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Beni culturali: valorizzazione e fruizione

Metropolitan Museum of Art vs. Gallerie degli Uffizi. Spunti di riflessione su mecenatismo culturale e musei

di Federico Falorni [*]

Sommario: 1. Premessa: il Met quale “benchmark”? - 2. “Modello americano” v. “Modello europeo-continentale”. - 3. L’apertura ai privati e gli interventi del legislatore italiano: la riforma dei musei e l’introduzione dell’art bonus. - 4. I “numeri” del Metropolitan Museum of Art e delle Gallerie degli Uffizi. - 5. Oltre le agevolazioni fiscali: i fattori dietro al successo del mecenatismo culturale negli Stati Uniti. - 6. Le tariffe d’ingresso per i “residenti”. - 7. L’attenzione verso il fundraising ed il Met Gala quale esempio virtuoso. - 8. Considerazioni conclusive.

Metropolitan Museum of Art vs. Gallerie degli Uffizi. Ideas for reflection on cultural patronage and museums
The article focuses on cultural patronage and museums funding, moving from a comparison between the Metropolitan Museum of Art and the Uffizi Galleries. Despite the recent reform of museums and the introduction of fiscal breaks to incentivize donations in Italy, the analysis of these institutions reveals that considerable differences remain regarding the involvement of private resources, especially those from individuals, in financing museums. The experiences of the Metropolitan Museum of Art and the Uffizi Galleries are useful in order to find out the reasons: these can be identified - just to mention some of them - in the different genesis and functions historically acknowledged to museums; in the role of museums to the service and the development of the society (ticketing and admission policies of the Metropolitan Museum of Art are illustrative); in the American philanthropic culture and in the importance of fundraising initiatives in U.S. museums (of which, the Met Gala is a clear example).

Keywords: museums; cultural heritage; patronage; museums funding; MET; Uffizi.

1. Premessa: il Met quale “benchmark”?

Italy is turning to the private sector to try to increase the profitability of some of its cultural treasures, including the Uffizi gallery in Florence and Borghese gallery in Rome. Under a new initiative, Italy’s cultural centres are likely to begin to look more like other great museums around the world, including the Metropolitan Museum of Art in New York, by opening more restaurants, gift shops, ticket booths, guides, and other tourist-friendly additions that can start generating bigger profits” (The Guardian, 21.12.2014) [1].

In questi termini si esprimeva Stephanie Kirchgaessner, corrispondente negli Stati Uniti del quotidiano The Guardian, commentando le riforme adottate in Italia con il d.p.c.m. n. 171/2014 (che, tra le altre cose, ha innovato il regime giuridico dei musei) e con il d.l. n. 83/2014, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge n. 106/2014, (il cui articolo 1 costituisce un’importante disposizione in tema di agevolazioni fiscali ed elargizioni liberali) [2]: viene veicolata l’idea che, nella riorganizzazione delle istituzioni museali italiane, l’ordinamento statunitense ed, in particolare, alcune realtà ivi presenti, costituiscano una fonte di ispirazione. Tra queste, merita senz’altro di essere menzionato il Metropolitan Museum of Art di New York, che, da un lato, è esemplificativo delle significative peculiarità statunitensi (anche) per quel che concerne i musei e, più in generale, il patrimonio culturale [3]; dall’altro lato, è stato individuato quale “benchmark”, quale buona pratica da cui prendere spunto per la riforma dei musei anche nel nostro Paese [4].

A distanza di qualche anno dall’adozione del d.p.c.m. n. 171/2014 e del d.l. n. 83/2014 (oltre che del d.l. n. 91/2013, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge n. 112/2013), le affermazioni sinteticamente richiamate meritano di essere approfondite. La verifica in merito alla loro reale portata rappresenta l’oggetto del presente contributo. In particolare, la riflessione ha origine dal raffronto tra il Metropolitan Museum of Art, a New York, e le Gallerie degli Uffizi, a Firenze. Muovendo da due esperienze concrete, l’elaborato si pone i seguenti obiettivi: valutare i risultati della riforma italiana, soprattutto in termini di coinvolgimento e di contributo dei privati (qui, intesi sia come persone fisiche, sia come persone giuridiche, sia come imprese) [5] al sostentamento dei musei; registrare eventuali convergenze tra due istituzioni che tradizionalmente hanno seguito modelli distinti, ovvero verificare il persistere di divergenze e cercare - quanto meno nei tratti essenziali - di individuarne i motivi.

Non sfugge a chi scrive che il confronto tra le Gallerie degli Uffizi e il Metropolitan Museum of Art potrebbe suscitare qualche perplessità: relativamente ai musei, al loro finanziamento ed alla gestione museale, Italia e Stati Uniti presentano tradizionalmente profonde differenze, tali da far dubitare, almeno a prima vista, dell’effettiva utilità di una loro comparazione. John Henry Merryman, nel definire il concetto di “art system” [6], che racchiude “art players” [7], “art supporters” [8] e un “paradigm” [9], individua due distinti modelli: un “public paradigm” ed un “private paradigm”. Il primo, di cui è espressione il sistema museale italiano, “builds down from the government”; il secondo, che si rinviene nell’esperienza statunitense, “builds up from a base of individual collectors” [10]. Invero, da un lato, in Italia i musei sono prevalentemente pubblici: secondo le ultime rilevazioni da parte di ISTAT, infatti, sono presenti 4.889 tra musei, gallerie, complessi monumentali e parchi archeologici, dei quali 3086 sono di appartenenza pubblica (suddivisi in statali, comunali, di altri enti pubblici, delle università, delle regioni e delle province) e 1803 di proprietà privata [11]. Dall’altro lato, negli Stati Uniti, “the only, true example of a basically private art system” [12], i musei, per lo più istituiti a partire dalla fine del XIX secolo, grazie all’iniziativa ed alle donazioni di privati cittadini, in risposta alla rapida crescita culturale sul continente europeo, e divenuti ben presto un complesso tra i più prestigiosi al mondo, sono per lo più organizzazioni private, autonome, indipendenti, senza finalità di lucro [13]. Anche per quel che riguarda la gestione, le divergenze sono storicamente evidenti: tendenzialmente pubblica, in Italia; privata, salvo rare eccezioni, negli Stati Uniti [14].

Ciò nonostante, si ritiene che un confronto tra il Metropolitan Museum of Art e le Gallerie degli Uffizi abbia una sua ragion d’essere, in virtù dei connotati delle due istituzioni.

Il Met, inaugurato nel 1872, deve la propria origine all’intuizione di John Jay II, che, a Parigi, in occasione della celebrazione del novantesimo anniversario dell’indipendenza statunitense, nel 1866, manifestò l’intento “for the American people to lay the foundation of a National Institution and Gallery of Art” [15]. Benché l’iniziativa e le risorse per la sua istituzione provengano da privati e benché sia oggi un ente privato no profit, il Met è nato, tuttavia, dall’associazione tra pubblico e privato: esso, infatti, fa parte del Cultural Institutions Group, un’entità che raccoglie 32 istituzioni artistiche e culturali della città di New York, sorte grazie alla collaborazione con la città medesima e che da essa ricevono una porzione delle risorse per il loro sostentamento [16]. In particolare, per quel che riguarda il Met, la cui realizzazione è stata autorizzata con l’Act of Incorporation del 13 aprile 1870, la città di New York possiede gli edifici, costruiti con fondi pubblici e sul suolo pubblico, e contribuisce a parte delle spese correnti, per la manutenzione e la custodia, per il riscaldamento e per la sicurezza. Dunque, il Metropolitan Museum of Art presenta non trascurabili elementi pubblicistici, al punto che, nel peculiare panorama statunitense, esso viene considerato “a public museum” [17].

Di contro, le Gallerie degli Uffizi sono un museo pubblico statale e rientrano oggi fra i musei di rilevante interesse nazionale, ai quali - prima ai sensi dell’art. 30, comma 3, del d.p.c.m. n. 171/2014; poi, in virtù dell’art. 29, comma 3, del d.p.c.m. n. 76/2019; e, oggi, ex art. 33, comma 3, del d.p.c.m. n. 169/2019 - è stata riconosciuta autonomia speciale: esse sono dotate di “autonomia scientifica, finanziaria, contabile e organizzativa” [18]. Si ritiene - salvo, poi, riprendere il discorso nei paragrafi successivi - che il riconoscimento di una speciale forma di autonomia sia stato il presupposto per cercare di intraprendere una nuova fase, nei rapporti tra il museo ed i privati.

Di qui, la giustificazione - almeno su un piano teorico - del raffronto tra il Metropolitan Museum of Art e le Gallerie degli Uffizi: il primo, pur caratterizzato da un’impostazione privatistica, anche nella gestione, presenta comunque una connotazione pubblicistica; le seconde, per effetto delle disposizioni richiamate, godono di significativi margini di autonomia, anche al fine di ricercare e di perseguire un maggior coinvolgimento dei privati. Insomma, una tenue convergenza, che - ad avviso di chi scrive - rende questo confronto meritevole di essere indagato.

Un’ulteriore considerazione di carattere preliminare si ritiene doverosa: è noto che, negli ultimi anni, il Metropolitan Museum of Art stia attraversando una situazione non rosea dal punto di vista finanziario; condizione, peraltro, notevolmente accentuata dall’emergenza pandemica e dalle relative conseguenze, in termini di minori entrate, dovute ai periodi di chiusura ed al minore flusso di visitatori [19]. Non a caso, con la risoluzione del 15 aprile 2020, non unanimemente apprezzata [20], l’Association of Art Museum Directors ha mutato le politiche in tema di deaccessioning, proprio al fine di fronteggiare la crisi generata dalla pandemia da Covid-19, che ha colpito i musei statunitensi: per una finestra temporale di due anni (e, quindi, fino ad aprile 2022), ai musei in difficoltà era consentito di vendere le proprie opere, non solo per implementare le rispettive collezioni, ma anche per far fronte alla “direct care” delle collezioni già esistenti [21]. Il Metropolitan Museum of Art, pur non senza suscitare critiche ed indignazione in alcuni [22], ha accolto con favore tale opportunità [23], potendo così disporre, per l’anno finanziario che si è chiuso al 30 giugno 2022, di 7.186.078,80 dollari da destinare alla “direct care” del proprio patrimonio artistico e derivanti dalla cessione di opere d’arte [24]. Tra l’altro, si segnala per completezza che, con un’ulteriore risoluzione del 30 settembre 2022, l’Association of Art Museum Directors ha introdotto, in via definitiva (estendendola oltre il limite biennale), la possibilità di destinare i proventi delle attività di deaccessioning anche alla “cura diretta” delle collezioni, modificando la regola n. 25 del Regolamento inerente alle pratiche professionali dei musei d’arte e fornendo una definizione di “direct care” [25].

Pur nella consapevolezza delle attuali difficoltà finanziarie del Metropolitan Museum of Art, si ritiene comunque che esso rappresenti, per l’osservatore italiano, un buon punto di partenza per riflettere, anche nel nostro ordinamento, su un maggior coinvolgimento dei privati nel finanziamento delle istituzioni museali.

2. “Modello americano” v. “Modello europeo-continentale”

Stati Uniti ed Italia presentano storicamente significative differenze anche per quel attiene alle fonti di finanziamento dei musei: è possibile distinguere tra il modello americano, seguito negli Stati Uniti, e quello europeo-continentale, adottato, tra l’altro, anche in Italia [26].

Il sistema statunitense è stato definito “complex, decentralized, diverse and dynamic” [27]: in linea di principio, esso combina l’intervento pubblico, federale, statale e locale, con l’apporto dei privati (intesi, quali persone fisiche, società e fondazioni). Generalmente, le entrate di un museo provengono da quattro distinte aree: “earned income” (corrispondono alle c.d. “fonti interne” di finanziamento [28]); “endowment income” [29], ovvero i redditi dei fondi di dotazione, di cui dispongono buona parte dei musei (così è, ad esempio, per il Metropolitan Museum of Art); “contributions and fundraising”, vale a dire gli importi delle elargizioni liberali; “government support” [30].

