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Organizzazione e riorganizzazione ministeriale

Le metamorfosi del ministero della Cultura e le incongruenze dell’organizzazione amministrativa [*]

di Lorenzo Casini [**]

Sommario: 1. Premessa. - 2. Il contesto della ri-organizzazione. - 3. Il nuovo ministero della Cultura... - 4. ...e le sue incongruenze organizzative. - 5. Conclusioni.

The metamorphoses of the Ministry of Culture and the inconsistencies of administrative organization
The article comments on the new organization regulations of the Minister of Culture. The analysis first reconstructs the context of this regulatory intervention and then highlights the inconsistencies of the new institutional design.

Keywords: Ministry of Culture; central administration; organization; cultural heritage.

1. Premessa

Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 marzo 2024, n. 57, il ministero della Cultura ha ricevuto un nuovo assetto organizzativo. È un assetto che modifica in modo importante la struttura venuta delineandosi nelle stagioni di riforma avviate nel 2014 e realizzate fino al 2021 con gli aggiustamenti istituzionali legati all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) [1].

Per comprendere la portata e gli effetti di questa ultima riorganizzazione – la sesta dopo l’istituzione del ministero nel 1974, se si parte dal 1998 e si contano solo quelle più impattanti e non anche adeguamenti conseguenti, spacchettamenti di funzioni, come nel caso del turismo, o cambi di denominazione [2] – è utile soffermarsi su due aspetti. Il primo è il contesto politico-istituzionale di riferimento in cui il regolamento è stato approvato, sia in termini generali, sia con specifico riguardo al ministero della Cultura. Il secondo aspetto concerne le scelte compiute con questo nuovo atto di organizzazione, dove si rintracciano diverse incongruenze normative [3].

2. Il contesto della ri-organizzazione

Prima di soffermarsi su quanto previsto dal d.p.c.m. n. 57 del 2024, è utile, come anticipato, ricostruire il contesto in cui si inserisce questo intervento di riorganizzazione. In particolare, possono essere evidenziati quattro profili.

In primo luogo, anche questa operazione rientra nelle ormai tradizionali azioni di riordino programmate con l’insediamento del nuovo governo, da realizzare con uno strumento ad hoc come appunto il d.p.c.m. È infatti dal 2012 che si fa ricorso a questa soluzione, per numerosi ministeri [4]. In questo caso, rispetto a quanto avvenuto in precedenza, si segnalano tre differenze. La prima è che, diversamente da quanto solitamente avvenuto, è stato previsto il parere del Consiglio di Stato sullo schema di regolamento [5]. La seconda differenza sono i tempi: sono stati impiegati quasi 18 mesi per giungere all’approvazione del regolamento, con tempistiche per certi versi non coerenti con lo spirito dello strumento acceleratorio del d.p.c.m. Nel 2019, per esempio, il regolamento di organizzazione del ministero fu approvato in appena due mesi. La terza differenza, infine, è che il ministero della Cultura ha fatto ricorso per ben due volte a questo strumento semplificato nell’ultimo anno: prima del d.p.c.m. n. 57 del 2024, infatti, nell’ottobre 2023 è stato approvato il d.p.c.m. n. 167 che aveva già introdotto modifiche importanti nell’organizzazione del ministero, con riguardo ai musei e agli istituti dotati di autonomia speciale.

In secondo luogo, questa riorganizzazione si inserisce nell’ambito di un’operazione più ampia, riguardante tutti i ministeri, di aumento delle dotazioni organiche dirigenziali. Con il decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2023, n. 74, sono state incrementate le posizioni dirigenziali di livello generale e di livello non generale dei ministeri: nel caso della cultura, vi è stato un aumento di 5 posizioni dirigenziali di livello generale e di 6 posizioni dirigenziali di livello non generale.

