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Testimonianze. Voci dal territorio

La riorganizzazione del ministero della Cultura e il ruolo delle amministrazioni periferiche: un confronto con la Regione Siciliana [*]

di Damiano Pagano [**]

Sommario: 1. La riforma organizzativa del ministero della Cultura. - 2. Il modello del segretariato: una storia tormentata. - 3. I segretariati regionali. - 4. Brevi cenni sulle soprintendenze. - 5. Le altre amministrazioni periferiche del MiC. - 6. La regione siciliana: autonomia e competenze in materia di beni culturali. - 7. L’amministrazione della cultura in Sicilia. - 8. Modello segretariale di fatto? - 9. Il ruolo del personale dell’Amministrazione dei beni culturali ed ambientali. - 10. Le soprintendenze in Sicilia. - 11. Ulteriori peculiarità dell’amministrazione culturale siciliana. - 12. Conclusioni.

L’articolo esamina la recente riforma organizzativa del ministero della Cultura italiano, che ha reintrodotto una struttura dipartimentale in sostituzione del ruolo del segretario generale. Il contributo si occupa di fornire una panoramica storica del modello di segreteria centrale e degli ormai aboliti segretariati regionali. Lo studio analizza così le funzioni delle varie amministrazioni periferiche, con particolare attenzione alle soprintendenze, e discute il loro ruolo nell’attuale quadro di politica culturale. Inoltre, l’articolo offre un’analisi comparativa con l’amministrazione culturale della Sicilia, dove uno statuto speciale conferisce alla regione l’autorità esclusiva in tema di tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale. Il confronto evidenzia differenze significative negli approcci e nelle competenze amministrative, offrendo spunti di riflessione sulle implicazioni dei modelli di governance culturale centralizzati rispetto a quelli decentralizzati.

Parole chiave: ministero della Cultura; amministrazioni periferiche; regione siciliana.

The reorganisation of the ministry of Culture and the role of peripheral administrations: a comparison with the sicilian region
This article examines the recent organizational reform of the Italian ministry of Culture, which reintroduced a departmental structure to replace the role of the Secretary General. It provides a historical overview of the central secretarial model and the now-abolished regional secretariats. The study analyzes the functions of various peripheral administrations, with particular attention to the soprintendenze, and discusses their roles in the current cultural policy framework. Additionally, the article offers a comparative analysis with the cultural administration in Sicily, where a special statute grants the region exclusive authority over the protection and enhancement of cultural heritage. This comparison highlights significant differences in administrative approaches and competencies, offering insights into the implications of centralized versus decentralized models of cultural governance.

Keywords: ministry of Culture; peripheral administrations; sicilian region.

1. La riforma organizzativa del ministero della Cultura

Con il decreto del presidente del Consiglio dei ministri n. 57 del 15 marzo 2024  è stato adottato il nuovo regolamento di organizzazione del ministero della Cultura, degli uffici di diretta collaborazione del ministro e dell’Organismo indipendente di valutazione della performance. Il dispositivo in questione ha modificato sostanzialmente la struttura amministrativa del ministero, con il passaggio al modello dipartimentale che, come già affermato in letteratura, rappresenta per lo stesso il ritorno ad una esperienza passata presto interrotta a causa della eccessiva rigidità della struttura e dell’eccessivo grado di burocratizzazione che l’aveva caratterizzata [1].

L’adozione del modello dipartimentale, infatti, risulterebbe preferibile nei ministeri caratterizzati da competenze e compiti ampi e diversificati, in cui il coordinamento degli uffici dirigenziali generali da parte di un unico soggetto potrebbe risultare complesso e inefficiente. Tale modello consente la presenza di più figure amministrative di vertice, ciascuna responsabile di un dipartimento specifico, garantendo una gestione più agile e una supervisione più efficace delle attività amministrative ministeriali. Il modello dipartimentale, sebbene utile in alcune strutture complesse, non sembra essere la soluzione ideale per l’organizzazione del ministero della Cultura. Le attività del ministero, infatti, non sono talmente diversificate da giustificare la necessità di un’organizzazione a compartimenti separati. Al contrario, un simile approccio potrebbe portare a conflitti di attribuzioni e sovrapposizioni di funzioni, rendendo più difficoltosa la gestione delle risorse e la chiarezza nelle responsabilità. Per garantire un funzionamento più efficiente, sarebbe stato preferibile proseguire con il coordinamento assicurato dalla figura del segretario generale.

Il nuovo regolamento del ministero della Cultura, che è stato pubblicato nella gazzetta ufficiale - serie generale n. 102 del 3 maggio 2024, ha previsto la creazione di quattro nuovi dipartimenti [2] e rimodulato il numero di uffici dirigenziali di livello generale centrali (direzioni generali), passati a dodici - inclusa l’unità di missione per l’attuazione del Pnrr -, e di quelli di livello generale periferici dotati di autonomia speciale, in numero pari a quindici. A tale computo va aggiunta la previsione di un ufficio di livello dirigenziale generale presso il gabinetto del ministro della Cultura.

Il computo totale degli uffici dirigenziali è pari a trentadue uffici di livello dirigenziale generale [3], cui si aggiungono centonovantotto uffici di livello dirigenziale non generale [4].

Nella nuova articolazione organizzativa i dipartimenti, descritti dall’art. 3 del regolamento, si pongono come livello gerarchico intermedio tra la figura del ministro e le direzioni generali, con queste ultime che, dunque, dipendono funzionalmente dai capi dipartimento [5]. Per questi ultimi, inoltre, è stata prevista dall’art. 8 del regolamento la Conferenza dei capi dipartimento, con funzioni di coordinamento, programmazione delle attività amministrative e prevenzione dei conflitti di competenza, presieduta dal ministro e convocata dallo stesso di propria iniziativa o, altresì, su proposta di almeno un capo dipartimento o del capo di gabinetto.

