Le sfide e gli strumenti della valorizzazione
Rigenerazione urbana e patrimonio culturale nell’esperienza amministrativa italiana di ripresa e resilienza [*]
di Giuseppe Piperata [**]
Sommario: 1. Rigenerazione urbana e patrimonio culturale: l’attualità di una relazione virtuosa. - 2. Le missioni di rigenerazione urbana e culturale nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. - 3. Il patrimonio culturale: fattore rigenerante od oggetto da rigenerare? - 4. La rigenerazione culturale del patrimonio urbano. - 5. La rigenerazione urbana del patrimonio culturale.
Urban regeneration and cultural heritage in the Italian administrative experience of recovery and resilience
The paper examines urban regeneration and cultural heritage in the Italian administrative experience of recovery and resilience. Urban regeneration is in fact a phenomenon that has been attributed a polysemic nature and has become a fundamental strategy of the policies of reconstruction and revitalization of the economic system and social fabric of our country after the pandemic period. The work dwells, more specifically, on the entanglements that are often found between regenerative practices and cultural policies on local heritage, also considering that urban regeneration practices are destined to interact profoundly with the various scenarios affecting urban cultural heritage.
Keywords: urban regeneration; cultural heritage; urban heritage; National Recovery and Resilience Plan.
1. Rigenerazione urbana e patrimonio culturale: l’attualità di una relazione virtuosa
Da quando la rigenerazione urbana ha acquisito una sua centralità all’interno delle strategie di governo del territorio in Italia, l’esperienza amministrativa locale ha registrato una stretta relazione tra le pratiche attraverso le quali essa può essere realizzata e gli interventi riguardanti il patrimonio culturale. In realtà, già da tempo è stato messo in evidenza, quantomeno in dottrina [1], che anche la funzione urbanistica affidata agli enti locali può contribuire a rendere effettivi i compiti di tutela del patrimonio culturale, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 9 della Costituzione italiana, articolo che, affidando alla Repubblica e non ad un singolo ente la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione, coinvolge tutte istituzioni pubbliche nello svolgimento di questo fondamentale compito.
Del resto, anche la Corte costituzionale [2], coerentemente a tale previsione, ha precisato che la materia del governo del territorio consente al legislatore regionale di prevedere una disciplina di tutela dei beni culturali ulteriore rispetto a quella già prevista dalla legislazione statale: un’apertura che legittima, oltre l’intervento legislativo delle regioni (e alle condizioni da questo previste), anche un più concreto intervento dei poteri locali in sede di pianificazione diretto a salvaguardare, attraverso prescrizioni ulteriori, i cc.dd. beni culturali urbanistici [3] o ad estendere con appositi strumenti strategie di protezione verso alcune opere di valore artistico o architettonico che, non raggiungendo la soglia minima di storicizzazione per essere ricondotti sotto al regime previsto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, altrimenti rimarrebbero fuori da ogni opportuna azione di tutela [4].
Tra gli strumenti in questione, i processi di rigenerazione urbana risultano, oggi, meglio di ogni altro, funzionali ad implementare dinamiche di intervento sui beni del patrimonio culturale che sul territorio dell’ente locale sono localizzati. C’è una precisa ragione in ciò, e si può rintracciare nella particolare natura che la rigenerazione urbana presenta, grazie alla quale essa può essere messa in campo per raggiungere obiettivi che vanno oltre la prospettiva unica dell’intervento urbanistico.
La rigenerazione urbana, infatti, è un fenomeno al quale è stata attribuita natura polisemica, nel senso che i processi nei quali essa si sostanzia sono pensati prioritariamente come strumenti per contrastare il consumo di suolo, ma possono anche operare come azioni strategiche per contribuire a realizzare altre politiche importanti per l’ente locale: la promozione della partecipazione civica e di nuovi scenari per il diritto alla città, i percorsi per favorire la resilienza, limitare le conseguenze negative del cambiamento climatico e diffondere pratiche virtuose di risparmio energetico e, in questa prospettiva, anche la protezione e la valorizzazione del patrimonio culturale [5].
Si aggiunga, poi, che la rigenerazione è diventata anche una fondamentale strategia delle politiche di ricostruzione e rilancio del sistema economico e del tessuto sociale del nostro Paese dopo il drammatico periodo della pandemia. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), approvato nel 2021, infatti, ha destinato quote importanti di finanziamento a specifiche strategie rigenerative, alcune delle quali riguardanti il recupero di parti del patrimonio culturale nazionale, come quello rurale o ecclesiastico o come quello rappresentato dai parchi e giardini storici.
Ma non è solo il dato di attualità del Pnrr a rendere interessante l’intreccio che spesso si coglie tra le prassi rigenerative e le politiche culturali sul patrimonio locale. Ancora più interessante è la valenza bidirezionale che caratterizza questo rapporto, nel senso che se, da un lato, la cultura può funzionare come driver dei processi di rigenerazione urbana, dall’altro lato, tali processi hanno anche ad oggetto beni, spazi, luoghi di valore culturale, contribuendo in questo modo a garantirne la tutela e a promuoverne la valorizzazione.
Si deve inoltre segnalare che, all’implementazione di tale rapporto, si accompagna anche l’affermazione di dinamici modelli di collaborazione tra istituzioni pubbliche o tra queste e gli attori privati, nonché di innovativi strumenti giuridici. Ed è proprio sugli aspetti adesso richiamati che la nostra attenzione si concentrerà nelle pagine che seguono.
2. Le missioni di rigenerazione urbana e culturale nel Piano nazionale di ripresa e resilienza
Nel Pnrr approvato dal Governo italiano nel 2021, la missione rigenerativa viene prevista e finanziata con riferimento a specifici interventi sui contesti territoriali locali e anche come dimensione strategica per la realizzazione di precise politiche culturali. Anche se le linee di intervento si collocano su due differenti missioni del Piano, tra le strategie di valorizzazione del patrimonio culturale e le azioni di rigenerazione urbana sono presenti numerosi punti di contatto, che confermano quanto sopra sostenuto a proposito del collegamento tra i due fenomeni [6].