Ciò premesso, merita soffermarsi su queste ultime due voci, in quanto caratterizzanti, per ragioni distinte, il modello americano. Da un lato, l’intervento pubblico (“government support”), che si attua prevalentemente attraverso una rete di agenzie federali (su tutte, il National Endowment for the Arts, istituito nel 1965), statali (ad esempio, il New York State Council on the Arts) e locali (ad esempio, il New York City Department of Cultural Affairs, che contribuisce, tra l’altro, al finanziamento delle istituzioni, quali il Met, appartenenti al Cultural Institutions Group) è decisamente esiguo in termini quantitativi [31]: secondo una ricerca, condotta dal National Endowment for the Arts, esso corrisponde al massimo al 10% rispetto al totale delle entrate [32]. Dall’altro lato, l’apporto dei privati è decisivo: invero, il mecenatismo a favore dei musei (mecenatismo inteso come “sostegno ad attività artistiche e culturali” [33]) è un fenomeno che caratterizza in modo rilevante e pervasivo gli Stati Uniti. A ciò si aggiunga, in merito alla composizione dei donatori, che i grandi sostenitori dei musei sono, per la quasi totalità, persone fisiche [34]. I numeri sono impressionanti per l’osservatore europeo: secondo i dati forniti dalla Giving Usa Foundation, nel 2021, l’importo delle donazioni dei privati (individui, fondazioni e società) per scopi di interesse collettivo è stato pari a 484,85 miliardi di dollari; di questi, 326,87 miliardi di dollari (pari al 67,5%) provengono dalle persone fisiche, mentre le somme destinate al sostentamento dell’arte e della cultura (ivi inclusi i musei) ammontano a 23,5 miliardi di dollari [35].

In sostanza, il modello americano fa affidamento prevalentemente sul contributo delle persone fisiche per il reperimento delle risorse; l’apporto pubblico è relegato ad un ruolo marginale. Di contro, il modello europeo-continentale muove tradizionalmente da una logica opposta: individua nell’apporto delle istituzioni pubbliche, statali e locali, la principale fonte per il finanziamento dei musei.

Tale impostazione ha caratterizzato anche l’ordinamento italiano: invero, i musei pubblici hanno potuto contare prevalentemente su fondi pubblici per il loro sostentamento (salvo registrare, per effetto delle riforme cui si dirà al paragrafo successivo, anche una significativa crescita dei proventi derivanti dalla vendita dei biglietti) [36]. Il contributo dei privati, invece, è stato praticamente ininfluente. Ciò è dovuto, oltre che alla prevalente appartenenza pubblica dei musei, anche all’idea di patrimonio culturale che, storicamente, si è affermata in Italia.

Come è noto (sul punto, la dottrina è ampia) con la legge n. 1089/1939 ha prevalso l’idea di un patrimonio storico e artistico, quale bene statico ed inerte, da proteggere e mantenere inalterato [37]. Di qui, da un lato, la prevalenza della funzione della tutela, di esclusivo appannaggio pubblico; dall’altro lato, il tradizionale sfavore nei riguardi dei privati, intesi come soggetti da limitare, ed il conseguente rapporto “conflittuale”, piuttosto che collaborativo, tra pubblico e privato [38]. In questa prospettiva, il museo è stato concepito come un’“entità monumentale e monolitica”, incaricata unicamente di conservare, esporre e restaurare le opere di cui si compongono le collezioni [39]; con l’ulteriore conseguenza che le istituzioni museali pubbliche non sono risultate particolarmente attraenti dal punto di vista dei privati, ed il loro finanziamento (unitamente alla loro gestione) è stata una prerogativa pressoché esclusivamente pubblica ed, in particolar modo, statale.

3. L’apertura ai privati e gli interventi del legislatore italiano: la riforma dei musei e l’introduzione dell’art bonus

A partire dagli anni ’70 del secolo scorso, inizia lentamente a svilupparsi anche un’ulteriore funzione: la valorizzazione. Diversamente dalla tutela, la valorizzazione - che muove dal presupposto che il patrimonio storico e artistico della Nazione sia anche “uno strumento dinamico essenziale per lo sviluppo della cultura” [40] e che si identifica con le attività finalizzate a garantire la fruizione, l’utilizzazione e la conoscenza del patrimonio culturale [41] - si presta “più fecondamente all’apporto partecipativo dei privati” [42].

Non a caso, in Italia, unitamente all’affermazione della valorizzazione dei beni culturali, comincia a prendere forma un dibattito in merito alle opportunità, alle soluzioni ed agli strumenti per realizzare una partecipazione più proficua dei privati [43]. A ciò si aggiunga che, a partire dagli anni ‘90, il settore dei beni culturali ha risentito fortemente dei tagli della spesa pubblica, che hanno limitato fortemente le risorse a disposizione: le crescenti difficoltà finanziarie - che hanno impedito il mantenimento di adeguati livelli di investimento pubblico - e la conseguente necessità di reperire risorse per la tutela e per la valorizzazione del patrimonio culturale hanno, di fatto, determinato l’apertura a forme di intervento dei privati [44]. Si tratta di un vero e proprio cambio di passo: dalla tradizionale logica “conflittuale”, alla ricerca di un coinvolgimento privato, in quanto fonte di integrazione delle risorse pubbliche, ormai insufficienti [45].

Nonostante ciò - e con specifico riferimento alle istituzioni museali - questo intento è rimasto lettera morta, fino alle recenti novità normative, di cui al d.l. n. 91/2013, al d.p.c.m. n. 171/2014 ed al d.l. n. 83/2014: con i primi due, è stato modificato, tra le altre cose, il regime giuridico dei musei pubblici statali; con il terzo, è stato introdotto un importante beneficio fiscale per il mecenatismo culturale.

Su queste riforme, si è già detto e scritto molto; tuttavia, si ritiene opportuno richiamare all’attenzione del lettore alcuni punti centrali, ai fini della riflessione che si sta svolgendo.

Innanzitutto, la riforma dei musei ha, tra i suoi obiettivi principali, il superamento della “dicotomia” pubblico-privato, definita, dall’allora Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, una vera e propria “barriera” [46].

In secondo luogo, essa ha inciso sull’idea stessa di museo: l’art. 35, comma 1, del d.p.c.m. n. 171/2014 - riprendendo la definizione dell’International Council of Museums [47] - individua i musei in quelle “istituzioni permanenti, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo”, che, in quanto tali, “sono aperti al pubblico e compiono ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo ambiente; le acquisiscono, le conservano, le comunicano e le espongono a fini di studio, educazione e diletto” [48]. I musei da “oggetti”, da “universitas rerum”, secondo l’impostazione tradizionale che li identificava con dei luoghi fisici nei quali venivano conservate ed esposte le raccolte e le opere d’arte, diventano a tutti gli effetti dei “soggetti”, attraverso il riconoscimento dello status di istituto, con una propria effettiva identità [49]. Viene, così, progressivamente abbandonata la concezione del museo “monumento” ed inizia a farsi strada l’idea di un’organizzazione dinamica e complessa, cui sono assegnate funzioni ulteriori rispetto alle attività di esposizione e di raccolta delle rispettive collezioni. Ed, infatti, tra gli obiettivi della riforma, vi è “far sì che i musei svolgano una funzione di stimolo alla crescita culturale, sociale, spirituale ed economica della popolazione; in altri termini, che il museo assuma un ruolo attivo nell’educazione e nella formazione, mettendo in relazione la sua amministrazione con la scuola, l’università e la ricerca” [50].

Strettamente funzionale all’attuazione della riforma, inoltre, è stato il riconoscimento in favore di quarantaquattro musei statali di rilevante interesse nazionale (che rimangono, pur sempre, strutture del ministero di livello dirigenziale, prive di personalità giuridica [51]) di una speciale forma di autonomia, declinata, non solo in termini organizzativi ed amministrativi, ma anche in chiave contabile e finanziaria [52]. A quest’ultimo riguardo, si segnalano due aspetti particolarmente innovativi: la facoltà per i musei di trattenere i propri introiti, senza doverli destinare all’erario (salva una percentuale pari al 20% che confluisce in un fondo di solidarietà nazionale a favore di quei musei che non beneficiano di un elevato numero di visitatori) e, soprattutto, la possibilità di ricevere direttamente sul proprio conto corrente somme di denaro a titolo di elargizioni liberali.

Se, da un lato, l’autonomia ha permesso a quei musei “di ‘aprirsi’ al proprio pubblico, di organizzare la propria attività; di spiegare, anche nel contesto nazionale, la propria funzione fondamentale di promozione e sviluppo della cultura” [53]; dall’altro lato, essa - unitamente alle altre novità richiamate - ha rappresentato la premessa per intraprendere una nuova stagione all’insegna di un legame più solido con la comunità e con il territorio e di un maggior coinvolgimento dei privati (quanto meno sul versante del finanziamento; non - almeno per il momento - per quanto attiene alla gestione del patrimonio storico ed artistico) [54].

Tuttavia, il conferimento di una speciale forma di autonomia, se non accompagnato da altre misure, rischiava di non essere concretamente attuabile. In particolare, l’autonomia finanziaria presupponeva l’introduzione (o l’implementazione) di strumenti che la rendessero effettivamente realizzabile; la sola possibilità per i musei di trattenere i proventi della bigliettazione non era sufficiente. Due, quindi, le principali soluzioni adottate dal legislatore italiano, per consentire ai musei di acquisire risorse da parte dei privati: la semplificazione delle procedure per la conclusione dei contratti di sponsorizzazione a favore dei beni culturali e degli istituti e luoghi della cultura [55] e la previsione di una rilevante disposizione in materia di mecenatismo culturale (il c.d. art bonus).

L’art bonus, disciplinato dall’art. 1 del d.l. n. 83/2014, consiste in un beneficio fiscale, riconosciuto - nei limiti previsti dall’art. 1, comma 2 - tanto alle persone fisiche, quanto ai soggetti titolari di reddito d’impresa, che effettuano erogazioni liberali in denaro per, tra l’altro, “il sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica” [56]. La norma, infatti, attribuisce un credito d’imposta, pari al 65% delle elargizioni effettuate, da ripartire in tre quote annuali di uguale importo.

Molteplici sono i pregi dell’art bonus. Fra i meriti, vi è certamente quello di aver innovato il sistema delle agevolazioni fiscali che, fino al 2014, non aveva ben funzionato, complici un’insufficiente convenienza fiscale, un procedimento particolarmente complesso e poco trasparente, e la mancanza di visibilità per il soggetto donante [57]; di contro, l’art bonus si caratterizza per l’estrema semplicità e snellezza procedimentale e per la trasparenza della procedura [58]. Sempre sul versante dei pregi, vi è quello di aver consentito all’Italia di recuperare anni di ritardo rispetto alle legislazioni di altri Paesi europei; si pensi, ad esempio, che in Francia la legge sul mecenatismo, conosciuta come “Loi Aillagon” (dalla quale l’Italia ha tratto ispirazione), è del 1 Agosto 2003 [59]. Ma i meriti principali sono due, tra di loro connessi: l’aver portato l’attenzione sul mecenatismo culturale e l’aver creato le condizioni affinché potesse realizzarsi la partecipazione dei privati al finanziamento della cultura. Se, ad avviso di chi scrive, è prematuro parlare, in Italia, di una “cultura del dono”, certamente non può sottacersi che l’art bonus ha consentito di creare una nuova sensibilità intorno al mondo delle erogazioni liberali in favore della cultura, rinsaldando, al contempo, “il legame della collettività e del territorio con beni e istituti” [60].