Alle direzioni generali, incardinate nei relativi dipartimenti, si aggiungono gli uffici periferici del ministero della Cultura, così come previsto dall’art. 20 del regolamento e comprendenti: le soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio, le direzioni regionali musei nazionali, i musei, le aree e i parchi archeologici e gli altri luoghi della cultura, le soprintendenze Archivistiche e bibliografiche, gli archivi di Stato, le biblioteche pubbliche statali.

L’adozione della presente struttura organizzativa, che al proprio apice è rappresentata dai quattro capi dipartimento, ha conseguentemente sostituito la conduzione, come vertice amministrativo centrale, da parte del segretario generale e, a livello periferico, abrogato quella da parte dei segretari regionali.

2. Il modello del segretariato: una storia tormentata

Il modello del segretariato ha caratterizzato la struttura amministrativa del ministero della Cultura per diversi anni. Introdotto per la prima volta con il d.lg. 20 ottobre 1998, n. 368 [6] e regolamentato dal d.p.r. 29 dicembre 2000, n. 441, il ruolo del segretario generale prevedeva, tra le sue competenze, il coordinamento dell’azione amministrativa, l’istruttoria per l’elaborazione degli indirizzi e dei programmi di competenza del ministro, il coordinamento degli uffici e delle attività del ministero, nonché la vigilanza sulla loro efficienza e rendimento, con previsione di riferirne periodicamente al ministro. L’impostazione normativa della figura e delle competenze del segretario generale del ministero della Cultura è stata definita anticipatrice della fisionomia del segretario generale definito dal d.lg. 30 luglio 1999, n. 300 [7].

L’efficacia e l’efficienza del modello organizzativo, tuttavia, non può essere basato sull’esclusiva previsione della figura del segretario generale, bensì sulla complessiva articolazione della struttura organizzativa cui lo stesso è preposto. Dunque, è la scelta delle funzioni attribuite alle singole articolazioni - in questo caso le direzioni generali - e sub-articolazioni che, nel complesso, può favorire, o meno, risultati positivi in termini di allocazione delle risorse e di raggiungimento degli obiettivi.

Il modello segretariale ha caratterizzato la struttura organizzativa del ministero della Cultura quasi ininterrottamente dal 1998 ad oggi, ad esclusione di un breve lasso temporale - circa un paio di anni, tra il 2005 e il 2006 - in cui fu adottato l’oggi riproposto modello dipartimentale.

3. I segretariati regionali

Alla struttura amministrativa centrale, a conduzione segretariale, con il d.p.c.m. n. 171/2014 [8] era stata operata la trasformazione delle direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici - di seguito direzioni regionali -, organi periferici del ministero, in segretariati regionali dei Beni e delle attività culturali e del turismo [9]. Questi ultimi, oltre a mantenere specifiche prerogative già attribuite alle direzioni regionali [10], svolgevano altresì funzioni di coordinamento dell’attività delle strutture periferiche del Ministero presenti nel territorio regionale. Il ruolo dei segretariati regionali [11], inoltre, aveva ottenuto, con le modifiche attuate dal d.p.c.m. n. 169/2019 una strutturazione di funzioni e competenze maggiormente efficace [12].

La configurazione di un ufficio periferico del ministero della Cultura con compiti di coordinamento delle ulteriori articolazioni periferiche dell’ente, nel rispetto dell’autonomia di cui sono erano e sono dotati diversi istituti, ben si prestava ad una forma di decentramento che aveva il compito di alleggerire le funzioni degli uffici centrali. A tal proposito, giova ricordare che, come affermato da Casini, la riforma organizzativa del ministero della Cultura del 2019 aveva ridisegnato i segretariati regionali, configurandoli come articolazioni del segretariato generale [13].

La struttura gerarchica, così come proposta, ben si prestava al soddisfacimento di talune esigenze. In primo luogo, la definizione di un assetto verticale certo, con una minore presenza di conflitti di attribuzioni e sdoppiamento di competenze; in secondo luogo, l’attuazione di forme di decentramento regionale che permettevano da un lato un’interlocuzione diretta tra regioni ed enti locali con l’ufficio periferico del ministero, dall’altro la possibilità per le ulteriori articolazioni periferiche di godere di forme di raccordo e coordinamento da parte di un ufficio funzionalmente preposto a tali attività.

Il d.p.c.m. n. 57/2024, oltre a reintrodurre, a livello centrale, i dipartimenti, abrogava i segretariati regionali, non specificando nel medesimo atto normativo le funzioni delle rimanenti amministrazioni periferiche e, dunque, non chiarendo se, e come, le funzioni precedentemente attribuite ai segretariati regionali fossero state attribuite ad altri uffici. Solo a settembre dello stesso anno, con il d.m. 5 settembre 2024 rep. 270 [14], sono state definite le funzioni degli uffici dirigenziali di livello non generale. Nel decreto non è possibile individuare un ufficio periferico con funzioni di coordinamento e monitoraggio di tutti gli altri uffici periferici, tipiche dei segretariati regionali. Dall’analisi del testo normativo si può notare come talune funzioni siano state effettivamente trasferite ad altri uffici periferici, mentre altre siano presumibilmente rientrate, in assenza di specifici riferimenti, in capo alle direzioni generali, con ciò aumentando il grado di verticalizzazione.

