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Sul finanziamento delle attività culturali

Sponsorizzazione ed erogazioni liberali[*]

di Gian Domenico Comporti

«Ed ecco il '600 che vede l'Inghilterra di Cromwell
compiere la sua rivoluzione democratica,
aprirsi in Italia col processo a Giordano Bruno
e non molto oltre con l'abiura di Galileo.
Questo preponderare del Sant'Uffizio non fu, oggettivamente,
favorevole allo svolgimento delle idee moderne»
(F. Arcangeli, Dal Romanticismo all'Informale. Lezioni Accademiche 1970-71)

Sommario: 1. Contratto di sponsorizzazione e dintorni. - 2. Le sponsorizzazioni nel diritto amministrativo: opportunità e rischi. - 3. Le sponsorizzazioni dei beni culturali: la programmazione strategica quale antidoto alla cultura del sospetto. - 4. L'implementazione del programma e la (difficile) ricerca degli "adiacenti possibili". - 5. Concludendo: alla ricerca di una politica di sostegno delle iniziative culturali anche fiscalmente sostenibile.

Sponsorship and Donations
The paper focuses on the forms of sponsorship of cultural heritage and activities, highlighting the risks and opportunities. In particular, the author stresses the overriding importance of strategic planning policies sponsorship on the question of how to choose the sponsor and the importance of a serious and flexible negotiating capacity, obtained also through the integration of different professionals. The analysis ends with the need for an incentive fiscal policy.

Keywords: Cultural Heritage; Sponsorships; Donations; Strategic Planning.

1. Contratto di sponsorizzazione e dintorni

Uno dei primi saggi di inquadramento del tema compare nel numero inaugurale della rivista bolognese di Francesco Galgano che, dalla metà degli anni '80, si proponeva come osservatorio privilegiato di tematiche "di sempre fresca attualità", come sottolineato da Pietro Rescigno nel seminario di tre anni fa del Centro Studi Toscolano [1], emergenti nei "dialoghi con la giurisprudenza civile e commerciale". Di chiara matrice giusprivatista sono sia l'autore che il taglio di un'indagine [2] che poneva subito in chiaro il carattere "notevolmente complesso e ricco di una ampia articolazione a seconda dei vari settori di operatività" [3] di un fenomeno, non a caso, accomunato sin dal frontespizio ad altre figure negoziali atipiche (come il leasing e la multiproprietà) create dalla pratica commerciale.

Di quella stagione merita oggi ricordare l'enucleazione di alcuni tratti ricorrenti del tema, all'epoca indagato soprattutto nell'ottica della sofisticata "evoluzione della azione pubblicitaria" dell'impresa, registrata soprattutto nel mondo radiotelevisivo statunitense degli anni '60 e (successivamente) nell'ambiente sportivo italiano ed europeo, e consistente nella "diffusione di un determinato messaggio commerciale (...) attraverso la utilizzazione di un evento o di una serie di eventi di cui è protagonista uno o più soggetti comunque terzi rispetto all'impresa cui il messaggio è riferito" [4]. Anzitutto, la "peculiarità del veicolo di diffusione" del messaggio, affidato a varie forme di "collegamento (...) con determinati eventi della più diversa natura" [5]. Quindi la "utilizzazione a fini direttamente o indirettamente pubblicitari del nome o dell'immagine altrui", con conseguente superamento dell'indirizzo dottrinale degli anni '50 incline ad individuare nei diritti della personalità un "limite dell'attività industriale" ed a ritenere, di conseguenza, lecita o non offensiva l'utilizzazione del nome o della immagine solo in occasione di cronache giornalistiche o nell'ambito di un'opera narrativa [6]. Infine, il carattere corrispettivo delle prestazioni dedotte in un contratto che, alla luce del parametro dell'art. 1174 c.c., è da considerare a titolo oneroso e non è, dunque, confondibile con gli atti di liberalità [7].

La figura della sponsorizzazione vera e propria (o pura) emerge, dunque, all'esito di "un lento passaggio da un contratto a struttura fondamentalmente unilaterale a un contratto a struttura necessariamente bilaterale" [8], e rappresenta la storia della progressiva evaporazione dello spirito di pura liberalità che si consuma in tre momenti: a) la donazione (il mecenate dona a Caio una somma di denaro senza alcun corrispettivo); b) la sponsorizzazione impropria, che manifesta tratti della donazione modale (Tizio dona a Caio una somma di denaro e Caio tollera che la cosa sia resa pubblica; oppure Tizio dona ad uno sportivo accessori tecnici di sua produzione e Caio si impegna ad usarli nella sua attività agonistica); c) la sponsorizzazione nel senso moderno del termine, che presuppone prestazioni specifiche a carico del soggetto sponsorizzato [9].

Queste necessariamente sommarie precisazioni introduttive consentono subito di segnalare alcuni tratti di fondo della figura (atipicità, variabilità, adattabilità) nonché la differenza di fondo, non sempre percepita nel linguaggio comune, che corre tra la stessa e le erogazioni liberali: queste ultime evocando forme di mecenatismo (o patrocinio) che, a prescindere dalle contingenti motivazioni personali non sempre collimanti con un filantropismo o altruismo puri, non richiedono controprestazioni o non presuppongono ritorni diretti di tipo pubblicitario e/o commerciale [10].

2. Le sponsorizzazioni nel diritto amministrativo: opportunità e rischi

Se risalente nel tempo è l'uso della sponsorizzazione per finalità commerciali, la diffusione di tale strumento negoziale nel settore pubblico è più recente ed è collocabile nella metà degli anni '80 circa allorché, anche per effetto del regime fiscale agevolato introdotto dalla legge 2 agosto 1982, n. 512 per gli interventi di manutenzione, protezione o restauro dei beni d'interesse artistico o storico di cui alla legge n. 1089/1939 o per l'organizzazione di esposizioni e mostre, gli investimenti privati destinati in prevalenza ad opere di restauro sono risultati doppi rispetto a quelli registrati in Francia e quadrupli rispetto al dato inglese [11].

Ciò è dovuto al concorso di almeno due fattori: anzitutto, le crescenti difficoltà finanziarie che impediscono il mantenimento di adeguati livelli di investimento pubblico; quindi, la acquisita consapevolezza - al di là di ogni possibile visione ideologica - dell'assenza di incompatibilità tra la natura pubblica di determinati beni, rilevante sotto il profilo della relativa titolarità, e forme differenziate di uso, valorizzazione e gestione degli stessi [12].

