testata

Patrimonio culturale e ambiente

Tutela della cultura e transizione ecologica nel vincolo culturale indiretto: un binomio (solo) occasionale. Alcune riflessioni a margine di Cons. Stato, sez. VI, n. 8167/2022

di Franco Pellizzer ed Edoardo Caruso [*]

Sommario: 1. Inquadramento della vicenda e delle questioni giuridiche analizzate. - 2. Ratio e caratteristiche del provvedimento di vincolo indiretto. - 2.1. Discrezionalità tecnica o mista nel provvedimento di vincolo culturale “indiretto” e riflessi sulla rilevanza degli interessi “ulteriori”. - 3. Brevi considerazioni generali in tema di intensità e modalità del sindacato sulla discrezionalità (amministrativa e tecnica). - 3.1. (Segue). Sindacato sulla discrezionalità amministrativa e controllo di proporzionalità. - 3.2. (Segue). Vincolo culturale “indiretto” e controllo di proporzionalità. - 4. La sentenza del Consiglio di Stato. - 4.1. Una pronuncia quasi necessitata ma con opinabili riflessi generali. - 4.2. Ulteriori profili su cui riflettere: il rischio di sovrapposizione in scelte di merito che spettano all’amministrazione. - 4.2.1. (Segue). Altri elementi che avrebbero suggerito una maggior aderenza al caso concreto. - 5. Brevi considerazioni conclusive.

Protection of culture and ecological transition in indirect cultural constraint: an (only) occasional pair. Some reflections in the margin of Cons. Stato, sez. VI, n. 8167/2022
The essay draws on judgment no. 8167/2022, with which the Council of State has censured the exercise by the Superintendence of the so-called “indirect restriction” power ex article 45 of the Code of Cultural Heritage and Landscape.According to the judges, the Administration, by prohibiting the construction of two wind turbines, adopted a "totalizing" approach, not "integrated" and "dialectical" with respect to the environmental interest to ecological transition. The Authors share the decision of the Council of State; nonetheless they highlight several problematic issues on the general implications that some scholars attribute to this ruling, which has been praised for marking a renewed balance between the environment and cultural heritage. To this purpose, they proceed with a preliminary analysis of the nature and function of the measure of indirect cultural restriction, as well as of the most recent trends that characterize the discretion review, with particular attention to the proportionality test.

Keywords: indirect cultural restriction; ecological transition; proportionality test; discretion review.

1. Inquadramento della vicenda e delle questioni giuridiche analizzate

Con la pronuncia n. 8167 del 23 settembre 2022, la sezione IV del Consiglio di Stato ha deciso una complessa vicenda che ha avuto origine con la presentazione alla regione Molise di due istanze di autorizzazione unica (ex art. 12, d.lg. 29 dicembre 2003, n. 387 di attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) per la realizzazione di una pala eolica in due distinte località (Crocella di Tufara e Toppo di Rocco). Entrambe sono state assentite nonostante i pareri negativi espressi in conferenza di servizi dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Molise che ha poi tentato nella sostanza di “superare” tali autorizzazioni mediante l’adozione di sopravvenuti vincoli - diretti e indiretti - sul “sistema delle croci votive e viarie” (tale sistema connota storicamente e a livello paesaggistico il crinale di confine tra i comuni di Tufara e Castelvetere, in Val Fortore e gli antichi tratturi di collegamento tra la Campania e il Molise) [1].

Più nel dettaglio, nonostante la posizione negativa espressa dalla soprintendenza nell’ambito del procedimento ex art. 12 del d.lg. n. 387/2003 e ss.mm.ii. in ragione dell’interferenza visiva con alcuni beni culturali e paesaggistici (il castello e il centro storico di Tufara e alcune aree boscate), la regione autorizzava entrambi gli interventi, in un caso superando il dissenso manifestato anche a seguito di coinvolgimento del Consiglio dei ministri (la presidenza ha infatti ritenuto prevalente, nel caso concreto, l’interesse all’incremento delle fonti di energia rinnovabili) [2].

Con una tempistica e un modus operandi a dir poco singolari (anche se purtroppo non del tutto inusuali), subito dopo il rilascio delle autorizzazioni uniche da parte della regione Molise, la soprintendenza avviava i procedimenti di dichiarazione dell’interesse culturale del “sistema delle croci votive e viarie” ex artt. 10, commi 1 e 3, lett. a) e 13 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), con adozione - in data 26 agosto 2014 - dei relativi provvedimenti di “vincolo diretto” prescriventi anche misure di “tutela indiretta” (ex artt. 45, 46 e 47 dello stesso Codice) relativamente alle aree circostanti, ivi comprese quelle in cui era prevista la realizzazione delle pale eoliche di cui alle suddette autorizzazioni regionali. Le misure di tutela indiretta consistevano, oltre che nell’obbligo di “mantenimento dell’uso agricolo attuale del suolo”, nel “divieto di trasformazione, sia a carattere permanente che temporaneo, dell’aspetto esteriore dei luoghi ricompresi nell’ambito del vincolo indiretto” e nei divieti di “apertura di cave, (...) posa in opera di condotte per impianti industriali e civili, nonché (di) realizzazione di palificazioni, sia se articolate su elementi puntuali, sia se articolate in sistemi a rete” [3].

Il Tar Molise, sez. I, con sentenza n. 300 del 10 agosto 2021, accoglieva il ricorso proposto dalla società istante e dal Comune di Tufara, ravvisando il difetto di istruttoria e di motivazione della dichiarazione di particolare interesse culturale dei due complessi di croci viarie su cui si reggevano sia le dichiarazioni di interesse culturale sia, quindi, le complementari misure di tutela indiretta [4].

Avverso la pronuncia del Tar è stato proposto appello in via principale dal ministero della Cultura e, in via incidentale, dalle parti ricorrenti in primo grado.

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato ha accolto l’appello ministeriale, ritenendo il difetto di istruttoria e motivazione del provvedimento di vincolo diretto (assunto dal giudice di primo grado quale profilo di illegittimità assorbente ogni altra censura) smentito dalla quantità e qualità di elementi conoscitivi assunti dalla Soprintendenza a supporto dei decreti impugnati [5].

Il punto, certamente di rilievo, involge un tema classico del diritto amministrativo quale è quello del sindacato sulla discrezionalità tecnica o, secondo l’espressione preferita da una parte della dottrina, sulle valutazioni tecniche. Tale sentenza può essere ricondotta a un filone - cui possono riportarsi altre recenti pronunce della sezione VI - favorevole a sindacato particolarmente intenso che, al di là di etichettature o classificazioni (debole/forte, sostitutivo/non sostitutivo), si contraddistingue perché sottrae alla discrezionalità tecnica “ogni dimensione di potere riservato in linea di principio all’amministrazione”; nello specifico, la valutazione di quest’ultima viene “posta su un piano tendenzialmente paritario rispetto alle valutazioni offerte dalla parte privata”, spettando quindi al giudice, nel confronto tra valutazioni non coincidenti, “stabilire quella che appare meglio argomentata o basata su dati empirici più solidi e sulla letteratura scientifica più accreditata” [6].

Trattasi di una concezione del sindacato sulla tecnica che, ancorché accolta con favore da autorevole dottrina, che la considera l’unica in grado di garantire l’effettività e la pienezza della tutela giurisdizionale [7], presenta ad avviso di chi scrive diversi profili suscettibili di maggiori approfondimenti, con riguardo tanto ai suoi presupposti (teorico-dogmatici e operativi), quanto ai suoi contenuti e alla sua ratio di fondo.

Questi profili non saranno tuttavia oggetto della presente trattazione (se non in via indiretta) dal momento che l’attenzione verrà rivolta sull’altro punto della pronuncia di appello - riferito alla specifica censura del ricorso incidentale relativa alla portata del “vincolo indiretto” - ed in particolare sul percorso logico-argomentativo seguito dal Consiglio di Stato per disporre l’annullamento degli stessi decreti impugnati nella parte relativa alle prescrizioni di tutela indiretta.

Secondo il giudice d’appello l’apposizione dei vincoli indiretti da parte della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici avrebbe espresso un metodo per un verso incongruo, dato che le relative prescrizioni sarebbero state disposte senza alcuna preventiva valutazione e comparazione degli interessi; per altro verso surrettizio, dal momento che il ricorso allo strumento del vincolo indiretto rifletterebbe uno “sviamento della funzione”, avendo avuto come obiettivo ultimo quello di “disapplicare” gli esiti delle conferenze di servizi attivate nell’ambito dei procedimenti di autorizzazione unica ed in cui la posizione assunta dalla soprintendenza molisana era risultata soccombente.

In particolare, il Consiglio di Stato è giunto a questa conclusione dopo aver ravvisato nell’operato della soprintendenza una violazione sia del principio di proporzionalità, in particolare della componente dell’adeguatezza (o proporzionalità in senso stretto), sia del principio di integrazione delle tutele di cui agli art. 11 del Tfue e 3-quater del d.lg. 3 aprile 2006, n. 152.

Prima di soffermarsi sul percorso argomentativo, a tratti particolarmente innovativo, seguito dal giudice per ravvisare gli anzidetti profili di illegittimità (§ 4 ss.), occorre analizzare l’istituto del vincolo indiretto di cui all’art. 45 ss. del Codice dei beni culturali, riservando particolare attenzione alla natura dell’attività amministrativa che viene in rilievo per la sua apposizione (§ 2 ss.) e al relativo sindacato (§ 3 ss.). Nel paragrafo conclusivo saranno svolte, inoltre, alcune considerazioni più generali sul delicato rapporto tra interesse paesaggistico-culturale e ambiente (§ 5).

2. Ratio e caratteristiche del provvedimento di vincolo indiretto

La consapevolezza del fatto che la protezione del patrimonio culturale non possa prescindere dalla considerazione del contesto urbano e territoriale è ben più risalente della sua enunciazione nella Carta di Venezia del 1964, trovando già evidenti riflessi nella formulazione dell’art. 14 della legge 20 giugno 1909, n. 364 e soprattutto dell’art. 21 della legge 1° giugno 1939, n. 1089 (c.d. “legge Bottai”) che aveva disciplinato l’istituto del vincolo c.d. indiretto secondo modalità simili a quelle attuali. Invero, al pari dell’art. 49 del d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490 - che è tornato sull’istituto senza introdurre novità significative, se non il recepimento dei principi introdotti dalla legge generale sul procedimento amministrativo - anche il vigente Codice dei beni culturali del 2004 ha riproposto, sul punto, le scelte di fondo della legge Bottai, con alcuni aggiustamenti riguardanti per lo più i profili organizzativi e il rilievo di tali provvedimenti rispetto ai regolamenti edilizi e agli strumenti urbanistici.

L’art. 45 prevede, infatti, la facoltà del ministero di prescrivere “le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro” [8].

Come può già evincersi dal dato positivo, aspetto caratterizzante l’istituto - definito anche vincolo di completamento - è il carattere di strumentalità o accessorietà delle relative prescrizioni rispetto alla tutela del bene culturale, l’unico vero protagonista delle misure di tutela: è infatti del tutto irrilevante, ai fini dell’adozione del provvedimento di cui all’art. 45, il valore culturale dei beni oggetto di vincolo indiretto (che anzi dovrebbe mancare, diversamente ricorrendo i presupposti per le misure di cui agli art. 10 ss.). I beni oggetto di tutela indiretta vengono quindi asserviti ai beni culturali al fine di garantire a questi ultimi una “fascia di rispetto”, funzionale alla massima espressione del loro valore culturale, oltre che alla loro tutela materiale e immateriale.

Il rigoroso rispetto di tale profilo causale, e quindi la strumentalità del provvedimento ex art. 45 alle esigenze di tutela di un bene culturale immobile, rileva non soltanto nell’ottica di assicurare l’esercizio legittimo della funzione, trattandosi dell’unico “limite” espresso che connota l’esercizio del potere in questione [9]; ma funge anche da discrimine tra tale istituto e altri strumenti che, pur differenti per oggetto di tutela e finalità, presentano però caratteristiche tali da non escludere il rischio di sovrapposizioni con il primo. Giurisprudenza e dottrina si sono ad esempio soffermate, in più occasioni, sul rapporto tra vincolo indiretto e pianificazione paesaggistica: pur non potendosi in linea di principio escludere che un provvedimento di vincolo indiretto possa disporre compressioni significative delle facoltà dominicali di ampie fasce di territorio, è stato osservato come la sua legittimità richieda una motivazione che dia evidenza del rispetto della funzione accessoria dell’istituto e, quindi, che faccia emergere la strumentalità di ogni singola area asservita alle specifiche esigenze di tutela del bene culturale, non potendo il vincolo indiretto limitarsi a tutelare esclusivamente l’ambiente circostante al bene tutelato [10].

A ben vedere, il rischio di sovrapposizione con altri strumenti appare, almeno in parte, conseguente alla stessa “funzione di completamento” dell’istituto, non a caso disciplinato tra le “Altre forme di protezione” (di cui alla sezione III, capo I, titolo I sella seconda parte del Codice); il che rende pressoché inevitabile quel grado di flessibilità che discende dalla stessa norma attributiva del potere. Infatti, nonostante il potere di vincolo indiretto si caratterizzi sul piano funzionale per una “tipicità” marcata o forte, idonea a supportare i suddetti effetti limitativi, non vi è dubbio che la dimensione della funzione assegnata all’istituto si concretizza solo con il ricorso a concetti - come “pericolo per l’integrità”, “danneggiamento della prospettiva o della luce”, “alternazione delle condizioni di ambiente e di decoro” - che presentano un elevato grado di indeterminatezza e di soggettività (al pari, peraltro, di quelli da assumere a parametro delle dichiarazioni di interesse culturale ex art. 10 del Codice).