4. Brevi cenni sulle soprintendenze

Le soprintendenze possono essere considerate come gli organi periferici per eccellenza del ministero della Cultura, nonché, per necessità di confronto, quelli con cui i cittadini si interfacciano maggiormente. Avendo le stesse numerose competenze in materia di tutela, infatti, spesso il parere vincolante delle soprintendenze è necessario in taluni procedimenti amministrativi [15].

La storia delle soprintendenze è costellata da numerose riforme che ne hanno modificato l’articolazione, il numero e le funzioni.

Uno dei temi maggiormente discussi nell’esistente letteratura [16] riguarda la strutturazione delle soprintendenze per funzioni e competenze [17], nonché le riforme che si sono susseguite nel corso del tempo. Ad opinione di chi scrive, per quanto relativo alle soprintendenze, la riforma più rilevante dell’ultimo decennio è stata quella operata dal decreto ministeriale 23 gennaio 2016 art. 4, comma 2 che, andando a stravolgere la tradizionale suddivisione tematica in soprintendenze Archeologia, soprintendenze Belle Arti e paesaggio e soprintendenze Archivistiche, creava le c.d. soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio [18], unificando, dunque, le funzioni prima esercitate da due diverse soprintendenze, e affiancandole alle soprintendenze archivistiche e bibliografiche [19].

L’unificazione delle funzioni delle soprintendenze Archeologia con quelle delle soprintendenze per le belle arti e paesaggio, così come affermato in letteratura, oltre che a provvedere ad un riordino dettato da esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica, avrebbe potuto “avvicinare” gli enti ad una dimensione maggiormente locale, in quanto, in precedenza, le funzioni tipiche delle soprintendenze archeologiche erano svolte esclusivamente su base regionale. Con l’accorpamento e fusione delle due tipologie di ente, tali funzioni sono state assorbite dalle soprintendenze Belle arti e paesaggio che, al contrario, potevano avere dimensione sia regionale che sub-regionale [20].

Le soprintendenze Archeologia, belle Arti e Paesaggio, articolazioni periferiche della direzione generale Archeologia, belle Arti e Paesaggio, hanno il compito fondamentale di tutelare il patrimonio culturale presente nei territori di competenza. Difatti, la loro attività si concentra sulla protezione e sulla conservazione dei beni archeologici, storici, artistici e paesaggistici, operando secondo le direttive e i programmi impartiti a livello centrale.

Con il d.m. rep. 270 del 5 settembre 2024 il ministero della Cultura ha specificato le competenze di questi uffici dirigenziali di livello non generale. A tal proposito, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, le soprintendenze verificano e dichiarano l’interesse culturale dei beni, istruendo le pratiche necessarie per il riconoscimento e l’adozione delle misure di tutela. Si occupano, inoltre, della catalogazione e dell’inventariazione dei beni culturali, in collaborazione con le regioni e con altri enti pubblici, garantendo che il patrimonio sia adeguatamente documentato e tutelato.

Inoltre, esse concedono l’autorizzazione di opere e interventi sui beni culturali. I soprintendenti valutano e concedono permessi per lavori di qualsiasi natura, purché gli stessi non compromettano il valore storico-artistico del bene; partecipano alle conferenze di servizi per esprimere pareri in materia di tutela, nonché sovrintendono alle attività di verifica preventiva dell’interesse archeologico, disponendo eventuali indagini preventive prima dell’avvio di interventi edilizi o infrastrutturali.

Essi si occupano altresì della conservazione del patrimonio, imponendo ai proprietari di beni culturali, ove necessario, l’adozione delle misure di tutela e protezione richieste dalla legge. In caso di restauri finanziati dallo Stato, le soprintendenze stipulano accordi per stabilire le modalità di accesso del pubblico ai beni interessati dagli interventi. Inoltre, vigilano e assicurano il decoro dei beni culturali. Per una attenta disamina delle competenze attribuite a questi uffici, si rimanda al testo normativo in questione.

Con la soppressione dei segretariati regionali, di cui al paragrafo precedente, le soprintendenze di cui all’allegato 3 del d.m. rep. n. 270/2024, aventi principalmente sede nei capoluoghi di regione, sono state investite di ulteriori competenze. I relativi soprintendenti, infatti, oltre ai compiti già descritti, presiedono le commissioni regionali per il Patrimonio culturale, partecipano alla programmazione degli interventi di tutela e conservazione, stabilendo le priorità di spesa e valutando le richieste di contributo per interventi conservativi. In alcuni casi, tali soprintendenze possono svolgere il ruolo di stazione appaltante per i progetti di restauro e valorizzazione di beni culturali presenti nella regione, nonché assicurano il coordinamento delle strategie regionali per la promozione degli itinerari culturali e per la valorizzazione del paesaggio, lavorando a stretto contatto con le amministrazioni locali.

Dal punto di vista organizzativo, le soprintendenze sono articolate in almeno sette aree funzionali, riguardanti rispettivamente: l’organizzazione e il funzionamento; il patrimonio archeologico; il patrimonio storico e artistico; il patrimonio architettonico; il patrimonio demoetnoantropologico e immateriale; il paesaggio; l’educazione e la ricerca.

In sintesi, si ritiene che le soprintendenze, organismi ministeriali di natura tecnica e non politica, operino un fondamentale ruolo nella tutela dei beni culturali e ambientali, e che tale ruolo andrebbe certamente potenziato e valorizzato. Per converso, è apparso preoccupante il tentativo con cui, tramite l’emendamento 7.26 al d.l. Cultura [21], poi ritirato, si intendeva trasformare il parere delle soprintendenze da vincolante a obbligatorio, rimettendo agli enti locali l’ultima parola su taluni procedimenti autorizzatori e svilendo dunque il ruolo di un presidio di tutela del patrimonio culturale, ambientale e paesaggistico nazionale.

