533 e n. 535; Tar Lazio, Roma, n. 1080/2021, cit.; Tar Toscana, Firenze, 27 novembre 2006, n. 6045 in giustizia-amministrativa.it.
[63] Si esprime in questi termini F. Cortese, Le amministrazioni e il paesaggio, tra discorso di verità e discorso di volontà, in Aedon, 2016, 3, par. 4., riflettendo sugli esiti cui approda il Consiglio di Stato nella sentenza n. 3652/2015 laddove esclude che il ministero, nella gestione del vincolo, sia tenuto ad effettuare una comparazione dell’interesse primario assegnatogli dall’ordinamento con interessi pubblici “di altra natura e spettanza” indicando le condizioni in presenza delle quali l’intervento sottoposto ad autorizzazione potrebbe essere assentito. Tesi condivisa invece da G. Severini, Tutela del patrimonio culturale, discrezionalità tecnica e principio di proporzionalità, ibidem, cui si rinvia per l’accurata rassegna giurisprudenziale sul tema.
[64] P. Marzaro, Governo del territorio, interessi differenziati e tecniche di regolazione degli interessi. Note di sistema, in Riv. giur. urb., 2019, 2, pag. 190 ss., 197.
[65] Compresa l’iniziativa economico privata perché, come si legge in Cons. St., 11 gennaio 2013, n. 118, in giustizia-amministrativa.it, “anche la pianificazione paesaggistica - tenuto conto dei livelli di tutela da prevedere - può non risultare orientata al solo effetto della inibizione assoluta della edificabilità, poiché il piano presuppone e analizza ‘lo sviluppo sostenibile delle aree interessate’, la presenza di ‘dinamiche di trasformazione del territorio’ e reca prescrizioni e previsioni atte ‘alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio”, purché compatibili ‘con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati’ (art. 143, comma 1, lettere h) e f); art. 135, comma 1, lett. d)”.
[66] G. Ferrara, La pianificazione del paesaggio nel Codice Urbani e le prospettive della Convenzione europea, in Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, cit., pag. 171 ss., 203-204.
[67] Definito da R. Gambino, Patrimonio e senso del paesaggio (riconoscere il patrimonio territoriale), in Habitare. Il paesaggio nei piani territoriali, (a cura di) G. Paolinelli, Milano, Franco Angeli Editore, 2011, pag. 133 ss., come un “insieme più o meno coerente e interconnesso di eredità storiche, culturali e naturali, tangibili e intangibili, di appartenenza e reti di relazioni che legano luoghi e formazioni sociali”.
[68] A conferma della necessità di tener conto della diversità delle realtà territoriali di rilevanza paesaggistica disciplinate dal piano.
[69] Nel senso indicato da S. Amorosino, La governance e la tutela del paesaggio tra Stato e Regioni dopo il secondo decreto correttivo del Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pagg. 106-108; E. Boscolo, La nozione giuridica di paesaggio identitario ed il paesaggio ‘a strati’, cit., in part. pag. 72 e 76 e diffusamente, nell’analisi di alcuni casi studio, da G. Ferrara, La pianificazione del paesaggio nel Codice Urbani e le prospettive della Convenzione europea, cit., pag. 201 ss.
[70] È proprio nella vestizione del vincolo che per P. Marzaro, Governo del territorio, interessi differenziati e tecniche di regolazione degli interessi. Note di sistema, cit., si confrontano le “due diverse categorie di fruitori del paesaggio - outsider e insider - portatori di due differenti forme di percezione del valore paesaggistico. L’una si presenta come più statico conservativa, perché frutto di un approccio esterno, scientifico, che transita necessariamente attraverso la mediazione della convenzione estetizzante; l’altra - quella della comunità insediata nel territorio espressivo di identità - più dinamica e quasi indistinta rispetto al contesto...da questa relazione, nella quale l’amministrazione statale assume la veste dell’outsider e la Regione (e per essa il Comune) invece quella dell’insider, scaturiscono le prescrizioni d’uso del bene, fisiologicamente frutto dell’integrazione della visuale paesaggistica con quella urbanistica” (198). Sul dialogo tra vincolo e piano nell’ottica di un’amministrazione ragionevole e proporzionata della dimensione paesaggistica del territorio ancora P. Marzaro, Le nuove forme della tutela del paesaggio: autolimiti delle amministrazioni e proporzionalità delle scelte, in Riv. giur. urb., 2014, 1, pag. 108 ss. e S. Amorosino, Il diritto del paesaggio e le categorie generali del diritto amministrativo, in Riv. giur. urb., 2011, 4, pag. 399 ss. ed in particolare 405-407.
[71] Ovvero di una tutela che tenga altresì conto delle esigenze di sviluppo socioeconomico del Paese, oggi declinato in termini di sviluppo territoriale sostenibile dagli artt. 133, comma 2 e 135, comma 4, lett. c) del Codice.