In terzo luogo, la scelta politica di intervenire sull’assetto di vertice dei ministeri, anche riconsiderando le strutture consolidate da tempo, non ha riguardato solo il ministero della Cultura. Nello specifico, anche per il ministero del Lavoro, per quello della Salute e per quello delle Imprese e Made in Italy si è deciso di passare dal modello con Segretario generale e Direzioni generali quali unità di primo livello al modello per Dipartimenti. Su tale cambio di rotta, realizzato con il decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2023, n. 137, si sono già espresse alcune considerazioni in questa Rivista, alle quali si rinvia anche con riguardo allo specifico caso del ministero della Cultura [6]. Qui è sufficiente ricordare che questo tipo di interventi, soprattutto se realizzati a funzioni invariate e a una certa distanza dall’insediamento di un nuovo governo, lasciano pensare più ad azioni di “spoils system” mascherato, o comunque di rinnovo degli incarichi di vertice, invece che a genuini progetti di riassetto.

D’altra parte, nei ministeri organizzati con Segretario generale e Direzioni generali quali unità di primo livello, l’unico modo per poter procedere a un rinnovo importante degli incarichi apicali, fatta eccezione per il Segretario generale da confermare o rinnovare entro 90 giorni dall’insediamento del governo, era quello di trasformarli in strutture articolate in dipartimenti. Tutto ciò trova conferma, del resto, nella norma di legge inserita nel decreto-legge n. 105 del 2023 con cui era stato già inopinatamente previsto che “[g]li incarichi dirigenziali generali e non generali decadono con il perfezionamento delle procedure di conferimento dei nuovi incarichi ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” [7].

In quarto luogo, va considerato che, nell’ottobre 2022, al cambio di Governo, il ministero della Cultura veniva da un lungo e intenso percorso di riforma, avviato nel 2014 e culminato poi nell’approvazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 2 dicembre 2019, n. 169, successivamente integrato nel 2021 con le modifiche necessarie per regolare le strutture del PNRR. Si è trattato di un cammino non breve e non facile, costellato di norme legislative anche per accelerare alcuni processi ed accompagnato da importanti riforme strutturali di settore, come l’introduzione dell’art-bonus, la nuova legge cinema, gli interventi in materia di spettacolo dal vivo, e da azioni di sistema più ampie, come quelle portate avanti durante la pandemia o legate al PNRR.

3. Il nuovo ministero della Cultura...

Con il d.p.c.m. n. 57 del 2024, il ministro della Cultura ha optato perciò per un cambio netto, recuperando una soluzione già fallita in passato per questo ministero, ossia quella del modello dipartimentale. Nel gennaio 2004, questo modello fu introdotto per un breve periodo, anche allora con 4 dipartimenti: beni culturali e paesaggistici; beni archivistici e librari; ricerca, innovazione e organizzazione; spettacolo e sport. Ma il modello venne presto abbandonato, nel 2006, perché ritenuto poco funzionale rispetto ai compiti assegnati al ministero [8].

La nuova struttura avrà quindi 4 dipartimenti, già muniti di acronimo: Dipartimento per l’amministrazione generale (DiAG); Dipartimento per la tutela del patrimonio culturale (DiT); Dipartimento per la valorizzazione del patrimonio culturale (DiVa); Dipartimento per le attività culturali (DiAC). Quanto alla loro articolazione, il Dipartimento per l’amministrazione generale, oltre all’Unità di missione PNRR, ha 4 Direzioni generali: DG Risorse umane e organizzazione; DG Bilancio, programmazione e monitoraggio; DG Affari europei e internazionali; DG Digitalizzazione e comunicazione. Il Dipartimento per la tutela del patrimonio culturale, oltre alla Soprintendenza speciale PNRR e quella speciale di Roma, ha 2 Direzioni generali: DG Archeologia, belle arti e paesaggio; DG Archivi. Il Dipartimento per la valorizzazione del patrimonio culturale ha la DG Musei e 14 musei e parchi archeologici dotati di autonomia speciale di livello dirigenziale generale. Il Dipartimento per le attività culturali ha 4 direzioni generali: DG Spettacolo; DG Cinema e audiovisivo; DG Creatività contemporanea; DG Biblioteche e istituti culturali.