5. Le altre amministrazioni periferiche del MiC

Come affermato precedentemente, il d.p.c.m. n. 57/2024, all’art. 20, così come integrato dal d.m. 5 settembre 2024 rep. 270, ha riscritto l’organizzazione degli uffici periferici del ministero della Cultura, distinguendoli in: soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio; direzioni regionali Musei nazionali; musei, le aree e i parchi archeologici e gli altri luoghi della cultura; soprintendenze Archivistiche e bibliografiche; archivi di Stato; biblioteche pubbliche statali.

Dall’analisi dei testi normativi che hanno riscritto la fisionomia dell’amministrazione culturale periferica è possibile osservare come sia prevalsa la scelta di potenziare il numero di numero di istituti dotati di autonomia speciale e, tra questi, l’attribuzione di tale autonomia anche alle direzioni regionali Musei nazionali. Resta poco chiaro, ad opinione dello scrivente, il motivo di tale decisione, sebbene si ritiene che la presente riforma stia proseguendo sul solco della maggiore autonomia concessa agli istituti e ai luoghi della cultura avviata con la riforma di cui al d.m. 23 gennaio 2016. Sempre con riferimento alle direzioni regionali Musei nazionali, appare illogica, in un’ottica di integrazione strategica e operativa delle funzioni di tutela e valorizzazione, la rimozione, rispetto al d.p.c.m. 169/2019, del punto in cui si garantiva la piena collaborazione con la direzione generale Musei, i direttori dei musei aventi natura di ufficio dirigenziale e le soprintendenze.

Con riferimento a biblioteche e archivi, sono condivisibili le perplessità descritte da Lorenzo Casini relativamente all’indebolimento di archivi e biblioteche [22], le cui direzioni generali, all’interno della struttura amministrativa ministeriale, vengono collocate, nel primo caso all’interno del dipartimento per la Tutela, nel secondo caso all’interno del dipartimento per le Attività culturali, restando dunque escluse dal dipartimento per la Valorizzazione [23]. Per quanto concerne le biblioteche pubbliche statali, viene rimosso il limite di spesa per l’acquisto di beni e servizi, nonché per i lavori sui beni in consegna precedentemente previsto nel d.p.c.m. n. 169/2019.

6. La regione siciliana: autonomia e competenze in materia di beni culturali

Il d.p.c.m. n. 57/2024 e il d.m. 5 settembre 2024 rep. 270 hanno riformato l’organizzazione del ministero della Cultura. Tuttavia, per poter osservare gli effetti di questa riforma, che certamente avrà un impatto sulla domanda e l’offerta di attività culturali, occorrerà attendere. Ciò che è possibile affermare sin da subito è che tale riforma non avrà impatto, almeno direttamente, su alcune regioni italiane. Tra queste la regione siciliana, che può contare su particolari forme di autonomia derivanti dal suo status di regione a statuto speciale. Il carattere di specialità attribuito alla Sicilia ed alle altre regioni a statuto speciale deriva dall’art. 116 della Costituzione italiana, che dispone “forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale[24]. Invero, richiamata la sostanziale differenza che sussiste tra le funzioni di valorizzazione e tutela dei beni culturali, e contrariamente a quanto accade nelle regioni a statuto ordinario [25], nella regione siciliana le materie relative alla valorizzazione e alla tutela dei beni culturali sono di competenza esclusiva regionale. Ciò in quanto l’art. 14 dello statuto regionale, a cui hanno fatto eco alcuni decreti attuativi [26], ha attribuito alla regione tutte le competenze delle amministrazioni statali e periferiche in materia di antichità, opere artistiche e musei, nonché di tutela del paesaggio.

In Sicilia, dunque, per effetto della suddetta forma di regionalizzazione, non sono presenti musei o siti archeologici pubblici gestiti direttamente dal ministero della Cultura, ma solo di carattere e gestione regionale e/o locale. A queste tipologie di gestione si aggiungono, chiaramente, quelle di natura privata o in convenzione pubblico-privato.

Sull’effettivo sfruttamento delle potenzialità derivanti dalle suddette forme speciali di regionalizzazione, si ritiene utile sottolineare come le norme di attuazione degli statuti speciali abbiano prodotto risultati significativamente differenti tra le regioni settentrionali e quelle meridionali, con queste ultime che non hanno saputo cogliere a pieno l’effettivo potenziale del proprio status [27].

7. L’amministrazione della cultura in Sicilia

Il modello organizzativo regionale siciliano ricalca, in più parti, il modello amministrativo ministeriale. La funzione di indirizzo politico-amministrativo è esercitata dall’assessorato dei Beni culturali e dell’identità siciliana, mentre le funzioni amministrativo-gestionali sono esercitate dal relativo dipartimento dei Beni culturali e dell’identità siciliana, al cui vertice è preposto un dirigente generale, e gli uffici ad esso collegati.

Il dipartimento dei Beni culturali e dell’identità siciliana è attualmente articolato in due aree, quarantatré servizi e settantasei unità operative di base [28]. La definizione delle competenze delle diverse articolazioni organizzative è rinvenibile all’interno della l.r. n. 10/2000 [29].

A tal proposito, aree e servizi vengono definite strutture di dimensione intermedia. Alle aree fanno capo funzioni strumentali di coordinamento infrassessoriale e attività serventi rispetto a quelle svolte dalle strutture di massima dimensione e dalle loro articolazioni organizzative. Mentre, in ciascun servizio sono invece aggregate, secondo criteri di organicità e completezza, funzioni e compiti omogenei [30].