Il fenomeno si è naturalmente attestato nell'ambito dell'evolutivo schema del partenariato pubblico-privato [13] e, di conseguenza, ha guadagnato l'attenzione generale in termini di "opportunità per il cambiamento" [14] da cogliere per ovviare ad un segnale negativo, di scarsità e criticità dell'assetto tradizionale di governo.

Non a caso, risale alla risoluzione del 13 novembre 1986 (86/C 320/02) dei Ministri responsabili degli affari culturali, riuniti in sede di Consiglio europeo, la presa d'atto che il patrimonio culturale europeo e le attività culturali in generale "possano essere mantenute e sviluppate nel modo migliore mediante un appoggio rafforzato proveniente da molteplici fonti, comprese diverse forme di sponsorizzazione sia da privati che da società"; dal che l'invito a promuoverne la diffusione nell'ambito degli Stati membri, "in quanto attività vantaggiosa per ambo le parti, nonché come sostegno all'espansione delle attività culturali ed economiche". Farà seguito la risoluzione del Parlamento europeo del 12 febbraio 1993 con cui, considerando che il periodo di recessione economica in atto "non facilita il finanziamento di opere di restauro e di salvaguardia e che l'avvio di progetti economici", si invita il Consiglio a "mettere in atto (...) tutte le possibilità per incoraggiare con facilitazioni fiscali, di credito o con altri strumenti giuridici o amministrativi, tutte le forme di mecenatismo o di partenariato pubblico-privato nelle opere di conservazione del patrimonio architettonico e culturale". Alle manovre finanziarie della fine degli anni '90 si devono anche le prime previsioni normative nazionali che legittimano espressamente il ricorso alle sponsorizzazioni da parte delle amministrazioni pubbliche [15] e degli enti locali [16] per realizzare economie di gestione ed aumentare la produttività e la qualità dei servizi [17].

L'attestarsi dell'istituto al crocevia della (crisi della) finanza pubblica ha ben presto comportato la necessità del confronto con l'impronta formale e contabilistica che tradizionalmente connota le decisioni di spesa dell'apparato pubblico. Così, se la sponsorizzazione attiva da parte di un ente territoriale di associazioni sportive (nello specifico una squadra di pallacanestro di Palermo) è stata la dibattuta occasione per affermare il necessario rispetto del principio di imparzialità che impone la selezione, possibilmente sulla base di criteri generali preventivi [18], di "un'iniziativa obiettivamente considerata e che venga condivisa dalla generalità dei suoi destinatari" [19], sull'opposto fronte passivo, il collegamento tra la sponsorizzazione privata di iniziative socio-assistenziali e culturali e l'aggiudicazione di appalti di servizi (nella specie di tesoreria), giudicato in un primo momento "aberrante" ed irrazionale per l'indotta inversione della causa di un rapporto contrattuale che "in principio dovrebbe essere oneroso per l'amministrazione" anziché per l'appaltatore [20], è stato il terreno su cui è maturato il richiamo alla garanzia della par condicio dei concorrenti nelle procedure di evidenza pubblica e della previsione di punteggi volti a privilegiare comunque la capacità tecnica, operativa ed organizzativa dell'operatore in ordine all'espletamento del servizio, rendendo "residuali e tali da non costituire l'elemento discriminante principale e tendenzialmente risolutivo dell'iter concorsuale" i profili dell'offerta attinenti alla sponsorizzazione [21]. Ciò, è stato detto, "al fine di evitare che (...) la procedura concorsuale venga convertita in una sorta di gara con offerte illimitate in aumento, essenzialmente legate alla sponsorizzazione, con aggiudicazione al soggetto disposto ad offrire, per essa, il rialzo più elevato, senza la previa definizione, a tal fine, di un ragionevole e bilanciato tetto massimo, coerente con gli effettivi benefici sinallagmaticamente ritraibili dal concorrente attraverso la sponsorizzazione, ma anche e soprattutto con il limitato rilievo che può assumere nella gara un elemento non costituente indice di particolari capacità nell'espletamento dei servizi" [22].

Dal che si capisce che il particolare favor in funzione anticiclica che ha segnato l'impatto con il mondo amministrativo ha suscitato problemi non tanto rispetto alla natura negoziale dell'istituto, la cui causa tradizionale è stata anzi in qualche modo adattata nel senso di rendere "l'attività di pubblicizzazione dello sponsor sostanzialmente marginale e residuale rispetto alla finalità di pubblico interesse precipuamente perseguita" [23], quanto relativamente alla atipicità delle sue manifestazioni ed alla relativa compatibilità con i compiti istituzionali degli enti pubblici. L'opportunità di cui discorreva sopra è stata così vissuta in chiave problematica come un fattore di rischio da governare con attenzione.

3. Le sponsorizzazioni dei beni culturali: la programmazione strategica quale antidoto alla cultura del sospetto

Tali problemi sono particolarmente avvertiti con riferimento ai beni culturali [24], il cui valore testimoniale stratificato [25], diffuso [26] ed immateriale [27] viene spesso percepito come di per sé incompatibile con l'accostamento ad un marchio aziendale, tanto che polemicamente si addita la "crescente mercificazione del patrimonio culturale" come il "cavallo di Troia" della loro progressiva e latente privatizzazione [28].

Complice anche questo surplus di attenzione che alimenta visioni radicali, le analisi correnti si incentrano per lo più su due profili: anzitutto, sulla carenza o lacunosità disciplinare, la regolazione caso per caso cui fa rinvio il legislatore (con l'art. 120 del codice dei contratti pubblici), essendo vissuta come un pericoloso vuoto dietro al quale si intravede il rischio della "sistematica abdicazione" degli interessi pubblici di fronte "all'aggressività degli omologhi privati" [29]; in secondo luogo, sulle modalità di scelta dello sponsor, la tutela del mercato, sub specie di contendibilità dell'affare da parte di più imprese in concorrenza, apparendo come sufficiente garanzia per la migliore tutela degli interessi pubblici in gioco [30]. Tale scenario fa da sfondo ad un copione argomentativo assai collaudato già nel settore dei contratti pubblici e riassumibile in questi termini: le possibilità di scelta, che pure dovrebbero rappresentare il cuore di ogni dinamica negoziale, se è vero che non può aspettarsi nulla di buono da una parte costretta ad entrare nell'arena con la benda negli occhi, vengono additate come causa del dilagante malaffare che, dunque, viene fronteggiato non già investendo in professionalità e diffondendo la cultura della responsabilità, ma invocando sempre più evoluti limiti procedurali ed automatismi decisionali ritenuti in grado di trovare, come per magia, la migliore soluzione. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il sistema inquisitorio e di polizia che ormai governa le procedure di evidenza pubblica legate agli appalti, con il relativo sempre più articolato ed invasivo apparato sanzionatorio rimesso nelle mani della nuova autorità di settore (non a caso, nel frattempo divenuta l'ANAC), oltre a non ridurre la diffusione dei fenomeni corruttivi e di malcostume, costringe le stazioni appaltanti ad inseguire la chimera della moralizzazione dei mercati anziché ricercare nella gara le migliori capacità imprenditoriali [31].