[72] Come osserva L. Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, Bologna, Il Mulino, 2016, la valorizzazione del paesaggio “per le bellezze naturali sarà più simile per certi versi a quanto si verifica per i beni culturali; per le aree tutelate ex lege sarà per taluni aspetti simile a una disciplina urbanistica oppure del tutto assente, in modo analogo alla tutela integrale prevista per le aree naturali protette; per tutto il resto del territorio si avrà una valorizzazione di tipo sostanzialmente urbanistico lasciata alla libera iniziativa delle singole Regioni e dei comuni” (146).
[73] Così C. Marzuoli, N. Vettori, Paesaggio e interessi pubblici: principi, regole e procedure, in La struttura del paesaggio. Una sperimentazione multidisciplinare per il piano della Toscana, (a cura di) A. Marson, Bari, Editori Laterza, 2016, pag. 225 ss., 229; C. Marzuoli, Il paesaggio nel nuovo Codice dei beni culturali, cit., par. 4 e G. Sciullo, Territorio e paesaggio (a proposito della l.r. Toscana 3 gennaio 2005, n. 1), in Riv. giur. urb., 2007, 1-2, pag. 283 ss., 283 e 291; diversamente G. Severini, Culturalità del paesaggio e passaggi culturali, cit., pagg. 673-676, che si esprime in termini di netta distinzione.
[74] Nella conferenza di servizi convocata per l’esame del progetto relativo alla realizzazione dell’impianto produttivo-commerciale (denominato Suap2) sono state respinte le eccezioni sollevate dalla stessa Provincia di Monza e Brianza circa un presunto contrasto del progetto con le previsioni del Piano territoriale regionale (P.t.r.) e del Piano territoriale di coordinamento provinciale (P.t.c.p.) della provincia di Milano (nel cui territorio era a quel tempo incluso il comune interessato) la quale aveva espresso parere favorevole alla realizzazione del progetto. L’intervento è stato autorizzato in variante al vigente Piano di governo del territorio (P.g.t) in quanto localizzato su aree in parte a destinazione agricola e in parte incluse nel verde di mitigazione previsto dalla convenzione relativa ad un insediamento industriale già autorizzato in un’area adiacente (progetto Suap1). Per completezza si segnala che il Consiglio di Stato, confermando la decisione di primo grado, ha in ultimo rigettato l’impugnazione da parte della provincia di Monza e Brianza della delibera del consiglio comunale di approvazione del progetto Suap2 e della relativa variante al P.g.t non rilevando alcun contrasto con le previsioni del P.t.c.p. e del P.t.r. (Cons. St., 28 marzo 2022, n. 2237, in giustizia-amministrativa.it).
[75] Quale infrastruttura prioritaria del P.t.r., equiparato, è appena il caso di ricordarlo, al piano paesaggistico “puro” dall’art. 135, comma 1, del Codice.
[76] Ricostruzione dei fatti accolta anche nella sentenza del Tar Milano, 11 maggio 2015, n. 1138 del 2015 che ha respinto il ricorso contro la deliberazione comunale di approvazione del progetto Suap2 e confermata in secondo grado da Cons. St., n. 2237/2022 (cfr. nt. 75).
[77] La RER prescrive infatti, tanto per i primi (“come regola generale”) che per i secondi (“come criterio ordinario”), di “evitare nuove trasformazioni dei suoli” facendo comunque salve le “trasformazioni strategiche per esigenze territoriali” e richiedendo in tal caso, rispettivamente, l’assoggettamento a VAS e il mantenimento di almeno il 50% della sezione prevista nella RER (v. deliberazione giunta regionale 30 dicembre 2009 - n. VIII/10962).
[78] Nello specifico dall’art. 31 delle norme tecniche di attuazione al P.t.c.p. approvate con deliberazione del consiglio provinciale n. 16 del 10 luglio 2013.
[79] Prevista, in assonanza con le previsioni codicistiche, dall’art. 18, comma 2, della l.r. Lombardia, 11 marzo 2005, n. 12 recante “Legge per il governo del territorio”. Con conseguente “schiacciamento” però di tutte le altre competenze pianificatorie, comprese quelle degli enti locali, come osservano P. Chirulli, Urbanistica ed interessi differenziati: dalle tutele parallele alla pianificazione integrata, cit., pag. 98 ss.; M.P. Genesin, Le tutele differenziate, in (a cura di) A. Crosetti, La tutela della natura e del paesaggio, in Trattato di diritto dell’ambiente, (a cura di) R. Ferrara, M.A. Sandulli, Milano, Giuffrè, 2014, pag. 237 ss., 253-261 e diffusamente P. Urbani, Per una critica costruttiva all’attuale disciplina del paesaggio, in Dir. ec., 2010, 1, pag. 41 ss.