La Missione 1 del Piano copre diversi ambiti tra i quali anche i settori della cultura e del turismo, prevedendo numerosi interventi finalizzati al recupero e al rilancio del patrimonio culturale italiano. Gli investimenti sono prioritariamente indirizzati verso le aree interne, le zone rurali, i piccoli borghi, contesti territoriali spesso fragili, ma sempre ricchi di tradizioni culturali e testimonianze storiche e artistiche preziose, come tali da proteggere e promuovere. Alcune misure interessano nello specifico l’architettura e il paesaggio rurale, beni da recuperare anche nella prospettiva del contrasto ai fenomeni di spopolamento e, allo stesso tempo, di attivazione di processi di sviluppo locale.
Ad una scala più ampia e generale possono, invece, essere ricondotte le strategie ipotizzate per la valorizzazione dei parchi e giardini storici, luoghi identitari per le comunità locali, da riqualificare secondo una strategia integrata con le azioni di rigenerazione urbana. E sempre analoga portata rigenerativa caratterizza le ulteriori linee di intervento presenti all’interno della medesima Missione: quelle per rimuovere le barriere nei musei, biblioteche e archivi o per migliorare l’efficienza energetica in cinema, teatri e musei, o ancora per rendere sismicamente più sicuri i luoghi di culto, per restaurare i beni del patrimonio del Fondo per gli edifici di culto e per realizzare i siti di ricovero per le opere d’arte.
La Missione 5 del Pnrr è, invece, dedicata - in parte - alla rigenerazione urbana [7]. In particolare, essa elenca le tipologie di interventi e i relativi finanziamenti destinati ai comuni italiani per promuovere strategie rigenerative. Nelle intenzioni del Governo, però, il punto di arrivo delle azioni rigenerative non ha solo valenza urbanistica, ma la rigenerazione dei luoghi e dei patrimoni edilizi è impostata soprattutto come una tappa intermedia all’interno di un processo più ampio rivolto al contenimento delle situazioni di emarginazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del contesto sociale e ambientale delle città. In tale prospettiva, allora, i processi di rigenerazione possono essere visti come strumenti di welfare urbano, i quali attraverso le trasformazioni fisiche degli spazi operano anche per incidere sui contesti sociali ed economici dei luoghi e delle comunità locali su di essi stanziati [8].
La strategia rigenerativa disegnata dal Pnrr è stata anche supportata con alcuni interventi legislativi successivi, mediante i quali sono stati individuati gli attori locali, definite le procedure esecutive e ripartiti anche parte dei fondi a disposizione. Per esempio, con la legge di bilancio per il 2022 [9] è stata assegnata una prima parte dei fondi Pnrr proprio “al fine di favorire gli investimenti in progetti di rigenerazione urbana, volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale”.
Destinatari sono i comuni con più di 15.000 abitanti, che possono richiedere i contributi per diverse tipologie di opere, tra le quali troviamo le opere di manutenzione e riuso e le opere per la mobilità sostenibile, ma anche le opere di miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale, anche mediante interventi di ristrutturazione edilizia di immobili pubblici, con particolare riferimento allo sviluppo dei servizi sociali e culturali, educativi e didattici, ovvero alla promozione delle attività culturali e sportive.
Alle città metropolitane, invece, sono stati assegnati i fondi per la realizzazione dei Piani urbani integrati, anche questi ultimi da tradurre in progetti di rigenerazione urbana orientati alla migliore inclusione sociale e riguardanti “la manutenzione per il riuso e la rifunzionalizzazione ecosostenibile di aree pubbliche e di strutture edilizie pubbliche esistenti per finalità di interesse pubblico, il miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale, con particolare riferimento allo sviluppo e potenziamento dei servizi sociali e culturali e alla promozione delle attività culturali e sportive, nonché interventi finalizzati a sostenere progetti legati alle smart cities, con particolare riferimento ai trasporti ed al consumo energetico” [10].
In particolare, i Piani urbani integrati sono interventi di progettazione urbanistica partecipata, che promuovono la rigenerazione delle grandi aree urbane degradate con il coinvolgimento del terzo settore e di investimenti privati nella misura massima del 25%.
Si deve, tuttavia, al riguardo segnalare che la Terza relazione del Governo italiano sullo stato di attuazione del Pnrr [11] ha evidenziato la presenza di specifiche criticità nella realizzazione proprio di alcune misure riguardanti la missione di rigenerazione urbana, anche se riconducibili a eventi e circostanze oggettive. Per tale ragione, in sede di revisione del Pnrr, alcuni finanziamenti per la rigenerazione urbana originariamente previsti nel Pnrr sono stati riprogrammati e spostati su fondi e risorse nazionali.
3. Il patrimonio culturale: fattore rigenerante od oggetto da rigenerare?
Ad uno sguardo superficiale potrebbe risultare paradossale che le pratiche di rigenerazione urbana vengano accostate ai beni del patrimonio culturale. Le strategie di rigenerazione implicano sempre interventi trasformativi su luoghi, siti, spazi, beni, viceversa i patrimoni culturali esigono azioni prioritariamente rivolte alla loro conservazione. A ben vedere, tuttavia, tale contrapposizione è solamente apparente.
È, al riguardo, sufficiente ricordare che le azioni che interessano il patrimonio culturale non si esauriscono con le politiche di protezione e, tra l’altro, le più importanti riforme legislative in materia di beni culturali e paesaggistici degli ultimi anni hanno posto accanto alla tradizionale funzione di tutela degli stessi anche altri fondamentali titoli di intervento dei pubblici poteri, in particolare rivolti ad assicurarne la fruizione e la valorizzazione [12]. Ed è proprio con riferimento alla valorizzazione che gli interventi di rigenerazione urbana sui beni del patrimonio culturale trovano giustificazione, anche alla luce di quanto disposto, prima, dall’art. 148, d.lg. 31 marzo 1998, n. 112, che qualificava come azioni di valorizzazione ogni attività finalizzata a migliorare le condizioni di conoscenza e di conservazione dei beni culturali e ambientali, e, ora, dall’art. 6 del c.d. Codice Urbani (d.lg. n. 42/2004), per il quale la valorizzazione (soprattutto del paesaggio e dei beni paesaggistici) comprende anche la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati [13].