Tutto ciò inevitabilmente si riflette sull’agire amministrativo: si pensi alle difficoltà di definire la nozione di integrità immateriale, come pure al grado di soggettività insito nella declinazione dei concetti di decoro, luce e prospettiva, strettamente legati al punto di vista di osservazione [11]. Più in generale, l’intera fattispecie e le relative modalità attuative si contraddistinguono per una marcata elasticità, assenza di oggettività e atipicità. In tale direzione possono inoltre richiamarsi le elaborazioni giurisprudenziali sul concetto di “cornice ambientale”: potendo le esigenze prese considerazione dall’art. 45 raffigurarsi anche in mancanza di un contatto fisico diretto tra bene tutelato e aree asservita, i giudici sono stati sovente costretti a prescindere da una vera e propria vicinanza o contiguità, in favore di nozioni più vaghe quale quella di prossimità; non stupisce quindi che è frequente nel case law la conclusione secondo cui la relazione tra il bene di pregio e l’area circostante risulta difficilmente inquadrabile in termini astratti [12].

Con le esigenze di flessibilità insite nella ratio dell’istituto ha dovuto confrontarsi pure il legislatore che, nel prevedere la facoltà del ministero di prescrivere “le distanze, le misure e le altre norme” dirette a tutelare le esigenze suddette, ha di fatto rimesso all’amministrazione l’individuazione delle misure più adeguate, alla luce delle condizioni del caso concreto, per realizzare la finalità di tutela complementare.

Come emerge dall’analisi della giurisprudenza, tale atipicità del contenuto prescrittivo del provvedimento di vincolo indiretto è stata ampiamente sfruttata dalle amministrazioni che, oltre alle soluzioni più ricorrenti e nella sostanza “tipizzate” (es. l’imposizione di misure e distanze, divieti di determinati utilizzi del territorio), hanno prescritto le misure più variegate, fino ad arrivare a imporre l’inedificabilità assoluta dell’intera area sottoposta a vincolo indiretto. Ed è proprio quando il provvedimento presenta tale contenuto, specie se l’inedificabilità concerne ampie aree di territorio, che il conflitto tra gli interessi in gioco assume una pregnanza tale da accentuare i profili problematici dell’istituto, in molti casi riconducibili alle diverse incertezze in punto di inquadramento giuridico che lo caratterizzano. Una di queste riguarda certamente la natura della discrezionalità, amministrativa o tecnica, che l’art. 45 del Codice rimette all’amministrazione.

2.1. Discrezionalità tecnica o mista nel provvedimento di vincolo culturale “indiretto” e riflessi sulla rilevanza degli interessi “ulteriori”

La questione della natura dell’attività della p.a. e della sua qualificazione si è posta in modo trasversale per tutti i vincoli latu sensu ambientali alla proprietà, assumendo però tratti peculiari relativamente al provvedimento di vincolo culturale indiretto.

a) La tesi della discrezionalità tecnica

Secondo una prima soluzione, seguita dalla giurisprudenza tradizionale e tuttora prevalente, l’attuazione dell’art. 45 richiederebbe l’esercizio di mera discrezionalità tecnica [13]. In questa direzione anche parte della dottrina che, opportunamente, ha evidenziato come tale disposizione rimetta alla p.a. non solamente una valutazione (opinabile) su fatti complessi rilevante (direttamente o indirettamente) per la definizione del presupposto formale del provvedimento, ma anche uno spazio di scelta che, stante la suddetta atipicità del potere di cui si discute, attiene al momento propriamente decisionale di definizione del contenuto del provvedimento; è stato infatti precisato come la riconduzione del vincolo indiretto alla categoria della discrezionalità tecnica debba basarsi su argomentazioni in parte differenti da quelle utilizzate per la dichiarazione di interesse culturale ex art. 10 ss. (che invece, secondo l’opinione prevalente, richiede all’amministrazione il mero “accertamento valutativo” di una qualità che è propria del bene) [14].

Si tratterebbe, in altri termini, di un momento di scelta che però non implica un vero e proprio bilanciamento tra l’interesse culturale e altri interessi, pubblici e privati, rilevanti nel caso di specie; non verrebbe cioè in rilievo, almeno direttamente, quell’attività di ponderazione di interessi che, secondo la teorica gianniniana, è elemento caratterizzante la (sola) discrezionalità amministrativa. Diversamente, tanto nel momento attinente alla verifica sulla sussistenza del presupposto quanto in quello propriamente decisionale, l’azione amministrativa sarebbe incentrata su unico interesse, quello culturale appunto, la cui tutela non dovrebbe subire quella inevitabilmente diminutio conseguente alle operazioni di bilanciamento e alla relativa alea [15].

Come è stato efficacemente sostenuto, le ragioni a confronto, tra cui quelle “della proprietà privata, sono e devono rimanere esterne rispetto all’esercizio del potere, essendo impensabile una modulazione della misura vincolistica in ragione del maggior o minore interesse alla trasformazione degli immobili gravati, con un conseguente, possibile, annichilimento della tutela culturale laddove questo dovesse essere ritenuto particolarmente rilevante” [16].

Vale precisare come, tra le diverse argomentazioni a supporto della natura tecnica di tale attività, appaiano maggiormente confacenti quelle sviluppate a partire dalla norma attributiva del potere e dalla sua struttura, oltre che dalle caratteristiche organizzative e funzionali dell’autorità competente; d’altronde, la rilevanza della tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, elevato principio fondamentale dall’art. 9 Cost., può al più costituire la ratio di fondo che giustifica e legittima una siffatta costruzione della norma, non tanto - si ritiene - un elemento idoneo ex se a escludere la sottoposizione del fine culturale a operazioni di bilanciamento.

Sempre per rimanere nell’orizzonte di questa prima posizione, le ragioni della proprietà privata, le altre esigenze di volta in volta rilevanti rispetto al provvedimento di vincolo nonché, più in generale, il giusto equilibrio tra gli interessi a confronto trovano principale garanzia attraverso il necessario rispetto del principio di proporzionalità la cui specificità (rectius, il quid pluris rispetto al principio di ragionevolezza) consiste proprio nella sua capacità di limitare “quantità” e “misura” dell’esercizio del potere, vagliandone l’adeguata intensità [17]. È stato così osservato che alla discrezionalità tecnica possa ricondursi anche “la possibilità frequentemente rimessa all’amministrazione di graduare, in applicazione del principio di proporzionalità, il contenuto dei vincoli” in relazione al grado di protezione culturale necessario nel caso concreto [18].

A ben vedere, tale lettura estensiva dei confini di operatività del principio di proporzionalità, che ne ammette la rilevanza anche rispetto alle ipotesi di discrezionalità tecnica, appare in linea di massima coerente con le conclusioni cui è giunta la letteratura che si è occupata in via generale di tale principio: si fa riferimento a coloro che, nel sottolinearne il carattere relazionale, ne hanno evidenziato l’inevitabile “pendolarismo” che in tali circostanze lo porta a costituire il metro di misura della cura dell’interesse pubblico (e non il limite ultimo di tangibilità degli interessi contrapposti) [19]; e, soprattutto, a coloro che enfatizzano il carattere obiettivo delle prime due componenti dell’idoneità e della necessarietà, ravvisando un’incidenza sull’assetto degli interessi esclusivamente nel terzo gradino del relativo test (giudizio di adeguatezza o di proporzionalità in senso stretto) [20].

Da tale ultima osservazione dovrebbe discendere che, rispetto alle valutazioni tecniche, il principio di proporzionalità dovrebbe rilevare limitatamente ai corollari dell’idoneità e della necessarietà, dovendosi invece escludere, stante l’unicità dell’interesse in rilievo, quella comparazione tra interessi propria della proporzionalità in senso stretto.

b) La tesi della discrezionalità mista

Tale ultimo profilo verrà ripreso nei successi paragrafi, risultandone più agevole l’inquadramento nell’ambito di un’analisi che considera anche il versante del sindacato giurisdizionale. Per il momento è sufficiente precisare come il suddetto limite all’operatività del principio di proporzionalità nemmeno si pone se si aderisce alla diversa posizione, da tempo presente in dottrina ove oggi risulta prevalente, secondo cui il procedimento per l’imposizione del vincolo indiretto presenterebbe una doppia natura, caratterizzandosi per una discrezionalità c.d. “mista”: “tecnica” con riguardo all’an del provvedimento, “amministrativa” o “pura”, invece, per la definizione del suo quid e del suo quomodo [21]. Detto altrimenti, la decisione di apporre un vincolo indiretto per esigenze di completamento della tutela del bene culturale (i.e. presupposto del provvedimento) andrebbe ricondotta alla discrezionalità tecnica; di contro, l’individuazione esatta della c.d. cornice ambientale (i.e. l’area priva di interesse culturale da sottoporre a vincolo indiretto) e, soprattutto, la scelta della misura (atipica) da prescrivere sarebbero espressione di discrezionalità amministrativa: ciò in virtù dell’ampio margine di scelta rimesso alla p.a. e del fatto che esso vada esercitato tenendo in considerazione e bilanciando gli interessi a confronto, innanzitutto le ragioni della proprietà privata, da sacrificare il meno possibile.

Seguendo questa diversa prospettiva, quindi, gli interessi contrapposti a quello culturale riceverebbero una tutela non indiretta (quale conseguenza della corretta e proporzionata misura dell’esercizio del potere), ma dovrebbero essere direttamente presi in considerazione e ponderati dall’amministrazione; con la conseguenza che, secondo le ordinarie dinamiche della discrezionalità amministrativa, essi potrebbero financo condurre alla recessione del fine culturale primario allorquando lo giustificano le circostanze del caso concreto.

Va detto che la necessità della ponderazione di interessi e quindi la rilevanza della discrezionalità amministrativa, inizialmente ricondotta alle sole esigenze di tutela dei privati interessati dalle misura di vincolo, ha poi trovato un’ulteriore giustificazione nell’esigenza - “interna” al diritto dei beni culturali - di “superare l’originaria concezione di tutela meramente conservativa (...) per consentire così una valutazione più ampia dell’intero valore culturale, nell’ottica della valorizzazione” [22]; trattasi di una prospettiva su cui ha fatto leva una parte della giurisprudenza, al momento minoritaria, per desumere che il criterio della ponderazione di interessi debba investire anche il momento dell’apposizione del vincolo diretto, per modularne l’estensione [23].

Per concludere tale disanima si ritengono opportune alcune brevi considerazioni.

In primo luogo, è del tutto evidente come un siffatto scenario che riconosce centralità al criterio della ponderazione tra interessi si presti a letture differenti, tra loro non (del tutto) incompatibili per quanto non facilmente conciliabili.

Da un lato può ritenersi coerente con le più recenti evoluzioni che hanno caratterizzato la funzione amministrativa, nella direzione del pluralismo e della dialettica tra gli interessi [24], nonché della “fiducia” nei confronti dell’amministrazione e nella sua capacità di definire l’interesse pubblico (concreto), quale esito della composizione dei diversi interessi coinvolti nell’esercizio della funzione; d’altronde, l’eventualità - più frequente alla luce della complessità dell’attuale società - di una inestricabile commistione tra interessi pubblici e interessi privati rende sempre più insostituibile il ruolo del procedimento amministrativo di coordinamento e composizione degli interessi, in tal modo contribuendo ad accrescere la difficoltà della legge di porsi quale fattore selettivo degli interessi e di definire, a monte e in astratto, l’interesse pubblico da perseguire.

Dall’altro lato, il tentativo di dar rilievo, per il tramite del richiamo alla categoria della discrezionalità amministrativa, a una pluralità di interessi, inclusi quelli economici dei privati, anche in un caso in cui la legge sembra prendere in considerazione esclusivamente l’interesse culturale, potrebbe essere ricondotto a quel più “ampio (processo di) riposizionamento politico e culturale” degli interessi sensibili, nel caso di specie quello culturale che, “privato del sigillo di super valore”, sarebbe oggetto di un progressivo processo di de-quotazione e indebolimento, di cui la collocazione nell’arena del bilanciamento sarebbe solo una delle plurime manifestazioni [25].

In secondo luogo, va osservato come rispetto al dibattito sulla natura tecnica o mista dell’attività di apposizione del vincolo indiretto sia del tutto neutra l’apertura alle dinamiche partecipative, avvenuta con la legge delle 1999 e perfezionata dagli art. 46 ss. dell’attuale Codice. È invero ormai assunto consolidato che la partecipazione del privato al procedimento assuma rilievo primario, nella sua duplice dimensione di garanzia e di efficiente perseguimento del pubblico interesse, anche al di fuori delle ipotesi di attività discrezionale in senso proprio, consentendo di anticipare alla fase procedimentale il confronto dialettico tra le diverse metodologie e conoscenza scientifiche. Anzi, gli studi più recenti sulla discrezionalità tecnica hanno condivisibilmente enfatizzato tale aspetto, sottolineando l’importanza del procedimento quale “luogo di concretizzazione della regola tecnica”, anche nell’ottica del controllo sulla rigorosità e affidabilità del processo valutativo [26].

3. Brevi considerazioni generali in tema di intensità e modalità del sindacato sulla discrezionalità (amministrativa e tecnica)

Come anticipato, la disputa sulla natura dell’attività di apposizione del vincolo indiretto rileva anche sul versante del sindacato. In che termini la qualificazione quale attività meramente tecnica o, al contrario, il riconoscimento di un vero e proprio momento di scelta discrezionale rimessa alla p.a. incida su modalità e intensità del controllo giurisprudenziale è, tuttavia, un aspetto di non immediato inquadramento.

