1.
Uno dei problemi più rilevanti dellorganizzazione periferica del
ministero per i Beni e le Attività culturali è quello dei rapporti
con le autorità regionali e locali. Le soluzioni in astratto possibili
sono molteplici e si estendono lungo larco delle ipotesi comprese tra il
modello del "federalismo duale" e quello del "federalismo cooperativo".
Il primo, com'è noto, enfatizza la distinzione-separazione di competenze
tra lo Stato e le unità politico-amministrative sub-statali, mentre il
secondo pone laccento sulla costruzione di un sistema di relazioni basato
sullintegrazione funzionale e organizzativa tra i differenti livelli territoriali
di governo.
Il d.lg. 368/1998 espressamente non dice nulla al riguardo,
ma le scelte organizzative da esso adottate devono essere lette alla luce del
d.lg. 112/1998, che ha optato per un sistema
di relazioni tra Stato, regioni ed enti locali che fa coesistere i due principi
della separazione e della cooperazione, applicandoli a campi materiali distinti.
Da una parte, infatti, cè la funzione di tutela dei beni culturali
che è riservata integralmente allo Stato. Il decreto legislativo ha affermato
senza mezzi termini il monopolio statale della funzione di tutela, non dando
alcun seguito a quella indicazione, che pure era presente nel dpr 616/1977,
che avrebbe voluto riconosciuto un ruolo alla regione anche nel campo della
tutela. Dallaltra parte, il decreto ha individuato altri campi materiali,
in cui si esplicano i compiti dei pubblici poteri che affiancano la tradizionale
funzione di tutela risalente alla legge del 1939: la gestione, la valorizzazione,
la promozione dei beni e delle attività culturali.
Queste sono materie a "mezzadria" tra lo Stato, le regioni e gli
enti locali. Anzi si può osservare come in queste materie il decreto
legislativo 112 abbia seguito una tecnica abbastanza peculiare: invece di fissare
un preciso criterio di ripartizione dei compiti tra i diversi livelli territoriali
di governo ha posto laccento sul principio di collaborazione. Del resto,
la Corte costituzionale ha sempre insistito sul fatto che nella materia dei
beni culturali la Costituzione impone la collaborazione tra strutture statali
e locali, per "il perseguimento di un grande obiettivo di civiltà"
(sentenza 921/1988).
Mentre per la gestione sarà la Commissione paritetica
di cui allart. 150 del d.lg.
112/1998 a individuare i beni in relazione ai quali la gestione
è trasferita alle regioni ed agli enti locali, nei campi
della valorizzazione e della promozione le interferenze tra
autorità statali e autorità sub-statali saranno
frequenti e coinvolgeranno innanzi tutto le strutture che formano
lorganizzazione periferica del ministero.
Per tentare di capire come le relazioni Stato-regioni-enti locali potranno
svilupparsi possiamo osservare quanto segue:
2. Quali sono i rischi del sistema che si è molto rapidamente
descritto?
Il ministero ha il monopolio della tutela e le soprintendenze che propongono
(oggi indirettamente, tramite il soprintendente regionale) i provvedimenti di
vincolo possono diventare centri di riferimento di una visione "assolutistica"
dellinteresse pubblico alla mera conservazione fisica del bene, a detrimento
delle spinte alla valorizzazione, alla gestione economica ed alla fruizione
collettiva.
Questo può avvenire perché la funzione di tutela ha una strumentazione
giuridica ben definita, di facile utilizzo e soprattutto che può essere
impiegata unilateralmente dallamministrazione statale senza interferenza
da parte delle autorità regionali e locali.
Lamministrazione statale ha la possibilità giuridica di agire
da sola se si concentra sulla tutela. Daltra parte, poiché le soprintendenze
amministrano anche dei fondi per la manutenzione dei beni e gestiscono dei musei
possono più facilmente diventare un sistema "autoreferenziale",
dominato dalla "cultura della conservazione" e diffidente nei confronti
della valorizzazione, soprattutto se questultima vuole accoppiare cultura
e sviluppo economico locale.
Peraltro, le attuali destinazioni delle risorse stanziate dal bilancio statale
possono incentivare i suddetti orientamenti. Al riguardo può ricordarsi
che, nellesercizio finanziario 1997, gli stanziamenti per la valorizzazione
equivalevano al 13,8% del totale (337,8 mld), mentre quelli per la tutela e
conservazione riguardavano il 71,35% (pari a 1.948,6 mld). In ogni caso, comunque,
si tratta di stanziamenti dotati di elevata rigidità, vista laltissima
incidenza delle spese di funzionamento (il 60,19% del totale dei pagamenti)
e tra essi di quelle per il personale (il 50,98% dei pagamenti).
Invece, le regioni e gli enti locali devono comunque fare i conti con lamministrazione
statale, la quale esercita la tutela anche sui loro beni, autorizza i restauri
e deve essere necessariamente coinvolta nelle stesse attività di valorizzazione
e promozione nel caso non infrequente in cui negli stessi contesti si trovano
a convivere beni dello Stato con beni delle regioni e degli enti locali.
Il punto centrale è che attualmente non ci sono incentivi alla cooperazione.
Il che può significare sacrificio delle esigenze di valorizzazione o
comunque utilizzazione sub-ottimale delle risorse destinate dallo Stato, dalle
regioni e dagli enti locali alla suddetta attività.