La struttura periferica perde i segretariati regionali, che vengono soppressi. Aumenta sensibilmente il numero di musei autonomi, secondo la scelta che era stata già attuata con il d.p.c.m. n. 167 del 2023: sono ben 60, di cui 14 di livello dirigenziale generale e 46 di livello dirigenziale non generale. Le direzioni regionali musei sono ridenominate “Direzioni regionali musei nazionali”, acquisiscono l’autonomia speciale, ma sono previste per lo più in forma ibrida e condivisa con uno o più istituti autonomi: 7 restano quelle dedicate a una intera regione (Calabria, Campania, Lazio, Lombardia, Sardegna, Toscana, Veneto), mentre le altre 11 fanno capo ad altrettanti istituti autonomi [9].

Il totale degli uffici e incarichi di livello dirigenziale generale è dunque 32 (4 dipartimenti; 12 DG; 15 istituti autonomi; 1 incarico di studio ai sensi dell’articolo 19, comma 10, del d.lg. n. 165 del 2001), mentre nel 2022, all’insediamento del nuovo Governo, gli uffici erano 27. Quanto agli uffici e incarichi di livello dirigenziale non generale, l’aumento complessivo è da 192 a 198.

4. ...e le sue incongruenze organizzative

Il nuovo assetto del ministero mostra alcune contraddizioni, anche rispetto a quello precedente, con tratti sia di forte continuità e potenziamento (si pensi al ruolo e al numero dei musei autonomi, che addirittura guadagnano un dipartimento a essi dedicato), sia di netta discontinuità (è il caso, per esempio, della soppressione della DG Educazione, ricerca e istituti culturali e della DG Sicurezza del patrimonio culturale).

Le incongruenze di questa normazione amministrativa non sono poche.

In linea generale, si registra innanzitutto la non corretta attuazione del modello dipartimentale, confermata dalla creazione da un dipartimento con compiti esclusivamente strumentali. Come noto, l’architettura per dipartimenti dovrebbe avere presso ciascun dipartimento la presenza sia di uffici con compiti finali, sia di uffici con compiti strumentali. Viceversa, qui viene creato un dipartimento organizzativo dove sono collocati tutti gli uffici strumentali del ministero. È però questo un problema generalizzato, riscontrabile anche negli altri ministeri articolati in dipartimenti. È chiaro, comunque, che attuando il modello dipartimentale in questo modo falsato, che di fatto riproduce quello con Direzioni generali quali unità di primo livello, si realizza una complicazione organizzativa con aumento delle linee di comando.

Altre incongruenze riguardano poi i profili funzionali, in particolare al centro.

In primo luogo, il d.p.c.m. segue una classificazione delle funzioni molto rigida, per certi versi non più attuale e comunque parziale. La distinzione tra tutela e valorizzazione, per esempio, è usata in modo artificioso ed errato: va infatti ricordato che, per un verso, alle soprintendenze spettano anche compiti di valorizzazione, soprattutto di beni privati; per altro verso, musei e istituti autonomi sono innanzitutto luoghi di tutela, conservazione, ricerca, oltre che di valorizzazione intesa come promozione della conoscenza e dello sviluppo della cultura. Analogamente, non si comprende perché gli archivi sono inquadrati nella tutela, ma non nella valorizzazione, mentre le biblioteche trovano una ulteriore diversa collocazione nel Dipartimento per le attività culturali. In altri termini, il quadro generale delle funzioni identificate con i dipartimenti evidenzia una particolare attenzione, quasi eccessiva, verso i musei, ma un indebolimento del ruolo degli istituti, come archivi e biblioteche. Tale impostazione viene altresì confermata nel modo in cui sono soppressi e riorganizzati i comitati tecnico-scientifici, che si riducono da 7 a 5: sono accorpati quelli in materia di archeologia, belle arti e paesaggio (erano separati dal 1975) e il comitato per i musei e l’economia della cultura viene ridenominato per i musei e la valorizzazione. Allo stesso tempo, un uso ancora diverso del termine valorizzazione – e per certi versi poco in linea con l’evoluzione di questa funzione [10] – è presente nel nuovo Istituto centrale per la valorizzazione economica e la promozione del patrimonio culturale, sulla cui utilità restano molti dubbi.