I dati, relativi ai primi anni di operatività di questa misura, sembrano giustificare l’entusiasmo da essa scatenato: ad oggi, sul sito dell’art bonus, si contano 32851 mecenati [61]. Di questi, però - ed il dato merita di essere sottolineato, anche per la netta contrapposizione con l’esperienza statunitense - la quasi totalità è rappresentata da imprese, mentre è assai modesto l’apporto delle persone fisiche [62].

Da ultimo - ma sempre nell’ottica di una valorizzazione del mecenatismo culturale -, è da segnalare che, in Toscana ed in Friuli-Venezia Giulia, sono oggi previsti anche “art-bonus regionali”, per effetto, rispettivamente, della l.r. Toscana n. 18/2017 (relativa alle “Agevolazioni fiscali per il sostegno della cultura e la valorizzazione del paesaggio in Toscana”) e della l.r. Friuli-Venezia Giulia n. 13/2019 (avente ad oggetto “Assestamento del bilancio per gli anni 2019-2021 ai sensi dell’articolo 6 della legge regionale 10 novembre 2015, n. 26”). In particolare, in Toscana, la legge n. 18/2017 - che pone il requisito, per i destinatari delle agevolazioni fiscali, di avere sede legale o organizzazione stabile in Toscana [63] - individua, tra i progetti di intervento finanziabili, anche “i progetti d’intervento previsti all’articolo 1 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83” [64]. Dunque, l’agevolazione fiscale prevista da tale legge è cumulabile con l’art bonus nazionale: l’art. 4, comma 1, lett. b, della l.r. Toscana n. 18/2017 prevede un credito di imposta sull’imposta regionale sulle attività produttive (Irap) pari al 20% delle erogazioni liberali, destinate ai progetti che già rientrano nell’ambito di operatività dell’art bonus nazionale. Dunque, il credito d’imposta complessivo per gli interventi, che beneficiano di entrambe le misure agevolative, è pari all’85% delle somme donate.

In sostanza, in Italia (ed, a maggior ragione, in Toscana ed in Friuli-Venezia Giulia), per attrarre le risorse private, si è scelto di intervenire sulla convenienza fiscale delle donazioni in favore dei musei pubblici.

4. I “numeri” del Metropolitan Museum of Art e delle Gallerie degli Uffizi

L’apertura, in Italia, alle risorse private potrebbe far dubitare sull’opportunità di mantenere la distinzione tra il “modello europeo-continentale” ed il “modello americano”: rispetto alle tradizionali caratteristiche, vi sono oggi - quanto meno sul piano normativo - elementi di convergenza tra i due modelli. Al riguardo, vi è, ad esempio, chi identifica sistemi “ibridi” di finanziamento dei musei che - come suggerisce l’espressione - combinano elementi dell’uno e dell’altro modello [65].

Ciò nonostante, prima di giungere a conclusioni affrettate, si ritiene opportuno approfondire i riflessi delle riforme richiamate in precedenza sulle entrate dei musei pubblici e verificare se permangono differenze con le istituzioni statunitensi. L’occasione è offerta, ancora una volta, dal raffronto fra le entrate, negli ultimi due anni, delle Gallerie degli Uffizi e del Metropolitan Museum of Art.

Una preliminare precisazione metodologica si rende necessaria: i dati che saranno di seguito illustrati sono ripresi dai bilanci definitivi approvati degli ultimi due anni. Tuttavia, mentre per le Gallerie degli Uffizi l’esercizio coincide con la fine dell’anno solare (dunque, i dati si riferiscono al biennio 2020-2021); per il Metropolitan Museum of Art, la chiusura dell’esercizio avviene al 30 giugno di ciascun anno (i dati, pertanto, sono inerenti al periodo 1° luglio 2020 - 30 giugno 2022).

Per quanto attiene alle Gallerie degli Uffizi, nel 2020, sul totale delle entrate, pari ad euro 35.310.817,00, i contributi dei privati ammontano ad euro 635.000,00; per l’anno 2021, invece, il totale delle entrate è pari ad Euro 37.560.938,00, di cui 533.000,00 provengono da privati. Dunque, nel 2020, i contributi privati corrispondono all’1,8% del totale delle entrate; nel 2021, all’1,4%; in entrambi gli anni, tali risorse sono erogate unicamente da imprese [66]. I dati, inoltre, confermano sia la rilevanza quantitativa dei trasferimenti provenienti dallo Stato, sia la costante crescita dei ricavi provenienti dalla vendita dei biglietti e la connessa tendenza all’autofinanziamento.

In merito al Metropolitan Museum of Art, invece, nel periodo 1 luglio 2020 - 30 giugno 2021, sul totale delle entrate, pari a 245.358.000,00 dollari, gli importi afferenti alla voce “Gifts and Grants” (che si ritiene coincida con i contributi dei privati) sono pari a 49.078.000,00 dollari; per l’anno successivo, il totale delle entrate ammonta a 345.209.000,00 dollari e le somme, relative ai “Gifts and Grants”, sono pari a 102.920.000,00 dollari. In percentuale, nel primo anno i “Gifts and Grants” corrispondono al 20% delle entrate; nel secondo anno, al 29,8% [67]. Sia i ricavi dalla vendita dei biglietti (“admissions”), sia le risorse pubbliche (in particolar modo, le “Operating appropriations from the City of New York”) si attestano su importi sensibilmente inferiori rispetto ai “Gifts and Grants” [68].

Inoltre, con riferimento all’art bonus, se, da un lato, le Gallerie degli Uffizi hanno il merito di essersi registrate e di aver attivato una propria pagina di raccolta, dall’altro lato - per stessa ammissione del Direttore - non sono state sfruttate appieno le potenzialità che tale strumento offre [69]. In particolare, ad oggi, tre sono i progetti finanziati mediante l’art bonus, ex d.l. n. 83/2014: i progetti “Famiglie al museo 11” e “Famiglie al museo 12”, grazie all’apporto della Fondazione CR Firenze per complessivi euro 30.000,00; ed il restauro di otto sale, dalla 25 alla 32, attraverso un ingente contributo, pari ad Euro 600.000,00, della S.p.a. Salvatore Ferragamo. Quest’ultima iniziativa, tra l’altro, è espressione del sempre maggior interesse e coinvolgimento delle case di moda nella salvaguardia, nel recupero e nella valorizzazione del patrimonio artistico e culturale italiano [70]. Del resto, come affermato dall’allora Presidente del Gruppo, Ferruccio Ferragamo, “collaborare con le istituzioni culturali e supportarne le attività a promozione dell’arte in tutte le sue forme e manifestazioni è nel DNA della Maison” [71].

I “numeri” evidenziano la permanenza di significative differenze tra le due istituzioni museali analizzate: il dato più rilevante, oltre all’esiguità dei contributi privati (se paragonati con il Metropolitan Museum of Art), è l’assenza, fra le entrate delle Gallerie degli Uffizi, di erogazioni liberali da parte delle persone fisiche.

Se, dunque, le Gallerie degli Uffizi (e, più in generale, i musei italiani) vogliono ambire ad assomigliare al Metropolitan Museum of Art (ed alle realtà museali statunitensi), per quel che attiene alle risorse elargite dai privati, l’agire sul versante fiscale, attraverso l’introduzione di significative agevolazioni, rappresenta un buon punto di partenza, ma non ancora di arrivo.

Pur consapevoli della complessità del fenomeno nell’esperienza statunitense, si ritiene, pertanto, opportuno analizzare - nei tratti essenziali - le ragioni che spiegano, con riferimento al Metropolitan Museum of Art, la diffusa propensione degli individui verso il mecenatismo culturale; e portare due esempi concreti a sostegno della riflessione.

5. Oltre le agevolazioni fiscali: i fattori dietro al successo del mecenatismo culturale negli Stati Uniti

Quasi due secoli addietro, Alexis De Tocqueville - dopo aver osservato la società statunitense - si esprimeva in questi termini: “Americans enjoy explaining almost every act of their lives on the principle of self-interest properly understood”. E, poi, continuava: “It gives them great pleasure to point out how an enlightened self-love continually leads them to help one another and disposes them freely to give part of their time and wealth for the good of the state” [72].

Queste considerazioni tornano pertinenti anche ai fini del presente scritto; esse contribuiscono a spiegare la propensione dei cittadini statunitensi nei riguardi del mecenatismo culturale. Certamente, in questo discorso, merita di essere menzionato il particolare regime di favore di cui, negli Stati Uniti, hanno potuto storicamente beneficiare le elargizioni liberali nei riguardi della cultura: si tenga presente, tra l’altro, che una medesima donazione può godere sia delle agevolazioni fiscali federali, sia di quelle statali [73]. Ad esempio, a livello federale, la maggior parte dei musei sono organizzazioni no profit ai sensi della Sezione 501(c)(3) dell’Internal Revenue Code (tale è, ad esempio, il Metropolitan Museum of Art); da tale qualifica discende, da un lato, che essi sono esenti dall’imposta federale sul reddito [74] e, dall’altro lato, che, per effetto della Sezione 170 dell’Internal Revenue Code, le donazioni in denaro in favore dei musei sono considerate “charitable contribution” e, come tali, deducibili ai fini fiscali [75]. Si realizza, così, un rilevante sistema di supporto pubblico indiretto (anche) nei riguardi dei musei, che costituisce un tratto caratterizzante dell’esperienza statunitense; al riguardo, infatti, si è osservato che “in the United States tax expenditures are a significant source of indirect aid to the arts, whereas in the other countries their impact is marginal” [76].

Ed è pure da richiamare il fatto che - come si è osservato con riferimento al Metropolitan Museum of Art - la maggior parte dei musei statunitensi siano organizzazioni private, senza finalità di lucro, per la cui gestione, anch’essa privata, si ammette un diretto coinvolgimento dei principali donatori.

Ciò nonostante, la convenienza economica, la peculiare natura giuridica dei musei e la relativa governance sembrano giustificare solo parzialmente il massiccio coinvolgimento privato per il finanziamento di queste istituzioni. Vi sono ulteriori motivi, ben più profondi, anche di carattere storico, culturale e sociale.

In primo luogo, occorre - pur sinteticamente - richiamare la cultura filantropica, che rappresenta, ancora oggi, un fenomeno singolare negli Stati Uniti ed uno degli elementi che hanno favorito la crescita sociale e culturale del Paese [77]. Sviluppatasi durante la c.d. Gilded Age, ovvero quel periodo di forte espansione economica e di rilevante industrializzazione, compreso tra il 1870 ed il 1900, la filantropia si identifica con l’idea che la ricchezza accumulata dagli individui, oltre una certa misura, dovesse essere impiegata per il bene del resto della comunità [78]. Una specie di contratto sociale, secondo cui coloro che avevano potuto costruire immense fortune, invece di lasciare l’intero patrimonio agli eredi, destinavano parte della ricchezza ad iniziative socialmente utili [79]. Non a caso, molte istituzioni sono state create, non dallo Stato, ma dalla generosità e dall’entusiasmo degli individui: il Metropolitan Museum of Art, inaugurato nel 1872, grazie all’iniziativa ed all’apporto privato, costituisce solamente uno degli innumerevoli esempi.

Esemplificativo dell’aria che si respirava in quegli anni negli Stati Uniti, è il pensiero di Andrew Carnegie, racchiuso nell’opera The Gospel of Wealth. Noto industriale e filantropo dell’epoca, che aveva potuto accumulare ingenti ricchezze, fu tra coloro che sostennero la tesi secondo cui “wealth was a sacred trust which its possessor was bound to administer for the good of the community” [80]. Celebri, sempre a questo proposito, le sue parole: “The man who dies thus rich dies disgraced” [81].