Si aggiunga anche che il felice connubio tra rigenerazione urbana e patrimonio culturale, oggi così presente nei processi di trasformazione delle nostre città, beneficia dell’indeterminatezza che connota la nozione di rigenerazione urbana, il cui perimetro è così ampio da ricomprendere azioni indirizzate verso plurimi obiettivi, tra i quali possono sicuramente trovare adeguato riconoscimento quelli strumentali alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale. Intorno alla rigenerazione urbana, è stato detto, si muovono dinamiche che innovano la città, caratterizzate da indubbi tratti di novità e di difficile classificazione [14].
Prima ancora che politica pubblica o procedura amministrativa, essa è soprattutto una tecnica di intervento attraverso la quale si recupera e si rigenera un bene, un luogo, uno spazio della città. Volendo ammetterlo, intese come pratiche urbanistiche, le dinamiche di rigenerazione e di riqualificazione sono sempre esistite: le storie delle nostre città sono piene di esempi di quartieri, edifici, luoghi che nel corso degli anni sono stati trasformati, recuperati, assumendo nel tempo gli usi e le funzioni più varie [15].
Rispetto a quanto avveniva in passato, tuttavia, qualcosa oggi è cambiato, in primo luogo, sotto il profilo quantitativo e, in secondo luogo, rispetto allo scenario giuridico di riferimento. Ma andiamo con ordine. È un dato oggettivo: negli ultimi anni gli interventi di rigenerazione di edifici e spazi urbani si sono moltiplicati. Ciò è avvenuto per diverse ragioni. Innanzitutto, sono aumentati esponenzialmente i “vuoti urbani”, consistenti in edifici abbandonati, beni rifiutati, aree dismesse (solo queste ultime corrispondenti ad un 3% del territorio nazionale [16]). Per tali spazi, pertanto, si è reso necessario immaginare nuove politiche integrate di recupero, in modo da risolvere i problemi ambientali e di sicurezza che li caratterizzano, oltre a quelli collegati al loro possibile utilizzo.
Sulle pratiche rigenerative, poi, incide anche il recente aumento dei limiti legali al consumo di suolo. La vicenda è nota. Anche per contrastare gli effetti negativi del cambiamento climatico, il suolo deve essere difeso da fenomeni naturali di rischio idrogeologico e da fenomeni antropici di trasformazione o impermeabilizzazione. Esigenza, questa, che negli ultimi anni ha portato in sede europea all’adozione di numerose misure rivolte a favorire un maggiore adattamento dei territori rispetto agli eventi estremi e a contenere l’azione diretta dell’uomo sul suolo.
In particolare, con riferimento a questo secondo fronte d’azione, l’Ue fin dal 2011 ha imposto ai Paesi membri come obiettivo comune quello di arrivare, entro il 2050, alla c.d. quota zero, ossia all’azzeramento del consumo di suolo netto, e nel 2021 la Commissione ha adottato la nuova Strategia dell’UE per il suolo per il 2030, con la quale, oltre a ribadire che la salute di tale bene è preziosa e fondamentale per conseguire gli obiettivi sul clima e sulla biodiversità fissati dal Green Deal europeo, ha elaborato le misure concrete per consentire che i suoli siano protetti e rigenerati nella prospettiva di una loro utilizzazione in modo sostenibile [17].
Come conseguenza di tale situazione, già diverse leggi regionali hanno introdotto limitazioni all’indiscriminato uso del territorio per nuove costruzioni, affermando un principio di divieto di consumo di suolo, riconoscendone l’importanza e ampliandone l’ambito di applicazione. Il Parlamento nazionale, invece, è da anni impegnato nella discussione di progetti di legge dedicati ad una disciplina organica in materia di contenimento del consumo del suolo e di rigenerazione urbana, che però stentano a vedere la luce. L’obiettivo di tale intervento legislativo, anche in questo caso, è quello di porre dei limiti stringenti a processi che implicano consumo di nuovo suolo, in modo da dare priorità agli interventi di rigenerazione e di riuso dell’esistente [18].
Per la scienza del diritto, la rigenerazione urbana merita attenzione non solo per il ruolo che essa gioca nell’ambito delle politiche legislative di contenimento di consumo di suolo, ma anche per i tanti profili di innovazione giuridica che ne accompagnano la qualificazione e lo sviluppo attuativo [19]. Tale fenomeno, infatti, presenta alcune peculiarità che lo differenziano rispetto ad altri fenomeni simili come la ristrutturazione edilizia o altre dinamiche di recupero o di riqualificazione urbanistica, da tempo conosciuti e regolati dal diritto [20].
Si continua a discutere se gli interventi rigenerativi sulle città siano manifestazione di una nuova funzione di governo locale [21] o, invece, una maniera alternativa di operare sugli spazi urbani pur sempre riconducibile alle tradizionali funzioni urbanistiche e pianificatorie [22]. Pur mancando ancora una definizione giuridica condivisa della rigenerazione urbana e che tenga insieme tutti i possibili modi attraverso i quali essa si realizza, tuttavia, ci pare non azzardato evidenziare quei due elementi che ne connotano natura e identità, conferendole una possibile sfera di autonoma rispetto ad altre dinamiche di intervento.
Il primo elemento riguarda la direzione verso la quale muovono le azioni di rigenerazione. Esse, infatti, sono orientate non all’uso, ma soprattutto al ri-uso del patrimonio immobiliare esistente, al quale così vengono riassegnati una nuova funzione e un nuovo ciclo di vita urbanistica. Il secondo elemento distintivo, poi, attiene alla strumentalità teleologica della rigenerazione rispetto ad altri obiettivi, i quali si pongono come plurimi traguardi, a spettro più ampio, da raggiungere attraverso specifiche azioni rigenerative su beni e spazi.
Ciò emerge, in particolare, dal quadro legislativo dedicato a tali azioni, quadro alla cui definizione contribuiscono singole disposizioni dettate dal legislatore statale [23] e più ampi regimi regolativi introdotti da vari legislatori regionali [24]: tutte norme che promuovono la rigenerazione, ma per realizzare precise tappe intermedie, passaggi obbligati e soprattutto orientati verso scopi più ambiziosi tendenti al miglioramento della qualità degli spazi urbani e della vivibilità delle nostre città.