Facendo seguito a tale definizione, le aree istituite presso il dipartimento dei Beni culturali e dell’identità siciliana sono quella denominata Affari generali e quella denominata Innovazione, modernizzazione e gestione dei servizi digitali.

I servizi istituiti, invece, di gran lunga maggiori in numero, caratterizzano sia attività incardinate nell’amministrazione centrale dell’assessorato, sia l’attività svolta sul territorio da diversi enti e uffici periferici, tra cui le soprintendenze, i parchi archeologici, le biblioteche regionali, i centri regionali, taluni musei regionali e le gallerie regionali.

L’amministrazione culturale nella regione Sicilia è stata, per certi versi, precorritrice di alcune novità introdotte, solo successivamente, dal legislatore statale. A titolo d’esempio, è stata la regione siciliana, con la l.r. n. 20/2000 [31], a istituire il parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi e a dotare questo ente di autonomia scientifica e di ricerca, organizzativa, amministrativa e finanziaria, e con ciò anticipando, di molto, l’attribuzione di forme di autonomia speciale, da parte dello Stato, a diverse istituzioni culturali, avvenuto solo nel 2014 con la c.d. “riforma Franceschini”. Inoltre, con la predetta riforma, anche il modello delle soprintendenze uniche e territoriali, istituite in Sicilia nel 1977, veniva adottato anche per le soprintendenze statali.

8. Modello segretariale di fatto?

Come affermato precedentemente, le funzioni amministrativo-gestionali dell’assessorato ai Beni culturali e all’identità siciliana sono esercitate dall’omonimo dipartimento. Occorre tuttavia comprendere se questo modello dipartimentale rispecchi, almeno in parte, quello recentemente adottato dal ministero della Cultura. In primo luogo, occorre osservare che la l.r. n. 10/2000, nell’istituire i dipartimenti, aveva previsto che, in una prima fase, vi fosse una totale corrispondenza tra le precedenti direzioni regionali e i nuovi dipartimenti, modificandone, di fatto, solo il nome. Per quanto concerne l’assessorato alla Cultura e all’identità siciliana, è possibile osservare, inoltre, come esso sia caratterizzato dalla presenza di un unico dipartimento e, conseguentemente, da un unico vertice amministrativo [32] con funzioni che tendono a comporre una struttura decisionale per livelli del tutto simile a quella segretariale adottata dal Ministero prima della recente riforma [33].

Dunque, tale configurazione si potrebbe rappresentare un caso sui generis.

Tuttavia, è importante sottolineare come la riorganizzazione per dipartimenti varata con la l.r. 10/2000 e ss.mm.ii. riguardava l’intera amministrazione regionale e, quindi, tutti gli assessorati. Discorso diverso invece per ciò che concerne i ministeri, che possono individualmente modificare la propria struttura amministrativa a seconda di mutate esigenze organizzative o preferenze del vertice di governo [34].

9. Il ruolo del personale dell’amministrazione dei beni culturali ed ambientali

Con la l.r. 7 novembre 1980, n. 116, la regione siciliana riteneva di dover destinare alle attività di valorizzazione e tutela dei beni culturali e ambientali personale con competenze e titoli specifici. A tale scopo, l’art. 17 della suddetta norma istituiva il ruolo del personale dell’amministrazione dei beni culturali ed ambientali, con una precisa classificazione dei ruoli e dei relativi titoli di studio e specializzazione necessari per accedervi. Si ritiene che la previsione di personale con competenze specifiche, tra cui archeologi, storici dell’arte, architetti, naturalisti, etnologi e antropologi, bibliotecari e altri, fosse assolutamente coerente con l’assetto della nuova amministrazione culturale e, soprattutto, delle sue articolazioni periferiche - nel prossimo paragrafo verrà trattato il tema delle soprintendenze e delle sezioni tecnico-scientifiche -, cui erano attribuite funzioni e responsabilità richiedenti bagagli di competenze certamente specifici.

Nei decenni a seguire, tuttavia, la legislazione della regione siciliana ha prodotto una serie di anomalie che, si ritiene abbiano indebolito fortemente l’auspicato modello di gestione specializzata dei beni culturali da parte di professionisti. In effetti, ad una prima lettura della l.r. 10/2000, che ha per di più istituito una inusuale terza fascia della dirigenza regionale, si legge che “per il conferimento di ciascun incarico dirigenziale e per il passaggio ad incarichi dirigenziali diversi, si tiene conto della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare, delle attitudini e della capacità professionale del singolo dirigente, dell’attività svolta, applicando di norma il criterio della rotazione degli incarichi”, e ciò in forza anche di una prevista banca data informativa, istituita presso la presidenza della regione siciliana, contenente informazioni curriculari e professionali dei dirigenti regionali e finalizzata al conferimento degli incarichi. A tal proposito, appare certamente utile per questa trattazione il documento “Restituire ai professionisti competenti la gestione del patrimonio culturale siciliano” [35], redatto e sottoscritto dalla Confederazione italiana archeologi e le associazioni Italia Nostra, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Memoria e Futuro ed Emergenza Cultura. In tale documento viene ripercorsa dai firmatari la travagliata esistenza del ruolo tecnico dei beni culturali e della mancata valorizzazione delle professionalità reclutate mediante apposite procedure concorsuali, che ha portato a forme di disparità tra le professionalità presenti, nonché all’attribuzione di funzioni apicali a soggetti con competenze poco affini agli incarichi di cui erano destinatari.

10. Le soprintendenze in Sicilia

Le soprintendenze per i beni culturali e ambientali vengono istituite, nella Sicilia a statuto speciale, con la l.r. 1 agosto 1977, n. 80 e attuate dalla l.r. 7 novembre 1980, n. 116 che, facendo seguito alla devoluzione di competenze in materia di beni culturali attuata con i d.p.r. 30 agosto 1975, n. 635 e n. 637, prevedevano la creazione di un’amministrazione periferica dell’assessorato dei beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione - oggi assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana.