Ciò nonostante, negli Stati Uniti la filantropia non è stata azionata unicamente da finalità altruistiche. Come evidenziato, tra l’altro, da De Tocqueville, anche la gloria personale, il prestigio, il desiderio di affermare e di veder riconosciuta la propria ricchezza e la propria generosità, e la ricerca di visibilità, sono da annoverare fra le ragioni che storicamente hanno determinato la scelta delle persone abbienti di destinare parte delle risorse per il bene della comunità. Al fianco delle motivazioni “pro-sociali”, dunque, vi è anche la concezione che “giving away vast quantities of money is a status symbol for the super-rich” [82]. Così, è stato osservato che “the creation of great museums during the 1870s, like ... the Metropolitan Museum of Art in New York in 1872 ... testifies to the desire of businessmen to glorify their names through the paintings they collected” [83].

In secondo luogo, oltre alla naturale inclinazione alla filantropia, un ulteriore elemento contribuisce a spiegare le peculiarità dell’ordinamento statunitense in merito ai musei: il c.d. American individualism, che rientra nella più generale nozione di American exceptionalism. Posta in risalto, per la prima volta, da Alexis De Tocqueville [84], l’idea di “eccezionalismo” americano, tutt’ora diffusa, muove dal presupposto che gli Stati Uniti presentato connotati peculiari, da un punto di vista sociale, culturale, politico, economico, giuridico ed istituzionale, tali da porre quell’ordinamento quale un “outlier” [85]. Tra queste caratteristiche, vi è appunto anche una marcata tradizione individualistica. La formula American individualism, che assume molteplici accezioni e sfumature, indica, ai fini che qui interessano, il generalizzato sfavore nei riguardi dello Stato e della burocrazia statale [86]. Nonostante la rivalutazione del ruolo dello Stato e delle iniziative statali, a seguito della “Grande Depressione” e della seconda guerra mondiale, la popolazione degli Stati Uniti - come sottolinea Seymour Martin Lispet - continua ad essere ancora oggi “the most anti-statist people in the developed world” [87]. Non a caso, è stato scritto che “il potere pubblico agli americani non piace” [88]. Di qui, l’idea - ancora attuale - che, ad esempio, non vi sia necessità di un ministero della Cultura e dell’apparato ad esso afferente e che - per quel che attiene alle istituzioni museali - siano da privilegiare l’iniziativa, la gestione e il finanziamento privato rispetto al diretto coinvolgimento della sfera pubblica [89]. Al riguardo, tornano pertinenti le parole di Aileen D. Ross, secondo cui, tra le ragioni del successo del mecenatismo culturale, sono da annoverare anche “the individualistic philosophy and the suspicion of government control” [90].

Alle ragioni illustrate, di carattere generale, se ne aggiungono due, riferite specificamente al Metropolitan Museum of Art.

Sotto un primo profilo, occorre riflettere sulla “missione”, affidata fin dalle origini a tale istituzione museale; nasce, infatti, con l’obiettivo di fornire un’educazione artistica ad un popolo che ne era sprovvisto. Tale vocazione pedagogica, del resto, emerge chiaramente già nell’Act of Incorporation del 13 aprile 1870, nel quale si dava atto delle seguenti finalità: “for the purpose of establishing and maintaining in said city a Museum and library of art, of encouraging and developing the study of the fine arts, and the application of arts to manufactures and practical life, of advancing the general knowledge of kindred subjects, and, to that end, of furnishing popular instruction and recreation” [91]. Dunque, sin dalla sua istituzione, vi è il riconoscimento del Metropolitan Museum of Art quale luogo di educazione, funzionale alla crescita culturale della società [92]. Il dato non è di poco conto, se solo si riflette sul fatto che, in Italia, solamente per effetto delle riforme richiamate in precedenza, si è giunti a riconoscere ai musei (Gallerie degli Uffizi, comprese) funzioni e finalità ulteriori rispetto alla conservazione ed all’esposizione delle raccolte e delle opere d’arte [93]. Alla dimensione educativa (e quale conseguenza di quest’ultima) si correla un’altra caratteristica (che - ancora una volta - differenzia il Metropolitan Museum of Art dalle Gallerie degli Uffizi): il riconoscimento del Metropolitan Museum of Art quale luogo di ritrovo, di aggregazione sociale, dal carattere fortemente identitario. In altre parole, con il tempo, esso è divenuto elemento essenziale del tessuto urbano e parte integrante della vita della città di New York, così instaurando un solido legame con la comunità locale. Espressione di ciò sono - ad esempio - le politiche in merito alle tariffe d’ingresso, di cui si dirà al paragrafo successivo.

Sotto altro profilo, sempre in merito al finanziamento dei musei statunitensi, sono da menzionare le attività di fundraising, ovvero tutte quelle iniziative finalizzate a reperire fondi per il museo, attraverso strategie di marketing ed aziendalistiche [94]. Il fundraising rappresenta, al giorno d’oggi, una componente centrale per attrarre risorse private: da un lato, non di rado all’interno dei musei vengono istituiti specifici dipartimenti, con personale specializzato, per curare queste attività; dall’altro lato, numerose sono le tecniche e le iniziative poste in essere dai musei per attrarre fondi privati. Tra queste, meritano una speciale menzione le cene e le serate di gala, quali eventi, in occasione dei quali, è possibile raccogliere ingenti somme [95]. Al riguardo, con specifico riferimento al Metropolitan Museum of Art, il Met Gala - di cui si dirà - è esemplificativo dell’efficienza della macchina per la raccolta di fondi.

6. Le tariffe d’ingresso per i “residenti”

Nel 1893 - a distanza di un ventennio dall’inaugurazione - fu stabilito che il Metropolitan Museum of Art “shall be kept open and accessible to the public free of all charge throughout the year” [96]; si affermò l’idea di un museo che - in linea con la missione educativa e la funzione pubblica ad esso riconosciuta - dovesse essere gratuito, al fine di renderlo più agevolmente fruibile ed accessibile dal pubblico. Del resto, così è stato sin dalla sua istituzione: per entrare al Metropolitan Museum of Art, a prescindere dalla tipologia di visitatore, non era richiesto il pagamento di un corrispettivo.

Nel 1970, tuttavia, si hanno i primi cambiamenti in merito alle “admission policies”: venne, infatti, introdotta una “suggested entrance fee”, in base alla quale, da un lato, non era tassativamente richiesto il previo pagamento di una quota predeterminata per accedere al museo; dall’altro lato, era rimesso alla discrezionalità del visitatore scegliere l’importo da versare (importo che, comunque, poteva essere anche pari a zero). La c.d. “pay-as-you-wish tradition”, prevista per tutte le categorie di visitatori, è rimasta in vigore fino alle più recenti novità.

Invero, nel 2018 si è cercato di porre rimedio al deficit di bilancio, accentuato, tra l’altro, sia dalla diminuzione delle (già esigue) risorse destinate al Metropolitan Museum of Art da parte del New York City Department of Cultural Affairs, sia dal fatto che la politica delle “suggested entrance fees” non aveva prodotto risultati particolarmente soddisfacenti [97]. Numerose le alternative discusse all’epoca: dai tagli al personale, alla riduzione del numero delle esibizioni annuali, all’introduzione di una quota di ingresso di importo modesto per tutti i fruitori.

La scelta fu di intervenire sulle tariffe di ingresso, pur senza alterare la reputazione del museo “as a public institution” [98]. In particolare - ed il punto merita attenzione - fu deciso di diversificare le politiche di ingresso tra i visitatori: mantenere ferma la “suggested entrance fee” per i residenti dello Stato di New York (previa effettiva dimostrazione della residenza) e prevedere il pagamento obbligatorio della somma di 25 dollari per tutti gli altri (salvo importi ridotti per studenti ed adulti, oltre una certa età).

Il nuovo regime entrato in vigore il 1° Marzo 2018 - pur non esente da critiche [99] e pur con la consapevolezza che vi sarebbero potuti essere effetti pregiudizievoli sul numero dei visitatori (effetti peraltro non rinvenuti) [100] - fu ritenuto il miglior compromesso per tentare di risollevare le finanze del Metropolitan Museum of Art, senza, tuttavia, far venire meno la concezione dello stesso quale istituzione pubblica, al servizio della comunità locale e funzionale alla sua crescita culturale e sociale. Invero, nel rigettare l’alternativa dell’introduzione di una tariffa di ingresso per tutti i visitatori, ad un importo più contenuto, l’allora Presidente e CEO, Daniel Weiss, affermò, senza esitazioni, che “We felt an obligation to New Yorkers to not do that” [101].

Tra l’altro, tale impostazione, ovvero la distinzione in base alla categoria di visitatore, è stata mantenuta anche a seguito delle recenti novità: a partire dal 1° Luglio 2022, l’importo del biglietto è stato aumentato di 5 dollari, ma ai residenti dello Stato di New York continua ad applicarsi la “pay-as-you-wish policy” [102].

Insomma, anche quando si è posta la necessità di prevedere un corrispettivo obbligatorio per accedere al Metropolitan Museum of Art, si è comunque scelto di non gravare sui residenti dello Stato di New York. Diversamente, vi era il timore di incrinare il solido legame che, negli anni, si è creato tra la collettività locale e l’istituzione museale, e, così, di far venire meno le finalità e le funzioni che, sin dalla sua inaugurazione, sono state riconosciute a questa realtà museale.

7. L’attenzione verso il fundraising ed il Met Gala quale esempio virtuoso

Il Met Gala rappresenta un esempio mirabile dell’efficienza della macchina filantropica statunitense, ponendosi come “one of the most visible and successful fundraisers in the world” [103].

Si tratta - come, del resto, suggerisce il nome - di una serata di gala, organizzata annualmente con l’obiettivo di raccogliere fondi per il Costume Institute, ovvero il dipartimento dedicato alla moda, che oggi conta più di 35.000 tra abiti, costumi ed accessori di moda, entrato a far parte del Metropolitan Museum of Art nel 1946. Ideato nel 1948, ad opera di Eleanor Lambert, quale “midnight supper”, per partecipare alla quale era richiesto il pagamento di una somma che si aggirava intorno ai 50 dollari, il Met Gala, a partire dagli anni ’70, prima sotto l’impulso e la direzione di Diana Vreeland, poi con Anna Wintour, ha profondamento mutato le proprie caratteristiche [104]. Organizzato il primo martedì di maggio, per celebrare l’inaugurazione della mostra annuale presso il Costume Institute (da cui, tra l’altro, riprende anche il tema), il Met Gala è, oggi, divenuto un appuntamento di grandissima rilevanza mediatica e sociale, nonché uno degli eventi più celebri e gettonati della vita sociale statunitense [105]. Testimonianza di questa progressiva trasformazione sono, tra l’altro, gli appellativi impiegati per riferirsi al Met Gala: da “The Oscar of the East Coast” a “Oscars and the Olympics of fashion” e via dicendo [106].

Nonostante ciò, la finalità principale dell’evento è rimasta inalterata: consentire al Costume Institute di reperire le risorse necessarie per il proprio sostentamento, visto che - a differenza degli altri dipartimenti del Metropolitan Museum of Art - esso è l’unico a doversi interamente auto-finanziare. Non a caso, oggi, il Met Gala è considerato “an A.T.M. for the Met” e “the All-Star Game of Entrances” [107].

I “numeri” delle più recenti edizioni - soprattutto se confrontati con quelli iniziali - sembrano giustificare appieno tali definizioni, che potrebbero apparire a prima vista, forse eccessivamente entusiaste: per parteciparvi, gli individui (per lo più celebrità e personaggi del mondo della moda, del cinema, dello sport e della politica, oltre ad un crescente numero di influencers e di creatori di contenuti digitali) debbono sborsare circa 35.000,00 dollari a persona; mentre, per riservare un intero tavolo, la somma varia tra i 200.000,00 ed i 300.000,00 dollari [108]. A ciò si aggiunga che, negli ultimi anni, la cifra raccolta è decisamente elevata ed in costante crescita: 12 milioni di dollari nel 2017, con circa 600 persone [109]; più di 13 milioni di dollari, nel 2018 [110]; 15 milioni di dollari, con circa 550 persone, nel 2019 [111]; ed, infine, 16,4 milioni di dollari, nel 2021, con un numero di invitati inferiore e pari a circa 400 (nel 2020, invece, a causa dell’emergenza sanitaria, l’evento non si è tenuto) [112].