In tale prospettiva, la rigenerazione urbana non è un’azione che può essere ridotta alla eliminazione del preesistente e alla sua sostituzione con un nuovo intervento edilizio. Essa è qualcosa in più, corrisponde ad interventi che possono anche sostituire ciò che già c’è, ma soprattutto devono rigenerare il bene, riciclandolo e dandogli una nuova missione funzionale.
È stato scritto che il riciclo urbano è un processo frutto di un “anelito verso l’invenzione di nuovi cicli di vita per le cose e gli esseri di questo mondo” e supportato da una spinta innovativa, dato che “il ragionamento a favore di una conservazione non imbalsamatrice ma capace di attribuire nuovi significati vitali alle cose, deve sapere esercitare sulle ‘cose’ (nella nostra fattispecie, le ‘cose’ dell’architettura, della città e del paesaggio) un esercizio di fantasia creatrice e quindi di ‘progetto’” [25].
In questo modo vengono anche “ricuciti” passato e futuro di un contesto urbano e territoriale, operando in maniera diversa da fenomeni analoghi, come il restauro, ad esempio, dato che la conservazione del bene non è l’unico e ultimo obiettivo dell’intervento progettato: “in questo senso il ri-ciclo si coniuga strettamente con l’eredità del passato, ma cercando in quell’eredità o ‘tradizione’ germi di futuro, a favore di nuovi processi evolutivi” [26].
Intese in questo modo, le pratiche di rigenerazione urbana sono destinate ad interagire profondamente con i vari scenari che interessano il patrimonio culturale urbano. Quantomeno in una duplice prospettiva: il patrimonio culturale (o le pratiche culturali in senso ampio) può operare come fattore di rigenerazione urbana (il patrimonio culturale rigenerante) e la rigenerazione urbana può riguardare direttamente o indirettamente il patrimonio culturale (il patrimonio culturale rigenerato). Ecco allora che sulle due dinamiche appena indicate è necessario spendere qualche ulteriore riflessione.
4. La rigenerazione culturale del patrimonio urbano
Lo abbiamo detto più volte: c’è ovviamente un forte legame tra le pratiche di rigenerazione urbana e il patrimonio culturale. Se è vero che, come dicono gli architetti, la rigenerazione urbana può essere rappresentata anche con un verso di una poesia della Wislawa Szymborska, Rinascere quando occorre da ciò che abbiamo salvato, allora tra quanto abbiamo salvato c’è soprattutto il patrimonio culturale.
Ma questo patrimonio prima di essere oggetto diretto di rigenerazione, opera anche indirizzando e influenzando gli interventi rigenerativi sugli spazi e i beni della città. Per usare uno slogan: la cultura che rigenera.
La dottrina più recente ha dimostrato un grande interesse verso questo fenomeno, definendolo come rigenerazione “su base culturale” [27] o “a guida culturale” [28], proprio con lo scopo di enfatizzare non tanto il collegamento - sempre esistito - tra sviluppo culturale e sviluppo urbanistico, ma soprattutto evidenziare il potenziamento di strategie di governo del territorio urbano che pongono al centro la promozione delle politiche relative ai patrimoni o alle attività culturali.
Si aggiunga, inoltre, che - come segnalato - l’interazione tra cultura e rigenerazione urbana cambia a seconda dell’obiettivo da perseguire, potendo orientare di volta in volta le strategie ora verso i prodotti culturali, ora verso i luoghi, ora verso le persone e così via [29].
Gli esempi che si potrebbero fare sono tantissimi e riguardano la rigenerazione di immobili o spazi in disuso attraverso la fornitura di servizi culturali per le comunità di riferimento, oppure la rigenerazione di parti di città attraverso manifestazioni culturali o ancora il riuso di luoghi abbandonati per consentire pratiche di valorizzazione di beni del patrimonio culturale, solo per ricordarne alcuni.
Si aggiunga, inoltre, che tale prospettiva potrà essere incrementata in futuro anche per effetto di quanto previsto nella Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società del 2005, c.d. Convenzione di Faro (ratificata con legge 1° ottobre 2020, n. 133), che valorizza il ruolo delle popolazioni locali nell’uso delle risorse culturali, anche attraverso un dialogo costante con le autorità per integrare l’utilizzazione del patrimonio culturale nelle più ampie strategie di governo del territorio [30]. Tutti gli aspetti patrimoniali dell’ambiente culturale dovranno, infatti, contribuire ad arricchire anche “i processi di sviluppo economico, politico, sociale e culturale e di pianificazione dell’uso del territorio”, come impone l’art. 8 della Convenzione.
È opportuno ricordare che la diffusione di tali pratiche è stata accompagnata anche da importanti innovazioni in campo giuridico. Il legislatore (spesso regionale), in particolare, è intervenuto in una duplice prospettiva: riconoscere, da un lato, l’interazione necessaria tra urbanistica e cultura, vincolando le azioni rigenerative e di riqualificazione del tessuto e del patrimonio urbano anche agli obiettivi perseguiti con quelle di promozione sociale e culturale; dall’altro, disegnare nuovi strumenti e quadri regolativi di riferimento attraverso i quali realizzare tale integrazione.
È sufficiente un rapido sguardo alla legislazione regionale per trovare conferma a quanto appena detto. Tutte le leggi regionali, infatti, che si occupano di rigenerazione urbana sottolineano la stretta integrazione tra le pratiche rigenerative e le strategie culturali. La legge della regione Puglia, 29 luglio 2008, n. 21, ad esempio, dichiara di voler promuovere la rigenerazione di parti di città e dei sistemi urbani, coerentemente con le altre strategie comunali, comprese anche quelle finalizzate al miglioramento delle condizioni ambientali e culturali degli insediamenti umani (art. 1); dettaglia alcuni specifici interventi, affidando il risanamento dell’ambiente urbano anche a sentieri museali (art. 2); affida ad un unico documento, secondo una logica di integrazione, non solo la definizione degli obiettivi di riqualificazione urbana da perseguire a livello comunale o intercomunale, ma anche le politiche pubbliche paesaggistico-ambientali e culturali, che concorrono al loro conseguimento (art. 3).
