Sommario: 1. Generalità: il Mbac e il processo di riforma dell'organizzazione governativa. - 2. Lo schema iniziale del decreto di riordino dei ministeri. - 3. Il dibattito. - 4. La conservazione del Mbac. - 5. Le modifiche introdotte dal d.lg. 300/1999 di riordino dei ministeri al d.lg. 368/1998 istitutivo del Mbac.
1. Generalità: il Mbac e il processo di riforma dell'organizzazione governativa
Che nella riorganizzazione del governo, prevista dal Capo II della legge 15 marzo 1997, n. 59, l'istituzione del ministero per i Beni e le Attività culturali (Mbac) da parte del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 costituisse un episodio iniziale e significativo, ma altresì, per motivi di tempo e d'ispirazione ideale, in qualche modo sganciato e specifico, era stato puntualmente posto in rilievo nei primi commenti al decreto [1].
Che proprio per questa ragione la complessiva attuazione del Capo II potesse comportare una qualche ricaduta sull'assetto del ministero, era nell'ordine delle possibilità proprie di un processo di riforma in progress. Che anzi dovesse trattarsi dell'ordine delle probabilità, veniva suggerito dagli auspici espressi dalla commissione Cerulli Irelli [2], in sede di formulazione del parere sullo schema del decreto istitutivo, come pure dagli interventi nell'occasione svolti dal vice presidente del consiglio e dal ministro per la Funzione pubblica [3].
Ma che la riorganizzazione del governo compiutamente delineatasi nella primavera di quest'anno si spingesse a prevedere la soppressione per assorbimento del nuovo ministero, accompagnata da un parziale scorporo delle sue competenze, questo non era, né poteva essere nelle aspettative almeno degli osservatori esterni, per quanto attenti. In realtà, in seguito si sarebbe appreso che l'istituzione del Mbac era stata accompagnata dall'espressa riserva (politica) di una sua riconsiderazione nel quadro complessivo della riforma, che si era trattato, in altre parole, di "un'anticipazione con beneficio d'inventario" [4].
Certo è, ad ogni modo, che l'assetto riservato al Mbac ha pressoché polarizzato il dibattito sul progetto di riordino svoltosi nell'arco di tempo che va dalle prime anticipazioni alla stampa (22 aprile) fino alla delibera preliminare del consiglio dei ministri (4 giugno), nella quale si sanciva formalmente la conservazione come entità autonoma del ministero.
Scopo di queste note è quello di ripercorrere tale dibattito, per poi considerare le novità che la nuova organizzazione del governo, quale risultante dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, introduce nell'assetto del Mbac.
2. Lo schema iniziale del decreto di riordino dei ministeri
Preliminarmente è opportuno fare cenno al terreno del dibattito, cioè a quanto prevedeva lo schema iniziale del riordino, noto come quello dei "dieci superdicasteri".
Il Mbac cessava come ministero a sé stante. Le sue competenze e risorse (finanziarie, strumentali e di personale) confluivano, unitamente a quelle dei ministeri della Pubblica istruzione, e dell'Università e della ricerca scientifica e tecnologica, in un unico dicastero, denominato "ministero dell'Istruzione, della ricerca e della cultura". Dall'accorpamento, peraltro, erano fatte salve le competenze e le risorse attribuite ad altri ministeri (art. 51, commi 1 e 3). In effetti, come risultava dalla descrizione delle missioni del nuovo dicastero, le funzioni e risorse assegnate concernevano "beni culturali, spettacolo e sport" (art. 51, comma 2), erano cioè - si leggeva nella relazione di accompagnamento - "al netto della tutela paesaggistica". Quelle in materia di "tutela, gestione e valorizzazione dei beni ambientali" - ovvero relative alle "bellezze naturali e ai beni paesaggistici" (secondo la dizione dell'art. 39, comma 1, lett. a)) - venivano invece attribuite al nuovo "ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio" (artt. 54, comma 4), al fine, come era detto nella relazione, di "eliminare le duplicazioni organizzative e funzionali" in atto "fra le varie amministrazioni centrali" [5]. Al medesimo ministero erano altresì trasferiti i compiti in tema di "promozione della cultura urbanistica e architettonica". In breve, quella prefigurata si risolveva in un'operazione al contempo di accorpamento e di scorporo.