Insomma, da “semplice” evento mondano della città di New York, il Met Gala, grazie all’intuizione di due donne, ed attraverso lo studio, la ricerca ed il perfezionamento di mirate strategie di fundraising, rappresenta, oggi, la principale fonte di finanziamento del Costume Institute. Naturalmente, oltre alla dimensione economica, vi è molto di più: da occasione per i partecipanti per ostentare la propria posizione sociale, ad importante vetrina per le case di moda ed i loro marchi; da palcoscenico per le celebrità per mostrare il proprio lato trasgressivo e stravagante ad opportunità - vista l’ampia risonanza - per gli esponenti politici di veicolare messaggi e slogan, riportandoli sugli abiti indossati [113]. Tuttavia, anche le esagerazioni, le provocazioni e le ostentazioni che annualmente caratterizzano il Met Gala, discutibili, discusse e pure aspramente criticate, sono comunque in fin dei conti tollerate in virtù di un’idea largamente condivisa, secondo cui “let the rich eat all the cake they want if paying for it means a kid from a poor community can experience, for free, the transformative joy of an accessible art museum” [114].

8. Considerazioni conclusive

L’interrogativo con il quale si è aperta la riflessione in merito alla possibilità di individuare nel Metropolitan Museum of Art una buona pratica, cui le Gallerie degli Uffizi (e, in generale, i musei pubblici italiani) possono trarre spunto, merita - a questo punto - qualche risposta.

Sotto un primo profilo, la risposta può essere positiva. La riforma dei musei (in particolar modo, di quelli pubblici statali) e l’introduzione di un’importante misura a sostegno del mecenatismo culturale hanno determinato - almeno sul piano normativo - un’apertura significativa all’ingresso di risorse private per il finanziamento delle istituzioni museali. Da questa prospettiva, vi sono, dunque, innegabili elementi di convergenza tra le due realtà analizzate.

Sotto altro profilo, tuttavia, la strada intrapresa in Italia è ancora lunga e non può certo considerarsi esaurita. I “numeri” delle entrate degli ultimi due anni del Metropolitan Museum of Art e delle Gallerie degli Uffizi rivelano ancora significative divergenze, tanto in termini di apporto quantitativo dei contributi privati, quanto in merito alla tipologia di donatori: prevalentemente persone fisiche, negli Stati Uniti; imprese, in Italia.

Nel tentativo di individuare le differenze, oltre alla cultura filantropica ed all’American individualism, sono stati richiamati due esempi (le tariffe di ingresso per i residenti dello Stato di New York ed il Met Gala), esplicativi, il primo, dell’idea stessa di museo e della funzione assegnata al Metropolitan Museum of Art; il secondo, dell’efficienza delle attività di fundraising.

Su questi esempi, merita soffermarsi ulteriormente.

Si rifletta, innanzitutto, sull’opportunità di differenziare le tariffe di ingresso alle Gallerie degli Uffizi, prevedendo, ad esempio, un accesso gratuito - o, comunque, ad un prezzo sensibilmente ridotto - per tutti i residenti nella Regione Toscana (o, come minimo, nella città di Firenze). Certamente, sarebbe un passo nella giusta direzione, al fine di riconoscere nel museo un luogo identitario, di aggregazione sociale, parte vitale ed integrante del tessuto urbano; e, così operando, fortificare il legame tra l’istituzione e la comunità locale. Per il momento, tuttavia, la scelta fatta è stata di segno opposto: è recentissima la decisione di innalzare il prezzo del biglietto di ingresso, in alta stagione, da 20 a 25 euro, senza distinguere tra tipologia di visitatori e riservando, quindi, lo stesso trattamento al turista statunitense ed a colui che risiede a Firenze [115]. Non si tratta di discutere se l’esperienza della visita alle Gallerie degli Uffizi valga o meno il pagamento di quella somma; al riguardo, sembra che non si possa dubitare della congruità dell’importo di euro 25, anche in considerazione degli importi dei biglietti dei principali musei stranieri. Il punto è un altro e riguarda il legame che le Gallerie degli Uffizi intendono instaurare con la comunità locale ed il ruolo che ambiscono vedersi riconosciuto.

Si pensi, ancora, alle attività volte a promuovere la raccolta di risorse dei privati. Benché l’articolo 3 dello Statuto delle Gallerie degli Uffizi menzioni espressamente, fra le attività, anche il “fundraising” e benché il riconoscimento dell’autonomia, sotto il profilo finanziario e contabile, dovrebbe in teoria agevolare ed incentivare le iniziative di fundraising, tuttavia, tali iniziative non sono ancora particolarmente diffuse e sviluppate. Tra l’altro, per raggiungere i livelli di efficienza, di cui è testimonianza il Met Gala, occorre personale qualificato ed altamente specializzato. Lo stesso può dirsi con riferimento all’organizzazione di eventi e serate di gala: sebbene, a partire dal 1983, faccia parte delle Gallerie degli Uffizi anche il Museo della Moda e del Costume, ovvero il primo museo statale italiano dedicato alla storia della moda, non si è prestato - almeno fino ad oggi - particolare attenzione a tale tipologia di iniziative [116]. Non si può tuttavia escludere, per il futuro, un diverso approccio, in virtù di un duplice ordine di fattori: il riconoscimento della città di Firenze quale “fashion city” [117], testimonianza della rilevanza che il settore moda riveste nel tessuto storico, sociale, culturale ed imprenditoriale fiorentino; e l’inaugurazione, prevista per il 2023, del Museo della Moda, che andrà a sostituire il Museo della Moda e del Costume (attualmente chiuso al pubblico). L’apertura di una nuova realtà museale potrebbe, infatti, rappresentare una buona occasione per iniziare a riflettere proficuamente anche sull’opportunità di porre in essere mirate attività di fundraising.

Si può, quindi, concludere con un auspicio e con alcuni ammonimenti.

L’augurio è che, partendo dalle riforme e dalla novità degli ultimi anni, si possa anche in Italia portare a compimento il processo di trasformazione del museo in quella che, riferendosi al mondo anglosassone, Lorenzo Casini definisce una “empowering institution, inserita nella comunità e nel territorio in cui il museo vive e si sviluppa” [118]; allo stato, tale processo non può dirsi concluso.

Il primo avvertimento, invece, deriva direttamente dall’esperienza del Metropolitan Museum of Art: negli ultimi anni, il museo è stato aspramente criticato per aver ricevuto ingenti donazioni da parte della famiglia Sackler, salita agli onori della cronaca in quanto responsabile della produzione e della commercializzazione, tramite la Purdue Pharma, dell’OxyContin, farmaco al centro dell’epidemia degli oppioidi. Né sono stati sufficienti, per placare le proteste, la rassicurazione di non accettare per il futuro ulteriori elargizioni dalla famiglia Sacker e la decisione di rimuovere il relativo nome dalle gallerie del museo [119]. Di conseguenza, se, da un lato, il finanziamento dei privati è oggi una componente essenziale delle entrate dei musei, occorre, dall’altro lato, prestare molta attenzione alla provenienza di quelle risorse e definire politiche rigorose per l’accettazione di capitali privati.

Al tempo stesso, è pure da sottolineare che, attraverso la continua ricerca di fondi privati, è concreto il rischio di un ulteriore minore impegno del pubblico, di un’eccessiva dipendenza dai privati e di un trasferimento, dal pubblico al privato, del potere decisionale in merito alla destinazione ed allocazione delle risorse per i musei. Tutto ciò, con l’ulteriore conseguenza - di cui non si può non dare conto - di poter vedere attuata, anche nel nostro ordinamento, quella “decentralisation of choice to individuals and away from ‘bureaucracies and politicians’” [120], che, come evidenzia John Henry Merryman, costituisce una cifra caratterizzante l’ordinamento degli Stati Uniti.

 

Note

[*] Federico Falorni, assegnista di ricerca in diritto comparato presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Firenze, via delle Pandette 32, 50127 Firenze, federico.falorni@unifi.it.

[1] S. Kirchgaessner, Italy to bring private sector into its museums in effort to make a profit, in The Guardian, 21 dicembre 2014.

[2] Sul tema, si avrà occasione di tornare.Per il momento, si segnala che il d.p.c.m. n. 171/2014 è stato abrogato e sostituito, dapprima, dal d.p.c.m. n. 76/2019 e, successivamente, dal d.p.c.m. n. 169/2019. In ogni caso, la disciplina dei musei, nei suoi tratti essenziali, è rimasta inalterata.

[3] F. Caponigri, Problematizing fashion’s legal categorization as cultural property, in Aedon, 2017, 2, pag. 8.

[4] P.A. Valentino, Il mecenatismo culturale diffuso in Italia: una occasione perduta?, in A.A.VV, Donare si può? Gli Italiani e il mecenatismo culturale diffuso, CIVITA, 2009, pag. 25. È stato, altresì, evidenziato che “Museums typically look to the Met - the country’s largest - for guidance” (R. Pogrebin, Z. Small, Museums Are Divided Over Selling Their Art, in The New York Times, 20 marzo 2021).

[5] Sulle molteplici accezioni del termine “privato” in ambito pubblicistico, si veda M. Cammelli, L’ordinamento dei beni culturali tra continuità e innovazione, in Aedon, 2017, 3, pag. 4.

[6] J.H. Merryman, Art Systems and Cultural Policy, in XV(2) Art Antiquity and Law 2010, pag. 99.

[7]Art players” sono “people and institutions whose lives are centrally concerned with works of art: principally artists, collectors, dealers and auction houses, museums, art historians, ethnologist, and archaeologist” (J.H. Merryman, Art Systems and Cultural Policy, cit., pag. 99).

[8] “Art supporters” coincidono con “the interested public, patrons, foundations, corporations and the State”, con il compito di “provide moral and material support to the players” (J.H. Merryman, Art Systems and Cultural Policy, cit., pag. 99).

[9] Il “paradigm” coincide con “the underlying set of assumptions and attitudes that direct the ways players and supporters think and act” (J.H. Merryman, Art Systems and Cultural Policy, cit., pag. 99).

[10] J.H. Merryman, Art Systems and Cultural Policy, cit., pag. 100.

[11] Istat, I musei, le aree archeologiche e i monumenti in Italia, 29.1.2019. Sul punto, anche G. Piperata, I musei pubblici non statali, in Aedon, 2021, 1, pag. 1; G. Morbidelli, I musei civici italiani fra tradizione e modernità, in G. Cerrina Feroni, S. Torricelli, Il regime giuridico dei musei, Bologna, Il Mulino, 2021, pag. 89 ss.

[12] J.H. Merryman, Art Systems and Cultural Policy, cit., pag. 101.

[13] J. Panero, The Museum of the Present, in The New Criterion, December 2016; F.W. Bell, How Are Museums Supported Financially in the U.S.?, consultabile al seguente link.

[14] Lo Smithsonian Institution a Washington D.C. è uno dei pochi esempi di complesso museale, amministrato e finanziato interamente dal governo federale degli Stati Uniti.

[15] J. Panero, What’s a museum?, in The New Criterion, March 2012, pag. 4 ss.