All’assenza di discrezionalità pura dovrebbe seguire, in linea di principio, un sindacato più intenso e quindi un rafforzamento delle esigenze di tutela del singolo; o almeno in questa direzione muovono alcune evoluzioni che hanno investito la discrezionalità tecnica sin dalla seconda metà del secolo scorso. Invero, facendo seguito alle critiche di Giannini al suo inquadramento quale categoria giuridica autonoma, la maggior parte degli studi successivi ha rimarcato la netta distinzione tra attività di ponderazione di interessi e valutazione tecnica di fatti complessi, così come la riconducibilità di quest’ultima alla qualificazione di fatti e, quindi, al diritto e alla legittimità.

Tuttavia, da tale presupposto, che ha ricevuto un ampio consenso [27], si sono fatte discendere conseguenze differenti: alcuni autori, pur negando la riconducibilità al merito e alla discrezionalità delle valutazioni tecniche opinabili, ne hanno valorizzato il carattere comunque originale e creativo, giungendo a ridefinire le basi teoriche che potrebbero giustificare il self restraint del giudice su tali valutazioni e sulla concretizzazione dei concetti giuridici indeterminati [28].

Altra parte della dottrina, invece, ha ritenuto non giustificabile tale self restraint, soprattutto se conduce a forme di sindacato estrinseco, modellate sull’eccesso di potere e limitate alla verifica della manifesta irragionevolezza, illogicità etc. della valutazione opinabile della p.a. Più precisamente, è stato osservato come, mancando nelle valutazioni tecniche quell’elemento di politicità che sarebbe proprio della sola valutazione e ponderazione di interessi, non sarebbe accettabile il medesimo trattamento processuale delle due forme di discrezionalità: non sussisterebbe infatti alcuna reale giustificazione per una deroga alla piena e generale tutela giurisdizionale di cui agli artt. 24 e 113 Cost. rispetto ad attività che, ancorché caratterizzate da opinabilità, consisterebbero comunque in una mera qualificazione di fatti [29]. Di contro, esclusivamente quell’irrinunciabile componente politica propria della sola discrezionalità amministrativa giustificherebbe, al di fuori delle ipotesi di giurisdizione di merito, una differente conformazione del rapporto giudice-amministrazione e una maggior deferenza del primo nei confronti della seconda.

In realtà, questa differenza nell’intensità del sindacato tra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica, cui dovrebbe conseguire un rafforzamento delle esigenze di tutela dei privati nei casi di mere valutazioni tecniche, non sempre trova concreto riscontro; al punto che un’autorevole dottrina ha recentemente osservato che “le ‘due discrezionalità’ (...) ancora distinguibili concettualmente in ragione della presenza o meno di comparazione tra interessi, si sono tra loro accostate sempre più per quel che riguarda gli effetti giuridici concreti. (...) L’intensità del sindacato può raggiungere livelli in tutto simili sia nell’un caso che nell’altro. I due concetti diversi sono prossimi a divenire semplicemente due nomi diversi” [30].

La difficoltà nel tracciare differenze rigide e astratte in punto di sindacato delle due forme di discrezionalità, di cui i passaggi riportati sono evidente espressione, appare riconducibile a una pluralità di ragioni.

Senza alcuna pretesa di completezza, va innanzitutto ricordato che, a parte gli autori che prendono le mosse dall’art. 6 Cedu e dalla giurisprudenza euro-convenzionale in materia di full jurisdiction [31], anche le posizioni più critiche verso ogni forma di riserva o preferenza per le valutazioni tecniche dell’amministrazione non arrivano a richiedere un sindacato di tipo sostitutivo [32].

Invero pare possibile ritenere, seppur con un certo grado di semplificazione, che le differenti posizioni dottrinali sul tema presentino un tratto comune: l’individuazione del limite fisiologico della giurisdizione nella necessità di non andare oltre un giudizio di attendibilità della valutazione tecnica compiuta dall’amministrazione, con conseguente dovere (giuridico) del giudice di arrestarsi di fronte a scelte attendibili e plausibili, ma comunque opinabili, compiute dall’autorità che l’ordinamento ha individuato come competente e responsabile di una determinata valutazione/decisione. D’altronde, lo stesso tentativo operato da una recente giurisprudenza [33] con riguardo ad alcune valutazioni tecniche (quelle che presenterebbero la dimensione oggettiva di “fatto storico”) di andare oltre il sindacato non sostitutivo di attendibilità, richiamato dalla storica sentenza Cons. St. n. 601 del 1999, a favore di “un sindacato pieno di maggiore attendibilità”, non pare aver dato avvio a un nuovo indirizzo giurisprudenziale, essendo stato in parte ridimensionato dalla giurisprudenza successiva [34].

Senz’altro rilevante è, poi, il permanere di diversi profili di incertezza riguardanti sia il piano meramente concettuale (ad esempio, la distinzione tra sindacato debole e forte, oppure tra sindacato estrinseco e intrinseco) [35] sia quello pratico-operativo (si pensi all’evidente tensione, rilevata in dottrina, tra il “sindacato annunciato” e quello “concretamente praticato”) [36]; in questa direzione può inoltre richiamarsi il persistere di pronunce che, al di là delle mere enunciazioni, risultano in concreto non aderenti ad assunti teorici che dovrebbero risultare ormai consolidati, quale, ad esempio, la legittimazione piena del giudice amministrativo all’accertamento storico del fatto che consegue al completo superamento di tutte le ragioni, dogmatiche e operative, in passato richiamate per giustificare limitazioni nel suo accesso al fatto [37].

È evidente come siffatti profili di incertezza e discrasie tra l’esser e il dover essere abbiano contributo a rendere difficoltosa l’individuazione di modelli astratti di giudizio cui rapportare, sempre e comunque, il sindacato del giudice amministrativo. Con ciò rendendo ancor più problematico un compito di per sé non semplice a causa del carattere sfuggente della distinzione tra giudizi tecnici e apprezzamenti discrezionali (di cui l’istituto del vincolo indiretto costituisce una delle tante manifestazioni), nonché a causa della rilevante differenziazione e/o disomogeneità che oggi connota la categoria della discrezionalità tecnica e le relative modalità di sindacato. Tale aspetto di differenziazione, sempre più evidenziato in dottrina, può ritenersi accentuato dalla tendenza dei giudici a “compartimentalizzare” e settorializzare le tecniche di giudizio, ma comunque appare difficilmente evitabile stante l’oggettiva eterogeneità delle valutazioni tecniche rimesse alle amministrazioni nei diversi settori e, talvolta, anche all’interno della stessa materia.

3.1. (Segue). Sindacato sulla discrezionalità amministrativa e controllo di proporzionalità

Nella medesima direzione possono poi richiamarsi profili ulteriori, concernenti le evoluzioni che hanno riguardato la discrezionalità amministrativa e il relativo sindacato. In un recente studio è stato ricostruito, con particolare puntualità, come sul tema abbia inciso il differente angolo di visuale con cui, nel tempo, è stato inquadrato il rapporto tra legge, amministrazione e giudice; si allude, nello specifico, al passaggio da una prospettiva incentrata sulla separazione dei poteri, che consentiva di configurare una riserva di amministrazione rispetto alla giurisdizione, a una prospettiva caratterizzata dalla centralità della tutela delle situazioni giuridiche soggettive dei cittadini [38].

Si può invero sostenere come, anche in nome del principio di effettività e pienezza della tutela, si sia pervenuti a un sostanziale “sgretolamento degli ambiti di impermeabilità delle scelte amministrative al sindacato del giudice” [39], se non di progressivo esautoramento della discrezionalità amministrativa, potendo ciò essere annoverato tra le cause, certamente non l’unica, di quel processo di progressiva “banalizzazione” [40] dell’amministrazione e di svilimento del suo ruolo nell’ordinamento [41].

Non v’è dubbio che tra gli strumenti che hanno consentito ai giudici di svolgere un sindacato più penetrante sulla discrezionalità amministrativa va annoverato il principio di proporzionalità che, utilizzato per verificare (oramai direttamente, cioè al di fuori delle tradizionali figure sintomatiche) la correttezza dell’esercizio del potere, ha certamente favorito una ridefinizione dei confini, di per sé labili, tra legittimità e merito, ampliando la prima a discapito del secondo [42]. Se l’an di tale evoluzione difficilmente può essere messo in discussione, meno agevole è definirne l’esatta portata, risultando particolarmente variegate le modalità con cui i giudici amministrativi eseguono il test di proporzionalità, anche in questo caso con significative differenze tra settore e settore, e spesso anche all’interno delle stesse materie.

È principalmente il terzo gradino del test di proporzionalità - nella misura in cui consente di sindacare l’equilibrata proporzione tra le utilità pubbliche al cui perseguimento la decisione è finalizzata e i sacrifici imposti - a rendere possibile una significativa ingerenza del giudice nelle operazioni di ponderazione e bilanciamento svolte dall’amministrazione [43].

Per tale ragione, chi scrive - a differenza della dottrina prevalente - non giudica negativamente la concezione tendenzialmente “bifasica” (i.e. limitata alla verifica di idoneità e necessarietà) del principio che spesso emerge dal case law del giudice amministrativo, in linea peraltro con quello europeo [44]; si ritiene infatti preferibile un uso parsimonioso da parte dei giudici del controllo di proporzionalità in senso stretto, onde evitare un’ingerenza eccessiva nel merito amministrativo [45].

Sul difficile rapporto tra proporzionalità in senso stretto e merito amministrativo si tornerà successivamente, per il momento risultando sufficiente osservare, dal punto di vista metodologico, come un certo grado di flessibilità sia connaturato alla proporzionalità, che è un principio dal carattere relazione “where one size does not fit all”. Peraltro, in un’ottica più generale trova riscontri sempre più numerosi la convinzione che l’intensità del sindacato debba variare in relazione alle circostanze del caso concreto, dovendo in tal senso assumere rilievo la materia, la specifica posizione della p.a. e del privato, la tipologia delle situazioni soggettive coinvolte (es. diritto fondamentali) e dei poteri attributi all’amministrazione, la qualità e la rilevanza degli interessi di cui l’amministrazione è portatrice, etc. [46].

Sempre seguendo questa prospettiva, non appare irrealistico o azzardato ipotizzare una sorta di onere esplicativo per il giudice amministrativo che lo porti a illustrare e dar conto delle circostanze del caso concreto che lo hanno indotto a optare per determinate modalità o tecniche di sindacato invece di altre. Ciò nella convinzione che un rafforzamento dell’intensità e dell’invasività del sindacato sulle scelte e sulle valutazioni discrezionali dell’amministrazione, certamente funzionale alle esigenze di effettività della tutela delle posizioni soggettive e di parità delle parti nel processo, spesso non è “a costo zero”; vanno invero tenute in considerazione anche le plurime ragioni alla base della scelta dell’ordinamento di organizzare strutture complesse, costose e dotate di legittimazione politica quali sono le pubbliche amministrazioni e di attribuire loro poteri discrezionali e responsabilità per il perseguimento di fini pubblici e generali.

Per concludere, facendo propria una prospettiva meno ancorata alla lettura del potere come violenza (nel suo aspetto esclusivamente sottrattivo) [47], si suggerisce quindi di guardare “l’altra faccia della medaglia”, ovvero di considerare il processo di “neutralizzazione del potere” [48], di cui la progressiva erosione di spazi valutativi e decisionali riservati all’amministrazione è una delle tante espressioni, non solo dal punto di vista dell’avanzamento della tutela individuale dei diretti interessati dal rapporto amministrativo, ma anche da una prospettiva differente: quella del potere-funzione [49] che deve sempre rimanere collegato e non avulso dalla collettività e dalle sue reali esigenze.

3.2. (Segue). Vincolo culturale “indiretto” e controllo di proporzionalità

Con riferimento al sindacato di proporzionalità si è già anticipato come la sua incidenza sul potere amministrativo vari a seconda della natura della discrezionalità, mancando nelle valutazioni tecniche quella ponderazione tra interessi che costituisce un presupposto necessitato per un sindacato di adeguatezza o proporzionalità in senso stretto. Il che, a ben vedere, finisce per rafforzare quanto in precedenza evidenziato - e che attenta dottrina ha inquadrato in termini di vero e proprio “paradosso” [50] - circa la difficoltà di stabilire, in via astratta e generale, se la natura tecnica o pura del potere discrezionale rimesso alla p.a. risulti in ultima istanza più o meno favorevole alle esigenze di tutela del singolo.

Si tratta di uno dei tanti profili teorici del tema del sindacato sulla discrezionalità che trovano nel settore dei beni culturali, e in particolare nel case law sui provvedimenti di vincolo indiretto, interessanti risvolti e ricadute operative [51]. È invero proprio in relazione ai provvedimenti di apposizione di vincoli di beni di interesse storico-artistico disciplinati dalla legge Bottai del 1939 che, a partire dagli anni ’70, la giurisprudenza amministrativa ha iniziato a esercitare, anche se inizialmente in via “mascherata” o “camuffata” (i.e. ricorrendo alle figure sintomatiche, in particolare al controllo sulla congruità della motivazione), un sindacato progressivamente più stringente sull’esercizio del potere discrezionale, attraverso un “vero e proprio controllo della proporzionalità-adeguatezza del sacrificio imposto al privato” [52].

Anche allo stato attuale, in un contesto in cui la proporzionalità ha trovato positivizzazione tra i principi generali dell’agire amministrativo, il case law del giudice amministrativo sui vincoli culturali rientra tra le ipotesi in cui a tale principio viene riconosciuta maggior centralità e, soprattutto, un’applicazione particolarmente rigorosa, fedele all’ordinamento di origine. Ciò è vero, soprattutto, per i provvedimenti di vincolo indiretto: specie allorquando questi si concretano in divieti di inedificabilità assoluta di ampie aree, i giudici pongono in essere un test di stretta necessarietà (c.d. “the less restrictive alternative test”), spingendosi a chiedere all’amministrazione una specifica motivazione circa l’assenza e/o l’inadeguatezza di misure alternative, meno limitative della sfera giuridica dei privati [53].