Le soprintendenze siciliane, istituite in numero pari al numero di province, erano, e sono tutt’oggi, uniche e su base territoriale. Il carattere di “unicità” va rintracciato nel fatto che ciascun ufficio periferico in questione si occupasse, contemporaneamente, della valorizzazione e della tutela di una molteplicità di beni culturali attraverso la previsione di sezioni tecnico-disciplinari e, in particolare, quelle relative a: beni paesaggistici, naturali, naturalistici e urbanistici; beni architettonici; beni archeologici; beni etno-antropologici; beni storici, artistici ed iconografici; beni bibliografici e beni archivistici.

Contrariamente a quanto avviene a livello statale, in cui gli ambiti territoriali delle soprintendenze sono generalmente ampi - da una a quattro province e, nei casi di piccole regioni, uniche a livello regionale -, nella regione siciliana la presenza delle soprintendenze è assicurata in ogni provincia. Tuttavia, tale distribuzione capillare degli uffici sul territorio regionale non implica automaticamente una maggiore efficienza o efficacia delle azioni di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. Nel caso delle soprintendenze siciliane, infatti, le evidenze non sembrano confermare un vantaggio organizzativo o una migliore efficienza rispetto al modello statale, rendendo tale assetto oggetto di riflessione critica.

In un articolo del 2001, Anna Mignosa aveva già evidenziato come non vi fosse particolare criterio o programmazione nella suddivisione dei fondi alle soprintendenze siciliane, le quali riscontravano dunque difficoltà nel porre in essere le azioni e gli interventi programmati. E ciò, da aggiungersi all’eccessivo grado di burocratizzazione e sovrapposizione di competenze che rendevano particolarmente lenta l’attività amministrativa degli organi periferici dell’assessorato ai Beni culturali [36].

In ultimo, il modello della soprintendenza suddivisa per sezioni tecnico-scientifiche è stato stravolto dal decreto del presidente della regione 5 aprile 2022, n. 9, che ha ridotto a sole due le sezioni tecnico scientifiche: una per i beni architettonici, storico-artistici, paesaggistici e demoetnoantropologici; l’altra per i beni archeologici, bibliografici e archivistici. Si tratta di ambiti caratterizzati da un elevato grado di eterogeneità, ai quali si aggiunge la problematica inerente alla direzione delle suddette sezioni, considerando la loro strutturazione complessa e la diversificazione delle professionalità e competenze integrate al loro interno. Il rischio concreto è che queste sezioni “ibride” risultino inefficienti rispetto alla previgente strutturazione e ai loro compiti istituzionali.

11. Ulteriori peculiarità dell’amministrazione culturale siciliana

La questione inerente all’amministrazione periferica assume rilevanza differente se analizzata nel contesto nazionale rispetto a quello regionale siciliano. In virtù dell’ampiezza territoriale nazionale e della distribuzione capillare del patrimonio culturale, è coerente che il ministero della Cultura adotti un modello operativo basato sulla presenza di una rete di uffici periferici, garantendo così una presenza diretta nelle varie realtà territoriali. In Sicilia, invece, tale assetto amministrativo potrebbe risultare superfluo, poiché la prossimità tra l’amministrazione centrale regionale e le istituzioni culturali locali dovrebbe permettere, in linea teorica, un coordinamento più diretto ed efficace.

Tra le peculiarità dell’amministrazione culturale in Sicilia vi è il fatto che, per effetto della competenza esclusiva regionale, la l.r. n. 80/1977 aveva altresì previsto l’istituzione e la normazione del Consiglio regionale per i beni culturali, che potrebbe, in un certo senso, essere considerato la controparte del consiglio superiore dei Beni culturali istituito quale organo consultivo del ministero della Cultura. Il suo scopo era garantire un confronto tra istituzioni politiche, esperti e società civile, attraverso il coinvolgimento di rappresentanti della regione, docenti universitari, ordini professionali, enti locali e associazioni culturali. In origine, il Consiglio aveva il compito di elaborare il piano regionale per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, esprimere pareri su concessioni di scavi, acquisizioni di beni, programmazione museale e gestione del patrimonio. Aveva inoltre una funzione di indirizzo strategico, contribuendo alla definizione delle politiche culturali regionali in modo autonomo e partecipato.

Anche quest’organo, a seguito della l.r. n. 9/2015 ha subito modifiche impattanti. Difatti, è stata ridotta la composizione del Consiglio ad un massimo di quindici membri, adesso nominati con decreto del presidente della regione, su proposta dell’assessore regionale per i beni culturali e l’identità siciliana, previo parere della V commissione dell’Ars e delibera della giunta regionale [37]. Inoltre, la competenza relativa all’elaborazione del piano regionale per la tutela e valorizzazione dei beni culturali viene sostituita, attribuendo al Consiglio il compito di fornire indicazioni.

12. Conclusioni

La presente analisi ci ha permesso di analizzare alcune peculiarità di due diverse tipologie di amministrazione culturale: quella statale, operata dal ministero della Cultura e la sua amministrazione periferica, e quella regionale siciliana in virtù del suo statuto speciale.