[16] M. Calamandrei, Febbre d’arte. Filantropia e volontariato nella gestione delle istituzioni culturali americane, in Il Sole 24 Ore, Milano, 2000, 11-36; L.M. Salamon, Struttura e finanziamento del non profit sector negli U.S.A.: implicazione in campo artistico, in Tutela, promozione e libertà dell’arte in Italia e negli Stati Uniti, (a cura di) G. Clemente di San Luca, Milano, Giuffrè, 1990, pag. 38. Per un approfondimento, W.E. Howe, A History of The Metropolitan Museum of Art, with a Chapter on the Early Institutions of Art in New York, 1913, scaricabile al seguente link. Interessante è anche il sito istituzionale del Cultural Institutions Group, consultabile al seguente link.

[17] R. Pogrebin, Visit to the Met Could Cost You, if You Don’t Live in New York, in The New York Times, 26 aprile 2017.

[18] Art. 1 dello Statuto delle Gallerie degli Uffizi, approvato con decreto del ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo in data 27 novembre 2017. Come è noto, il “vecchio” ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo è oggi scisso in due distinti ministeri: ministero della Cultura e ministero del Turismo.

[19] R. Pogrebin, Is the Met Museum ‘a Great Institution in Decline?, in The New York Times, 4.2.2017; R. Pogrebin, Met Museum Prepares for $100 Million Loss and Closure Till July, in The New York Times, 15.7.2020.

[20] Ad esempio, è stato rilevato che il deaccessioning per tale finalità avrebbe potuto scoraggiare, in futuro, coloro che erano intenzionati a donare opere d’arte ai musei: R. Pogrebin, Z. Small, Selling Art to Pay the Bills Divides the Nation’s Museum Directors, in The New York Times, 19.3.2021.

[21] Association of Art Museum Directors’ Board of Trustees Approves Resolution to Provide Additional Financial Flexibility to Art Museums During Pandemic Crisis, 15 April 2020, consultabile al seguente link. La risoluzione, tuttavia, non fornisce una definizione del concetto di “direct care”, ma impone ai consigli di amministrazione dei musei, interessati ad avvalersi di questa opportunità, di previamente identificare quali siano gli interventi ricompresi in tale nozione e di darvi adeguata pubblicità.

[22] R. Pogrebin, Met Museum Considers Selling Art to Pay Its Bills, in The New York Times, 8.2.2021.

[23] Queste le parole del Direttore del Metropolitan Museum of Art, Max Hollein: “I support this temporary measure during this extraordinary time of crisis, as it is our absolute priority and core responsibility to preserve and retain the very skilled staff needed to care for our collection” (M. Hollein, Building and Caring for The Met Collection, 17.2.2021, consultabile al seguente link).

[24] The Metropolitan Museum of Art. Annual Report for the Year 2020-2021, pag. 18.

[25] Membership of AAMD Approves Change to Deaccessioning Rule, Bringing Policy in Line with American Alliance of Museums (AAM) and Financial Accounting Standards Board (FASB). New Rule Permits Use of Funds from Deaccessioned Art For Direct Care of Objects, Narrowly Defined, 30 September 2022, consultabile al seguente link. Secondo la risoluzione, “direct care” “means the direct costs associated with the storage or preservation of works of art” ed include, ad esempio, le spese sostenute per “(i) conservation and restoration treatments (including packing and transportation for such conservation or restoration) and (ii) materials required for storage of all classifications of works of art, such as, acid-free paper, folders, matboard, frames, mounts, and digital media migration”. Sul punto, J. Jacobs, Museums Vote to Allow the Sale of Art to Care Collections, in The New York Times, 30.9.2022; J. Kamp, Following controversial sales, US museums association revises its deaccessioning policy, in The Art Newspaper, 30.9.2022.

[26] La terminologia e la distinzione tra “modello americano” e “modello europeo-continentale” sono riprese da A. Romolini, S. Fissi, E. Gori, M. Contri, Financing Museums: Towards Alternative Solutions? Evidence from Italy, in M. Piber, Management, Participation and Entrepreneurship in the Cultural and Creative Sector, Cham, Switzerland, Springer, 2020, pag. 13 ss.

[27] National Endowment for the Arts, How the United States Funds the Arts, October 2004, v.

[28] Rientrano, a titolo esemplificativo, tra i c.d. “earned income”, gli introiti della vendita dei biglietti, del prestito e della vendita delle opere delle proprie collezioni, i diritti di autore e di fotoriproduzione, i proventi delle prestazioni e dei servizi erogati dai musei (ristorazione, caffetteria, book shop, ...).

[29] Una definizione più accurata di “endowments” è formulata da W.H. Daughtrey, Jr., M.J. Gross, Jr., Museum Accounting Handbook, Washington, American Association of Museums, 1978: “funds used to accumulate those assets that have been given to the museum on the condition that the principal of the gift is to be kept intact and that only the investment income it produces can be used to meet the museum's needs” (pag. 76).

[30] A. Haimerl, What Keeps U.S. Art Museums Running and How Might the Pandemic Change That?, in ARTnews, 3.3.2021.

[31] John Henry Merryman definisce “symbolic” l’apporto del National Endowment for the Arts (J.H. Merryman, Art Systems and Cultural Policy, cit., pag. 105).

[32] National Endowment for the Arts, How the United States Funds the Arts, cit., pag. 2.

[33] P. Ungari, Il mecenatismo nella legge sull’art bonus, in G. Morbidelli, A. Bartolini, L’immateriale economico nei beni culturali, Torino, Giappichelli, 2016, pag. 44.

[34] R.S. Katz, L’intervento pubblico e privato in campo artistico negli Stati Uniti d’America, in Tutela, promozione e libertà dell’arte in Italia e negli Stati Uniti, (a cura di) G. Clemente di San Luca, cit., pag. 75; P.A. Valentino, Il mecenatismo culturale diffuso in Italia: una occasione perduta?, cit., pag. 26.

[35] Giving USA 2022: The Annual Report on Philanthropy for the Year 2021, consultabile sul sito https://givingusa.org.

[36] S. Dorigo, Il finanziamento dei musei tra risorse pubbliche e crescente coinvolgimento dei privati, in G. Cerrina Feroni, S. Torricelli, Il regime giuridico dei musei, cit., pag. 151. A conferma della netta prevalenza del finanziamento pubblico, si veda il grafico riportato in M. Thatcher, A. Pirri Valentini, State Museums Raising their Own Resources: A Comparison of the Legal and Managerial Frameworks in Italy, France and England, in Arte e Diritto, 1/2022, pag. 61.

[37] R. Briganti, I sistemi museali tra l’articolo 9 della Costituzione e la sussidiarietà orizzontale, in Il governo dei musei, tra Costituzione, funzione sociale e mercato, (a cura di) L. Ferrara, A. Lucarelli, D. Savy, Napoli, Editoriale Scientifica, 2017, pag. 23; secondo l’autore, la legge n. 1089/1939 rifletteva “una concezione estetizzante dei beni culturali, trattandoli alla stregue d’un oggetto statico, inerte, indifferente alle stagioni della storia”. Sul punto: M. Cammelli, Il diritto del patrimonio culturale: una introduzione, in Diritto del patrimonio culturale, (a cura di) C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, G. Sciullo, Bologna, Il Mulino, 2020, pagg. 16-24; M.C. Cavallaro, I beni culturali: tra tutela e valorizzazione economica, in Aedon, 2018, 3, pag. 1.

[38] Si riferisce alla “tradizionale logica conflittuale”, A. Moliterni, Pubblico e privato nella disciplina del patrimonio culturale: l’assetto del sistema, i problemi, le sfide, in Patrimonio culturale e soggetti privati. Criticità e prospettive del rapporto pubblico-privato, (a cura di) A. Moliterni, Napoli, Editoriale Scientifica, 2019, pag. 22.

[39] M.C. Pangallozzi, L’istituzione museale: effetti e prospettive di una conquistata autonomia, in Aedon, 2019, 1: l’autore parla del “vecchio stereotipo di museo-monumento o museo-raccolta” (pag. 32).

[40] L. Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, Bologna, Il Mulino, 2016, pag. 24.

[41] L. Casini, Valorizzazione e gestione, in Diritto del patrimonio culturale, cit., pagg. 195-218.

[42] V. Di Capua, La Convenzione di Faro. Verso la valorizzazione del patrimonio culturale come bene comune?, in Aedon, 2021, 3, pag. 1.

[43] E. Fidelbo, Strumenti giuridici di valorizzazione del rapporto tra patrimonio culturale e territorio: il caso dei patti di collaborazione tra amministrazioni locali e cittadini, in Aedon, 2018, 3, pag. 3.

[44] La dottrina è concorde nell’individuare nella crisi della finanza pubblica una delle principali ragioni che hanno comportato l’apertura agli investimenti privati: A. Moliterni, Pubblico e privato nella disciplina del patrimonio culturale: l’assetto del sistema, i problemi, le sfide, cit., pag. 54; L. Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, cit., pag. 51; A. De Crescenzo, Autonomia gestionale, finanziaria e contabile dei musei, in Il governo dei musei, tra Costituzione, funzione sociale e mercato, cit., pag. 138; G.D. Comporti, Sponsorizzazione ed erogazioni liberali, in Aedon, 2015, 2, pag. 1; G. Morbidelli, Introduzione, in L’immateriale economico nei beni culturali, cit., pag. 7.

[45] Per un approfondimento sulle evoluzioni del ruolo dei privati nel settore dei beni culturali, si vedano L. Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, cit., pag. 110 ss.; L. Casini, Valorizzazione e gestione, cit., pagg. 204-205; In particolare, l’autore distingue tre fasi: bilaterale, trilaterale e multilaterale.

[46] B. Guastaferro, La ratio della riforma sulla governance dei musei ed i suoi ancoraggi costituzionali, in Il governo dei musei, tra Costituzione, funzione sociale e mercato, cit., pagg. 30-32.

[47] Sul punto, si segnala che in data 24 agosto 2022, l’Assemblea straordinaria dell’International Council of Museums ha approvato la seguente, nuova definizione di museo: “A museum is a not-for-profit, permanent institution in the service of society that researches, collects, conserves, interprets and exhibits tangible and intangible heritage. Open to the public, accessible and inclusive, museums foster diversity and sustainability. They operate and communicate ethically, professionally and with the participation of communities, offering varied experiences for education, enjoyment, reflection and knowledge sharing”.

[48] Definizioni sostanzialmente analoghe si rinvengono nei testi normativi che sono succeduti al d.p.c.m. n. 171/2014: per quel che rileva, l’art. 35, comma 1, del d.p.c.m. n. 76/2019 e l’art. 43, comma 1, del d.p.c.m. n. 169/2019 (attualmente in vigore). In particolare, quest’ultimo, fornisce la seguente definizione: “I musei, i parchi archeologici, le aree archeologiche e gli altri luoghi della cultura di appartenenza statale sono istituzioni permanenti, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. Sono aperti al pubblico e compiono ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell'umanità e del suo ambiente; le acquisiscono, le conservano, le comunicano e le espongono a fini di studio, educazione e diletto, promuovendone la conoscenza presso il pubblico e la comunità scientifica”.

[49] M. Giusti, I musei autonomi: il caso delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, in Aedon, 2018, 1, pag. 1; G. Morbidelli, I musei civici italiani fra tradizione e modernità, in G. Cerrina Feroni, S. Torricelli, Il regime giuridico dei musei, cit., pagg. 101-103; E. Mone, I musei statali tra istanze di autonomia ed esigenze di cooperazione istituzionale, in Il governo dei musei, tra Costituzione, funzione sociale e mercato, cit., pag. 101.