L'evoluzione della disciplina è nota [32]. Dall'intervento soft dell'Autorità di vigilanza che, alla fine del 2001, ha in prima battuta sottolineato il carattere "complesso" ed "atipico" della figura, ritenendola al contempo estranea all'ambito della disciplina comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici perché non catalogabile come un contratto passivo in quanto comportante "un vantaggio economico e patrimoniale direttamente quantificabile per la pubblica amministrazione mediante un risparmio di spesa" [33]; così dando luogo alla elaborazione di un regime speciale che, a partire dall'art. 7 della legge n. 166/2002, modificativo dell'art. 2, comma 6, della legge quadro sui lavori pubblici n. 109/1994, è transitato fino agli artt. 26 e 27 del codice dei contratti pubblici e, salvo il necessario rispetto dei requisiti di qualificazione dei progettisti e degli esecutori a garanzia della qualità delle prestazioni, è retto dalla flessibilità tipica dei principi ivi richiamati (economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità) e dalla particolare procedura selettiva di cui al nuovo art. 199-bis [34]; fino alle "Norme tecniche e linee guida in materia di sponsorizzazione dei beni culturali" approvate dal Mibact alla fine del 2012 [35], si è compiuto un intero ciclo regolatorio [36] che, avendo chiarito molti aspetti contenutistici, procedurali ed applicativi, dovrebbe avere ormai appagato le ansie di chi si senta orfano di riferimenti.

Il quadro attuale, senza ripetere qui cose già note, si presta soprattutto a due spunti di riflessione.

Anzitutto, la progressiva regolazione non ha fatto venire meno un dato caratteristico ricordato dall'Avcp e recepito ormai anche dalla giurisprudenza amministrativa: "la sponsorizzazione deve essere qualificata come contratto atipico, essendo evidenti le forzature dei tentativi di ricondurre il fenomeno a figure contrattuali tipiche, quali l'appalto di servizi, il contratto d'opera, il contratto associativo, il contratto di locazione, di vendita o di mandato" [37]. Proprio in virtù di ciò, il contratto di sponsorizzazione si presta ad essere il momento regolativo decentrato ed adattivo fondamentale di una serie praticamente infinita di ipotesi [38] che appare, dunque, vano cercare di definire o catalogare in anticipo. Anzi, a ben vedere, il contratto stesso spesso evapora quale atto singolarmente riconoscibile in quanto tale, per scomporsi o in frammenti disciplinari dispersi in una pluralità di negozi variamente collegati tra di loro in vista di un risultato unitario [39], o in clausole sponsorizzatorie accessive ad altri tipi di contratto o atti autorizzatori o concessori [40]. Ancora, considerando il nuovo ruolo operating delle Fondazioni bancarie [41] indotto sia dalla crisi finanziaria che dalla autoriforma in atto [42], si può pensare ad investimenti in relazioni istituzionali che si sostanziano in una particolare forma di sponsorizzazione [43] di innovative politiche di interventi sul territorio incentrate sulla preventiva programmazione strategica e sul parallelo controllo gestionale delle erogazioni destinate ai beni culturali [44]. In tutti questi casi, quello che alla fine emerge è una complessiva "operazione economico-giuridica che non si lascia inquadrare compiutamente in schemi generali definibili a priori" [45] e va, anzi, analizzata abbandonando la comoda sponda offerta dal tradizionale approccio tipologico [46] e guardando invece alla "concreta realtà gestionale" [47] sottostante alle singolari iniziative di tutela e valorizzazione intraprese.

In siffatta prospettiva, il problema principale non sembra riguardare tanto la paura di sbagliare incorrendo in cattive scelte degli sponsor, rischio legato anche a contingenti inclinazioni culturali e questioni soggettive di gusto che "non può essere in alcun modo evitato" [48] neppure auspicando prescrizioni, schemi tipo e linee guida per guidare dall'alto le decisioni concrete. La sfida consiste invece nell'uscire dalla limitata prospettiva dell'atto e della relativa procedura di evidenza pubblica, che rischia oltre tutto di fungere da moltiplicatore esponenziale dell'impatto negativo dell'incertezza, per vedere il problema nella sua interezza: il che significa rinunciare al dogma della completezza prescrittiva ed acquisire una forte capacità negoziale per strutturare una partnership relazionale flessibile, informale e di durata che, tenuto conto dei condizionanti ed irripetibili fattori di contesto, sappia coinvolgere le differenti professionalità e risorse necessarie a sorreggere un progetto di azione modulare, incrementale e sperimentale che abbracci l'intero ciclo di vita dell'operazione e, cosa non scontata, ne consenta anche l'ultimazione con una strategia d'uscita e di ritorno alla normalità [49].

Il secondo aspetto, strettamente collegato a quanto precede, riguarda proprio il carattere strategico di scelte che, anche in ragione dell'antagonismo degli interessi in gioco [50] e della rivalità delle possibili destinazioni di risorse (finanziarie, strumentali ed umane) scarse, non possono non investire la responsabilità di governo dell'amministrazione pubblica nei suoi diversi livelli e momenti. Viene qui in gioco la necessità di decisioni di bilanciamento che, per non rimanere condizionate dalla miopia ed occasionalità che sono tipiche della contingenza e dell'urgenza o dalla pressione fatta valere da gruppi di interesse meglio organizzati, debbono collocarsi in una scala logica e temporale quanto più possibile anticipata rispetto agli eventi, organizzandosi così secondo un modello lineare di programmazione [51] che, fuor di retorica e di primitivismo, non può che essere maneggiato anche alla luce delle tecniche manageriali che aiutano ad "indirizzare l'attenzione, a mobilitare l'azione" [52] verso risultati concreti.

La cultura del sospetto che dal sistema della polizia contrattuale degli appalti pubblici rischia di transitare anche nel settore in esame, inducendo a guardare alle esperienze applicative come ad una sommatoria di "insidie e pericoli da evitare" ricorrendo a più stringenti vincoli e prescrizioni la cui attuazione sia poi serenamente raffigurabile come "un'operazione eminentemente tecnica" [53], non rappresenta certo la migliore garanzia di successo per affrontare e gestire le indicate sfide.