Dello stesso tenore la l.r. Emilia-Romagna 21 dicembre 2017, n. 24, la quale, tra l’altro, impone alla regione di assicurare che nella realizzazione degli interventi di riuso e rigenerazione urbana siano rispettati gli obblighi di inserimento di opere d’arte negli interventi di costruzione o ricostruzione di edifici pubblici (art. 12). Insomma, sono numerosi gli esempi di disposizioni legislative regionali che valorizzano lo scenario culturale o anche i beni del patrimonio culturale come fattore di promozione della rigenerazione urbana.
Non solo. Si aggiunga anche che tali leggi, oltre a favorire l’integrazione tra processi rigenerativi e culturali nell’ambito di una strategia di governo del territorio, hanno anche predisposto innovativi strumenti giuridici utili a realizzare in concreto gli interventi necessari. È il caso degli usi temporanei, ossia dell’utilizzazione temporanea di un bene abbandonato o dismesso per un uso diverso da quello originariamente concesso, giustificato dal fatto che tale utilizzazione consente di attivare processi di recupero e valorizzazione di immobili e spazi urbani e favorire, nel contempo, lo sviluppo di iniziative anche culturali.
La già ricordata l.r. Emilia-Romagna n. 24/2017, all’art. 16 ha disciplinato gli usi temporanei, chiarendo che debbono essere autorizzati dai comuni, possono riguardare sia immobili privati che edifici pubblici per la realizzazione di iniziative di rilevante interesse pubblico e non comportano il mutamento della destinazione d’uso delle unità immobiliari interessate. L’uso temporaneo presuppone anche la stipula di una convenzione, tra l’ente e i soggetti utilizzatori, con la quale definire i criteri e le modalità di utilizzo degli spazi.
Dal punto di vista procedurale, come è facile notare, la dinamica sottostante agli usi temporanei è molto diversa da quella riguardante il più tradizionale strumento del mutamento d’uso avente ad oggetto un edificio o un immobile, disciplinato dal Tu dell’edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380). Da ciò derivano non solo alcuni problemi interpretativi relativi alle condizioni legittimanti e ai limiti applicativi [31], ma anche le resistenze ad utilizzare la fattispecie in questione da parte degli operatori, stante in particolare l’esistenza di alcuni margini di incertezza rispetto allo scenario delle responsabilità che il quadro regolativo ancora non ha chiarito. Tuttavia, segnali positivi al riguardo si registrano nella giurisprudenza, la quale in alcuni casi (ancora limitati) ha manifestato una favorevole apertura verso le utilizzazioni temporanee di spazi urbani [32].
5. La rigenerazione urbana del patrimonio culturale
E veniamo all’altra faccia del fenomeno che qui ci interessa, ossia il patrimonio culturale non fattore, bensì oggetto della rigenerazione urbana. Come abbiamo già ricordato, per il paesaggio e i beni paesaggistici possibili strategie rigenerative in chiave di riqualificazione sono espressamente ammesse dal legislatore statale: l’art. 6, d.lg. n. 42/2004, afferma che la valorizzazione del paesaggio comprende anche la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, mentre l’art. 135, precisa che spetta ai piani paesaggistici definire anche le prescrizioni e le previsioni ordinate alla riqualificazione delle aree suddette.
Il discorso cambia quando si tratta del patrimonio culturale in senso stretto, ossia di beni immobili culturali, la cui riconducibilità a dinamiche di rigenerazione urbana non può essere data per scontata. Ciò, è evidente, deriva dallo specifico regime giuridico cui tali beni sono sottoposti [33]. Tale regime stabilisce che i beni culturali in questione “non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione” (art. 20, comma 1, d.lg. n. 42/2004). Di conseguenza, ogni mutamento di destinazione d’uso dei beni medesimi deve essere comunicato al soprintendente, al quale, inoltre, spetta il potere di autorizzare l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su tali beni (art. 21, comma 4, d.lg. n. 42/2004).
Considerata la specificità del regime e dei limiti sopra richiamati, si capisce il perché alcune leggi regionali di disciplina delle strategie di rigenerazione urbana hanno espressamente escluso i beni immobili culturali presenti nel contesto urbano dal perimetro di azione di tali strategie. Lo ha fatto, in particolare, la regione Toscana, la quale ha escluso dall’ambito di applicazione delle disposizioni regionali per la rigenerazione delle aree urbane degradate gli edifici e i tessuti urbanistici riconosciuti di pregio per il loro valore storico, architettonico, tipologico e culturale dagli atti di governo del territorio (art. 122, l.r. Toscana, 10 novembre 2014, n. 65).
Non è detto, però, che sui beni immobili culturali sia possibile intervenire solamente con azioni di tutela e conservazione, coperte dal ricordato regime “ordinario” rappresentato dal c.d. Codice urbani. A determinate condizioni tali beni possono anche essere ricompresi in strategie di recupero, che, oltre ad assicurarne la protezione, perseguono anche altre finalità in una prospettiva più ampia di governo del territorio. Ciò, tuttavia, implica il dover affrontare almeno tre profili di criticità riguardanti la natura degli interventi, la tipologia degli strumenti e la competenza dei soggetti.
La rigenerazione del patrimonio culturale è un’azione che rientra nella funzione di tutela o nella strategia della valorizzazione? Quando i beni immobili del patrimonio culturale vengono interessati da dinamiche rigenerative non è facile orientarsi e dirimere il quesito appena posto. Tuttavia, non pare corretto far rientrare ogni azione rigenerativa esclusivamente all’interno della funzione di tutela, poiché così facendo si confonderebbero i due fenomeni. Gli interventi di rigenerazione urbana sui beni immobili del patrimonio culturale sono diversi dagli interventi di conservazione degli stessi, poiché, pur garantendo in ogni caso la loro tutela, i primi perseguono finalità che vanno oltre gli scopi dei secondi.