Quanto all'organizzazione interna di livello centrale, le strutture del soppresso Mbac, che confluivano nel ministero dell'Istruzione, erano destinate a comporre uno dei dipartimenti, previsti fino ad un massimo di quattro (artt. 52 e 53), mentre quelle trasferite al ministero dell'Ambiente conservavano l'articolazione per direzioni generali, risultando questa lo schema organizzatorio scelto per tale dicastero (art. 40, comma 1).
Altrettanto divaricato risultava l'assetto periferico. Se per il ministero dell'Istruzione, "relativamente alle competenze in materia di beni culturali", si conservavano le attuali strutture del Mbac (soprintendenze ecc.) (art. 53, comma 3), per quello dell'Ambiente, era previsto che i compiti in ambito locale venissero "esercitati, con contestuale soppressione degli uffici periferici dei soppressi ministeri, dagli uffici territoriali del governo" (art. 40, comma 3).
Il dibattito che si è sviluppato sullo schema iniziale e che ha visto intervenire molteplici voci, specie del mondo della cultura, in larga prevalenza in chiave critica e con accenti talora anche accesi, ha ruotato intorno ai tre temi che lo schema del resto chiaramente suggeriva: la soppressione del Mbac in quanto tale, l'accorpamento (della maggior parte) delle sue funzioni e risorse nel nuovo ministero dell'Istruzione, lo scorporo delle competenze in particolare in tema di paesaggio.
Iniziamo da quest'ultimo. Contro lo scorporo della tutela paesaggistica fu mossa anzitutto un'obiezione di carattere teorico-culturale: la difficoltà (o impossibilità) di separare il bene artistico dal bene paesaggistico che ne rappresenta il contesto, e conseguentemente la difficoltà di tenere distinte le relative tutele. Nella realtà italiana - si disse - il paesaggio è "paesaggio antropico", "paesaggio storico", è il "palinsesto millenario" di cui parlava l'Argan [6]. Oltre a ciò due rilievi di ordine organizzativo: la "lacerazione" del tessuto delle soprintendenze [7] e la duplicazione delle strutture locali preposte all'attuazione di vincoli artistici e ambientali [8]. A difesa della scelta operata dallo schema, o quantomeno come invito ad un confronto, si fece presente che risulta incerta la priorità fra il paesaggio inteso come bene culturale, cioè nel suo valore estetico, e il paesaggio concepito come bene ambientale, cioè nel suo equilibrio naturale [9], e comunque si ribadì l'opportunità di un'integrazione delle attuali competenze [10].
All'accorpamento nel nuovo dicastero dell'Istruzione fu opposto il rischio di uno "schiacciamento" dei beni e delle attività culturali fra il peso numerico (per personale e problemi) dell'istruzione e quello politico (delle "lobby") dell'università, con il risultato di una perdita di visibilità e di autonomia, di una marginalizzazione delle sue esigenze, anche economico-finanziarie, di un ritorno ad essere "cura accessoria, cui dedicarsi nei momenti sereni. Cioè quasi mai e non abbastanza, come è successo per tanti anni". Nel nuovo ministero, poi, la difficoltà di una sola guida politica di elaborare indirizzi idonei per tutte le tre aree che lo avrebbero composto, diverse nelle loro missioni e nelle conoscenze specifiche richieste, avrebbe dato luogo ad una "delega alla burocrazia", ma dei direttori generali, non a quella tecnica dei soprintendenti [11]. A difesa della scelta contenuta nello schema si ricordò invece che il criterio seguito era stato quello dell'accorpamento per "grandi aree d'interesse" di materie omogenee. Cultura, ricerca, istruzione sono "cose diverse, certo, ma innegabilmente connesse tra loro" [12].
Quanto alla soppressione del Mbac a più riprese si sottolineò la "unicità" del patrimonio artistico e culturale italiano nel panorama mondiale, il suo essere risorsa fondamentale per lo sviluppo del paese, la non comparabilità quindi della situazione con quella degli altri Stati dell'Unione europea [13]. La cancellazione del ministero, per tale motivo "inimmaginabile", avrebbe inoltre segnato un ritorno alla "direzione generale Belle arti e antichità", vanificando quegli sforzi che con Giovanni Spadolini avevano condotto nel 1974 alla costituzione del ministero dei Beni culturali e ambientali [14]. In risposta fu fatto presente che nei nuovi dicasteri sarebbero rimasti settori di specificità, che ad essere riordinato era solo il vertice politico, con l'assegnazione di "ministri di gabinetto" ai ministeri di area, ma con la permanenza di responsabili politici ("ministri delegati") per ciascun settore. Nel caso del nuovo ministero per l'Istruzione un ministro di gabinetto avrebbe "coordinato" tre ministri delegati, uno dei quali "della cultura"[15].