4. L'implementazione del programma e la (difficile) ricerca degli "adiacenti possibili"

Nel descritto contesto, è apprezzabile lo sforzo fatto per indicare, soprattutto con la novella del 2012 al codice del contratti pubblici, la via della programmazione annuale e pluriennale quale metodo "capace di conferire organicità ed unitarietà di indirizzi agli interventi", rendendo "l'amministrazione interessata parte attiva (...) di iniziative, per la cui realizzazione non deve attendere le proposte spontanee dei privati", e consentendo di concentrarsi "su quegli interventi più delicati, più urgenti, meno ripetitivi e meno appetibili in termini di visibilità per lo sponsor privato" [54].

Allo stesso tempo, evitando l'ingenua pretesa che tutto possa essere pianificato in anticipo alla stessa stregua dei piani cantierabili, viene opportunamente previsto che "l'onere minimo" al fine dell'inserimento di un intervento nell'apposito allegato al programma triennale dei lavori pubblici possa essere assolto mediante la redazione di uno studio di fattibilità anche semplificato (art. 199-bis, comma 1), i cui contenuti possano essere anche "significativamente alleggeriti" rispetto alle prescrizioni normative (recate dall'art. 14 del d.P.R. n. 207/2010), limitandosi ad identificare "gli elementi essenziali dell'intervento" ovverosia: quanto ai lavori, le loro caratteristiche funzionali, tecniche, gestionali ed economico finanziarie, l'analisi dello stato di fatto in tutte le sue rilevanti componenti (architettoniche, geologiche, socio-economiche, amministrative), la descrizione dei requisiti dell'opera dal progettare; negli altri casi, invece, le esigenze da soddisfare e "le caratteristiche tecniche e la quantità dei servizi e delle forniture che l'amministrazione intende reperire sul mercato" [55].

Il tutto dovrebbe sempre sorreggersi su un'adeguata attività conoscitiva ed istruttoria degli elementi di contesto e su una trasparente ponderazione delle possibili scelte sul tappeto, in modo da attestare gli esiti del processo decisorio su basi razionali e disinnescare così la trappola del "fine remoto" [56] che alimenta gran parte delle battaglie ideologiche e corporative e troppe rendite di posizione.

Questa, del resto, pare la lezione più interessante desumibile dalla nota vicenda del restauro dell'Anfiteatro Flavio di Roma [57] che, dopo avere attraversato la dialettica sulla procedura di scelta dello sponsor privato sviluppatasi tra Autorità antitrust e Autorità di vigilanza sui contratti pubblici [58] e l'opposizione di alcune associazioni di categoria, è stata definita dal Consiglio di stato con una decisione di rigetto che, oltre a ritenere carente di legittimazione l'azione promossa dal Codacons, ha anche chiarito la sindacabilità, nei limiti generalmente riconosciuti in tema di impugnazione degli atti espressivi di discrezionalità (nella specie ritenuta mista: tecnica e amministrativa), della ponderazione effettuata dall'amministrazione quanto all'acquisizione del finanziamento, al progetto di restauro ed agli equilibri sinallagmatici negoziati. Sulla base di tali parametri di ragionevolezza, capaci di confinare e concretizzare i termini della lite, ritenendo di conseguenza non pertinenti, perché "esposte in modo apodittico e non rapportate a specifici fattori di incongruità o illogicità del contratto di sponsorizzazione", le censure del ricorrente incentrate sulla pretesa "genericità ed ambiguità" dell'operazione, o sulla "supina" recezione di un accordo che consegnerebbe il Colosseo "nelle mani di un noto gruppo industriale", o ancora volte al perseguimento di una "ipotetica ottimizzazione della qualità dei servizi e delle maggiori risorse che avrebbero potuto essere ottenute in sede di trattativa" [59].

Come si avvertiva sopra, affinché gli obiettivi in tal modo selezionati e definiti possano poi tradursi in azioni e risultati concreti è però necessario organizzare la relativa implementazione contaminando le diverse professionalità in gioco con "elementi di conoscenza manageriale e contabile" [60] capaci di indagare a livello micro "l'assetto istituzionale, i processi produttivi, l'organizzazione del lavoro, la gestione delle risorse umane e finanziarie, nonché le dinamiche con l'ambiente e gli attori esterni" [61]. Non si tratta, infatti, soltanto di combinare la prospettiva anticiclica cui guarda la parte pubblica con l'andamento prociclico che caratterizza le sponsorizzazioni private, indotte dai meccanismi fiscali di deducibilità delle spese a preferire periodi di congiuntura favorevole e, dunque, ad impegnarsi in progetti a breve periodo o in eventi self contained [62]. Né è solo questione di trovare il punto di equilibrio tra la posizione dello sponsee, per il quale lo scopo promozionale rappresenta un costo da sopportare per poter disporre del finanziamento [63], e motivazioni dell'impresa che, in genere, non derivano tanto da tensioni etiche quanto da valutazioni economiche e, come tali, dipendono anche dal mercato di riferimento e dalla natura dell'istituzione sponsorizzata [64], così come dal tipo di intervento possibile, prestandosi progetti di rigenerazione urbana comportanti il riadattamento funzionale del patrimonio al coinvolgimento privilegiato di investitori tradizionali ed a partnership di tipo no profit attagliandosi invece meglio gli interventi puramente conservativi e di restauro (come quelle sui beni archeologici) [65]. Oltre a tutto ciò, occorre anche gestire processi complessi e "multidimensionali" [66] la cui sfida principale non risiede soltanto nelle risorse disponibili quanto soprattutto nel ricorrere ad "un atteggiamento di radicale parsimonia di nozione e concetti" [67] per creare ambienti operativi aperti ed interattivi che incoraggino ad esplorare le combinazioni del presente secondo il modello del c.d. "adiacente possibile" [68] che crea e limita l'ambito delle soluzioni ad un dato problema rappresentando "una sorta di futuro ombra, che aleggia ai margini dello stato attuale delle cose, come una mappa di tutti i modi possibili in cui il presente potrebbe reinventarsi" nel futuro [69].

5. Concludendo: alla ricerca di una politica di sostegno delle iniziative culturali anche fiscalmente sostenibile

La bussola delle adiacenze possibili dovrebbe guidare non solo il livello decentrato delle scelte programmatiche e negoziali chiamate a regolare le singolari operazioni di sponsorizzazione culturale ma anche la composizione, ad una scala più generale, di politiche culturali che vedano integrato il piano delle risorse disponibili con una strategia delle azioni da adottare. Su questo fronte però, i segnali offerti dall'ordinamento non appaiono incoraggianti.