Trova in tal modo conferma quanto sopra osservato con riguardo all’inevitabile “adattamento” dell’intensità del sindacato alle circostanze del caso concreto, come pure quanto rilevato circa il carattere relazionale e flessibile (non rigido e “sempre uguale a sé stesso”) del controllo di proporzionalità: questo, infatti, assume connotati particolarmente rigorosi tanto più è forte il sacrificio imposto al privato, e comunque nel caso di specie pare rilevare in funzione quasi compensativa rispetto a un potere “atipico” che non risulta, più di tanto, delimitato dalla norma attributiva [54].

Tornando al profilo più puntuale attinente al rapporto tra il test di proporzionalità e la natura tecnica o pura della discrezionalità esercitata dall’amministrazione, un sindacato di stretta necessarietà (secondo gradino del relativo test) come quello sopra richiamato appare comunque compatibile con la qualificazione del provvedimento di vincolo indiretto quale espressione di mera discrezionalità tecnica; e ciò ancorché chi scrive dubiti del carattere del tutto obiettivo del sindacato di necessarietà e della sua assoluta neutralità rispetto all’assetto degli interessi definiti dal provvedimento, specie allorquando esso assuma la “conformazione” più rigorosa di giudizio (tridimensionale) di stretta necessarietà [55].

Per vero, l’incidenza di un siffatto sindacato sull’assetto degli interessi è indiretta, conseguendo a quella fisiologica tensione tra l’idoneità e la necessarietà tale per cui difficilmente la misura che produce minori sacrifici per i privati consente di ottenere i medesimi risultati in termini di livello di qualità del fine pubblico da realizzare [56]; detto altrimenti, nel valutare la (stretta) necessarietà di una misura il giudice è costretto a confrontarsi con lo scopo perseguito ma solo in via mediata nell’ottica di verificare la corretta “misura” dell’esercizio del potere, mentre non è oggetto di giudizio il bilanciamento degli interessi definito dall’amministrazione né la sua scelta circa il livello al quale il fine pubblico deve essere realizzato [57].

A risultare invece dissonanti rispetto alla prospettiva fin qui seguita sono quelle pronunce che, pur riconducendo il vincolo indiretto alle ipotesi di discrezionalità tecnica, estendono (quantomeno a livello di formale enunciazione) il sindacato all’adeguatezza o proporzionalità in senso stretto della misura, per verificare se essa sia “sostenibile per il destinatario, non elidendo il contenuto essenziale del diritto o della libertà all’uopo limitate” [58]. Un sindacato di adeguatezza appare invero difficilmente conciliabile con la tesi che, riconducendo il provvedimento di vincolo indiretto alla discrezionalità tecnica, esclude che l’amministrazione, anche nella scelta sul contenuto del vincolo, debba/possa bilanciare l’interesse culturale con gli altri interessi a confronto.

Detto in altri termini, come potrebbe il giudice “sanzionare” con l’illegittimità un provvedimento perché una misura, ancorché necessaria, grava in modo eccessivo sul titolare dell’interesse contrapposto (oppure conduce a una composizione sbilanciata dei diversi interessi in gioco), quando allo stesso tempo viene escluso che la legge rimetta all’amministrazione il compito di ponderare i diversi interessi e di trovare il punto di equilibrio fra esigenze in conflitto?

4. La sentenza del Consiglio di Stato

Come si è anticipato, la sentenza n. 8167/2022 ha giudicato incongruo e surrettizio il provvedimento di vincolo indiretto, ritenendolo in contrasto con il principio di proporzionalità, espressamente indicato - insieme alla ragionevolezza - quale “criterio guida per mediare il conflitto” e per rintracciare “il punto di equilibrio, necessariamente mobile e dinamico” tra interessi e valori contrapposti.

A tali “criteri guida” devono far ricorso tanto il “legislatore nella statuizione delle norme” quanto “l’Amministrazione in sede procedimentale, e il giudice in sede di controllo”.

Secondo il Consiglio di Stato nel caso in esame non sarebbe stato violato il principio di proporzionalità sotto il profilo dell’idoneità e/o della necessarietà della misura, bensì la proporzionalità in senso stretto (o adeguatezza). Ciò in quanto la ponderazione effettuata dalla Soprintendenza si è rivelata “sbilanciata” dal momento che “(l)’interesse pubblico alla tutela del patrimonio culturale non (avrebbe), nel caso concreto, il peso e l'urgenza per sacrificare interamente l’interesse ambientale indifferibile della transizione ecologica”.

Inoltre, muovendo dal richiamo alla nota pronuncia della Corte costituzionale sul “caso Ilva” (n. 85 del 2013), il Consiglio di Stato ha precisato come, al pari dei diritti, anche agli interessi di rango costituzionale (“vieppiù quando assegnati alla cura di corpi amministrativi diversi”) andrebbe garantita una tutela “sistemica” e “perseguita in un rapporto di integrazione reciproca”, dovendosi quindi escludere una “concezione ‘totalizzante’” di uno di essi, come fosse posto alla sommità di un ordine gerarchico assoluto, tale da sacrificare interamente gli interessi contrapposti, nel caso di specie quello ambientale.

Sotto questo profilo il provvedimento impugnato sarebbe inoltre risultato contrastante con il “principio di integrazione delle tutele” costituente “la direttiva di metodo” per “individuare un adeguato equilibrio tra ambiente e patrimonio culturale, nel senso che l’esigenza di tutelare il secondo deve integrarsi con la necessità di preservare il primo”, dovendosi quindi abbandonare “il modello delle ‘tutele parallele’ degli interessi differenziati, che radicalizzano il conflitto tra i diversi soggetti chiamati ad intervenire nei processi decisionali”.

4.1. Una pronuncia quasi necessitata ma con opinabili riflessi generali

Con i passaggi riportati, che riassumono il nucleo centrale del percorso argomentativo della sentenza d’appello, il giudice ha censurato la correttezza del bilanciamento o, meglio, l’assenza di bilanciamento tra l’interesse alla tutela del patrimonio culturale e l’interesse ambientale, dando quindi per scontato che l’amministrazione avrebbe dovuto considerare e ponderare gli interessi in gioco [59].

Di questa pronuncia appare condivisibile l’esito, meno lo sviluppo del relativo percorso argomentativo e i contenuti della motivazione (se riferiti, come nella specie, ai contenuti “ordinari” del potere di vincolo indiretto).

Come riportato al § 1, il potere di vincolo indiretto ex art. 45 del Codice è stato esercitato dalla soprintendenza sulla medesima aerea in cui, poco tempo prima, era stata rilasciata un’autorizzazione unica ex art. 12 del d.lg. n. 387/2003 nell’ambito di una conferenza di servizi in cui la stessa Soprintendenza aveva opposto il proprio dissenso, superato dalle posizioni favorevoli delle altre amministrazioni partecipanti (in un caso con rimessione alla decisione della Presidenza del Consiglio dei ministri).

È quindi la peculiare concatenazione di fatti e di atti che hanno contraddistinto la vicenda che suggeriscono di aderire alla decisione di illegittimità per omessa considerazione dell’interesse ambientale.

Per vero, le due vicende di esercizio del potere non possono essere considerate in modo atomistico e scollegato l’una dall’altra, risultando in questa prospettiva del tutto opportuno l’operato del giudice d’appello nella misura in cui ha ricostruito e considerato l’operazione amministrativa nel suo complesso. Per la stessa ragione la soprintendenza non avrebbe dovuto esercitare il potere di vincolo indiretto senza tener conto degli intervenuti provvedimenti autorizzativi alla realizzazione di pale eoliche per la produzione di energia rinnovabile.

In altri termini ed in generale, già la doverosa attenzione all’attività amministrazione più che al singolo atto e all’esigenza di costante coordinamento tra le amministrazioni coinvolte [60] depongono per l’illegittimità dell’approccio “totalizzante” e per molti versi aprioristico seguito dalla Soprintendenza. Tanto più che, sotto un profilo più particolare (strettamente correlato alla sussistenza delle autorizzazioni regionali alla realizzazione degli impianti), nell’adozione dei provvedimenti vincolistici è stato omesso ogni apprezzamento dell’interesse ambientale alla transizione ecologica (ovvero l’interesse primario del potere autorizzativo ex art. 12 del d.lg. n. 387/2003).

Ciò senza togliere, poi, che i profili di illegittimità appaiono plurimi e manifesti anche focalizzando l’attenzione sui singoli provvedimenti di vincolo culturale indiretto, più che sulla complessiva operazione amministrativa (sul punto si tornerà infra al § 4.2.1).

In disparte dall’adesione sostanziale alla pronuncia del Consiglio di Stato, va tuttavia evidenziato come numerosi passaggi delle relative argomentazioni, anziché rimarcare le peculiarità del caso di specie, esprimano affermazioni generali e di principio sul rapporto tra il valore ambientale e quello di tutela del patrimonio culturale e sulla necessità di una loro composizione dialettica. In quest’ottica non può quindi stupire il tenore delle massimazioni, dei commenti e dei (numerosi) richiami dottrinali alla stessa sentenza [61] cui viene riconosciuto il merito di aver individuato un rinnovato equilibrio assiologico tra i valori dell’ambiente e del patrimonio paesaggistico e culturale, maggiormente coerente con l’urgenza della transizione ecologica e con la preminenza delle più recenti misure, europee e nazionali, per la promozione delle energie rinnovabili.

Così intesa, la pronuncia in esame appare, in un certo senso, fuorviante.

Si è detto come proprio la particolare concatenazione di fatti e atti che ha segnato i vari procedimenti avrebbe richiesto alla soprintendenza di prendere in considerazione l’interesse ambientale nel procedimento di vincolo indiretto. La circostanza che questo aspetto - ovvero la presenza delle autorizzazioni regionali - sia rimasto sullo sfondo, venendo invece rimarcata, in termini generali e di principio appunto, la rilevanza della transizione ecologica con conseguente necessità di composizione integrata delle tutele di valori come ambiente, paesaggio e patrimonio culturale, rappresenta ad avviso di chi scrive il profilo di maggiore criticità della pronuncia in esame [62].

Non è certo revocabile in dubbio il rilievo primario di simili interessi pubblici. Ciò che desta perplessità sono i riflessi dell’assunto generale e di principio in punto di inquadramento e configurazione del potere di vincolo indiretto ex art. 45 del Codice dei beni culturali.

Il riconoscimento in capo alla soprintendenza di un potere di valutazione e comparazione tra i suddetti interessi e valori equivale, nella sostanza, a qualificare il potere di vincolo indiretto in termini quasi pianificatori; o comunque ad attribuirgli struttura e modalità del tutto similari (con ponderazione e bilanciamento dei diversi interessi in gioco, per individuare quello nel caso concreto prevalente) a quelle seguite dalla amministrazione (regionale) nell’esercizio del potere autorizzatorio ex art. 12 del d.lg. n. 387/2003 [63].

A non convincere di tale ridefinizione dell’istituto del vincolo culturale indiretto sono innanzitutto le modalità con cui essa è stata realizzata. Anche evitando di affrontare ex professo la questione (e quindi senza soffermarsi su ruolo e tipologia di poteri della soprintendenza e sulla sua adeguatezza rispetto alle operazioni di bilanciamento), è invero evidente la difficolta di conciliare tali ultime considerazioni con la posizione in precedenza illustrata - seguita dalla prevalente giurisprudenza e da una parte della dottrina - secondo cui l’art. 45 del Codice dei beni culturali e del paesaggio non prevedrebbe l’esercizio di discrezionalità amministrativa, non rimettendo alla Soprintendenza il bilanciamento tra l’interesse culturale e gli interessi a confronto.

Il richiamato dibattito sulla natura del provvedimento di vincolo indiretto senza dubbio riflette un quadro di incertezza (innanzitutto normativa) che certo non preclude la possibilità di svariate interpretazioni dell’art. 45, anche nel senso di ritenerlo espressivo di vera e propria discrezionalità amministrativa. Si tratterebbe, tuttavia, di un vero e proprio overruling rispetto all’indirizzo prevalente in giurisprudenza [64]: esigenze di certezza del diritto e di prevedibilità avrebbero quantomeno richiesto - si ritiene - un richiamo critico all’orientamento che considera il potere di vincolo culturale espressivo di discrezionalità meramente tecnica, escludendo che sia compito della Soprintendenza bilanciare i diversi interessi in gioco [65].

È bene ribadire ancora una volta che nel reputare non del tutto confacente al caso di specie l’enfasi riservata al “principio di integrazione delle tutele” e alla necessità di individuare un rinnovato e più adeguato “equilibrio tra ambiente e paesaggio” non si intende in alcun modo porre in discussione la preminenza che l’ordinamento sempre più attribuisce alla transizione ecologica e alla produzione di energia rinnovabili. Al contrario, si condivide la lettura “performativa” (e non meramente “riflessiva”) della revisione costituzionale che riconosce ai novellati artt. 9 e 41 della Costituzione una funzione di trasformazione della società e di razionalizzazione dell’esperienza, nell’ottica di “dare all’essere una forma diversa ossia uno specifico dover essere”, incluso un rinnovato equilibrio tra “ambiente” e “paesaggio/patrimonio culturale” che rifugge gerarchie predeterminate per favorire soluzioni di bilanciamento delle tutele [66].

Tuttavia, stante il quadro normativo di riferimento rimasto immutato, appare quanto meno problematico inferire una (implicita) “ri-costruzione interpretativa” dell’art. 45 del Codice tale da rinvenirvi titolo per l’esercizio di un potere di comparazione di interessi. Peraltro, dal momento che un potere di bilanciamento, qualora sussistente, riguarderebbe tutti gli interessi a confronto con quello culturale, non solo quello ambientale alla transizione ecologica, risulterebbe ad avviso di chi scrive irragionevole e sproporzionato fondare (solo) sulla recente riforma costituzionale una (diversa) interpretazione dell’art. 45, tale da indebolire la tutela dell’interesse culturale in termini generalizzati (rectius, anche nel confronto con interessi secondari del tutto slegati dalle esigenze della sostenibilità ambientale).