Quindi, le strategie di rigenerazione del patrimonio culturale implicano qualcosa in più e di diverso rispetto agli interventi di protezione ai quali lo stesso patrimonio può essere assoggettato. Pertanto, è la valorizzazione del patrimonio culturale, più che la tutela, il titolo cui ricondurre i fenomeni di rigenerazione urbana riguardanti tale patrimonio. E si deve concordare con quella dottrina che ha qualificato la rigenerazione urbana come uno dei modi attraverso i quali realizzare i processi di valorizzazione del patrimonio cultuale, inteso sia come beni paesaggistici, sia come beni culturali [34]. Ovviamente, rimane come punto fermo quanto previsto dall’art. 6, d.lg. n. 42/2004, che nel dare priorità alla tutela, precisa che gli interventi di valorizzazione del patrimonio culturale non possono essere promossi se mettono in pericolo i beni che lo compongono.
E veniamo agli strumenti che possono essere messi in campo per realizzare dinamiche di rigenerazione urbana coinvolgendo anche beni immobili culturali. A tal fine, fermo restando la necessità di fare riferimento sempre al regime settoriale contenuto nel d.lg. n. 42/2004, e alle disposizioni in materia di rigenerazione urbana presenti nella legislazione statale o regionale, è interessante segnalare che recenti interventi legislativi riguardanti altre materie hanno disciplinato alcuni istituti che potrebbero tornare utili nella predisposizione di progetti di recupero urbano aventi ad oggetto beni culturali, in particolare di proprietà pubblica. Due di questi meritano di essere richiamati.
Il primo è regolato nel d.lg. 3 luglio 2017, n. 117, contenente il Codice del Terzo settore. L’art. 71, in particolare, stabilisce che i beni culturali immobili di proprietà degli enti pubblici, se inutilizzati e bisognosi di restauro, possono essere dati in concessione agli enti del terzo settore per essere riqualificati [35]. La dinamica da attivare è di tipo rigenerativo, dato che i beni possono essere riconvertiti e riadattati a nuove destinazioni d’uso attraverso interventi di recupero, restauro, ristrutturazione a spese del concessionario. Ovviamente, restano ferme le disposizioni contenute nel Codice Urbani, a conferma di quanto detto sopra sul fatto che ogni dinamica di rigenerazione deve avvenire nel rispetto del principio della priorità della tutela. Inoltre, l’iniziativa non si esaurisce solo con la realizzazione dell’intervento edilizio di riqualificazione, ma la strategia rigenerativa viene successivamente sviluppata anche grazie ad un progetto di gestione del bene, che, allo stesso tempo, assicuri la corretta conservazione e la fruizione, nonché la migliore valorizzazione dello stesso.
L’altro strumento utilizzabile per realizzare progetti di rigenerazione aventi ad oggetto il patrimonio culturale è rappresentato dalle forme speciali di partenariato pubblico-privato previste dal nuovo Codice dei contratti pubblici (art. 134, d.lg. 31 marzo 2023, n. 36). Si tratta di dinamiche collaborative attivabili dai poteri pubblici statali, territoriali e locali, coinvolgendo altri soggetti pubblici o privati con lo scopo di consentire il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l’apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali. La peculiarità dello strumento sta nel fatto che l’individuazione del partner privato può avvenire tramite non meglio precisate “procedure semplificate” diverse da quelle ordinarie.
La disposizione, come già segnalato dalla dottrina [36], stante la sua laconicità, si presta ad alcune incertezze interpretative, ma presenta sicuramente delle potenzialità applicative con riferimento alle dinamiche che qui ci interessano, dato che anche in questo caso può essere rilevato un intento legislativo a promuovere modelli collaborativi di rigenerazione come strumento di valorizzazione del patrimonio culturale.
L’ultima possibile criticità sopra richiamata a proposito di rigenerazione urbana del patrimonio culturale riguarda il piano delle competenze. Infatti, i due contesti fanno riferimento a titoli competenziali, legislativi e amministrativi, che attivano autorità diverse con possibili rischi di sovrapposizione o conflitto. Un primo rischio è riscontrabile a livello di competenze legislative: la rigenerazione urbana rientra nella materia governo del territorio di competenza regionale, mentre la tutela del patrimonio culturale è di competenza esclusiva del legislatore statale. Non è sempre facile, però, tracciare la linea di demarcazione tra i due ambiti di intervento legislativo. In ogni caso, le regioni possono intervenire, anche disegnando piani e programmi di rigenerazione urbana in chiave di valorizzazione del patrimonio culturale, ma evitando di intervenire nelle dinamiche di tutela, di disporre di beni di proprietà dello Stato e rispettando i principi fondamentali di riferimento.
Un’altra fonte di rischio attiene al riparto di competenze amministrative nelle dinamiche di rigenerazione urbana del patrimonio culturale. A seconda degli interventi da realizzare, le amministrazioni pubbliche da coinvolgere nelle strategie rigenerative potrebbero essere diverse, con differente peso e ruolo, e diversi anche i procedimenti amministrativi da portare a termine. Ovviamente, in questi casi si dovrà fare ricorso a strumenti di semplificazione o coordinamento procedurale previsti dalla legislazione generale o di settore. Ma potrebbe anche tornare utile anticipare la sovrapposizione competenziale o il conflitto, attivando il percorso rigenerativo nell’ambito di più ampie strategie di collaborazione previste dall’ordinamento, come ad esempio, gli accordi di valorizzazione del patrimonio culturale disciplinati dall’art. 112, comma 4, d.lg. n. 42/2004.
Insomma, i processi di rigenerazione urbana quando interagiscono con le politiche riguardanti il patrimonio culturale vanno incontro a differenti gradi di complessità. Quando il fattore culturale, anche patrimoniale, è messo “a guida” del processo di rigenerazione urbana il percorso procedurale non pare subire particolari appesantimenti. Situazione diversa, invece, si registra quando il patrimonio culturale viene posto come oggetto di intervento diretto in un progetto di rigenerazione urbana, dato che in questi casi, come visto, diversi regimi giuridici e competenze amministrative di riferimento si sovrappongono, con possibili criticità operative, che, tuttavia, possono essere - almeno in linea di massima - risolte.