Sul piano organizzativo, anzitutto, ancora oggi non esiste a livello centrale una specifica cabina di regia che assicuri una visione unitaria e di lungo periodo in materia dal momento che, nonostante l'invito contenuto nel d.l. 31 maggio 2014, n. 83 recante disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale [70] e la recente riforma realizzata dal Ministro Franceschini [71], è alla Direzione generale Bilancio che si è finito per attribuire, nell'ambito delle attività di indirizzo, supporto e consulenza in materia di contratti pubblici, la gestione degli aspetti contabili, comunicativi e promozionali delle risorse reperite sul mercato, così rispettivamente provvedendo: al riparto della quota del cinque per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche destinate al finanziamento delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali (art. 24, comma 2, lett. cc); alla definizione delle specifiche tecniche e delle modalità operative inerenti le comunicazioni mensili al Ministero delle erogazioni liberali ricevute dai soggetti beneficiari, gestendo anche un'apposita sezione del sito istituzionale sul quale pubblicizzare le donazioni ammesse al beneficio del credito d'imposta (art. 24, comma 2, lett. dd); a favorire l'erogazione di elargizioni liberali da parte di privati a sostegno della cultura, anche attraverso la stipula di apposite convenzioni con gli istituti e i luoghi di cultura e gli enti locali e la promozione di progetti di sensibilizzazione e specifiche campagne di raccolta fondi (24, comma 2, lett. ee). Tutte funzioni orientate al momento strumentale del reperimento dei mezzi per assicurare il flusso delle risorse, che non appaiono adeguatamente integrate con le politiche generali di programmazione delle strategie, degli obiettivi e degli interventi di tutela e valorizzazione.

Dissociazione analoga, seppure in forma invertita, si ripresenta a livello periferico, se è vero che nell'amministrazione dei musei statali è prevista la presenza delle distinte aree funzionali direzione e fundraising e che ai Direttori generali (anche dei Poli museali regionali) compete la definizione dei progetti culturali e scientifici e delle "strategie e obiettivi comuni di valorizzazione, in rapporto all'ambito territoriale di competenza" [72]. Il raccordo con il momento finanziario si ritrova, a progetti culturali che parrebbero però a questo punto già definiti, nella collaborazione prestata dagli stessi Direttori con la Direzione ministeriale Bilancio per trovare soluzioni comuni volte a favorire l'erogazione di donazioni private (art. 24, comma 1, lett. ee, del d.p.c.m. n. 171/2014).

Sul fronte degli strumenti di azione, inoltre, è ancora presto per capire se (più verosimilmente) l'annuale Piano strategico grandi progetti beni culturali, volto ad individuare i beni o siti di eccezionale interesse culturale e di rilevanza nazionale per i quali sia necessario realizzare "interventi organici di tutela, riqualificazione, valorizzazione e promozione culturale, anche a fini turistici" (art. 7, comma 1, d.l. n. 83/2014), o (occasionalmente) il Programma Italia 2019, volto a valorizzare anche in forma collaborativa il "patrimonio progettuale dei dossier di candidatura delle città a Capitale europea della cultura 2019" (art. 7, comma 3-quater), riusciranno a farsi carico anche di previsioni particolari in tema di sponsorizzazione. Allo stato, dunque, il principale strumento volto alla definizione multilivello e coordinata di linee strategiche e programmatiche resta quello convenzionale degli accordi di collaborazione e dei protocolli d'intesa, declinabile sulla base dei modelli definiti dagli artt. 112, comma 4, e 121 del Codice Urbani per i livelli territoriali di governo e per le fondazioni bancarie [73].

In questo contesto, affidata alle occasionali e decentrate occasioni offerte dalle dinamiche del mercato pare essere anche la scelta della strategia da seguire circa l'utilizzo delle diverse forme di finanziamento indiretto [74] quali sponsorizzazioni ed erogazioni liberali. Scelta di sistema e condizionante ogni più specifica misura di programmazione delle iniziative di tutela e valorizzazione dei beni culturali, se solo si considerano le implicazioni generali che ne derivano.

La sponsorizzazione crea, a livello generale, una divaricazione socialmente problematica tra effetto-arte ed effetto-mercato: l'offerta di iniziative culturali altrimenti non disponibili avviene, infatti, grazie ad investimenti di imprese attratte da una segmentazione del mercato che crea un "certo grado di monopolio (...) essenziale per assicurare certe forme di organizzazione, che necessitino di una vasta predisposizione di capitale fisso per fornire un bene pubblico" [75]. Così, "la crescita dei costi dell'impresa e la diminuzione delle dinamiche competitive possono essere uno svantaggio per la società non sufficientemente bilanciato dal vantaggio derivante dall'offerta privata del bene pubblico" [76].

Sul fronte opposto, il mecenatismo rappresenta una modalità variegata di erogazione di fondi in assenza di qualunque contropartita di tipo causale e, dunque, di corrispettivo. Comprendendo attività non strettamente legate a logiche commerciali e più neutrali anche rispetto alla progettazione e realizzazione delle iniziative culturali, esso non manifesta le implicazioni problematiche che si associano alle sponsorizzazioni. Le "Norme tecniche e linee guida" ministeriali del 2012, anche avvalendosi della prima disciplina delle agevolazioni fiscali introdotta con il d.m. 3 ottobre 2002, suggeriscono una definizione ampia della categoria comprendendovi ogni erogazione che sia "sorretta da spirito di liberalità o abbia comunque carattere di gratuità (ancorché eventualmente corrisponda a un interesse di rilevanza patrimoniale dell'erogante) e non sia accompagnata da alcun obbligo posto a carico dello sponsee (...) e ciò anche qualora il soggetto finanziatore benefici comunque di un ritorno di immagine per effetto del comportamento spontaneo, di pubblico ringraziamento, posto in essere dallo sponsorizzato". Com'è dato leggere, l'intento sotteso a questa operazione interpretativa pare quello di agevolare al massimo la riconduzione all'interno del fenomeno in esame di una variegata fenomenologia diffusa nella pratica (che comprende anche: le donazioni modali o sponsorizzazioni interne, in cui il ritorno pubblicitario è indiretto e non dipende da una controprestazione a carico del soggetto beneficiato; gli accordi culturali di cui all'art. 112 del Codice Urbani, aventi ad oggetto un ampio programma di partnership pubblico-privato di tipo convenzionale e non istituzionale; le adozioni di monumenti, in assenza di qualsivoglia prestazione a carico dell'amministrazione), in modo da consentire - proprio perché "l'amministrazione, in sostanza, non dà nulla cambio"- modalità di azione libere da vincoli pro-concorrenziali e da intralci burocratici.