Sono altri, come verrà precisato al § 5, i momenti dell’agire amministrativo su cui la richiamata modifica costituzionale e le più recenti evoluzioni ordinamentali dovrebbero produrre ricadute sostanziali e operative.

4.2. Ulteriori profili su cui riflettere: il rischio di sovrapposizione in scelte di merito che spettano all’amministrazione

Meritevole di qualche specifica considerazione ulteriore è la parte della sentenza n. 8167/2022 relativa al test di proporzionalità in senso stretto, in particolare ove il Consiglio di Stato ha giudicato sbilanciata la ponderazione effettuata dalla soprintendenza dal momento che “l’interesse pubblico alla tutela del patrimonio culturale non ha, nel caso concreto, il peso e l’urgenza per sacrificare interamente l’interesse ambientale indifferibile della transizione ecologica”.

Di questi passaggi della pronuncia sembrano possibili due diverse interpretazioni (la seconda verrà inquadrata al successivo §).

Secondo una prima soluzione interpretativa, il Consiglio di Stato si riferirebbe al bilanciamento in concreto operato dalla soprintendenza tra interesse ambientale alla transizione ecologica e interesse culturale, svolgendo cioè un’analisi rivolta (anche) alla realtà materiale.

Così intesa, la sentenza risulterebbe eccessivamente assertiva nella parte in cui omette di soffermarsi sulle ragioni “della debolezza” dell’interesse culturale nel caso di specie. In altri termini, una volta escluso che l’indifferibilità e l’urgenza della transizione ecologica siano tali da giustificare ex se una prevalenza generalizzata dell’interesse ambientale su quello culturale (“Possiamo costruire una pala eolica nel Colosseo?” si è retoricamente domandata la dottrina [67]), dalla motivazione del Consiglio di Stato non emergono in modo chiaro e autonomo [68] le concrete ragioni della sproporzione della misura (divieto totale di costruzione delle pale eoliche) di tutela complementare delle croci votive e viarie. Peraltro, in tale prospettiva avrebbero forse meritato considerazione pure gli effettivi riflessi sul processo di transizione ecologica derivanti dalla costruzione di (solo) due pale eoliche.

La delicatezza di tali riflessioni critiche si accentua considerando l’incidenza sul merito amministrativo che contraddistinguerebbe tale pronuncia così intesa, al di là della direttiva di metodo che da essa si potrebbero desumere in punto di sindacato sulla discrezionalità. Non pare azzardato invero affermare che, mediante il descritto ricorso ai principi di integrazione e di proporzionalità (nella sua versione trifasica), il giudice amministrativo si sarebbe sostituito in scelte che l’ordinamento rimette all’amministrazione.

Peraltro, del principio di integrazione viene fornita un’interpretazione particolarmente innovativa: così utilizzato, esso costituirebbe una sorta di (potenzialmente dirompente) “grimaldello” giurisdizionale atto a sindacare anche scelte di mera opportunità delle amministrazioni, specie considerando l’ampiezza (e per certi versi l’indeterminatezza) del principio dello sviluppo sostenibile.

Anche in tale ottica, non si intende certo disconoscere i processi evolutivi in atto, senza dubbio volti a un rafforzamento del sindacato sulla discrezionalità (es. il progressivo passaggio da sindacato di legalità formale a un sindacato di legalità sostanziale sempre più vicino a un sindacato di merito o la progressiva erosione del merito a favore della legittimità); come pure non si intende negare il fatto che le questioni attinenti al bilanciamento di interessi possano talvolta non costituire questioni di merito ed essere, quindi, conoscibili dal giudice amministrativo. Non si intende neppure disconoscere il labile confine tra valutazione sul fatto e valutazione di merito come pure l’idoneità del sindacato sull’istruttoria, pienamente riconducibile al controllo di legittimità, a consentire al giudice di accertare l’azzeramento in concreto della discrezionalità prevista in astratto in capo all’amministrazione.

Tali processi, così come i richiamati principi di integrazione e di proporzionalità, non sembrano tuttavia poter erodere la riserva di amministrazione al punto da azzerarla interamente; se così fosse, infatti, diverrebbe concreto il rischio di un vero e proprio “collasso” [69] della distinzione tra giudice e amministrazione.

Anche a prescindere da un confronto con i principi generali dell’ordinamento, tra cui quello di separazione dei poteri, va tenuto a mente il dato positivo vigente che, in linea di principio, vieta la sostituzione del giudice all’amministrazione (cfr. art. 7 c.p.a.), tenendo invece ferma la distinzione tra giurisdizione (generale) di legittimità e giurisdizione (eccezionale e tassativa) di merito [70].

D’altronde, a supporto di questa prospettiva si può osservare come nei casi in cui tale sostituzione è espressamente ammessa: o si tratta di attività vincolata e priva in concreto di profili di discrezionalità, anche tecnica (cfr. artt. 31 comma 3 e 34 comma 1 lett. c, c.p.a.); oppure si tratta di assicurare l’attuazione di un giudicato (cfr. artt. 34 comma 1 lett. e, 114 comma 4 lett. a, c.p.a.), cioè di riconoscere quella posizione di superiorità del giudice amministrativo sull’amministrazione (che insiste nel tenere una condotta non conforme a legge) in assenza della quale non avrebbe nemmeno senso l’istituzione di un giudice speciale per il potere amministrativo [71].

Va infine evidenziato come alla sentenza n. 8167/2022 così interpretata conseguirebbe - per la tipologia di vizi rilevati (esercizio incongruo e surrettizio della funzione per violazione dei principi di proporzionalità in senso stretto e di integrazione) e per le relative motivazioni, direttamente concernenti l’assetto degli interessi - un effetto conformativo/preclusivo particolarmente esteso, tale da impedire alla p.a., in sede di eventuale riesercizio del potere di vincolo indiretto, di vietare la costruzione delle pale eoliche per la tutela complementare del “sistema delle croci votive e viarie”. Un effetto preclusivo sembra presentare una valenza per certi versi sanzionatoria nei confronti della soprintendenza, che sicuramente ha mal operato (perpetrando peraltro atteggiamenti in più occasioni “condannati” dai giudici amministrativi [72]), ma che ha comunque in cura interessi generali che non le appartengono.

4.2.1. (Segue). Altri elementi che avrebbero suggerito una maggior aderenza al caso concreto

Dei passaggi sopra riportati in cui il Consiglio di Stato afferma che l’interesse culturale non presentava nel caso concreto caratteri cosi significativi, legittimanti la pretermissione dell’interesse alla transizione ecologica, pare tuttavia possibile una lettura differente da quella esposta nel precedente paragrafo: seguendo una prospettiva ordinamentale meno focalizzata sulla realtà materiale, la pronuncia si sarebbe limitata a “sanzionare” la mancata considerazione da parte della soprintendenza dell’interesse alla transizione ecologia sotteso alle autorizzazioni già rilasciate dalla regione, senza spingersi quindi a svolgere in concreto il bilanciamento tra interesse ambientale e interesse culturale.

A ben vedere, questa seconda soluzione interpretativa potrebbe trovar conferma in una lettura di insieme della motivazione della sentenza, così come nel passaggio conclusivo ove il giudice ha precisato che “l’amministrazione, in sede di riedizione del potere, dovrà questa volta ricercare non già il totale sacrificio dell’uso produttivo di energia pulita delle aree contigue alle croci votive, secondo una logica meramente inibitoria, bensì una soluzione comparativa e dialettica fra le esigenze dello sviluppo sostenibile e quelle afferenti al paesaggio culturale”.

Seguendo questa differente prospettazione, non si registrerebbe una significativa ingerenza del giudice nel merito amministrativo e, soprattutto, l’effetto conformativo della sentenza di annullamento sarebbe ben più circoscritto, non risultando precluso all’amministrazione la possibilità giungere a una decisione dello stesso tenore, ostativa quindi alla costruzione delle pale eoliche, ma adeguatamente motivata e, soprattutto, conseguente ad una dialogica considerazione dell’interesse ambientale e di quello culturale.

Ciò quantomeno in astratto dal momento che se, come si ritiene, la soprintendenza ha utilizzato in modo improprio il potere di vincolo indiretto per disattivare gli esiti della conferenza di servizi (e quindi per perseguire surrettiziamente finalità paesaggistico-culturali estranee al potere di cui all’art. 45 del Codice), difficilmente l’eventuale ri-esercizio del potere potrebbe condurre a un provvedimento di totale inibizione.

In ogni caso, l’eventualità di un effetto preclusivo più limitato accentua quello che appare un aspetto di ulteriore criticità della pronuncia in commento: non aver dato sufficiente evidenza ad altri profili di illegittimità dell’operato dell’amministrazione, forse ancor più evidenti di quelli focalizzati nella motivazione; peraltro, seguendo le indicazioni fornite dall’Adunanza plenaria nella sentenza n. 5/2015 sull’ordine di trattazione dei motivi di ricorso, il giudice avrebbe probabilmente dovuto esaminare con precedenza le corrispondenti censure [73].

Trattasi, per vero, di vizi che rendono significativa la distanza tra il provvedimento adottato dalla soprintendenza molisana e le posizioni consolidate della dottrina e prima ancora della giurisprudenza in tema di corretto esercizio del potere di vincolo culturale indiretto.

Innanzitutto la parte motiva del provvedimento risulta carente e “insufficiente” per soddisfare quell’onere motivazionale rafforzato condivisibilmente richiesto dalla giurisprudenza amministrativa per i provvedimenti di vincolo indiretto aventi a oggetto (estesi) divieti di edificabilità; né può rilevare, al riguardo, l’ampiezza e la completezza della giustificazione del vincolo diretto dal momento che le motivazioni dei due profili, pur potendo essere contenute in un unico provvedimento, devono risultare “autonome” (senza cioè che la motivazione sul vincolo indiretto possa risultare assorbita dalla distinta motivazione sul vincolo diretto).

La motivazione in analisi appare inoltre inadeguata a dar evidenza della strumentalità delle misure di vincolo indiretto rispetto alle esigenze di tutela del bene culturale, in tal modo risultando problematico verificare l’effettivo rispetto dello scopo legale del potere atipico di cui all’art. 45 del Codice che, come si è detto, costituisce aspetto dirimente per evitare “sovrapposizioni” con altri istituti (supra § 2).

In questa prospettiva, idonea di per sé a riflettere vizi ulteriori dei provvedimenti in esame (sotto forma, ad es., di difetto di istruttoria), viene di nuovo in rilievo l’operato complessivo della Soprintendenza che, come più volte ricordato, ha avviato i procedimenti di vincolo (diretto e indiretto) solo dopo esser risultata soccombente in conferenza di servizi. Se per un verso pare condivisibile la posizione sul punto del Tar Molise n. 300/2021 che, in primo grado, aveva precisato come la tempistica “sospetta” di adozione dei provvedimenti vincolistici non può reputarsi fattore ex se sufficiente per considerare il potere esercitato in concreto sviato dalla sua funzione tipica, per altro verso va sottolineato come un provvedimento che finisce, quantomeno nella sostanza, per smentire i precedenti apprezzamenti di segno contrario di altre amministrazioni competenti nella medesima operazione amministrativa avrebbe quantomeno richiesto una motivazione particolarmente rigorosa e sorretta da un’istruttoria adeguata, che non emerge invece dai provvedimenti impugnati [74].

Last but not least, sembra effettivamente configurabile da parte della Soprintendenza una violazione del principio di proporzionalità nella componente, però, della necessarietà: in sede di conferenza di servizi, infatti, la stessa soprintendenza molisana aveva ritenuto che l’interferenza visiva delle pale eoliche rispetto alle croci votive potesse essere superata mediante una la riduzione dell’altezza delle pale.

La valorizzazione in motivazione di tali profili di illegittimità dei provvedimenti impugnati sarebbe certamente risultata coerente con il generale divieto di assorbimento dei motivi del ricorso; da ciò, peraltro, sarebbe conseguito un effetto conformativo della sentenza di annullamento tale da conformare in modo sostanziale e significativo l’eventuale ri-esercizio della funzione: un nuovo provvedimento di vincolo inidoneo a dar conto delle ragioni che rendevano necessaria la tutela di completamento del sistema delle croci viarie, e/o privo di una compiuta giustificazione circa la tipologia e l’estensione della misura di tutela indiretta, sarebbe risultato nullo per elusione e/o violazione di giudicato, senza la necessità per i ricorrenti di esperire una nuova azione di annullamento [75].

5. Brevi considerazioni conclusive

In una prospettiva più ampia, che si ricollega a quanto osservato al § 4.1, si può ritenere che una maggiore valorizzazione della censura relativa al difetto di motivazione (o meglio, un suo inquadramento secondo l’abbondante case law sui provvedimenti di vincolo indiretto) avrebbe condotto a una sentenza più convenzionale cui difficilmente si sarebbe potuto ricondurre un “cambio di paradigma” [76]. Al tempo stesso, però, si sarebbe forse evitato quell’alone di incertezza su un potere che, per come configurato dall’art. 45 del Codice, non sembra caratterizzato, quantomeno in via generale, da quella logica comparativa e dialettica a più riprese rimarcata dalla sentenza n. 8167/2022.

D’altronde, i più recenti interventi normativi volti, principalmente tramite misure di semplificazione, a rendere effettivo il principio di massima diffusione delle fonti rinnovabili riguardano i procedimenti autorizzatori, ovvero contesti senz’altro più adatti per operazioni di bilanciamento tra l’interesse ambientale e quello paesaggistico-culturale.