La riforma della struttura amministrativa ministeriale porta con sé una serie di criticità. In primo luogo, la reintroduzione della struttura dipartimentale rischierà di produrre conflitti di attribuzioni e di competenza, con probabili effettivi negativi sulla complessiva efficienza dell’amministrazione centrale. La stessa amministrazione centrale, inoltre, potrebbe dover scontare gli effetti della soppressione dei segretariati regionali, la cui funzione di raccordo e coordinamento degli uffici periferici portava con sé vantaggi in termini di decentralizzazione di funzioni e maggiore integrazione strategica nelle funzioni di tutela e valorizzazione sul territorio. Dalla riforma le soprintendenze non subiscono particolari modifiche. Esse rimangono i capisaldi della tutela dei beni culturali sul territorio, con una maggiore attribuzione di competenze alle soprintendenze presenti nei capoluoghi di regione, in precedenza attribuite ai segretariati regionali. Nel complesso, si ritiene che all’integrazione tra le funzioni di tutela e di valorizzazione non sia stata riconosciuta la necessaria importanza.

Sul fronte della regione siciliana, la competenza esclusiva sia in materia di tutela che di valorizzazione dei beni culturali avrebbe potuto, in via potenziale, rappresentare un utilissimo caso studio per valutare l’effettivo potenziale delle forme di regionalizzazione nelle regioni a statuto speciale. In effetti, la Sicilia ha introdotto importanti novità sul fronte dell’amministrazione dei beni culturali, dalle soprintendenze uniche all’autonomia speciale di alcuni istituti culturali, mutuate solo decenni dopo dal legislatore statale. Eppure, nonostante l’innovazione normativa in alcuni ambiti, la competenza regionale sul fronte della tutela ha permesso alla regione siciliana di operare una drastica riduzione delle sezioni tecnico-scientifiche delle soprintendenze, svilendo dunque la specializzazione di ciascuna sezione, e ciò mentre le soprintendenze statali mantengono le previgenti sette sezioni funzionali.

La Sicilia, in virtù del proprio status, avrebbe il potenziale per la creazione di un sistema integrato di valorizzazione e tutela dei beni culturali, con ricadute importanti sul territorio in termini di maggiori domanda e offerta di attività culturali. Tuttavia, gli ultimi anni hanno mostrato un legislatore che ha inteso produrre politiche pubbliche volte perlopiù alla riduzione della spesa pubblica e che hanno indebolito le funzioni regionali di tutela dei beni culturali. Si ritiene, infine, che formazione, competenze e professionalità adeguate e coerenti dei funzionari pubblici chiamati a dirigere soprintendenze, parchi archeologici, musei, biblioteche e ogni altra istituzione culturale rappresentino condizioni imprescindibili per la creazione di sistema culturale efficiente in grado di creare e diffondere valori inestimabili sul territorio.

 

Note

[*] L’articolo restituisce i risultati della ricerca finanziata dall'Unione Europea - NextGenerationEU, Missione 4, Componente 2, nell’ambito del progetto GRINS - Growing Resilient, INclusive and Sustainable (GRINS PE00000018 - CUP E63C22002120006). I punti di vista e le opinioni espresse sono esclusivamente quelle degli autori e non riflettono necessariamente quelle dell'Unione Europea, né può l’Unione Europea essere ritenuta responsabile per esse.

[**] Damiano Pagano, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Economia e Impresa dell’Università degli Studi di Catania, Corso Italia 55, 95129 Catania, damiano.pagano@unict.it.

[1] G. Cosenza, La riforma del Ministero della Cultura. Punti di forza e di debolezza, in Economia della Cultura, 2024, 1, pag. 157 ss.; M. Lunardelli, Le Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., 2022, 4, pag. 1115 ss.

[2] Denominati rispettivamente: dipartimento per l’amministrazione generale (Diag), dipartimento per la tutela del patrimonio culturale (Dit), dipartimento per la valorizzazione del patrimonio culturale (Diva), dipartimento per le attività culturali (Diac).

[3] Una menzione doverosa è quella relativa all’inopportuno declassamento dell’archivio centrale dello Stato, da ufficio dirigenziale di livello generale a ufficio dirigenziale di livello non generale.

[4] Sebbene vi sia stato un aumento di entrambe le categorie di uffici rispetto alla precedente strutturazione amministrativa - da 27 a 32 per gli uffici dirigenziali generali e da 192 a 198 per gli uffici dirigenziali non generali - la riforma, così come confermato dalla ragioneria generale dello Stato, rispetta il principio di invarianza finanziaria.

[5] Ai capidipartimento competono “l’azione generale di direzione, di indirizzo, di coordinamento e di monitoraggio anche sugli uffici di livello dirigenziale generale dotati di autonomia speciale di cui all’articolo 24, comma 2, lettera a), e comma 3, lettera a), afferenti al proprio dipartimento” (art. 3, comma 11, ultimo periodo) del d.p.c.m. n. 57/2024.

[6] L’introduzione della figura del segretario generale era facoltà dei ministeri organizzati per direzioni generali, così come previsto dal d.lg. 30 luglio 1999, n. 300.

[7] M. De Benedetto, Il segretario generale nell’amministrazione centrale, in Dir. pubbl., 2005, 1, pag. 171 ss.

[8] In materia di regolamento di organizzazione del ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del ministro e dell’Organismo indipendente di valutazione della performance, a norma dell’articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89.

[9] Dal punto di vista organizzativo, le direzioni regionali per i Beni culturali e paesaggistici erano uffici dirigenziali di livello generale, mentre i segretariati regionali dei Beni e delle attività culturali e del turismo erano inquadrati come uffici dirigenziali di livello non generale.

[10] Si veda, in tal senso, il disposto dell’art. 20 d.p.r. 10 giugno 2004, n. 173 in materia di “Regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali” (GU n. 166 del 17 luglio 2004 - Suppl. Ordinario n. 126).