Peraltro si replicò che si sarebbe trattato di un ministro di "serie B", aggiungendo l'interrogativo del perché sostituire a un ministro specifico il viceministro di un megaministero[16]. Al che, di rimando, la sottolineatura che lo Stato avrebbe continuato ad occuparsi dei beni culturali, spendendo per la loro gestione l'autorità di un ministro: "Se poi questo partecipa o no a un consiglio ristretto che importanza ha?"[17].
Per completezza, va anche detto che nel dibattito non mancarono richiami alla concezione originaria del ministero come agile strumento tecnico-scientifico e all'opportunità di un alleggerimento delle sue attuali strutture[18].
Come si è ricordato, la delibera preliminare del Consiglio dei ministri del 4 giugno, confermata, sulla scorta dei pareri degli organismi parlamentari, da quella definitiva del 29 luglio tradottasi nel d.lg. 300/1999 [19], ha mantenuto come entità autonoma il Mbac. Di tale soluzione ritengo ci si debba rallegrare.
È fuori discussione che la riduzione del numero dei ministeri, oltre a costituire criterio direttivo della legge di delega (art. 12, comma 1, lett. f)), rappresenti un obiettivo da condividersi. E tuttavia il percorso seguito per pervenire al risultato (per il momento [20]) di dodici ministeri solleva talune perplessità.
Nel pur per molti aspetti apprezzabile lavoro compiuto per l'elaborazione dello schema iniziale di riordino, come pure nel successivo dibattito, non è emersa con sufficiente evidenza una valutazione approfondita in termini di costi-benefici, sia politici sia amministrativi, dell'accorpamento dei ministeri. Di conseguenza non è risultato chiaro fin dove il relativo processo dovesse e potesse spingersi. Detto con altre parole, è rimasto incerto il punto in cui le prevedibili economie di scala, in chiave organizzativa e finanziaria, dell'accorpamento era possibile che fossero superate da fenomeni di disfunzione politica e/o amministrativa. Da ciò alcuni interrogativi: ad es., un accorpamento di ministeri cui necessariamente si leghi un aumento di ministri (sia pure di differenti tipi) in quale misura consegue l'obiettivo dichiarato di una semplificazione del processo di decisione politica, tenuto conto che esso non incide di per sé sul quadro degli schieramenti partitici? Ancora, come gioca la "rarefazione" o all'opposto la "addensamento" della guida politica - ambedue connessi con l'accorpamento - sul corretto esplicarsi del rapporto indirizzo/controllo politico e gestione amministrativa?
In particolare, poi, deve notarsi che quello che ha costituito il vero e proprio leit-motiv della discussione sul riordino, la distinzione fra ministri di gabinetto e ministri delegati, è rimasto - allo stato degli atti - sospeso negli esiti e incerto nei contenuti. Tramontata la costituzionalizzazione del consiglio di gabinetto [21], che avrebbe dovuto definire il rapporto fra tale organo e il consiglio dei ministri [22], non accolta l'idea avanzata dalla commissione Cerulli Irelli di sancire nel decreto di riordino la possibilità di affidare la responsabilità di politiche di settore a ministri secondo moduli distinti rispetto alle articolazioni dei ministeri [23], l'introduzione della doppia figura resta affidata all'approvazione del disegno di legge costituzionale, deliberato il 4 giugno dal Consiglio dei ministri, di modifica dell'art. 95, comma 2, della costituzione. Il disegno, peraltro, nella stesura conosciuta non chiarisce a sufficienza il rapporto fra i ministri preposti a "ministeri" e quelli preposti "a specifiche strutture ministeriali" [24].
Queste zone d'ombra hanno pesato anche sul dibattito in merito alla sorte del Mbac. Nonostante che a più riprese fosse stato sostenuto da esponenti del governo che al settore dei beni e attività culturali sarebbe stato comunque preposto un ministro delegato, si è omesso sempre di precisare di quali spazi di autonomia politica e amministrativa egli avrebbe potuto godere. Non senza ragione si è stigmatizzata come superficiale la qualificazione di tale ministro come ministro di serie inferiore, ma non meno insoddisfacente è apparso il tentativo di risolverne la diversità nella sola non partecipazione ad un organo collegiale.