In secondo luogo, va osservato che non tutte le funzioni trovano poi collocazione nelle Direzioni generali, ma vi sono anche attività che sono attribuite direttamente ai dipartimenti. È quanto avviene, per esempio, per le funzioni in materia di diritto d’autore, che non sono affidate alla DG Biblioteche e istituti culturali, perché restano attribuite direttamente al Capo del dipartimento. Tale scelta conferma che il nuovo modello determinerà una inevitabile moltiplicazione delle strutture, imponendo la creazione di uffici adeguati sia a livello di dipartimento, sia naturalmente a livello delle singole direzioni generali.

In terzo luogo, si registra una certa ipertrofia dei compiti strumentali. Il nuovo Dipartimento amministrazione generale, infatti, si articola addirittura in 4 DG, quando la struttura precedente aveva solo due DG con compiti strumentali, una per il bilancio e l’altra per l’organizzazione. Per quanto si tratti di compiti importanti, un totale di 5 strutture di livello dirigenziale generale per queste attività appare molto alto e suscita alcune perplessità. Viceversa, nel caso dei musei, viene creato un dipartimento di fatto articolato in una sola DG.

In quarto luogo, non del tutto lineare appare la logica in base alla quale si è scelto di mettere mano agli istituti centrali, per esempio declassando l’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale-Digital Library a ufficio dirigenziale di livello non generale: così facendo, viene meno il collegamento tra i diversi istituti di catalogazione realizzato a partire dal 2019.

Se si considera poi l’amministrazione periferica, anche qui non mancano ulteriori incongruenze.

Innanzitutto, come anticipato, scompaiono i segretariati regionali, che pure nel 2019 avevano trovato una sistemazione più organica ed efficace. Allora vennero infatti disegnati come articolazioni del Segretariato generale e ai titolari di questi uffici venne riconosciuta la fascia retributiva più alta rispetto alla posizione. Ciò nonostante, con il d.p.c.m. n. 57 del 2024 sono soppressi questi uffici, a vantaggio di una struttura molto più verticale. Restano aperti alcuni interrogativi, quindi, sulle capacità che avrà il nuovo ministero di assorbire le funzioni che, da quasi trent’anni oramai, ossia da quando nacque la figura del soprintendente regionale prima, seguita poi da quella del direttore regionale e dal quella del segretario regionale, erano svolte da strutture periferiche di servizio. Il riferimento è alla gestione del personale e degli uffici, al ruolo di stazione appaltante, così come al coordinamento degli uffici del ministero presenti in una regione. Verosimilmente, questi compiti saranno affidati a una soprintendenza, come avvenuto già per la presidenza delle commissioni regionali; ma ciò trasformerà la natura di questi uffici periferici, spesso neanche dotati di adeguato personale amministrativo.

Viene poi potenziata la rete degli istituti autonomi, come visto, in linea di continuità con la riforma dei musei statali avviata nel 2014. Le novità più importanti qui sono due.

La prima è il significativo aumento di musei e istituti dotati di autonomia speciale, sicché può rilevarsi che le nuove caselle disponibili di uffici di livello dirigenziale non generale – sia perché previste dalla legge, sia perché recuperate dalla soppressione di altri uffici, come i segretariati regionali – sono state impiegate pressoché tutte per musei. Sarebbe stato preferibile procedere con maggior gradualità, magari distribuendo queste posizioni anche per gli altri due tipi di istituti della cultura, ossia archivi e biblioteche, settori che escono viceversa mortificati da quest’ultima riorganizzazione del ministero (poco comprensibile il declassamento dell’Archivio centrale dello Stato, che nel 2019 aveva potuto finalmente recuperare lo status di ufficio dirigenziale di livello generale).