[50] D. De Pretis, I grandi musei pubblici in Italia: un sistema, in Il regime giuridico dei musei, cit., pag. 22. Al riguardo, anche L. Casini, Organizzazione, finanziamento, profili fiscali, in Il regime giuridico dei musei, cit., pag. 38; V. Faletti, M. Maggi, I musei, Bologna, Il Mulino, 2012, pag. 154 ss. Il riconoscimento del museo, quale componente essenziale per l’apprendimento e per la crescita culturale della società, nonché quale luogo espressione dell’identità di una comunità, è confermato, ad esempio, dallo Statuto delle Gallerie degli Uffizi. In particolare, l’art. 2, in merito alla “Missione” del museo, presenta il seguente tenore testuale: “1. Le Gallerie sono una istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società fiorentina, italiana, europea e internazionale e del suo sviluppo. Sono aperte al pubblico e compiono ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità; le acquisiscono, le conservano, le comunicano e le espongono a fini di studio, educazione e diletto, promuovendone la conoscenza presso il pubblico e la comunità scientifica. 2. Le Gallerie tutelano, gestiscono e valorizzazione le proprie collezioni, comprensive di beni archeologici, storico-artistici, architettonici, paesaggistici e naturali, mediante lo studio e la ricerca; ne promuovono altresì il godimento pubblico e la fruizione agevolata anche da parte delle categorie meno favorite, riconoscendo il contributo delle arti al pieno sviluppo e alla cura della persona. 3. Le Gallerie, tenendo conto del valore identitario dell’arte e della sua storia in ambito locale, regionale, nazionale e internazionale, favoriscono lo scambio dialettico tra i visitatori delle diverse culture”.

[51] Sul punto, si è espressa anche la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 24 marzo 2020, n. 2055, che - tra le altre cose - ha rilevato quanto segue: “I musei dotati ‘di autonomia speciale’ sono istituti privi di personalità giuridica, cui spetta il compito di ‘garantire lo svolgimento della missione del museo; verificare l'economicità, l'efficienza e l'efficacia dell'attività del museo; verificare la qualità scientifica dell'offerta culturale e delle pratiche di conservazione, fruizione e valorizzazione dei beni in consegna al museo’ (art 9 del D.M.), avvalendosi di propri organi (il Direttore, scelto attraverso una selezione pubblica; il Consiglio di amministrazione; il Comitato scientifico e il Collegio dei revisori dei conti). Questi musei devono agire “in coerenza con le direttive e altri atti di indirizzo del Ministero” (art. 11) e sono sottoposti alla vigilanza della Direzione generale Musei che ne approva i bilanci e i conti consuntivi (art. 14). Ancora, ai sensi del ridetto art. 35 del D.P.C.M., sono “uffici di livello dirigenziale che dipendono funzionalmente dalla Direzione generale Musei”. Malgrado pertanto l’autonomia “speciale” loro riconosciuta, nell’assetto ordinamentale essi rimangono “uffici ministeriali”, sia pure a livello dirigenziale”.

[52] In origine, l’art. 30, comma 3, del d.p.c.m. n. 171/2014, ne prevedeva 32. Il numero è stato elevato a 44 dall’attuale formulazione dell’art. 33, comma 3, del d.p.c.m. n. 169/2019. Come si è già rilevato, tra di essi - e, nello specifico, tra gli uffici di livello dirigenziale generale - rientrano anche le Gallerie degli Uffizi.

[53] M.C. Pangallozzi, L’istituzione museale: effetti e prospettive di una conquistata autonomia, cit., pag. 32.

[54] A. Labor, L’organizzazione dei beni culturali alla prova delle riforme, in Aedon, 2017, 3, pag. 3. In M. Thatcher, A. Pirri Valentini, State Museums Raising their Own Resources: A Comparison of the Legal and Managerial Frameworks in Italy, France and England, cit., si evidenzia che “Italy was the last of the three to aid private funding of public museums, since until 2014 the latter lacked the legal-institutional structure to be able to engage autonomously with possible third-party sources of financing, other that public funds” (pag. 77).

[55] La procedura della sponsorizzazione dei beni culturali, prevista dall’art. 120 del d.lg. n. 42/2004, è oggi disciplinata dagli artt. 19 e 151 del d.lg. n. 50/2016. In particolare, l’art. 19 del d.lg. n. 50/2016 dispone, in generale, una procedura semplificata per i contratti di sponsorizzazione; mentre l’art. 151, comma 1, del d.lg. n. 50/2016, prevede che “la disciplina di cui all'articolo 19 del presente codice si applica ai contratti di sponsorizzazione di lavori, servizi o forniture relativi a beni culturali di cui al presente capo, nonché ai contratti di sponsorizzazione finalizzati al sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura, di cui all'articolo 101 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, recante Codice dei beni culturali e del paesaggio, delle fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione”. Si ricorda, tra l’altro, che tra gli istituti e luoghi della cultura, l’art. 101, comma 1, del d.lg. n. 42/2004, annovera anche i musei. Al riguardo: G. Sciullo, I beni culturali quali risorsa collettiva da tutelare - una spesa, un investimento, in Aedon, 2017, 3, pag. 3; M. Cammelli, L’ordinamento dei beni culturali tra continuità e innovazione, in Aedon, 2017, 3, pag. 5.

[56] Oltre al “sostegno” (previsto anche in favore “delle fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione, delle istituzioni concertistico-orchestrali, dei teatri nazionali, dei teatri di rilevante interesse culturale, dei festival, delle imprese e dei centri di produzione teatrale e di danza, nonché dei circuiti di distribuzione, dei complessi strumentali, delle società concertistiche e corali, dei circhi e degli spettacoli viaggianti”), le altre ipotesi di elargizioni liberali che beneficiano dell’art bonus, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 83/2014, sono quelle “per interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici” e quelle “per la realizzazione di nuove strutture, il restauro e il potenziamento di quelle esistenti di enti o istituzioni pubbliche”.

[57] G. Fidone, Il ruolo dei privati nella valorizzazione dei beni culturali: dalle sponsorizzazioni alle forme di gestione, in Aedon, 2012, 1/2, pag. 2.

[58] Una volta scelto l’intervento da finanziare sul sito istituzionale dell’art bonus (https://artbonus.gov.it/lista-interventi.html), è sufficiente, per il donatore, effettuare un bonifico, utilizzando la causale indicata nella sezione dedicata all’intervento che si è scelto di sostenere. Anche in termini di trasparenza e di visibilità, l’art bonus offre numerosi vantaggi: ad esempio, sulle pagine dei singoli interventi sono pubblicate tutte le somme che vengono ricevute (con l’indicazione, oltre che dell’importo, anche del soggetto donante) e quelle che vengono spese; inoltre, sul sito istituzionale dell’art bonus, vi è una sezione appositamente dedicata ai “mecenati”, con l’indicazione dei relativi nomi o delle rispettive denominazioni, suddivisi per anno e per l’importo dell’erogazione liberale. Sottolinea il “basso tasso di burocrazia” nell’art bonus, R. Lupi, L’Art Bonus come sovvenzione pubblica in forma di “credito d’imposta”, in Aedon, 2014, 3, pag. 3. Del resto, è noto che la semplicità della procedura e la trasparenza nella destinazione delle risorse elargite sono due “ingredienti” fondamentali - oltre alle agevolazioni fiscali ed al riconoscimento sociale - per agevolare il mecenatismo culturale; M. Misiti, A. Valeri, L’indagine Civita-Unicab sul comportamento degli italiani rispetto alle donazioni in denaro per l’arte e la cultura. Analisi descrittiva, in AA.VV., Donare si può? Gli Italiani e il mecenatismo culturale diffuso, cit., pagg. 71-78.

[59] Loi n° 2003-709 du 1 août 2003 relative au mécénat, aux associations et aux fondations. Sul mecenatismo culturale in Francia, si veda M. Thatcher, A. Pirri Valentini, State Museums Raising their Own Resources: A Comparison of the Legal and Managerial Frameworks in Italy, France and England, cit., pag. 68 ss.

[60] L. Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, cit., pag. 101; sull’art bonus, pagg. 97-102. Anche F. Zammartino, La riforma dei musei al vaglio dei criteri di efficienza e semplificazione, in Il governo dei musei, tra Costituzione, funzione sociale e mercato, cit., pag. 119.

[61] Il dato è aggiornato al 30 marzo 2023.

[62] S. Dorigo, Il finanziamento dei musei tra risorse pubbliche e crescente coinvolgimento dei privati, cit., pag. 160. Anche prima dell’introduzione dell’art bonus, in Italia, le (esigue) erogazioni liberali provenivano, per la maggior parte, da grandi e piccole imprese e dalle banche; raramente, invece, da persone fisiche. Per i dati, relativi al periodo 2005-2008, G. Bonazzi, Le erogazioni liberali in Italia: caratteristiche e rilevanza del fenomeno, in Donare si può? Gli Italiani e il mecenatismo culturale diffuso, cit., pagg. 43-53.

[63] Art. 2 della l.r. Toscana n. 18/2017, relativo ai “Destinatari delle agevolazioni fiscali”.

[64]Così dispone l’art. 3, comma 1, lett. b), della l.r. Toscana n. 18/2017; nell’ammettere gli interventi che beneficiano anche dell’art bonus, previsto dall’art. 1 del d.l. n. 83/2014, la norma fa, comunque, salvi i “requisiti di cui alla lettera a)”.

[65] A. Romolini, S. Fissi, E. Gori, M. Contri, Financing Museums: Towards Alternative Solutions? Evidence from Italy, cit., pag. 14.

[66] I dati sono tratti dagli elaborati del Bilancio consuntivo per l’esercizio finanziario 2020 e del Bilancio consuntivo per l’esercizio finanziario 2021; la documentazione è consultabile al seguente link. I “numeri” sono coerenti con i risultati di una ricerca, avente ad oggetto le entrate di un campione di musei pubblici statali, per l’anno 2017: solamente il 2,7% provenivano da contributi privati e, fra questi, i principali sostenitori erano imprese, seguiti da enti del terzo settore. Il sostegno dei privati cittadini, invece, è risultato sostanzialmente ininfluente. Al riguardo, A. Romolini, S. Fissi, E. Gori, M. Contri, Financing Museums: Towards Alternative Solutions? Evidence from Italy, cit., pagg. 19-22.

[67] I dati sono tratti dal The Metropolitan Museum of Art. Financial Statements for the Years ended June 30, 2022 and 2021 e dal The Metropolitan Museum of Art. Financial Statements for the Years ended June 30, 2021 and 2020. Entrambi i documenti sono consultabili al seguente link.

[68] In particolare, per il periodo 1° luglio 2020 - 30 giugno 2021, i proventi relativi alle “Admissions” ammontano a 10.144.000,00 dollari e quelli derivanti dalle “Operating appropriations from the City of New York” a 18.936.000,00 dollari. Per l’anno successivo, invece, i primi sono pari a 31.952.000,00 dollari ed i secondi a 22.560.000,00 dollari.

[69] Intervento del Direttore delle Gallerie degli Uffizi, Dott. Eike Schmidt, in occasione del convegno “Mecenatismo culturale e le agevolazioni fiscali applicabili”, organizzato presso le Gallerie degli Uffizi il 19 novembre 2021.