Al di là della vivacità di taluni accenti, le osservazioni avanzate evidenziavano la condivisibile preoccupazione che non venisse messa in forse la visibilità faticosamente acquisita in questi anni dai beni culturali, la loro non marginalità e diversità rispetto all'istruzione e alla ricerca, la centralità di una politica volta alla loro valorizzazione in quanto risorse importanti del paese. Il non aver chiarito le condizioni di garanzia che rispetto a queste esigenze il progetto di riordino poteva (e doveva) accordare, ha fatto comprensibilmente scattare il timore del déjà vu.
Del resto, anche il ripetuto riferimento all'Europa non ha giocato a favore. La diversità della situazione italiana in tema di beni culturali, la sua innegabile specificità è apparsa (ed è stata riproposta) in tutta evidenza.
Anche, infine, la parte dello schema iniziale - quella dello scorporo - che in astratto meno poteva esporsi a rilievi, dando essa risposta ad un problema reale [25], è sembrata carente nella valutazione delle questioni complessivamente in gioco. A fronte della (presumibile) semplificazione organizzativa e funzionale conseguibile con il trasferimento al nuovo ministero dell'Ambiente delle competenze in tema di beni ambientali, è stato agevole opporre la (almeno altrettanto prevedibile) connessione fra beni culturali e contesto. Sicché la soluzione prospettata sembrava aprire problemi di coordinamento fra apparati, se non pari, di poco inferiori a quelli che intendeva sciogliere. Insomma, una soluzione (almeno quasi) a somma zero, per raggiungere la quale oltretutto il prezzo di un intervento sulla trama delle soprintendenze è parso eccessivo.
5. Le modifiche introdotte dal d.lg. 300/1999 di riordino dei ministeri al d.lg. 368/1998 istitutivo del Mbac
La conservazione del Mbac va, dunque, salutata con favore. Ciò va detto anche in considerazione del complesso delle modifiche introdotte alla disciplina del d.lg. 368/1998 dal d.lg. 300/1999 di riordino, le cui disposizioni si prenderanno ora in esame per gli aspetti concernenti direttamente il ministero.
Il Mbca vede anzitutto confermate le sue attribuzioni, anche sui beni ambientali (cfr. artt. 52, comma 1, 53, comma 1, e 54, comma 3, lett. c)), e assegnate le funzioni finora esercitate dall'apposito dipartimento presso la Presidenza del consiglio in materia di diritto d'autore, disciplina della proprietà letteraria e promozione delle attività culturali (art. 52, comma 2) [26]. Non è stato invece accolta l'ipotesi formulata dalla commissione Cerulli Irelli [27] di trasferire al ministero i compiti di promozione della cultura italiana all'estero, comprese le competenze sull'attività degli istituti italiani di cultura [28].
Di maggiore interesse risultano però le disposizioni sull'organizzazione. Per il livello centrale si conferma l'articolazione per direzioni generali rette da un segretario generale (artt. 3, comma 2, 6, comma 2, e 54, comma 1), mantenendosi, per le une, la previsione del numero massimo di dieci, per l'altro, il quadro delle competenze [29]. Valida ovviamente anche per il Mbac è la disciplina dell'art. 7 del decreto di riordino, relativa agli uffici di diretta collaborazione del ministro, non previsti nel d.lg. 368/1998.
Per il livello periferico, la descrizione contenuta nel decreto (art. 54, comma 2) - arricchita rispetto a quella dell'originario schema [30] - non si discosta nella sostanza da quella contenuta nel d.lg. 368/1998 all'art. 6, comma 2. Il dato significativo è costituito dalle innovazioni recate all'ordinamento delle soprintendenze regionali.
In primo luogo, il relativo incarico perde il carattere "aggiuntivo" che rivestiva rispetto alla posizione funzionale di dirigente "delle sopraintendenze alle antichità e belle arti di cui alla tabella A, quadro I" del dpcm 8 gennaio 1997 (secondo le previsioni dell'art. 7, comma 1, del d.lg. 368/1998). Diventa incarico, per così dire, autonomo, conferibile ai dirigenti individuati secondo i regolamenti di organizzazione di cui all'art. 17, comma 4-bis, della l. 400/1988 (art. 54, comma 3, lett. a)).