Un utile contributo in tal senso potrà venire in futuro dall’approvazione in sede statale di un testo legislativo in materia di rigenerazione urbana che affronti e risolva anche i problemi relativi all’interazione della stessa con le politiche riguardanti il patrimonio culturale. Come sopra ricordato, sono stati diversi i tentativi fatti per arrivare ad una legge generale in materia. Uno di questi è rappresentato dall’Atto Senato n. 1131, disegno di legge contenente misure per la rigenerazione urbana, presentato a marzo del 2019 nel corso della XVIII Legislatura.
Al riguardo, il testo si limitava a prevedere che gli interventi rigenerativi sono ammessi anche sugli immobili tutelati ai sensi del Codice del patrimonio culturale, ferme restando le misure di protezione e conservazione dallo stesso previste (art. 11). Niente più. C’è da augurarsi che nella nuova legislatura i progetti dedicati alla disciplina degli interventi di rigenerazione urbana vadano oltre il solo riconoscimento dell’estensione di tali dinamiche anche al patrimonio culturale, con uno sforzo regolativo ulteriore che possa meglio raccordare le due discipline e configurare efficacemente gli interventi come strumenti di valorizzazione del patrimonio culturale e non di semplice riqualificazione dello stesso.
Note
[*] Il presente lavoro prende spunto, aggiornandola e ampliandola, da una relazione sul medesimo tema tenuta in occasione del XXIII° Congreso Italo-Español de Profesores de derecho administrativo, svoltosi a Santiago de Compostela, 26-28 maggio 2022.
[**] Giuseppe Piperata, professore ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università Iuav di Venezia, Santa Croce 191, Venezia, giuseppe.piperata@iuav.it.
[1] Cfr., tra i tanti, A. Bartolini, Patrimonio culturale e urbanistica, in Riv. giur. urb., 2016, pag. 12 ss., e anche Id., Urbanistica, in Enc. Dir., I Tematici, III, Funzioni amministrative, (a cura di) M. Ramajoli, B.G. Mattarella, Milano, Giuffrè, 2022, spec. pag. 1265 ss., nella parte in cui si segnala il rafforzamento della sensibilità a favore della tutela del patrimonio culturale urbanistico.
[2] Cfr., tra le tante, Corte cost., 8 giugno 2005, n. 232.
[3] F. Salvia, Spunti di riflessione per una teoria sui beni culturali urbanistici, in Riv. giur. ed., 2018, 2, pag. 129 ss.
[4] Cfr. M. Calabrò, Nuove prospettive di tutela per l’architettura contemporanea: il ruolo dell’urbanistica, in Riv. giur. ed., 2023, 2, pag. 95 ss., il quale anche precisa che “non sussist[e] affatto un rapporto di estraneità tra il diritto urbanistico e la tutela dei beni culturali, ma che, al contrario, i piani urbanistici poss[o]no ed anzi debb[o]no porre al centro della propria azione anche la protezione del patrimonio culturale”.
[5] Sulla natura polisemica della rigenerazione urbana, il rinvio è a G.A. Primerano, Il consumo di suolo e la rigenerazione urbana, Napoli, Editoriale scientifica, 2022, spec. pag. 219 ss., e A. Giusti, La rigenerazione urbana, Napoli, Editoriale scientifica, 2018, pag. 17 ss., qui testualmente ripresi. Si v. anche L. Giani, L’amministrazione tra appropriatezza dell’organizzazione e risultato: spunti per una rilettura del dialogo tra territorio, autorità e diritti, in Nuove autonomie, 2021, 3, pag. 551 ss., L. Giani, M. D’Orsogna, Diritto alla città e rigenerazione urbana. Esperimenti di resilienza, in Scritti in onore di Eugenio Picozza, III, Napoli, Editoriale scientifica, 2019, pag. 2005 ss., e sia consentito rinviare anche G. Piperata, Riflessione di un giurista sul futuro dell’urbanistica, in Studi in onore di Filippo Salvia. Quale piano per il futuro dell’urbanistica?, (a cura di) G. Corso e M. Immordino, Napoli, Editoriale scientifica, 2022, pag. 539 ss. Per una prospettiva urbanistica, cfr. F. Musco, Rigenerazione urbana e sostenibilità, Milano, Franco Angeli, 2016.
[6] Segnala tale aspetto M.C. Cavallaro, La cultura nel PNRR e la cultura del PNRR: alcune considerazioni, in PA Persona e amministrazione, 2023, 1, spec. pag. 456.
[7] In termini più ampi, cfr. A. Giusti, La rigenerazione urbana come strategia di ripresa e resilienza, in Munus, 2021, 2, pag. 329 ss.
[8] Cfr. al riguardo ancora G.A. Primerano, Il consumo di suolo e la rigenerazione urbana, cit., spec. pag. 299 ss.
[9] Cfr. art. 1, commi 534 e ss., legge 30 dicembre 2021, n. 234.
[10] Cfr. art. 21, d.l. 6 novembre 221, n. 152, conv. in legge 29 dicembre 2021, n. 233.
[11] Cfr. Relazione sullo stato di attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), del 31 maggio 2023 (trasmessa alla Presidenza della Camera dei deputati il 7 giugno 2023).
[12] Segnala il superamento di quella visione che considerava totalizzante la funzione di tutela del patrimonio culturale, G. Sciullo, Beni culturali e principi della delega, in Aedon, 1998, 1.
[13] Sottolinea il forte legame tra dinamiche di valorizzazione del patrimonio culturale e le strategie di rigenerazione urbana G. Manfredi, Rigenerazione urbana e beni culturali, in La rigenerazione di beni e spazi urbani. Contributo al diritto delle città, (a cura di) F. Di Lascio, F. Giglioni, Bologna, Il Mulino, 2017, spec. pag. 280 ss.
[14] Cfr. al riguardo G. Lupatelli, A. De Rossi (a cura di), Rigenerazione urbana. Un glossario, Roma, Donzelli, 2022.
[15] Analoghe considerazioni in T. Bonetti, Perequazione e rigenerazione urbana, in La perequazione delle disuguaglianze: tra paesaggio e centri storici, (a cura di) P. Stalla Richter, Milano, Giuffrè, 2018, pag. 313 ss.