La seconda novità riguarda le direzioni regionali musei, come visto ridenominate “Direzioni regionali Musei nazionali”. Qui la scelta è stata di dotare anche questi uffici di autonomia, la medesima di cui godono musei e parchi archeologici. Era un tema in discussione da tempo. Tra i motivi che avevano sempre portato a evitarlo vi erano i rischi di creare residui passivi, ritardare i trasferimenti di risorse e configurare questi uffici come poli museali e non come uffici di servizio finalizzati ad attivare nuove strutture autonome. Su questo, il d.p.c.m., compie una scelta netta, aumentando il numero di istituti autonomi, privilegiando il modello ibrido di direzione regionale e così configurando questi uffici come ulteriore strutture con autonomia speciale. Resta la questione della sostenibilità economico-finanziaria di questi sistemi, soprattutto con l’ulteriore incremento di istituti autonomi.

Infine, vanno menzionate le soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio, perché per la prima volta dal 1975 questi uffici scompaiono dal regolamento di organizzazione del ministero. Va infatti rilevato che, sebbene si tratti di uffici di livello dirigenziale non generale e dunque possono correttamente trovare disciplina nei decreti ministeriali di natura non regolamentare attuativi del regolamento di organizzazione, l’importanza di questi uffici aveva fatto sempre sì che essi fossero disciplinati già nel regolamento. Stesso trattamento era stato riservato alle altre strutture periferiche del ministero, come soprintendenze archivistiche, archivi, biblioteche e musei, che dal 2014 avevano tutti trovato spazio nel regolamento. Il d.p.c.m. n. 57 del 2024 prende una strada diversa, eliminando così gli articoli dedicati alle soprintendenze e agli uffici periferici del ministero, ora solamente elencati.

5. Conclusioni

In definitiva, la riorganizzazione del ministero della Cultura non sembra priva di problemi funzionali.

L’impatto delle riforme realizzate nel periodo 2014-2022 su strutture, procedure e personale è stato profondo, con difficoltà attuative in pressoché ogni ambito. Vi erano quindi questioni ancora aperte, ovviamente, anche sotto il profilo organizzativo. A titolo di esempio, alcuni temi rimasti ancora non pienamente risolti riguardavano il ruolo, la consistenza e il regime delle direzioni regionali musei (già così ridenominate nell’ottobre 2019 perché la dicitura “poli museali regionali” aveva creato equivoci sulla natura di questi uffici periferici della DG Musei); l’effettivo peso dei segretari regionali, resi sì più efficienti nel 2019, ma comunque ritenuti ancora fragili come uffici di coordinamento; il rapporto tra DG Musei e musei dotati di autonomia speciale di livello dirigenziale generale.

Un nuovo intervento organizzativo avrebbe quindi potuto innanzitutto concentrarsi su questi aspetti, nella logica del “learning by experience” che aveva fino ad allora caratterizzato gli interventi di riforma [11]. Tuttavia, la scelta attuata con il d.p.c.m. n. 57 del 2024 è stata più radicale, con un intento in parte demolitorio dell’impianto precedente e non privo, purtroppo, di incongruenze. E, sotto questo aspetto, i rilievi mossi dal Consiglio di Stato in sede consultiva rispetto alla totale assenza di analisi di impatto della regolamentazione sono pienamente condivisibili.

La dipartimentalizzazione, così come configurata, porterà a un aumento delle linee di comando, con però una struttura periferica più fragile e con minori strumenti di coordinamento. Settori come archivi e biblioteche escono indeboliti, così come perdono rilievo gli istituti, al di fuori dei musei che sono però isolati in un raddoppio delle strutture di coordinamento (dipartimento e DG). Tutta l’attività di formazione e di ricerca, in particolare tramite le scuole d’alta formazione del ministero, sembra essere scomparsa.

Per certi versi, il d.p.c.m. n. 57 del 2024, sia per l’uso vecchio e poco appropriato delle espressioni tutela e valorizzazione, sia per il recupero del modello dipartimentale, sembra più proiettato verso il passato che nel futuro. In qualche misura, alcune scelte ricordano il tentativo che avvenne nel 2009, quando tardivamente il ministero attivò la Direzione generale valorizzazione, poi soppressa nel 2014. Poco comprensibile anche la decisione di collocare la parte sugli uffici di diretta collaborazione in fondo, dopo quella sull’amministrazione, invertendo così la logica della piramide ministeriale di origine napoleonica a discapito della chiarezza organizzativa.