Quanto alle funzioni, poi, è rimessa agli stessi regolamenti la possibilità di affidare al soprintendente regionale il coordinamento di attività svolte dal "ministero nella regione", ossia dalle soprintendenze in questa operanti, ulteriori rispetto a quelle indicate dall'art. 7, comma 2, del d.lg. 368/1998 (art. 54, comma 3, lett. b)). Soprattutto, si trasferiscono competenze in precedenza spettanti al livello centrale, che si aggiungono al potere, già previsto, di segnalazione ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione disciplinato dall'art. 31 della l. 1089/1939. In capo al soprintendente regionale viene a radicarsi così la decisione circa l'apposizione del vincolo per le cose e per le collezioni di cose di interesse artistico o storico ai sensi degli artt. 3 e 5 della stessa legge. Potere questo da esercitarsi su proposta dei soprintendenti di settore, che ne cureranno al relativa istruttoria, avviata d'ufficio o su iniziativa delle regioni e degli enti locali ex art. 149, comma 5, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Inoltre, sempre al soprintendente regionale, si attribuisce il potere di integrare l'elenco delle bellezze naturali approvato dalla regione, previsto dall'art. 82, comma 2, lett. a), del decreto del presidente della repubblica 24 luglio 1977, n. 616. Altri poteri, è da pensare ancora decisionali, potranno essere conferiti dai regolamenti di organizzazione (art. 54, comma 3, lett. c)).
Dalle disposizioni appena richiamate risulta un consolidamento del livello regionale dell'articolazione periferica del ministero. Sul piano organizzativo, le soprintendenze regionali acquisiscono una consistenza meglio profilata rispetto a quelle di settore. Su quello funzionale, che giustifica il primo, il consolidamento avviene nei confronti tanto del livello periferico preesistente quanto di quello centrale. In rapporto all'uno, esso opera in termini di poteri di coordinamento da definirsi con regolamenti di organizzazione. Rispetto all'altro, si esprime in parte con il medesimo meccanismo, in parte - rilevante - con l'attribuzione da subito [31] di poteri decisionali. Attribuzione che, nella misura in cui segna un significativo addensamento di competenze sul livello regionale, finisce per accrescere le possibilità di successo dello stesso coordinamento [32]. In termini di fonti normative, è possibile leggere le innovazioni anche in chiave di delegificazione, così come, in termini di distribuzione delle competenze, è d'obbligo rifarsi alla nozione di decentramento. Complessivamente può affermarsi che, per il Mbac, il riordino dell'organizzazione ministeriale, oltre a preservarne l'esistenza, rappresenti, all'interno dell'opzione dualistica praticata dalla l. 59/1997, una spinta nella direzione dello snellimento del suo apparato centrale.
[1] Cfr. i contributi di M. Cammelli, Il nuovo ministero: questioni risolte e problemi aperti e di G. Pastori, Il ministero per i Beni e le attività culturali: il ruolo e la struttura centrale, in Aedon, n.1/1999.
[2] Così si indica nel testo della Commissione parlamentare consultiva in ordine all'attuazione della riforma amministrativa, di cui all'art. 5 della l. 59/1997.
[3] Tutti relativi all'aggregazione al ministero di altre strutture esistenti presso la Presidenza del consiglio, quali ad es. l'ufficio per il Diritto d'autore e la promozione delle attività culturali, cfr. i resoconti delle sedute della commissione svoltesi il 24 settembre e l'8 ottobre 1998.
[4] Così il sottosegretario F. Bassanini, in "Il Messaggero" del 4.5.1999.
[5] Relazione, Parte II, par. 10 e 7.
[6] Cfr., ad es., V. Emiliani, in "l'Unità" del 24.4.1999, M. Fazio, in "La Stampa" del 28.4.1999, il ministro G. Melandri, in "Il Messaggero" del 28.4.1999, e in "l'Unità" dell'8.5.1999, Italia Nostra, Fai e altre associazioni, in "Adnkronos" del 28.4.1999, R. Chiaberge, in "Corriere della Sera" del 27.5.1999.
[7] Cfr. V. Emiliani, in "Il Messaggero" del 3.6.1999.
[8] Cfr. G. Melandri, in "Ansa" del 7.5.1999, e in "l'Unità" dell'8.5.1999.
[9] Cfr. F. Bassanini, in "Il Messaggero" del 4.5.1999.
[10] Cfr. il ministro E. Ronchi, in "il Gazzettino" del 2.6.1999.
[11] Cfr., ad es., F. Isman, in "Il Messaggero" del 25.4.1999, A. Paolucci, in "Il Sole 24 Ore" del 25.4.1999, e in "l'Unità" del 29.4.1999, A. Ronchey, in "Ansa Notiziario beni culturali" del 26.4.1999. Il passo riportato nel testo è comparso in "Qui Touring" luglio-agosto 1999.