Fin qui, dunque, la strategia seguita dal Governo sembrerebbe orientata dal solo metro della diversa incidenza degli oneri burocratici, se è vero che per le sponsorizzazioni si mantiene fermo lo statuto negativo di operazione esclusa dai vincoli di gara per il mercato, salva l'applicazione di determinate procedure selettive onde assicurare il rispetto dei principi di par condicio e trasparenza; per il resto, salvo affrontare per via legislativa casi speciali di vera e propria emergenza culturale, per i quali sono così definiti singolari meccanismi semplificati di gestione degli interessi in gioco [77], si prospetta l'ampio e residuale versante del liberalismo erogativo che evoca una zona franca in cui gli attori sono invitati a muoversi senza alcun condizionamento o vincolo di tipo procedurale.

Solo da poco più di un decennio si è diffusa anche nel nostro ordinamento la consapevolezza circa l'importanza della leva fiscale attraverso la previsione di regimi agevolativi legati non solo al profilo statico ed oggettivo del tipo di relazione qualificata esistente tra il contribuente ed i beni culturali ma anche al dato dinamico del tipo di attività svolta a supporto dei medesimi beni culturali [78].

In questa ottica, tralasciando il regime di integrale deducibilità dei costi di sponsorizzazione derivabile da una loro possibile (ma non ancora pacifica) qualificazione come spese di pubblicità e di propaganda, ai sensi dell'art. 108, comma 2, del T.U.I.R. [79], ed a prescindere dalla pure importante osservazione che la neutralità del regime fiscale in tal modo guadagnata ha l'effetto di rimettere alla piena autonomia delle imprese ed alle strategie di mercato perseguite la scelta tra l'investimento in pubblicità commerciale classica e la sponsorizzazione culturale [80], appare significativo soprattutto l'approdo verso un regime di sostanziale equiparazione con il trattamento fiscale delle erogazioni liberali delle imprese. L'art. 38 della legge 21 novembre 2000, n. 342 ha, infatti, innovato il previgente regime di deducibilità parziale delle donazioni culturali (contemplato dalla legge n. 512 del 1982), prevedendo la deducibilità totale dai redditi d'impresa senza alcun tetto massimo delle erogazioni liberali e rendendo di conseguenza più attrattivo il "prezzo" (ovvero la convenienza) del mecenatismo.

Tale evoluzione, a parte la discriminazione con il mecenatismo individuale o diffuso, ancora in linea di principio assoggettato ad una detrazione dall'imposta lorda sul reddito delle persone fisiche pari al 19% dell'erogazione [81], ha però prodotto l'effetto di rendere arbitre del sistema le imprese assecondando così la loro naturale inclinazione, a parità di regime fiscale e di complessità delle procedure burocratiche, a prediligere la via della sponsorizzazione in quanto maggiormente remunerativa sul piano del ritorno pubblicitario e commerciale [82]. La sovvenzione autoliquidata dal contribuente sotto forma di credito d'imposta (o Art - bonus, ex art. 1 del d.l. n. 83/2014) rappresenta un tentativo recente di uscire da tale impasse ed incentivare in modo più incisivo la via del mecenatismo anche di tipo privato e diffuso; via ora resa conveniente anche rispetto alle ordinarie forme di deduzioni/detrazioni tributarie, in quanto la misura percentuale del bonus è maggiore dell'incidenza fiscale sui redditi ed è fruibile e monetizzabile anche in presenza di perdite [83].

Si tratta di un istituto interessante, studiato in funzione sussidiaria dei pubblici poteri e guardando ad altri modelli ed esperienze straniere (come quella francese), che oltre tutto esclude un intervento diretto del soggetto erogatore sul bene culturale, potendo le singole iniziative finanziabili essere gestite solo da enti o istituzioni pubbliche e da soggetti concessionari o affidatari dei beni. Si tratta però di una misura che allo stato non pare in grado di innescare l'avvio di una stagione innovativa, in quanto, oltre ad avere carattere temporaneo per i soli periodi d'imposta 2014-2016, è essenzialmente limitata al sostegno di soggetti pubblici più che dei beni culturali in sé, appare legata a dinamiche occasionali e decentrate per singolari iniziative o specifici ambiti territoriali e rischia, infine, di tradursi in una "semplice partita di giro" con la fiscalità generale di cui finisce per incoraggiare ulteriori riduzioni in danno delle attività ordinarie del comparto [84].

L'impressione è, in definitiva, che troppe componenti decisive di una efficace politica di sostegno delle iniziative di tutela e valorizzazione dei beni culturali siano lasciate al loro autonomo corso e non integrate in una visione strategica, per guadagnare finalmente la quale - sfruttando anche la finestra lasciata aperta dalla delega fiscale in materia di riordino delle disposizioni di erosione per la "tutela (...) del patrimonio artistico e culturale" [85] - non pare sufficiente affidarsi al buon cuore degli italiani [86], o richiamare le potenzialità salvifiche dell'interazione tra cultura e industria [87] o, infine, segnalare l'emersione di prassi innovative denotanti l'evoluzione delle tradizionali donazioni in forme di coinvolgimento in progetti culturali condivisi [88].

 

Note

[*]Relazione tenuta al Convegno "Grandi mostre e altre azioni per la valorizzazione dei beni culturali: profili giuridici". A margine della Mostra di Genius Bononiae "Da Cimabue a Morandi. Felsina Pittrice", Bologna, 13 aprile 2015.

[1] P. Rescigno, Franco Galgano e la Rivista di diritto civile a Bologna, in La scuola civilistica di Bologna. Un modello per l'accesso alle professioni legali, (a cura di) G. Visentini, Napoli, 2013, pag. 22.

[2] B. Inzitari, Sponsorizzazione, in Contratto e impresa, 1985, pag. 248.

[3] Ibid., 248.

[4] Ibid., 248.

[5] Ibid., 249.

[6] Ibid., 251, citando il saggio monografico di G. Santini, I diritti della personalità nel diritto industriale, Padova, 1959.

[7] B. Inzitari, op. cit., pagg. 254-255.

[8] Così V. Franceschelli, I contratti di sponsorizzazione, in Giur. comm., 1988, pag. 291.

[9] Ibid., 292, il quale sottolinea il carattere tendenzialmente aleatorio della prestazione dello sponsorizzato, dalla cui esatta ricostruzione attraverso le clausole contrattuali discendono differenti opzioni di qualificazione del contratto.

[10] M. V. De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, I, Le sponsorizzazioni, Padova, 1988, pagg. 4-8. A. Morrone, Elementi di diritto dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2014, pag. 188.