[16] Sul punto sia consentito rinviare a G. Piperata, La rigenerazione dei brownfields: una prospettiva giuridica, in Diritto e rigenerazione dei brownfields. Amministrazione, obblighi civilistici, tutele, (a cura di) M. Passalacqua e B. Pozzo, Torino, Giappichelli, 2019, pag. XXVII ss.
[17] Cfr. Comunicazione della commissione al parlamento europeo, al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni, 17.11.2021 COM(2021) 699 final, Strategia dell’UE per il suolo per il 2030. Suoli sani a vantaggio delle persone, degli alimenti, della natura e del clima. Cfr. anche la del. Consiglio del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, 11.10.2023, doc. n. 218/23, contenente il rapporto Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Edizione 2023, in www.snpambiente.it. Per una ricostruzione più ampia, D. Bevilacqua, E. Chiti, Green Deal. Come costruire una nuova Europa, Bologna, Il Mulino, 2024.
[18] Per alcune riflessioni e commenti al recente progetto di legge in materia di rigenerazione urbana si rinvia a L. De Lucia, Il nuovo testo unificato sulla rigenerazione urbana. Osservazioni critiche, in RGA, 2022, 2, pag. 7 ss.
[19] Mettono bene in evidenza il rapporto tra rigenerazione urbana e innovazione amministrativa M. Cammelli, Re-cycle: pratiche urbane e innovazione amministrativa per ricomporre le città, e E. Fontanari, Re-cycle: una visione urbana, entrambi in Agenda RE-CYCLE. Proposte per reinventare la città, (a cura di) E. Fontanari, G. Piperata, Bologna, Il Mulino, 2017, risp. pag. 53 ss., e pag. 231 ss.
[20] Per un inquadramento del fenomeno sia consentito rinviare a G. Piperata, Rigenerare i beni e gli spazi della città: attori, regole e azioni, in Agenda RE-CYCLE. Proposte per reinventare la città, cit., pag. 21 ss.
[21] Come sostiene E. Chiti, La rigenerazione di spazi e beni pubblici: una nuova funzione amministrativa, in La rigenerazione di beni e spazi urbani. Contributo al diritto delle città, cit., pag. 15 ss.
[22] Come sembrerebbe propendere, invece, A. Bartolini, Urbanistica, in Enc. Dir., I Tematici, III, Funzioni amministrative, cit., pag. 1294.
[23] Si v., ad esempio, l’art. 5, d.l. 18 aprile 2019, n. 32, conv. in legge 14 giugno 2019, n. 55.
[24] Si rinvia alle leggi regionali che verranno citate a titolo di esempio nelle pagine successive.
[25] R. Bocchi, Riciclo, in Recycled Theory: Dizionario illustrato, (a cura di) S. Marini e G. Corbellini, Macerata, Quodlibet, 2016, pag. 571 s.
[26] R. Bocchi, Riciclo, in Recycled Theory: Dizionario illustrato, cit., pag. 575.
[27] C. Vitale, Rigenerare per valorizzare. La rigenerazione urbana “gentile” e la riduzione delle disuguaglianze, in Aedon, 2021, 2.
[28] E. Petrilli, La rigenerazione urbana a guida culturale, ovvero come usare la rigenerazione urbana per creare utilità attraverso la cultura, in Ri-conoscere la Rigenerazione. Strumenti giuridici e tecniche urbanistiche, (a cura di) M. Passalacqua, A. Fioritto, S. Rusci, Rimini, Maggioli, 2018, pag. 265 ss.
[29] Cfr. al riguardo la tassonomia degli interventi strategici proposta da E. Petrilli, La rigenerazione urbana a guida culturale, ovvero come usare la rigenerazione urbana per creare utilità attraverso la cultura, in Ri-conoscere la Rigenerazione. Strumenti giuridici e tecniche urbanistiche, cit., pag. 267 ss.
[30] Su tali aspetti, M. Cammelli, La ratifica della convenzione di Faro: un cammino da avviare, in Aedon, 2020, 3, e V. Di Capua, La Convenzione di Faro. Verso la valorizzazione del patrimonio culturale come bene comune?, in Ibidem, 2021, 3, e in termini più ampi, P. Carpentieri, La Convenzione di Faro sul valore dell’eredità culturale per la società (da un punto di vista logico), in Federalismi.it, 2017, 4.
[31] Cfr. G. Torelli, Le ultime frontiere del recupero e della valorizzazione del patrimonio urbano: gli usi temporanei, in Dir. amm., 2021, pag. 475 ss.
[32] Cfr., ad esempio, la sentenza del Tar Veneto, sez. I, 8 marzo 2018, n. 273, con la quale è stato dichiarato illegittimo un provvedimento negativo espresso dal demanio sulla richiesta da parte di una associazione di una concessione per l’uso temporaneo per finalità di interesse generale dell’isola di Poveglia a Venezia, in assenza di altre possibili destinazioni alternative del bene: F. Giglioni, A proposito di concessioni temporanee per finalità di interesse generale: quali procedure tra bandi, privatizzazione e rilascio immediato?, 6 maggio 2018, in www.labsus.org.
[33] Per una ricostruzione di tale regime si rinvia a C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, G. Sciullo, Diritto del patrimonio culturale, Bologna, Il Mulino, II ed., 2020.
[34] Cfr. G. Manfredi, Rigenerazione urbana e beni culturali, in La rigenerazione di beni e spazi urbani. Contributo al diritto delle città, cit., passim.
[35] Cfr. B. Accettura, PNRR e diritti sociali: una nuova declinazione del diritto all’abitazione. Il paradigma della rigenerazione urbana, in Società e diritti, 2023, 226 ss., e P. Michiara, Religione, urbanistica e terzo settore. Destinazioni d’uso in deroga, attività consentite e rigenerazione urbana nell’ermeneutica dell’art. 71, d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (codice del terzo settore), in Munus, 2022, pag. 205 ss.
[36] Cfr. G. Sciullo, Il partenariato pubblico-privato in tema di patrimonio culturale dopo il Codice dei contratti, in Aedon, 2021, 3, e in termini più ampi, A. Sau, La disciplina dei contratti pubblici relativi ai beni culturali tra esigenze di semplificazione e profili di specialità, in Aedon, 2017, 1.