[12] Cfr. il ministro A. Piazza, in "Ansa Notiziario beni culturali" del 26.4.1999 e F. Bassanini, in "La Stampa" del 28.4.1999.
[13] Cfr., ad es., W. Veltroni, in "Il Messaggero" del 23.4.1999, V. Emiliani, in "l'Unità" del 24.4.1999, A. Paolucci, in "Il Sole 24 Ore" del 25.4.1999, G. Melandri, in Ansa del 7.5.1999.
[14] Cfr. W. Veltroni, in "Il Messaggero" del 23.4.1999, V. Emiliani, in "l'Unità" del 24.4.1999, R. Chiaberge, in "Corriere della Sera" del 27.5.1999.
[15] A. Piazza, in "La Nazione" del 25.4.1999, S. Cassese, in "Corriere della Sera" del 24.4.1999, F. Bassanini, in "Il Messaggero" del 4.5.1999.
[16] Cfr. F. Isman, in "Il Messaggero" del 25.4.1999, G. Galasso, in "Il Mattino" del 16.6.1999.
[17] F. Bassanini, in "La Stampa" del 28.4.1999.
[18] Cfr., ad es. G.Galasso, in "Il Mattino" del 16.6.1999, e R. Chiaberge, in "Corriere della Sera" del 27.5.1999.
[19] Cfr. l'art. 2 tanto dello schema quanto del decreto legislativo.
[20] Autorevoli esponenti del governo non hanno, infatti, escluso ulteriori approfondimenti sul c.d. ministero del Welfare e la introduzione di modifiche nel decreto, come consentito dall'art. 11, comma 3, della l. 59/1997, cfr. "la Repubblica" e "Il Messaggero" del 30.7.1999.
[21] Cfr. F. Bassanini, in "Il Sole 24 Ore" del 6.6.1999.
[22] Sulla necessità di chiarire tale rapporto cfr. S. Cassese, "Corriere della Sera" del 24.4.1999.
[23] Cfr. Parere allo schema di decreto sulla "Riforma dell'organizzazione del governo" del 23.7.1999, p. 8.
[24] Si parla, probabilmente riferendosi solo ai primi, di "poteri di coordinamento", senza ulteriori precisazioni.
[25] Risposta inoltre in linea con indicazioni dottrinali, cfr., ad es., B. Caravita, Diritto pubblico dell'ambiente, Bologna 1990, p. 92 s.
[26] Cfr. anche l'art. 10, comma 1, lett. e), del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, di riordino della Presidenza del consiglio, che richiama esplicitamente la disposizione citata nel testo.
[27] Cfr. Parere, cit., p. 15.
[28] Su suggerimento della stessa commissione (ivi) la descrizione delle aree funzionali del ministero prevede le attività cinematografiche - in luogo di quelle commediografiche già indicate nel testo del decreto - e quelle dello spettacolo viaggiante.
[29] L'art. 6, comma 2, del d.lg. 300/1999 ricalca pressoché integralmente quanto stabilito dall'art. 5, comma 1, del d.lg. 368/1998. Le ulteriori funzioni previste da quest'ultimo (artt. 3, comma 2, e 5, comma 2) parrebbero compatibili con le previsioni del decreto di riordino, in quanto specificative di esse, e pertanto dovrebbero conservare vigore, anche in considerazione di quanto dispone l'art. 55, commi 3 e 4, del medesimo decreto.
[30] Anche questo su suggerimento della commissione Cerulli Irelli.
[31] La decorrenza dell'operatività delle disposizioni del decreto concernenti il Mbac parrebbe ricadere sotto la disciplina generale fissata dall'art. 55, comma 6, e quindi dover essere fissata con dpcm nell'arco temporale compreso fra l'entrata in vigore del decreto medesimo e la data di nomina del primo governo costituito a seguito delle prime elezioni politiche successive a tale entrata in vigore. Per il trasferimento delle funzioni, con le relative risorse, attualmente svolte dalla Presidenza del consiglio il d.lg. 303/1999 richiede apposito dpcm (art. 10, comma 2).
[32] Possibilità delle quali, in base all'assetto del d.lg. 368/1998, dubitavano non senza ragione L. Bobbio, Lo stato e i beni culturali e G. Pitruzzella, L'organizzazione periferica del ministero e gli attori istituzionali locali in "Aedon", n.1/1999.