Se si prende in considerazione il d.lg. 368/1998, è
facile accorgersi come alcune soluzioni organizzative, allinterno del
quadro descritto, potrebbero rafforzare la separazione tra sfera statale e sfera
regionale e con essa lo sbilanciamento del sistema sul versante della tutela.
Una delle innovazioni più importanti del decreto legislativo consiste
nella possibilità di attribuire lautonomia scientifica, finanziaria,
organizzativa e contabile alle sovrintendenze. Oggi lautonomia dellamministrazione
dalla politica ha una grande forza di suggestione, ma non bisogna dimenticare
due cose. La prima è che storicamente lautonomia delle soprintendenze
è stata invocata a garanzia della separatezza del corpo professionale
dei soprintendenti rispetto alle pressioni degli interessi locali. La seconda
è che lautonomia delle soprintendenze, in passato, è stata
proposta proprio per evitare un consistente trasferimento di funzioni a favore
delle regioni.
Una seconda innovazione riguarda listituzione del soprintendente regionale,
dietro la quale però si cela il mantenimento di unorganizzazione
periferica estremamente frammentata (nelle 17 Regioni poste sotto il controllo
del ministero operano ben 69 soprintendenze).
Frammentazione che, come mette in evidenza Luigi
Bobbio nella sua relazione, difficilmente potrà essere
superata mediante il soprintendente regionale, i cui compiti
di coordinamento, per ora, non si appoggiano ad un robusto armamentario
istituzionale.
Se lorganizzazione periferica è frammentata, stenterà
a divenire sede di analisi e di elaborazione di visioni globali delluso
dei beni culturali in cui si integrino armonicamente tutela, valorizzazione
e promozione. Unorganizzazione frammentata, per forza di cose, tende a
privilegiare lintervento puntuale (tipico dei poteri di tutela) in luogo
del disegno organico di azione.
3. Il d.lg. 368/1998 non si occupa dei rapporti
degli uffici periferici con gli attori istituzionali locali. Il che potrebbe
non essere una cosa così grave se si considera come un eccesso di regolamentazione
delle relazioni tra livelli territoriali diversi di amministrazione può
essere pericoloso.
Gran parte degli studiosi del "federalismo cooperativo" tedesco
concordano sulla circostanza che "linterdipendenza obbligatoria"
(caratterizzata da partecipazione obbligatoria, realistiche possibilità
di "exit", assenza di monopolio decisionale) paga spesso costi troppo
elevati in termini di complessità del processo decisionale, ritardi,
compromessi al più basso livello.
Perciò oggi molti assetti federali, compreso quello tedesco, puntano
su forme di "cooperazione volontaria" basata su: partecipazione volontaria,
realistiche possibilità di "exit", assenza di sanzioni in caso
di raggiungimento dellaccordo. Questi ultimi sviluppi presuppongono la
costituzione di policy communities settoriali, coese e orientate ai risultati,
le quali prendono in carico gran parte delle relazioni tra lo Stato e le unità
sub-statali. Un efficace sistema di relazioni intergovernative, pertanto, è
costituito dallesistenza, a tutti i livelli, di forti burocrazie, capaci
di dialogare tra loro sulla base di valori condivisi, di efficienza e di professionalità.
Inoltre, gran parte degli studi sugli assetti politico-amministrativi federali
mettono in evidenza che questi non sono il prodotto di un modello ideale, bensì
il risultato dellinterazione tra le risorse che i diversi attori sono
in grado di mettere in campo. Tutto ciò, peraltro, è sottolineato
dalla letteratura in materia quando caratterizza gli assetti federali come "equilibri
instabili". Ciò significa che il federalismo in azione è
influenzato più che dal riparto astratto di competenze definito in sede
di prima applicazione, dalla disponibilità di risorse (politiche, finanziarie,
professionali, intellettuali) che i diversi attori coinvolti dalle politiche
di decentramento riescono a giocare ciascuno per rafforzare la rispettiva posizione.
Ma è proprio con riguardo a questi ultimi aspetti che si mostrano le
maggiori debolezze dellassetto delle relazioni tra lorganizzazione
periferica del ministero e gli attori istituzionali locali. Da una parte, ancora
non cè quella omogeneità culturale e professionale tra burocrazie
statali e burocrazie locali, che è indispensabile per creare policy
communities settoriali, né esistono "manager pubblici delle
relazioni intergovernative".
Dallaltra, le regioni, che dovrebbero essere, dopo lo Stato, il "secondo
pilastro" del sistema di amministrazione dei beni e delle attività
culturali, ancora non dispongono di adeguate risorse in termini di legittimazione
politica e di autorevolezza professionale e culturale per conquistare sul serio
il ruolo di partner paritari dello Stato nelle politiche culturali.
Insomma, le politiche di decentramento tipiche degli ultimi, quale che sia
il campo materiale interessato, rinviano ad unico problema di fondo: il decentramento
ed il "regionalismo forte" difficilmente sono il risultato di processi
top-down, che rischiano di essere bloccati dalla forza degli interessi
consolidati e dalla debolezza dei soggetti destinatari delle politiche di decentramento.
Qualsiasi disegno culturale, politico e normativo di valorizzazione delle strutture
politico-amministrative regionali, prima ancora che alla titolarità formale
delle competenze, dovrebbe prestare la massima attenzione alle risorse politiche,
finanziarie e professionali di cui le regioni potranno disporre.