[80] Il tema dei limiti all’esercizio del potere discrezionale nell’esercizio della pianificazione ci porterebbe molto lontano per cui si consenta di semplificare ricordando come la maggiore giurisprudenza continui a ritiene tale potere sindacabile in sede di legittimità soltanto quando risulti inficiato da errori di fatto, da vizi di grave illogicità, irrazionalità e contraddizione, ovvero da travisamento dei fatti in relazione ad esigenze che si intendono concretamente soddisfare. Ciò detto, non mancano pronunce nelle quali il tema del maggiore o minore sacrificio del privato assurge a condizione stessa di legittimità della decisione amministrativa come si è cercato di dimostrare in un precedente lavoro cui sia consentito fare riferimento (cfr. A. Sau, La proporzionalità dei sistemi amministrativi complessi. Il caso del governo del territorio, Milano, Franco Angeli Editore, 2013, pag. 103 ss.).
[81] Dato che le opere di mitigazione previste nella convenzione urbanistica sono destinate per lo più a ricadere nel territorio di un comune confinante (Trezzano Rosa, soggetto a P.t.c.p. della Provincia di Milano) si finisce per far ricadere sul privato, come osservano i giudici di primo grado (Pt. 12 in motivazione), un difetto di coordinamento fra regione, province e comuni interessati mostrandosi tutti i limiti del “coordinamento debole”, non a caso declinato in termini di “comparazione”, tra il piano paesaggistico e gli altri strumenti di pianificazione, programmazione e difesa del suolo previsto dall’art. 143, comma 1, lett. f) del Codice.
[82] Che in forza della sua “rilevanza prioritaria” potrà certamente orientare condizionandola la ponderazione degli interessi c.d. indifferenziati (ancora P. Chirulli, op. ult. cit., pag. 101).
[83] Cons. St. 30 giugno 2021, n. 4923; Cons. St., 14 agosto 2015, n. 3932, in giustizia-amministrativa.it.
[84] V. nt. 52.
[85] In questi termini S. Amorosino, Dalla disciplina (statica) alla regolazione (dinamica) del paesaggio: una riflessione d’insieme, in Riv. giur. urb., 2006, 3, pag. 420 ss., 433-434.
[86] Per una prima lettura della riforma dell’art. 9 della Costituzione v. F. Fracchia, L’ambiente nell’art. 9 della Costituzione: un approccio in “negativo”, in Dir. econ., 2022, 1, pag. 15 ss.; G. Arconzo, La tutela dei beni ambientali nella prospettiva intergenerazionale: il rilievo costituzionale dello sviluppo sostenibile alla luce della riforma degli articoli 9 e 41 della Costituzione. Atti del Convegno svoltosi presso l’Università degli Studi di Milano, 7 ottobre 2021, in Dir. econ., 2021, pag. 157 ss.; M. Cecchetti, La revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione e il valore costituzionale dell’ambiente tra rischi scongiurati, qualche virtuosità (anche) innovativa e molte lacune, in Forum di Quad. Cost., 2021, 3, pag. 285 ss.
[87] Come è facile immaginare che avvenga (e in parte sta già avvenendo) in relazione alle politiche di sviluppo energetico da fonti rinnovabili poste al centro del green deal europeo nell’ottica di una tutela intergenerazionale peraltro ancora tutta da declinare sul piano giuridico, tanto sul fronte della definizione della categoria giuridica delle “generazioni future destinatarie” (quelle immediatamente successive alla nostra o quelle already born?) che su quello dell’individuazione delle situazioni giuridiche configurabili nei loro confronti, come sottolinea A. D’Aloia, Generazioni future (diritto costituzionale), in Enc. Dir., Annali IX, Milano, 2016, pag. 331 ss., 337-343 e 365-374.
[88] Così M. Cammelli, G. Piperata, Patrimoni culturali: innovazioni da completare; tensioni da evitare, in Aedon, 2022, 1, pag. 5 s., contrari ad una soluzione che guardi al “ritorno alla primarietà dell’interesse paesaggistico su tutto il resto, in particolare sulle azioni ambientali di decarbonizzazione, passando attraverso la ricentralizzazione dell’azione di tutela dello stesso, anche come gesto di sfiducia nei confronti delle amministrazioni regionali e locali, accusate di non aver saputo interpretare il ruolo decentrato ottenuto in tale settore e di non aver creduto negli strumenti di pianificazione”.
[89] Attribuita a Jhon Ruskin e divenuta nel ‘900 lo slogan del movimento politico-culturale della tutela del paesaggio come ci ricorda S. Settis, John Ruskin: un paysage moralisé per il nostro tempo, in John Ruskin’s Europe. A Collection of Cross-Cultural Essays, (a cura di) E. Sdegno, M. Frank, M. Pilutti Namer, P.H. Frangne, Venezia, ‘Ca Foscarina, 2020, pag. 11 ss.