[70] Molteplici sono ormai gli interventi sul patrimonio artistico e culturale resi possibili grazie agli investimenti delle grandi maison del lusso e della moda. A titolo esemplificativo: il restauro della fontana di Trevi, da parte del brand romano Fendi, nel 2016 per un investimento di circa 2 milioni di Euro; sempre nel 2016, il gruppo Tod’s ha investito circa 25 milioni di Euro per il restauro del Colosseo; nell’arco temporale 2013-2016, il gruppo Bulgari ha stanziato 3 milioni di Euro per il recupero della scalinata di Trinità dei Monti, di un mosaico nelle Terme di Caracalla e di Largo Argentina a Roma; il restauro, conclusosi nel 2021, del Ponte di Rialto a Venezia, grazie al contributo di 5 milioni di Euro del gruppo OTB (Only the brave) dell’imprenditore e fashion designer Renzo Rosso; la donazione di circa 1,5 milioni di Euro da parte della S.p.a. Salvatore Ferragamo per restaurare la Fontana del Nettuno in Piazza della Signoria a Firenze, i cui lavori sono iniziati nel 2017; il restauro del Giardino di Boboli a Firenze, grazie al contributo di 2 milioni di Euro da parte della maison Gucci; Brunello Cucinelli che, tra le numerose iniziative di cui si è reso fautore, ha finanziato, con 1,3 milioni di Euro, il restauro dell'Arco Etrusco a Perugia. In merito al mecenatismo delle case di moda, si vedano: F. Camurati, Il mecenatismo di lusso fa crescere i fatturati, in MFfashion, 11.11.2020; S. Vona, Moda e mecenatismo: è un bene che i brand di lusso finanzino il nostro patrimonio culturale?, in Generazione, 23.9.2020; S. Mazzotta, Le fondazioni culturali delle corporate del lusso. Collezioni d’arte aziendali, mecenatismo e sponsorizzazione, in 8(1) ZoneModa Journal 2018, pag. 43 ss.

[71] Comunicato stampa, Uffizi: nuova valorizzazione della Galleria grazie alla donazione di Ferragamo, consultabile al seguente link.

[72] A. De Tocqueville, Democracy in America, 1835, pag. 526.

[73] National Endowment for the Arts, How the United States Funds the Arts, cit., pag. 15; L. Zanetti, Gli strumenti di sostegno alla cultura tra pubblico e privato: il nuovo assetto delle agevolazioni fiscali al mecenatismo culturale, in Aedon, 2001, 2, pagg. 4-5.

[74] Così dispone la Sezione 501(a) e (b) dell’Internal Revenue Code.

[75] Per un approfondimento, J.M. Schuster, Tax Incentives in Cultural Policy, in V.A. Ginsburgh, D. Throsby (eds.), Handbook of the Economics of Art and Culture, Vol. I, Elsevier, Amsterdam, 2006, pag. 1254 ss.

[76] J.M. Davidson Schuster, Supporting the Arts: An International Comparative Study, Washington, D.C., National Endowment for the Arts, 1985, pag. 55.

[77] M. Curti, The History of American Philanthropy as a Field of Research, in 62(2) The American Historical Review 1957, 352, pag. 353; J. Panero, What’s a museum?, in The New Criterion, cit., pag. 7.

[78] R.H. Bremner, Giving: Charity and Philanthropy in History, New Brunswick, Transaction Publishers, 2018, pag. 159; D. Putnam, Bowling Alone: The Collapse and Revival of American Community, New York, Simon & Schuster, 2000, pag. 116 ss. (tradotto in italiano: D. Putnam, Capitale sociale e individualismo. Crisi e rinascita della cultura civica in America, Bologna, Il Mulino, 2004, pag. 149 ss.). Per un approfondimento sulla filantropia al giorno d’oggi negli Stati Uniti, D. Callahan, The Givers: Wealth, Power, and Philanthropy in a New Gilded Age, New York, Alfred A. Knopf, 2017.

[79] A.J. Zoltan, P.J. Ronnie, Entrepreneurship and Philanthropy in American Capitalism, in 19 Small Business Economics 2002, pag. 189.

[80] A. Carnegie, “Wealth”, in 148 North American Review (June) 1889, pagg. 653-664.

[81] A. Zhulina, Performing Philanthropy from Andrew Carnegie to Bill Gates, in 23(6) Performance Research 2018, 50, pag. 53.

[82] R.G. Kaiser, The Power of Giving: Modern-Age Philanthropy and ‘Super-Citizens’ Make the Gilded Age Look Tarnished, in National Post, 18.4.2017.

[83] M. Vottero, To Collect and Conquer: American Collections in the Gilded Age, in 1 Transatlantica, 2013, pag. 8.

[84] A. De Tocqueville, Democracy in America, II, New York, Alfred A. Knopf, 1948, pagg. 36-37.

[85] S.M. Lipset, American Exceptionalism. A Double-Edged Sword, New York, W.W. Norton & Company, 1997, pag. 18.

[86] National Endowment for the Arts, How the United States Funds the Arts, cit., pag. 3.

[87] S.M. Lipset, American Exceptionalism. A Double-Edged Sword, cit., pag. 71.

[88] L.M. Salamon, Struttura e finanziamento del non profit sector negli U.S.A.: implicazione in campo artistico, cit., pag. 37.

[89] Al riguardo, è stato osservato: “Both our entrepreneurial economic system and our philanthropic tradition spring from the same root: American individualism. Other countries may be content to have the government run most of their schools and universities, pay for their hospitals, subsidize their museums and orchestras, even in some cases support religious sects. Americans tend to think most of these institutions are best kept in private hands, and they have been willing to cough up the money to pay for them” (Newsweek, The Land of the Handout, 29.9.1997).

[90] A.D. Ross, Philanthropy, in D.L. Sills (eds.), International Encyclopedia of the Social Sciences, XII, New York, Macmillan and the Free Press, 1968, pag. 76.

[91] Laws of 1870, Chapter 197, An Act to Incorporate “The Metropolitan Museum of Art”, passed April 13th, 1870.

[92] M. Calamandrei, Febbre d’arte. Filantropia e volontariato nella gestione delle istituzioni culturali americane, cit., pag. 21.

[93] Sul punto, si rinvia supra al paragrafo III.

[94] Le attività di fundraising sono state definite come “those activities directed at raising money from external organisations and individuals, whether for specific projects (capital or revenue) or for general funds Innovative fundraising for State museums”, S. Woodward, Funding Museum Agendas: Challenges and Opportunities, in 17 Managing Leisure 2012, 14, pag. 21.

[95]The Business Model of the Nonprofit Museum, Sotheby’s Institute of Art, consultabile al seguente link.

[96] R. Pogrebin, Mayor Endorses Entrance Fee for the Metropolitan Museum, in The New York Times, 27.4.2017.

[97] In particolare, secondo l’allora Presidente e CEO, Daniel Weiss, “The proportion of museumgoers who pay a “suggested” amount has declined from 63 percent to 17 percent over the last 13 years, even as Met attendance has surged to seven million, from 4.7 million” (R. Pogrebin, Prepared for Bumps, the Met Starts Charging Non-New Yorkers, in The New York Times, 1.3.2018). Si veda, altresì, R. Pogrebin, The Met to Non-New Yorkers: $25, Please, in The New York Times, 5.1.2018.

[98] R. Pogrebin, Visit to the Met Could Cost You, if You Don’t Live in New York, cit.

[99] Ad esempio, E. Stiffman, When Nonprofits Are Asked to Be the “Morals Police”: Public Scrutiny Over the Source of Big Donors’ Money is Causing Angst Among Some Charities, in The Chronicle of Philanthropy, 5.11.2019; R. Pogrebin, Prepared for Bumps, the Met Starts Charging Non-New Yorkers, cit.

[100] S. Deb, Would Fees Deter Tourists?, in The New York Times, 15.5.2017.

[101] R. Pogrebin, Met Changes 50-Year Admissions Policy: Non-New Yorkers Must Pay, in The New York Times, 4.1.2018.

[102] G. Angeleti, Metropolitan Museum of Art increases admission fee, in The Art Newspaper, 29.6.2022.

[103] N. Chilton, The Met Gala: From Midnight Suppers to Superheroes and Rihanna, 30.4.2020, consultabile al seguente link.

[104] Per un approfondimento sul Met Gala e sulla centralità di Anna Wintour nella ideazione e nella realizzazione dell’evento, si veda F. Caponigri, The Ethics of the International Display of Fashion in the Museum, in 49(1) Case Western Reserve Journal of International Law (2017), 135, pag. 164 ss.; non a caso, è stato osservato che “It’s Called the Met Gala, but It’s Definitely Anna Wintour’s Party” (pag. 165).

[105] J. Barron, The Met Gala is Bound to Be Gilded and Over-the-Top; New York Today, in The New York Times, 22.5.2022.

[106] V. Friedman, Everything You Need to Know About the Met Gala 2022, in The New York Times, 28.4.2022; V. Friedman, Everything You Need to Know About the Met Gala 2021, in The New York Times, 10.9.2021; M. Sun, R. Touma, A. Gorman, The Met Gala 2021.eight key moments from fashion’s big night, in The Guardian, 14.9.2021.

[107] V. Friedman, Everything You Need to Know About the Met Gala 2022, cit.; V. Friedman, J. Testa, Met Gala Returns, Trim but Star-Studded, in The New York Times, 14.9.2021.

[108] In ogni caso, pur potendosi permettere l’esborso di quelle cifre, non si è comunque certi di poter partecipare all’evento: gli ospiti devono, infatti, essere graditi ad Anna Wintour, che può addirittura proibire ad alcuni di prendervi parte.

[109] A. Jenkins, What to Know About this Year’s Met Gala, in Fortune.com, 7.5.2018; Z. Valentina, Met Gala By the Numbers: Quantifying Fashion’s Big Night Out, in Fortune.com, 8.5.2018.

[110] L. Brookins, Who’s RSVP’d for the Met Gala: THR Unveils the Committee List for May 6, Heavier on Hollywood than Haute Couture, in The Hollywood Reporter, 11.4.2019.

[111] V. Friedman, A Primer for the 2021 Met Gala, in The New York Times, 12.9.2021.

[112] V. Friedman, Everything You Need to Know About the Met Gala 2022, cit.

[113] Ad esempio, al Met Gala 2022, il Sindaco della città di New York, Eric Leroy Adams, indossava una giacca, con la scritta “End Gun Violence”: S.E. Garcia, The ‘Swagger Mayor’ Attends His First Met Gala, in The New York Times, 3.5.2022; W. Paris, A.L. Gordon, NYC Mayor Brings Political Statements Back to Met Gala With ‘End Gun Violance’ Jacket, in Bloomberg.com, 2.5.2022. Ancora, al Met Gala 2021, il rappresentante democratico Alexandria Ocasio-Cortez indossava un abito bianco, con la scritta “Tax the Rich” di colore rosso: A. Karni, A.O.C.’s Met Gala Dress Triggered Strong Reactions, in The New York Times, 15.9.2021; V. Badham, AOC’s Guide to Getting Noticed at Parties: Drape Yourself in the Garments of Class War, in The Guardian, 15.9.2021; A. Reed, Met Gala Put Spotlight on Class Divide, in USA TODAY, 16.9.2021.

[114] V. Badham, AOC’s Guide to Getting Noticed at Parties: Drape Yourself in the Garments of Class War, cit.

[115] F. Giannini, Uffizi a 25 euro. La polemica per i 5 euro in più è inutile se non si parla del vero tema, in Finestre sull’Arte, 11.2.2023.

[116] In Italia, un rarissimo esempio è rappresentato dall’Acquisition Gala Dinner, ovvero un evento annuale, presso il Museo nazionale delle Arti del XXI secolo, con l’obiettivo di reperire risorse per il museo.

[117] L. Lazzeretti, S. Oliva, Rethinking city transformation: Florence from art city to creative fashion city, in 26(9) European Planning Studies 2018, 1856, pag. 1861.

[118] L. Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, cit., pag. 187.

[119] M.L. Anderson, Is the Writing on the Wall for the Private Funding of Museums?, in Apollo Magazine, 27.8.2019; B. Soskis, Donors Aren’t Separate from Their Deeds; Benjamin Soskis: The Met’s Saskler Name Decision is a Reminder Donors Aren’t Separate From Their Deeds, in Richmond Times Dispatch, 11.1.2022; J. Walters, New York’s Met Museum to Remove Sackler Family Name from its Galleries, in The Guardian, 9.12.2021; J. Walters, The Met Museum to Reject Donations from Sackler Family Over Opioid Crisis, in The Guardian, 15.5.2019.

[120] J.H. Merryman, Art Systems and Cultural Policy, cit., pag. 107.

 

 

 



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