In questa direzione merita poi di essere precisato che il principale merito di tali interventi, e in particolare del d.lg. 8 novembre 2021, n. 199 (di attuazione della direttiva UE 2018/2001 sulla promozione dell'uso dell’energia da fonti rinnovabili), appare ravvisabile nel significativo cambio di prospettiva alla base della previsione che, nel richiedere la determinazione delle aree “idonee” oltre all’individuazione di quelle “non idonee”, supera la logica meramente liberalizzante (cui si accompagna il rischio di una sostanziale ritrazione delle amministrazioni dalle funzioni di governo), riconducendo la stessa iniziativa economica - e il perseguimento dell’interesse pubblico alla transizione ecologica - nel contesto naturale della programmazione-pianificazione degli interventi volti alla produzione di energie rinnovabili [77].

È infatti a questo livello di composizione generale degli interessi sensibili (ambiente e patrimonio culturale su tutti) che dovrebbero principalmente essere rimesse le scelte da effettuare [78]. Ciò ancor più a seguito della riforma dell’art. 9 Cost. che impone di abbandonare un approccio caratterizzato da “esclusività” e “supremazia aprioristica” di un predeterminato interesse primario per ricercare, invece, nuovi equilibri tra gli interessi connotati da tale primarietà [79].

In questa prospettiva occorre muovere su più livelli, da quello legislativo e di raccordo istituzionale a quello amministrativo, evitando sia di configurare per legge (mediante l’escamotage di semplificazione e accelerazione procedimentale) gerarchie tra gli interessi sensibili, sia di ricercare forme di raccordo tra gli stessi interessi in istituti inadeguati a tale fine, per tipo di potere e forma della funzione.

Le vicende che hanno originato il contenzioso - lette anche alla luce del quadro degli obiettivi del Pnrr - appaiono paradigmatiche dell’inadeguatezza del modello tradizionale di confronto tra gli interessi alla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e quelli, di altrettanto primario rilievo pubblico, correlati all’ambiente. Denotano infatti:

- il ritardo nell’adozione o comunque l’incompletezza degli strumenti di pianificazione paesaggistica cui il legislatore ha assegnato - ex artt. 135 e 143 del Codice dei beni culturali - la funzione “di assicurare che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti”, attenendosi ad una “visione d’insieme delle aree da tutelare e dei contesti in cui le medesime sono inserite” che dovrebbe conseguire ad un processo di co-pianificazione Stato - Regione improntato al principio di leale collaborazione [80]; tanto più che - è bene rammentarlo - le previsioni e le prescrizioni dei Piani paesaggistici “sono immediatamente cogenti e prevalenti sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici” (art. 143, comma 9) [81];

- la conseguente inadeguatezza sia della pianificazione urbanistica sovracomunale e comunale sia della pianificazione territoriale settoriale (come ad esempio quella di cui al Pear 2017 della regione Molise); a quest’ultimo riguardo se è certamente significativa l’attenzione riposta - in via generale e di principio - al valore culturale riconosciuto al “paesaggio molisano” anche in termini di “bene diffuso” (comprendente anche il “reticolo viario” e alle “croci stazionarie” ed al ruolo di tutela del ministero della Cultura [82]), desta non poche perplessità il fatto che lo stesso Piano si limiti ad evocare - “per evitare ogni discrezionalità, ogni interpretazione soggettiva o incoerenza” - l’opportunità di adottare “Linee Guida per il corretto inserimento degli impianti eolici”, con indicazione dei siti non idonei conformemente al d.m. 10 settembre 2010 [83];

- la parzialità delle tutele che in assenza (e nelle more) della pianificazione generale di tutela restano sostanzialmente affidate a singole “dichiarazioni di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136 comma 1, lett. c) e d) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”, con sottoposizione ai vincoli e alle prescrizioni della parte terza dello stesso Codice, oppure, come nel caso oggetto della pronuncia del Consiglio di Stato, a provvedimenti di tutela che, sia pure previsti dalla legge, potrebbero definirsi “impropri”; il contesto temporale e procedimentale in cui si collocano lascia infatti trasparire come l’amministrazione preposta alla tutela vi operi ricorso (con provvedimenti di vincolo diretto o indiretto) per “mettere in salvaguardia” beni ed ambiti “non protetti” principalmente a causa dell’inerzia della stessa e/o per carenze degli strumenti pianificatori.

Questo è il dato di fondo e di contesto ordinamentale in cui si è sviluppata la vicenda oggetto di contenzioso e di cui è doveroso prendere atto per non generare confusione e per evitare, come detto, che la formalizzazione della tutela costituzionale dell’ambiente, in uno con gli impegni assunti a livello europeo per la transizione ecologica, finisca per assumere valenza assolutizzante a scapito del patrimonio culturale e paesaggistico. Come detto, il punto di equilibrio e di integrazione delle scelte involgenti più interessi pubblici primari non può che avvenire a livello generale pianificatorio-programmatorio, per poi essere declinato e contestualizzato nell’ambito del procedimento di autorizzazione unica; non certamente attraverso tipologie provvedimentali il cui contenuto - specifico e settoriale - non può riflettere alcuna scelta tra i suddetti interessi.

La ricerca di un più corretto e coerente modus procedendi sembra ora emergere dalla individuazione preventiva su base regionale non solo delle aree inidonee ma anche di quelle idonee “all’installazione di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal Pniec per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili” (sulla base di “principi e criteri omogenei” fissati a livello statale, attualmente - luglio 2023 - non ancora formalizzati) prevista dal richiamato d.lg. n. 199/2021 [84].

Per concludere, è quindi auspicabile che questo quadro trovi completezza e che le amministrazioni sappiano occupare i propri ruoli con tempestività e responsabilità. Diversamente, l’esercizio “postumo” di alcune forme di tutela del patrimonio culturale potrebbe normalizzare lo sviamento della funzione, o per bloccare le autorizzazioni o per ri-effettuare valutazioni di interessi estranei a quelli culturali.

Peraltro, l’esercizio dei poteri di vincolo culturale in modo “emergenziale” e “successivo” rispetto alla loro naturale collocazione temporale ha, come la vicenda esaminata dimostra, riflessi ulteriori e a tratti paradossali: rende difficilmente eludibile il confronto con interessi ulteriori che nel frattempo hanno trovato cristallizzazione in provvedimenti di altre amministrazioni, a maggior ragione se riconducibili all’obiettivo della transizione ecologica. Con l’ulteriore conseguenza di rendere (se non necessario sicuramente) comprensibile l’operato del giudice che inquadra un potere al di là dei suoi profili tipici, ravvisandovi discrezionalità amministrativa laddove la norma attributiva del potere non sembra prevederla.

 

Note

[*] Franco Pellizzer, professore ordinario di Diritto amministrativo nell’Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Giurisprudenza, Corso Ercole I d’Este n. 37, 44121 Ferrara. plf@unife.it. Edoardo Caruso, ricercatore a tempo determinato dell’Università degli Studi di Ferrara, edoardo.caruso@unife.it. Il lavoro è frutto di una riflessione comune. Tuttavia, i §§ 1, 2 e 5 sono stati curati da Franco Pellizzer, mentre i§§ 3 e 4 da Edoardo Caruso.

[1] In realtà, ci si trova di fronte alla più recente - e forse non ultima - tappa di un complesso contenzioso iniziato nel 2012 riguardante la realizzazione e l’esercizio, nel Comune di Tufara, di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonte eolica e che ha registrato, ad oggi, ben ventinove pronunce, cautelari e di merito, dei giudici amministrativi e rispettivamente:

- del Tar Molise, sez. I, i decreti cautelari nn. 164/2012, 165/2012, 177/2012, 73/2015, 75/2013, 90/2015, n. 91/2015; il decreto decisorio n. 57/2017; le ordinanze cautelari nn. 192/2012, 122/2015, 124/2015, 134/2015, 135/2015, 6704/2021, n. 75/2022, l’ordinanza presidenziale n. 60/2013 e le sentenze nn. 397/2013, 189/2016, n. 254/2019, 259/2021 e 300/2021;

- del Consiglio di Stato, sez. VI, i decreti cautelari nn. 26/2013, le ordinanze cautelari nn. 416/2013, 4281/2013, 6704/2021 e le sentenze nn. 1144/2014, 8167/2022 (oggetto delle presenti considerazioni) e da ultimo 9064/2022.

Si tratta di un contenzioso che ben evidenzia la difficile armonizzazione e composizione di valori e principi di rilievo costituzionale, quali in primis quelli di tutela del patrimonio culturale (e quindi sia dei beni culturali in senso stretto, sia di quelli paesaggistici) e di tutela dell’ambiente (la cui valenza eco-sistemica rafforzata dalle recenti misure Pnrr a supporto della transizione ecologica involge e rafforza indirettamente anche il diritto di iniziativa economica).

[2] Per il progetto relativo alla pala eolica nella località Toppo di Rocco di Tufara veniva rilasciata l’autorizzazione unica n. 97 del 1° agosto 2013, mentre per la pala in località Crocella di Tufara la n. 83 del 12 luglio 2012. Con riguardo a questo secondo progetto, a seguito di una variante al progetto richiesta dalla medesima soprintendenza, la regione Molise convocava una nuova conferenza di servizi, all’esito della quale, con determinazione n. 125 del 6 novembre 2012, veniva autorizzato il nuovo progetto; in questa seconda fase si inserisce l’intervento presidenza del Consiglio dei ministri che definitivamente approvava l’intervento (con la delibera Dica 0018100 P-4.8.2.8 del 26 giugno 2015).

[3] Per una completa contestualizzazione della vicenda, appare opportuno richiamare alcuni passaggi del provvedimento di vincolo della soprintendenza da cui emergono le caratteristiche e la rilevanza culturale del sistema delle croci viarie: “Queste croci costituiscono un connotato storico-paesaggistico rilevante nel territorio, sia singolarmente, per la loro posizione in altura, sia in quanto parti di un sistema di segnali viari che compongono un vero e proprio Sistema delle croci votive e viarie lungo il crinale di confine tra Tufara e Castelvetere. Questo sistema qualifica, insieme al centro urbano di Tufara, la storia del territorio essendo testimonianza della devozione e della cura del territorio da parte delle popolazioni di Tufara e Castelvetere (...) è da notare che nelle località della Campania a ridosso del Molise si rinvengono tutta una serie di antiche strade che costituivano ramificazioni del sistema tratturale. Le croci viarie indicavano ai pastori il percorso per raggiungere l'Adriatico e ai pellegrini le mete di pellegrinaggio come San Michele sul Gargano e San Nicola di Bari. Le croci erano collocate in punti visibili da tutti, su alture, agli incroci, nei pressi di punti di sosta, nei punti di raduno delle mandrie o di ingresso ai paesi. Per gli abitanti di una zona, oltre ad avere un significato devozionale, le croci potevano indicare anche un confine fra territori di centri abitati o proprietà”.

[4] Va inoltre evidenziato come il Tar Molise non avesse scrutinato favorevolmente - sia pure solo per la mancata evidenziazione in ricorso di specifici elementi a comprova - lo sviamento di potere dedotto dai ricorrenti in relazione alla tempistica di apposizione dei vincoli rispetto agli esiti dei procedimenti autorizzativi ex art. 12 del d.lg. n. 387/2003. Ma ciò rimarcando, significativamente, che già in precedenti proprie pronunce (con richiamo alla sentenza n. 281 del 2016) aveva stigmatizzato come “la Direzione regionale [del Mibact] abbia nutrito una generale avversione alla realizzazione di impianti eolici”, sottolineando peraltro il carattere “sospetto” della tempistica di adozione dei provvedimenti vincolistici.

[5] Il giudice d’appello ha ritenuto errata l’impostazione seguita dalla sentenza di primo grado nella parte in cui, nel ravvisare il difetto del parametro incentrato sulla “letteratura scientifica esistente”, aveva considerato come tassativi e/o cumulativi, e comunque non esemplificativi, i parametri da seguire nell’individuazione dell’interesse culturale contenuti in un’apposita una nota ministeriale; in tal modo, il Tar aveva finito per porre in essere un controllo meramente formalistico sui richiami bibliografici, mentre avrebbe dovuto esercitare un controllo (diretto e intrinseco) sull’effettiva idoneità della “dichiarazione di vincolo (...) di sorreggere - anche autonomamente ed in dissenso con l'opinione di altri studiosi - il valore di testimonianza delle croci votive”.

[6] Così M. Clarich, M. Ramajoli, Diritto amministrativo e clausole generali: un dialogo, Pisa, 2021, pagg. 26-27.

[7] M. Ramajoli, Le valutazioni tecniche degli organi preposti alla tutela dell’ambiente tra surrogabilità e sindacabilità giurisdizionale, in Riv. giur. amb., 2022, 4, pag. 985 ss. con specifico riferimento a Cons. Stato, sez. VI, 5 dicembre 2022, n. 10624. Nella stessa direzione, da ultimo, F.G. Scoca, L. Lamberti, Valutazioni tecniche, tutela del patrimonio culturale e principio di proporzionalità, in Federalismi.it, 2023, 22, pag. 224 ss.

[8] S.S. Scoca, La tutela indiretta del bene culturale. Il difficile equilibrio tra tutela della cultura e garanzia delle situazioni giuridiche dei circumcolentes, in Amb. dir., 2022, 2, pag. 1 ss.; F. Gambardella, Il vincolo indiretto di inedificabilità assoluta nella tutela dei beni culturali, tra proporzionalità e indennizzo, in Nuove auton., 2016, 3, pag. 437 ss.; F. Figorilli, Art. 45. Prescrizioni di tutela indiretta, in Le nuove leggi civ. comm., 2005, 5-6, pag. 1256 ss.; A. Crosetti, Prescrizioni di tutela indiretta, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) A.M. Sandulli, Milano, 2019, pag. 486 ss.; Id., La composizione degli interessi nel vincolo indiretto: problemi di proporzionalità, in Riv. giur. urb., 2008, 1-2, pag. 46 ss.; Id., La tutela ambientale dei beni culturali, Padova, 2001, pag. 72 ss. Per una rassegna della più recente giurisprudenza sull’istituto, cfr. L. Baldinelli, La recente giurisprudenza sul vincolo culturale indiretto, in Giorn. dir. amm., 2022, 5, pag. 683 ss.