Naturalmente nessuno può o vuole sostenere che il ministero post-riforma Franceschini non richiedesse aggiustamenti organizzativi. Come sopra ricordato, sono diverse le azioni che si sarebbero potute compiere: potenziare uffici e compiti del Segretariato generale, sul modello dell’impostazione del 1998 che a sua volta aveva preso spunto dal ministero francese; migliorare i compiti di coordinamento dei segretariati regionali; rafforzare i settori degli archivi e delle biblioteche; migliorare le funzioni di coordinamento nel settore dei musei.

Con il d.p.c.m. n. 57 del 2024, però, si è scelta una via diversa, di maggiore rottura, anche tornando indietro su temi dove il ministero negli ultimi anni aveva fatto progressi importanti, come la formazione o gli interventi nelle periferie urbane e nel contemporaneo. Di fronte alle non poche incongruenze organizzative sopra evidenziate, l’auspicio è che i nuovi dirigenti finalmente selezionati con il primo corso-concorso dedicato al personale del ministero e il nuovo personale possano, come sempre, superare il gioco del “lego” istituzionale e delle etichette organizzative e dare attuazione all’intero dettato dell’articolo 9 Cost. [12].

 

Note

[*] Attualità – Valutato dalla Direzione.

[**] Lorenzo Casini, professore ordinario di Diritto amministrativo nella Scuola IMT Alti Studi di Lucca, Piazza S. Ponziano 6, 55100 Lucca, lorenzo.casini@imtlucca.it..

[1] L. Casini, Il ministero della Cultura di fronte al PNRR, in Aedon, 2021, 2, pag. 72 ss.

[2] C. Barbati, I soggetti, in C. Barbati et al., Diritto del patrimonio culturale, II ed., Bologna, Il Mulino, 2020. Una ricostruzione delle diverse riorganizzazioni del ministero prima delle riforme del 2014 è anche in R. Cecchi, Abecedario. Come proteggere e valorizzare il patrimonio culturale italiano, Milano, Skira, 2015, pag. 52 ss.

[3] M.S. Giannini, Le incongruenze della normazione amministrativa e la scienza dell’amministrazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1954, pag. 286 ss., ora anche in Id., Scritti. III. 1949-1954, Milano, Giuffrè, 2003.

[4] Una visione d’insieme in C. Martini, La riforma dei ministeri nell'ambito della "spending review", in Aedon, 2014, 2.

[5] Cons. St., sezione consultiva per gli affari normativi, 9 febbraio 2024, n. 132.

[6] L. Casini, Cultura e pubbliche amministrazioni nel “decreto giustizia”: tra riorganizzazioni e spoils system, in Aedon, 2023, 2, pag. 304 ss.

[7] Articolo 10, comma 2.

[8] M. Cammelli, La riorganizzazione del ministero per i Beni e le Attività culturali (d.lg. 8 gennaio 2004, n. 3), in Aedon, 2003, 3.

[9] Le Residenze reali sabaude, Piemonte; i Musei nazionali di Genova, Liguria; il Museo storico e il Parco del Castello di Miramare, Friuli-Venezia Giulia; i Musei nazionali di Bologna, Emilia-Romagna; i Musei nazionali di Perugia, Umbria; il Palazzo ducale di Urbino, Marche; il Pantheon e Castel Sant'Angelo, città di Roma; i Musei archeologici nazionali di Chieti, Abruzzo; il Parco archeologico di Sepino e il Museo Sannitico di Campobasso, Molise; il Castello Svevo di Bari, Puglia; i Musei nazionali di Matera, Basilicata.

[10] Su cui, da ultimo, F. Caporale, La valorizzazione dei beni culturali, Napoli, Editoriale scientifica, 2024.

[11] Il riferimento è al modello britannico del XIX secolo descritto da O. MacDonagh, The Nineteenth-Century Revolution in Government: A Reappraisal, in Hist. J., 1958, I, pag. 56 ss., qui pag. 58.

[12] G. Sciullo, Il 'Lego' istituzionale: il caso del Mibac, in Aedon, 2006, 3.

 

 

 



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