[11] Il dato, tratto dal Rapporto sull'economia della cultura 1980-1990 del Dipartimento informazione ed editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è citato da M. Ainis e M. Fiorillo, I beni culturali, in Trattato di diritto amministrativo, (a cura di) S. Cassese, Diritto amministrativo speciale, II, Milano, 2000, pag. 1083.

[12] Si veda il quadro generale che emerge dalle ricerche: I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, (a cura di) A. Police, Milano, 2008 e I beni pubblici tra regole di mercato e interessi generali. Profili di diritto interno e internazionale, a cura di G. Colombini, Napoli, 2009.

[13] Come notato da R. Dipace, Partenariato pubblico privato e contratti atipici, Milano, 2006. Mette in evidenza le "molteplici strutture di relazioni" in argomento rinvenibili tra i portatori dei diversi interessi coinvolti, L. Casini, Pubblico e privato nella valorizzazione dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 2005, pag. 788.

[14] Come recita il titolo del primo paragrafo della Guida operativa alle sponsorizzazioni nelle amministrazioni pubbliche, (a cura di) P. Testa, redatta dal Dipartimento della Funzione pubblica, Soveria Mannelli, 2003, pag. 15.

[15] Legge 27 dicembre 1997, n. 449, art. 43.

[16] Legge 23 dicembre 1998, n. 448, art. 28, comma 2-bis. Si veda poi l'art. 119 del T.U.E.L. approvato con il d.lg. 18 agosto 2000, n. 267.

[17] Si rinvia all'esame di queste fonti normative fatto da R. Dipace, La sponsorizzazione, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno e E. Gabrielli, I contratti con la pubblica amministrazione, 2, a cura di C. Franchini, Torino, 2007, pag. 1196.

[18] Come notato da D. Bezzi - G. Sanviti, Accordi di collaborazione e contratti di sponsorizzazione. Problemi e casi pratici, Milano, 1998, pagg. 23-29.

[19] Cons. giust. amm., 4 novembre 1995, n. 336, in Cons. stato, 1995, I, pag. 1607, che ha pertanto censurato la sponsorizzazione da parte della Provincia di un soggetto partecipante ad un'iniziativa agonistica in quanto "è inevitabile che da parte dei soggetti non sponsorizzati e dei relativi sostenitori la Pubblica amministrazione sia percepita non pià in termini di promozione di un'attività apprezzata ma - per la rilevata associazione tra la figura dello sponsor e quella dello sponsee - in termini di 'avversario' o quanto meno di 'parte'". Nello stesso senso è stata poi decisa la sponsorizzazione di una società sportiva da parte del medesimo Cons. giust. amm.., 16 settembre 1998, n. 495, in Cons. stato, 1998, I, pag. 1408.

[20] Cons. stato, sez. V, 20 agosto 1996, n. 937, in Riv. trim. app., 1997, pag. 140, con nota di S. Marchi, Il servizio di tesoreria e le "sponsorizzazioni".

[21] Cons. stato, Ad. Pl., 18 giugno 2002, n. 6, in Urb. app., 2002, pag. 1321, con il commento di R. Caranta, Servizio di tesoreria e sponsorizzazioni: primi chiarimenti dell'Adunanza plenaria. Nello stesso senso si colloca anche la posizione dell'Avcp, con la deliberazione n. 21 del 9 febbraio 2011.

[22] Cons. stato, sez. V, 6 giugno 2011, n. 3377.

[23] Così F. Mastragostino, Il contratto di sponsorizzazione quale strumento per la realizzazione di interventi edilizi, in Aedon, 2009, 2, con particolare riferimento al valore caratterizzante delle tre condizioni prescritte dal cit. art. 43 della legge n. 449/1997.

[24] Sui cui tratti distintivi si veda da ultimo i pertinenti richiami di A. Bartolini, Beni culturali (diritto amministrativo), in Enc. dir., Annali, VI, Milano, 2013, pag. 97.

[25] C. Tosco, I beni culturali. Storia, tutela e valorizzazione, Bologna, 2014.

[26] Sulla cultura come "cuore e lievito dei diritti costituzionali della persona e insieme il legame della comunità" ha richiamato l'attenzione S. Settis, Costituzione e diritto alla cultura, in Il Pol., 2014, pag. 8. Si veda anche il saggio di G. Cordini, Cultura e patrimonio culturale: i profili costituzionali, ibid., pag. 20.

[27] Si veda in merito G. Morbidelli, Il valore immateriale dei beni culturali, in I beni immateriali tra regole privatistiche e pubblicistiche, a cura di A. Bartolini, D. Ponti, G. Caforio, Napoli, 2014, pag. 171.

[28] Sono le parole tratte dall'ultima invettiva di T. Montanari, Privati del patrimonio, Torino, 2015, pagg. 43-44.

[29] Ibid., pag. 46.

[30] Ibid., pag. 46, ove si segnala come "gli studi giuridici sulla sponsorizzazione sembrano assai più attenti a quella che chiamano "tutela del mercato" che non alla tutela della funzione civile o (...) del valore immateriale del monumento". Dal punto di vista giuridico, non comune è l'analisi critica dei veduti approcci: tra le poche voci dissonanti, si vedano G. Manfredi, Le sponsorizzazioni dei beni culturali e il mercato, in I beni immateriali, cit., pag. 159 e 161 ss., il quale segnale i possibili effetti negativi di una "iperregolazione" del settore e dell'eccessiva enfasi sulla "esigenza di tutela del mercato"; A. Bartolini, Beni culturali, cit., pag. 25.

[31] Si rinvia all'analisi recentemente sviluppata, anche nella prospettiva futura, in G. D. Comporti, La nuova sfida delle direttive europee in materia di appalti e concessioni, in www.federalismi.it, 25 marzo 2015.

[32] Si vedano le ricostruzioni di: M. Veronelli, Le sponsorizzazioni dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 2005, pag. 887; G. Piperata, Sponsorizzazione ed interventi di restauro sui beni culturali, in Aedon, 2005, 1; S. Percacciolo, La sponsorizzazione per la salvaguardia dei beni culturali, in La valorizzazione dei beni culturali tra pubblico e privato. Studio dei modelli di gestione integrata, (a cura di) P. Bilancia, Milano, 2005, pag. 312; A. D. Mazzilli - G. Mari - R. Chieppa, I contratti esclusi dall'applicazione del codice dei contratti pubblici, in Trattato sui contratti pubblici, (diretto da) M. A. Sandulli - R. De Nictolis - R. Garofoli, I, I principi generali. I contratti pubblici. I soggetti, Milano, 2008, pag. 460; M. Renna, Le sponsorizzazioni, in La collaborazione pubblico-privato e l'ordinamento amministrativo. Dinamiche e modelli di partenariato in base alle recenti riforme, (a cura di) F. Mastragostino, Torino, 2011, pag. 521; G. Leondini, I contratti relativi ai beni culturali, in I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, (a cura di) R. Villata, M. Bertolissi, V. Domenichelli, G. Sala, II, Padova, 2014, pag. 1965.