[9] Si è ripresa, riadattandola, l’espressione di T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001, pag. 398.

[10] C. Videtta, Vincolo indiretto e pianificazione paesistica: un confine che sfuma?, in Riv. giur. urb., 2015, 4, pag. 573 ss. In giurisprudenza, cfr. Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 08 aprile 2021, n. 297; Cons. St., sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 61. Si v. pure, con riguardo al rapporto tra tutela culturale diretta e indiretta, Cons. St., sez. VI, 20 agosto 2019, n. 5762 di conferma della decisione di primo grado che aveva ritenuto il provvedimento di vincolo indiretto affetto da eccesso di potere in quanto perseguiva la finalità di “ampliare l’oggetto della tutela originaria estendendola anche agli immobili circostanti”.

[11] S.S. Scoca, op. ult. cit., pag. 14.

[12] S.S. Scoca, op. ult. cit., pag. 8.

[13] Più di recente Cons. St., sez. VI, 23 febbraio 2023, n. 1823; 10 maggio 2021, n. 3663; 10 settembre 2021, n. 6253; 30 giugno 2021, n. 4923; 13 ottobre 2020, n. 6164; ma v. pure Cons. St., sez. VI, 3 marzo 2014, n. 3355. Si fa invece riferimento alla categoria della discrezionalità amministrativa in Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 8 aprile 2021, n. 297; Cons. St., n. 5762/2019, cit.

[14] C. Videtta, op. ult. cit., pag. 576. Nel senso della natura costitutiva e non dichiarativa del provvedimento di vincolo indiretto v. già V. Cerulli Irelli, Beni culturali, diritti collettivi e proprietà pubblica, in Scritti in onore di Massimo Severo Giannini, I, Milano, 1998, pag. 137 ss., in part. pag. 148.

[15] Con quanto osservato nel testo non si intende negare che “le scelte tecniche hanno normalmente conseguenze sugli interessi” e che quindi in concreto risulta spesso difficile distinguere le due forme di discrezionalità; e ciò ancorché tali scelte sono fatte “non considerando e ponderando i diversi interessi in gioco ma soltanto in vista della soluzione tecnicamente preferibile”. Così D. Sorace, Diritto delle amministrazioni pubbliche. Una introduzione, Bologna, 2010, pag. 335.

[16] C. Videtta, op. ult. cit., pag. 576; in termini simili cfr. G. Severini, Tutela del patrimonio culturale, discrezionalità tecnica e principio di proporzionalità, in Aedon, 2016, 3; P. Carpentieri, Eolico e paesaggio, in Riv. giur. ed., 2008, 1, pag. 326 con riguardo al procedimento autorizzatorio di cui all’art. 146 del Codice. In giurisprudenza, cfr. Cons. St., sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3355.

[17] Cfr. A. Sandulli, La proporzionalità dell'azione amministrativa, Padova, 1998; D.U. Galetta, Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale nel diritto amministrativo, Milano, 1998.

[18] Così M. Renna, Vincoli alla proprietà e diritto dell’ambiente, in Dir. ec., 2005, 4, pag. 715 ss.; v. pure G. Severini, op. ult. cit. In giurisprudenza, cfr. Cons. St., n. 4923/2021, cit.; Cons. St., sez. VI, 14 agosto 2015, n. 3932.

[19] Così A. Massera, I principi generali dell’azione amministrativa tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario, in Dir. amm., 2005, 4, pag. 738 e E. Buoso, Proporzionalità, efficienza e accordi nell'attività amministrativa, Padova, 2012, pagg. 230-231.

[20] In tale senso cfr. F. Trimarchi Banfi, Canone di proporzione e test di proporzionalità nel diritto amministrativo, in Dir. proc. amm., 2016, 2, pag. 361 ss.

[21] Cfr. S.S. Scoca, La tutela indiretta del bene culturale. Il difficile equilibrio tra tutela della cultura e garanzia delle situazioni giuridiche dei circumcolentes, cit., pag. 16 ss.; A. Crosetti, Prescrizioni di tutela indiretta, cit.; A. Sau, La proporzionalità nei sistemi amministrativi complessi. Il caso del governo del territorio, Milano, 2013, pag. 156 ss.; L. Casoni, Altre forme di protezione, in Il diritto dei beni culturali e del paesaggio, I, I beni culturali, (a cura di) E. Follieri, Napoli, 2005, pag. 161 secondo cui “il riferimento alla valutazione comparativa degli interessi coinvolti nella situazione concreta (...) ha a che vedere unicamente con la scelta del legislatore di aver congegnato un sistema atipico di prescrizione di tutela indiretta”; G. Garzia, Il vincolo storico-artistico indiretto tra attività di accertamento e ponderazione degli interessi coinvolti, in Foro amm. - Cons. St., 2002, 11, pag. 3000 ss. e Id., Difesa del suolo e vincoli di tutela. Attività amministrativa di accertamento e di ponderazione, Milano, 2003, pag. 93 ss.; R. Colonna, La tutela ambientale dei beni culturali: riflessioni sulla natura giuridica del c.d. vincolo indiretto ex art. 21 legge n. 1089 del 1939, in Riv. giur. edil., 1996, 2, II, pag. 75 ss. Da ultimo, nel senso della discrezionalità mista cfr. anche F.G. Scoca, L. Lamberti, Valutazioni tecniche, tutela del patrimonio culturale e principio di proporzionalità, cit., pag. 241.

[22] A. Crosetti, La composizione degli interessi nel vincolo indiretto: problemi di proporzionalità, cit., pag. 66.

[23] Cfr. il parere del Cons. St., sez. I, 14 dicembre 2022, n. 1961.

[24] V. Parisio, Legittimità e merito nel ricorso amministrativo contro i provvedimenti di vincolo, in Riv. giur. urb., 2008, 1-2, pag. 185 ss.; P. Lombardi, La realizzazione degli impianti di produzione di energia eolica tra ponderazione degli interessi e cooperazione istituzionale, in Riv. giur. ed., 2007, 6, pag. 1650 ss.

[25] Il corsivo è ripreso da G. Tropea, Biopolitica e diritto amministrativo del tempo pandemico, Napoli, 2023, pag. 69.

[26] A. Moliterni, Le disavventure della discrezionalità tecnica tra dibattito dottrinario e concrete dinamiche dell’ordinamento, in Le valutazioni tecnico-scientifiche tra amministrazione e giudice. Concrete dinamiche dell’ordinamento, (a cura di) A. Moliterni, Napoli, 2021, pag. 48; S. Torricelli, Per un modello generale di sindacato sulle valutazioni tecniche: il curioso caso degli atti delle Autorità Indipendenti, in Dir. amm., 2020, 1, pag. 97 ss. Sulla partecipazione nei procedimenti di vincolo, cfr. P. Marzaro Gamba, La (misura della) partecipazione nei procedimenti di tutela del patrimonio culturale. “Assolutezza” degli interessi e “procedimentalizzazione” dei poteri: le ragioni di una difficile coesistenza sotto l’egida della discrezionalità tecnica della p.a., in Riv. giur. urb., 2008, 1-2, pag. 18 ss.

[27] Va tuttavia osservato come in dottrina non manchino puntualizzazioni volte a sottolineare i limiti della concezione che ravvisa la presenza del merito e del potere nei soli casi di ponderazione comparativa di interessi, come pure a evidenziare il carattere sempre più sfumato della distinzione tra opportunità e opinabilità. Cfr. per un verso F. Volpe, Discrezionalità tecnica e presupposti dell'atto amministrativo, in Dir. amm., 2008, 4, pag. 813 ss. e P. Lazzara, Autorità indipendenti e discrezionalità, Padova, 2001; per l’altro, F. Cintioli, Giudice amministrativo, tecnica e mercato. Poteri tecnici e “giurisdizionalizzazione”, Milano, 2005; F. Salvia, Attività amministrativa e discrezionalità tecnica, Dir. proc. amm., 1992, 4, pag. 685 ss.

[28] Si fa riferimento ai fondamentali lavori di D. De Pretis, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Padova, 1995 e C. Marzuoli, Potere amministrativo e valutazioni tecniche, Milano, 1985.

[29] Cfr., tra i tanti, F.G. Scoca, Sul trattamento giuridico della discrezionalità, in Potere discrezionale e controllo giudiziario, (a cura di) V. Parisio, Milano, 1998, pag. 107 ss.; Id., La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella dottrina successiva, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, 4, pag. 1045 ss.; A. Travi, Il giudice amministrativo e le questioni tecnico-scientifiche: formule nuove e vecchie soluzioni, in Dir. pubbl., 2004, 2, pag. 439 ss.

[30] D’Alberti, Prefazione, in Le valutazioni tecnico-scientifiche tra amministrazione e giudice. Concrete dinamiche dell’ordinamento, cit., pag. 3.

[31] F. Goisis, La full jurisdiction nel contesto della giustizia amministrativa: concetto, funzione e nodi irrisolti, in Dir. proc. amm., 2015, pag. 546 ss.; M. Allena, Art. 6 CEDU. Procedimento e processo amministrativo, Napoli, 2012. Per una prospettiva in parte differente F. Follieri, La giurisdizione di legittimità e full jurisdiction. Le potenzialità del sindacato confutatorio, in P.A.- Persona e Amministrazione, 2, 2018, pag. 133 ss.

[32] Cfr. A. Moliterni, Le disavventure della discrezionalità tecnica tra dibattito dottrinario e concrete dinamiche dell’ordinamento, cit. Per ulteriori riferimenti bibliografici sia consentito rinviare a E. Caruso, La funzione sociale dei contratti pubblici. Oltre il primato della concorrenza, Napoli, 2021, pag. 324 ss.

[33] Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio, 2019, n. 4990 su cui si v. le considerazioni di S. Torricelli, Per un modello generale di sindacato sulle valutazioni tecniche, cit., pag. 97 ss. e M. Delsignore, I controversi limiti del sindacato sulle sanzioni AGCM: molto rumore per nulla?, in Dir. proc. amm., 2020, 3, pag. 740 ss.

[34] M. Ramajoli, Le valutazioni tecniche degli organi preposti alla tutela dell’ambiente tra surrogabilità e sindacabilità giurisdizionale, cit., pag. 989 sub nt. 11.

[35] Cfr. A. Giusti, Contributo allo studio di un concetto ancora indeterminato. La discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione, Napoli, 2007 e, più di recente, Id., Tramonto o attualità della discrezionalità tecnica? Riflessioni a margine di una recente “attenta riconsiderazione” giurisprudenziale, in Dir. proc. amm., 2021, 2, pag. 335 ss.

[36] A. Moliterni, op. ult. cit., pag. 28

[37] Sul tema cfr. G. De Giorgi Cezzi, La ricostruzione del fatto nel processo amministrativo, Napoli, 2003.

[38] A. Moliterni, Discrezionalità amministrativa e separazione dei poteri, in Riv. trim dir. pubbl., 2023, 1, pag. 393 ss., in part. pag. 411.

[39] A. Moliterni, op. ult. cit., pag. 413 e 430.

[40] L’espressione è ripresa da M. Cammelli, Amministrazione e mondo nuovo: medici, cure, riforme, in Dir. amm, 2016, 1-2, pag. 14 ss.

[41] Numerose sono in dottrina le posizioni di tenore almeno in parte diverso. Da ultimo, a favore di un controllo più intenso sull’esercizio della discrezionalità, cfr. A. Zito, La scelta discrezionale della p.a. tra principio di esauribilità del potere e controllo effettivo sul suo esercizio: per una ridefinizione del concetto di discrezionalità, in Dir. amm., 2023, 1, pag. 29 ss.

Certamente in controtendenza rispetto alla direzione indicata nel testo si pone il nuovo Codice dei contratti pubblici (adottato con d.lg. 31 marzo 2023, n. 36) come emerge già dalla lettura dei primi articoli dedicati ai principi generali nonché della relazione redatta dalla commissione che ha predisposto lo schema di Codice.

[42] Sul tema cfr. B. Giliberti, Il merito amministrativo, Padova, 2013, pag. 82 ss.

[43] Cfr. A. Albanese, Il ruolo del principio di proporzionalità nel rapporto fra amministrazione e amministrati, in Ist. fed., 2016, 3, pag. 697 ss., in part. pag. 708.

[44] Cfr. D.U. Galetta Il principio di proporzionalità, in Codice dell’azione amministrativa, (a cura di) M.A. Sandulli, Milano, 2017, pag. 149 ss.; S. Villamena, Contributo in tema di proporzionalità amministrativa. Ordinamento comunitario, italiano e inglese, Milano, 2008.

[45] Per una posizione in parte differente, tra i tanti, A. Sau, La proporzionalità nei sistemi amministrativi complessi. Il caso del governo del territorio, cit.;V. Fanti, Dimensione della proporzionalità. Profili ricostruttivi tra attività e processo amministrativo, Torino, 2012, pag. 140 ss. e 295 ss.; S. Cognetti, Principio di proporzionalità. Profili di teoria generale e di analisi sistematica, Torino, 2011, in part. pag. 314 ss. Secondo M. D’Alberti, Lezioni di diritto amministrativo, Torino, 2022, pag. 42, “quando il giudice, con maggior coraggio, si spinge verso la vera e propria proporzionalità, può trovare la giustificazione del suo operato sottolineando che si tratta pur sempre di un principio di diritto: la sua violazione è vicenda che ha a che fare con la legittimità, non con il merito”. Da ultimo, sul principio di cui di discute S. De Nitto, La proporzionalità nel diritto amministrativo, Torino, 2023.