[11] Per un breve periodo, con la c.d. “Riforma Bonisoli”, d.p.c.m. n. 76/2019, vengono istituiti segretariati interregionali, detti “distrettuali”, e direzioni territoriali delle reti museali, facendo venir meno la competenza regionale. La suddetta riforma, tuttavia, fu in vigore solo da agosto 2019 a febbraio 2020.

[12] L. Casini, Le metamorfosi del ministero della Cultura e le incongruenze dell’organizzazione amministrativa, in Aedon, 2024, 2, pag. 105 ss.

[13] Sul punto, L. Casini, Le metamorfosi del ministero della Cultura e le incongruenze dell’organizzazione amministrativa, in Aedon, 2024, 2, pag. 105 ss.

[14] Recante disposizioni in materia di “Articolazione degli uffici dirigenziali e degli istituti dotati di autonomia speciale di livello non generale del ministero della Cultura”.

[15] Si pensi, ad esempio, alle autorizzazioni paesaggistiche di cui agli artt. 146 e 149, d.lg. n. 42/2004.

[16] Il tema delle soprintendenze, sia dal punto di vista giuridico che economico, non trova, ad opinione di chi scrive, grande spazio all’interno della ricerca scientifica.

[17] Si leggano, per un maggiore approfondimento, G. Pitruzzella, L’organizzazione periferica del ministero e gli attori istituzionali locali, in Aedon, 1999, 1; C. Barbati, L’amministrazione periferica del Mibac, nella riforma del 2009, in Aedon, 2009, 3; G. Sciullo, La riforma dell’amministrazione periferica, in Aedon, 2015, 1.

[18] Va menzionato, inoltre, il funzionale accorpamento della direzione generale archeologia con la direzione generale belli arti e paesaggio.

[19] La riforma ha tra l’altro istituito, per la prima volta, i musei dotati di autonomia speciale. Nel contesto pre-riforma, i musei statali erano considerati uffici delle soprintendenze. Sul punto, https://www.finestresullarte.info/focus/cos-e-autonomia-musei-cosa-ha-comportato.

[20] G. Sciullo, Direzione generale “unica” e soprintendenze “uniche”, in Aedon, 2016, 1.

[21] L’emendamento in questione, proposto da uno dei partiti dell’attuale maggioranza parlamentare, aveva ricevuto parere negativo, con richiesta di ritiro, da parte del ministero della Cultura.

[22] A tal proposito, si legga L. Casini, Le metamorfosi del Ministero della Cultura e le incongruenze dell’organizzazione amministrativa, cit.

[23] Il d.m. 5 settembre 2024 rep. 270, sia per quanto concerne gli archivi di Stato, sia per le Biblioteche pubbliche statali, menziona una generica funzione di “valorizzazione”.

[24] Il carattere di costituzionalità che assumono gli statuti delle cinque regioni a statuto speciale rappresenta certamente il punto di maggior forza rispetto agli statuti ordinari delle restanti regioni italiane. Questi ultimi, infatti, vengono approvati con legge regionale e sono maggiormente suscettibili di modifica.

[25] Nelle regioni a statuto ordinario, la funzione di valorizzazione è materia oggetto di legislazione concorrente, mentre la funzione di tutela rimane competenza esclusiva dello Stato.

[26] Si vedano, in tal senso, i d.p.r. 30 agosto 1975, n. 635 e n. 637 recanti, rispettivamente, “Norme di attuazione dello statuto della regione siciliana in materia di accademie e biblioteche” e “Norme di attuazione dello statuto della regione siciliana in materia di tutela del paesaggio e di antichità e belle arti”.

[27] S. Pajno S., La Sicilia, ovvero dell’autonomia sfiorita, in Riv. giur. mezz., 2011, 1-2, pag. 519 ss.

[28] Fonte: d.p. 9/2022 regione siciliana.

[29] Concernente norme sulla dirigenza e sui rapporti di impiego e di lavoro alle dipendenze della regione siciliana. Conferimento di funzioni e compiti agli enti locali. Istituzione dello sportello unico per le attività produttive. Disposizioni in materia di protezione civile. Norme in materia di pensionamento.

[30] Definizioni così come da testo normativo.

[31] In materia di istituzione del Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento. Norme sull’istituzione del sistema dei parchi archeologici in Sicilia.

[32] Che non assume il nome di “Capo dipartimento”, come nei ministeri, ma di “Dirigente generale”.

[33] Questa affermazione, chiaramente, deve essere ponderata dalle dovute differenze che sussistono tra una struttura ministeriale, di livello nazionale, ed una struttura assessoriale, di livello regionale.

[34] Ad oggi, infatti, i ministeri italiani non hanno una strutturazione univoca, convivendo contemporaneamente ministeri organizzati per dipartimenti (es. interni, giustizia, salute, infrastrutture e trasporti) o coordinati da un segretario generale quale struttura di vertice (es. turismo, lavoro e politiche sociali, università e ricerca).

[35] Il documento è visionabile al seguente indirizzo: https://www.archeologi-italiani.it/wp-content/uploads/2023/06/Audizione-Commissione-Cultura-ARS.pdf.

[36] Si legga, in tal senso, A. Mignosa, La gestione finanziaria dei beni culturali in Sicilia, in Economia della Cultura, 2001, 3, pagg. 421-428.

[37] Nell’assetto originario della norma, vi era una forte componente politica del Consiglio, accompagnato da una serie di nomine le cui designazioni erano demandate a istituzioni terze. A titolo esemplificativo, ma non esaustivo: le rappresentanze delle organizzazioni dei lavoratori maggiormente rappresentative, degli istituti di alta cultura con sede in Sicilia, del personale scientifico e tecnico delle soprintendenze, eletti uno per ciascuna sezione tecnico-scientifica.

 

 

 



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