[46] Cfr. M. Clarich, M. Ramajoli, Diritto amministrativo e clausole generali: un dialogo, cit., 38; F. Cintioli, Giudice amministrativo, tecnica e mercato. Poteri tecnici e “giurisdizionalizzazione”, cit., pag. 57 ss. e 223 ss.

[47] Sul punto cfr. G. Tropea, Biopolitica e diritto amministrativo del tempo pandemico, cit., pag. 85.

[48] Così S. Civitarese Matteucci, Funzione, potere amministrativo e discrezionalità in un ordinamento liberal-democratico, in Dir. pubbl., 3, 2009, pag. 739 ss. in part. pag. 773 ss.

[49] Su tale nozione cfr. V. Cerulli Irelli, Il potere amministrativo e l’assetto costituzionale delle funzioni di governo, in Dir. pubbl., 2022, 1, pag. 33 ss.

[50] G. Tropea, Il vincolo etnoantropologico tra discrezionalità tecnica e principio di proporzionalità: “relazione pericolosa” o “attrazione fatale”?, in Dir. proc. amm., 2012, 2, pag. 717 ss. in part. pag. 735.; R. Villata, M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2017, pag. 128.

[51] E. Follieri, Sindacato giurisdizionale sulla individuazione del bene culturale tra vincolo diretto e vincolo indiretto, in Giustamm.it, 2014, 11, pag. 1 ss.

[52] A. Sandulli, La proporzionalità dell'azione amministrativa, cit., pag. 196 ss.

[53] Cons. St., sez. VI, 10 settembre, 2021, n. 6253; 13 ottobre 2020, n. 6164; sez. VI, 14 agosto 2015, n. 3932.

[54] In tal senso anche N. Aicardi, L’ordinamento amministrativo dei beni culturali. La sussidiarietà nella tutela e nella valorizzazione, Torino, 2002, pag. 207 ss.

[55] Sia nuovamente consentito rinviare a E. Caruso, La funzione sociale dei contratti pubblici. Oltre il primato della concorrenza, cit., pag. 85 ss. e 271 ss. Seppur in una prospettiva più ampia, estesa (anche) al controllo sugli atti legislativi, si v. le considerazioni di A. Morrone, Il bilanciamento nello stato costituzionale, Torino, 2014, pag. 116 ss. e R. Bin, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, 1992, pag. 134 ss.

[56] S. Cognetti, Principio di proporzionalità, cit., pag. 235 e 295.

[57] F. Trimarchi Banfi, Canone di proporzione e test di proporzionalità nel diritto amministrativo, cit., pag. 364.

[58] Cons. St., n. 6253/2021, cit.

[59] Come osservato da autorevole dottrina, il caso di specie di caratterizza per una dinamica in parte diversa rispetto a quella tradizionalmente sottesa al processo amministrativo (di norma caratterizzato dal conflitto tra un interesse privato e pubblico), dal momento che il giudice si è pronunciato su conflitto tra interessi pubblici: quello culturale perseguito dall’amministrazione e quello ambientale che ha “inglobato” l’interesse privato; cfr. F.G. Scoca, L. Lamberti, Valutazioni tecniche, tutela del patrimonio culturale e principio di proporzionalità, cit., pag. 242. Su tale dinamica, devenuta in effetti sempre più ricorrente, cfr. M.R. Spasiano, Il conflitto giurisdizionale fra interessi pubblici nel prisma del sindacato dell'eccesso di potere, in Dir. proc. amm., 2020, 2, pag. 209 ss.

[60] Sul tema cfr. F. Cortese, Il coordinamento amministrativo. Dinamiche e interpretazioni, Milano, 2012, passim, in part. pag. 57 ss. ove si sottolinea l’importanza di una concezione dinamica e non statica dell’ordinamento.

[61] Oltre a G. Sciullo, Nuovi paradigmi per la tutela del patrimonio culturale, in Aedon, 2022, 3, pag. 122 s. e F.G. Scoca, L. Lamberti, Valutazioni tecniche, tutela del patrimonio culturale e principio di proporzionalità, cit., v. tra i tanti P. Carpentieri, Relazioni e conflitti tra ambiente e paesaggio, in Federalismi.it, 2023, 13, pag. 77 ss.; L. Casini, Tutelare il paesaggio: la legge Croce n. 778 del 1922 un secolo dopo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2023, 2, pag. 693 ss.; C. Viviani,Ambiente, clima e patrimonio culturale: un approccio giurisprudenziale innovativo, in Urb. app., 2023, 3, pag. 351 ss.; L. Baldinelli, V.I.A. e costruzione di un parco fotovoltaico, in Giorn. dir. amm., 2023, 2, pag. 223 ss.; A. Bartolini, Patrimoni culturali e limitazioni urbanistiche, in Dir. amm., 2022, 4, pag. 995 ss.; A. Persico, Promozione dell’energia rinnovabile e tutela del patrimonio culturale: verso l’integrazione delle tutele (Nota a Cons. Stato, Sez. VI, 23 settembre 2022, n. 8167), in Giust. ins., 1° dicembre 2022; F. Cusano, Il Consiglio di Stato torna sul trilemma energia-ambiente-beni paesaggistico/culturali, in RGA online, 2022, 37.

[62] A conferma di quanto sostenuto nel testo, cfr. Cons. St., sez. VI, 23 febbraio 2023, n. 1823 che ha espressamente ripreso il percorso argomentativo e gli esiti della pronuncia n. 8167/2022 con riguardo a una vicenda che non presentava la peculiare concatenazione di atti e di fatti propria di quella in esame e che, peraltro, non intrecciava il tema della transizione ecologica, concernendo la contrapposizione tra l’interesse culturale e l’interesse all’organizzazione di importanti manifestazioni di rilievo nazionale ed internazionale.

[63] Cfr., da ultimo, Tar Molise, sez. I, 31 gennaio 2022, n. 3.

[64] G. Sciullo, Nuovi paradigmi per la tutela del patrimonio culturale, cit.

[65] Seguendo questa lettura del potere di vincolo indiretto, sorge qualche dubbio sull’effettivo rilievo dell’art. 3-quater del Codice dell’ambiente (d.lg. 3 aprile 2006, n. 152) richiamato dalla sentenza in commento: tale previsione, infatti, riguarda la sola attività amministrativa che consta in una “scelta comparativa di interessi pubblici e privati connotata da discrezionalità”.

[66] A. Morrone, L’«ambiente» nella Costituzione. Premesse di un nuovo «contratto sociale», in La riforma costituzionale in materia di tutela dell’ambiente, Napoli, 2022, pag. 95-96 e 107. Sul tema si v. anche il fascicolo n. 4/2022 della rivista Istituzioni del Federalismo.

[67] A. Morrone, op. loc. ult. cit.

[68] Indicazioni su questo specifico profilo possono ricavarsi esclusivamente dall’accoglimento del motivo di appello incentrato sulla incomprensibilità della apposizione “di un vincolo indiretto rispetto a dei manufatti che, per la loro limitatissima consistenza, sono visibili soltanto a chi si avvicini a pochi metri di distanza, e rispetto alla cui visione non può in alcun modo incidere l'eventuale realizzazione di altri manufatti che si trovino a centinaia di metri di distanza”.

[69] L’espressione è ripresa da M. Clarich, M. Ramajoli, Diritto amministrativo e clausole generali: un dialogo, cit.

[70] F. Francario, L’incerto confine tra giurisdizione di legittimità e di merito, in Giustizia Insieme, 22 giugno 2023.

[71] M. Clarich, Giudicato e potere amministrativo, Padova, 1989, pag. 53. V. pure S. Vaccari, Il giudicato nel nuovo diritto processuale amministrativo, Torino, 2017.

[72] Cfr. Tar Molise, sez. I, 23 giugno 2016, n. 281.

[73] Secondo la sentenza n. 5/2015, in assenza di un’espressa graduazione dei motivi di ricorso, il giudice dovrebbe definire il loro ordine di trattazione sulla base non del criterio del maggior vantaggio per i ricorrenti, bensì “della loro consistenza oggettiva (radicalità del vizio) nonché del rapporto corrente fra le stesse sul piano logico-giuridico e diacronico procedimentale”. In generale sul tema, cfr. M. Spasiano, L’assorbimento dei motivi nell’evoluzione del processo amministrativo, in Dir. e proc. amm, 2020, 1, pag. 19 ss.; L.R. Perfetti, G. Tropea, "Heart of darkness": l’Adunanza Plenaria tra ordine di esame ed assorbimento dei motivi, in Dir. proc. amm., 2016, 1, pag. 205 ss.; M. Magri, L’ordine di esame dei motivi nel processo amministrativo, in Giorn. dir. amm., 2009, 10, pag. 1068 ss.

[74] Cfr. Tar Lombardia, Brescia, 14 agosto 2008, n. 860; Tar Lazio, Roma, 5 marzo 2003, n. 1711.

[75] Sull’effetto preclusivo della sentenza di annullamento per difetto di motivazione, cfr. Cons. St., sez. III, 21 settembre 2021, n. 6422; sez. IV, 2 marzo 2020, n. 1489; sez. V, 1° ottobre 2015, n. 4604; fa propria una prospettiva rivolta a una più intensa garanzia dei principi di effettività e concentrazione della tutela Cons. St., sez. VI, 27 aprile 2021, n. 3385.

[76] G. Sciullo, op. ult. loc. cit.

[77] Così B. Tonoletti, Le procedure autorizzative per le fonti rinnovabili di energia e il rapporto tra obiettivi di decarbonizzazione e la tutela di altri interessi pubblici, in L’Attuazione dell’European Green Deal, (a cura di) E. Bruti Liberati, M. De Focaltiis, A. Travi, Milano, 2022, pag. 89 ss., in part. pag. 96 ss. Sul tema v. anche S. Spuntarelli, Le rinnovabili per la transizione energetica: discrezionalità e gerarchia degli interessi a fronte della semplificazione dei procedimenti autorizzatori nel PNRR, in Dir. amm., 2023, 1, pag. 59 ss.; C. Viviani, La localizzazione degli impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile: transizione energetica, ambiente e paesaggio, in Energie rinnovabili e Piano nazionale di ripresa e resilienza, (a cura di) G. Cartei, Napoli, 2022, pag. 115 ss.

[78] Cfr. G. Piperata, Nuovi scenari e nuove sfide per il governo della cultura, in Aedon, 2022, 2, pag. 65; A. Moliterni, Transizione ecologica, ordine economico e sistema amministrativo, in Riv. diritti comparati, 2022, 2, pag. 432 ss.

[79] Sul punto, in termini particolarmente incisivi, M. Cammelli, G. Piperata, Patrimoni culturali: innovazioni da completare; tensioni da evitare, in Aedon, 2022, 1, pag. 5. Cfr. pure F. De Leonardis, Criteri di bilanciamento tra paesaggio ed energia eolica, in Dir. amm., 2005, 4, pag. 889 ss.

[80] Cfr. Corte Cost. 19 dicembre 2022, n. 251 con richiami alle sentenze nn. 240, n. 229, n. 221, n. 192, n. 187, n. 45 e n. 24 del 2022; n. 261, n. 257, n. 251, n. 201, n. 164, n. 141, n. 74, n. 54 e n. 29 del 2021; n. 276 e n. 240 del 2020.

[81] L’inadeguatezza della pianificazione di tutela è resa evidente nel caso della Regione Molise ove si prenda in esame il contenuto meramente storico-ricostruttivo del Ppa - composto da n. 7 Piani territoriali paesistico-ambientali di area vasta (Ptpaav) riferiti a singole parti del territorio regionale e redatti ai sensi della legge regionale 1/12/1989, n. 24 ed approvati dal Consiglio regionale tra 1997 e il 1999 - ma privo di prescrizioni e previsioni puntuali suscettibili di condizionare la pianificazione territoriale e urbanistica. Si consideri infatti che solo ad inizio 2018 è stato sottoscritto tra Mibac e regione Molise specifico protocollo d’intesa per l’elaborazione del piano paesaggistico regionale.

[82] Cfr. Paer, sub. 5 “Tutela dei beni culturali”.

[83] Linee guida peraltro già adottate dalla regione Molise con deliberazione di Giunta n. 621/2011, con indicazione all’allegato 3 degli “elementi per corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio” degli impianti eolici, da prendere in considerazione nell’ambito del procedimento di autorizzazione unica ex art. 12 del d.lg. n. 387/2003.

[84] L’art. 20 prevede, infatti, che non solo nella definizione della disciplina inerente le aree idonee, debbano essere tenute in considerazione le “esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell'aria e dei corpi idrici, privilegiando l'utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, nonché di aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica, e verificando l'idoneità di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili, compatibilmente con le caratteristiche e le disponibilità delle risorse rinnovabili, delle infrastrutture di rete e della domanda elettrica, nonché tenendo in considerazione la dislocazione della domanda, gli eventuali vincoli di rete e il potenziale di sviluppo della rete stessa” (comma 4), ma anche che nella individuazione (ovvero in sede di pianificazione) delle superfici e delle aree idonee debbano essere “rispettati i principi della minimizzazione degli impatti sull'ambiente, sul territorio, sul patrimonio culturale e sul paesaggio, fermo restando il vincolo del raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e tenendo conto della sostenibilità dei costi correlati al raggiungimento di tale obiettivo”.

.

 

 

 



copyright 2023 by Società editrice il Mulino
Licenza d'uso


inizio pagina