[33] Cfr. la determinazione dell'Avcp 5 dicembre 2001, n. 24, in G.U. - Serie generale n. 8 del 10 gennaio 2002, con riferimento alla sponsorizzazione da parte di un'associazione appositamente costituita e statutariamente finalizzata di attività di progettazione, esecuzione, direzione e collaudo di interventi di ristrutturazione e adeguamento normativo di un teatro di proprietà comunale. Importante è la conferma dell'esclusione anche per l'ipotesi (di specie) della sponsorizzazione interna, o negozio gratuito modale, in cui il ritorno pubblicitario non rappresenta una vera e propria controprestazione, non venendo comunque meno causalmente "un interesse patrimoniale anche mediato" che ne esclude il carattere liberale.

[34] Introdotto dall'art. 20, comma 1, del d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, recante "Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo", convertito in legge 4 aprile 2012, n. 35.

[35] Si veda il decreto Mibac del 19 dicembre 2012, approvato ai sensi dell'art. 61, comma 1, del decreto legge n. 5/2012, anche (come recita l'art. 1) "in funzione di coordinamento rispetto a fattispecie analoghe o collegate di partecipazione di privati al finanziamento o alla realizzazione degli interventi conservativi su beni culturali".

[36] Cfr. in proposito F. Di Mauro, Le norme tecniche e linee guida applicative delle disposizioni in materia di sponsorizzazioni dei beni culturali: i tratti essenziali, in Aedon, 2012, 3.

[37] Come si legge nella decisione di Cons. stato, sez. VI, 4 dicembre 2001, n. 6073.

[38] Come, in modo lungimirante, già osservato da P. Barile, Sponsorship ed Enti lirico-sinfonici, in Musica/Realtà, n. 8/1982, 5.

[39] Secondo moduli analizzati da R. Dipace, La sponsorizzazione, cit., pag. 1208.

[40] Forma di manifestazione del fenomeno segnalata da G. Piperata, Le sponsorizzazioni nella pubblica amministrazione dopo il codice dei contratti pubblici, in Appalti pubblici e concorrenza: la difficile ricerca di un equilibrio. Atti dei seminari tenuti presso la Facoltà di Giurisprudenza di Trento Maggio-Giugno 2007, (a cura di) G. A. Benacchio e M. Cozzio, Trento, 2008, pag. 203.

[41] Su questi aspetti, si rinvia a A. Pisaneschi - M. Perini, Fondazioni e musei. Il ruolo delle fondazioni banacarie: dal finanziamento alla gestione, in I musei. Discipline, gestioni, prospettive, (a cura di) G. Morbidelli e G. Cerrina Feroni, Torino, 2010, pag. 40.

[42] Cfr. il Protocollo d'intesa tra Acri e Mef del 10 marzo 2015 che, in relazione al "mutato con testo storico, economico e finanziario", pone il limite di un terzo del totale dell'attivo dello stato patrimoniale per l'impiego in un solo asset.

[43] Il cui sinallagma va declinato in modo particolare, perché l'interesse perseguito dalle fondazioni bancarie non è solo di "generica visibilità ma anche (...) di responsabilità sociale visto che della società sono espressioni e alla società debbono dare conto" (come esattamente notato anni orsono da M. Cammelli, Le sponsorizzazioni tra evidenza pubblica ed erogazione, in Aedon, 2010, 1.

[44] Si può citare l'esempio senese della lettera d'intenti del dicembre 2014 con la quale la Fondazione MPS ed il Comune di Siena hanno dato vita ad un rapporto di collaborazione finalizzato alla valorizzazione del complesso museale di proprietà comunale Santa Maria della Scala, il cui primo stadio è rappresentato da uno studio di fattibilità (curato e finanziato dalla Fondazione, anche con l'ausilio di professionisti esterni) onde verificare le condizioni di una futura partecipazione, anche di tipo finanziario, al nuovo modello di governance e di gestione della struttura.

[45] Come viene notato nelle citate "Norme tecniche e linee guida" ministeriali, punto 1.1.

[46] Spunti in tal senso provengono anche dalle riflessioni condotte sul versante civilistico. Si veda, in particolare, A. Barba, Il contratto di sponsorizzazione e somministrazione di servizi, in I contratti di somministrazione di servizi, (a cura di) R. Bocchini, Torino, 2006, pag. 909 ss. ed ivi ulteriori richiami.

[47] Cfr. ancora le citate "Norme tecniche e linee guida" ministeriali.

[48] Come osservava P. Barile, op. cit., pag. 6.

[49] Aspetti tutti lucidamente esaminati, con riferimento alla comparata analisi dei casi di Ercolano e Pompei, da P. Ferri e L. Zan, Economia e gestione delle partnership nei Beni culturali. Riflessioni sull'esperienza di Ercolano, in Aedon, 2014, 3.

[50] Come osservato da A. Barba, op. cit., pag. 918, "l'interesse generale deve misurarsi con il potenziale contrasto che l'interesse particolare solleva quando cerca di ragione di soddisfazione attraverso un'attribuzione patrimoniale, che da un lato rivendica redditività per poter essere congruente alla razionalità economica dell'impresa; e dall'altro, ma in via complementare, cerca nel controllo dell'evento finanziato una concreta modalità della ottimizzazione dell'utilità dell'investimento".

[51] Cfr. ancora P. Barile, op. cit., pag. 6.

[52] L. Zan, Economia dei musei e retorica del management, Milano, 2007, pag. 15.

[53] Come si legge nel paragrafo conclusivo di P. Ungari, La sponsorizzazione dei beni culturali, in I beni immateriali, cit., pag. 156.

[54] Come si legge nelle citate "Norme tecniche e linee guida" ministeriali, II.1. L'importanza di queste previsioni è messa in evidenza da P. Carpentieri, La sponsorizzazione di beni culturali, in Treccani, Il libro dell'anno del diritto 2013, Roma, 2013, pagg. 272-273; P. Ungari, La sponsorizzazione dei beni culturali, cit., pag. 154.

[55] Si vedano ancora le "Norme tecniche e linee guida" ministeriali, II.2.

[56] Illustrata, richiamando la teorica di I. Berlin, in G. D. Comporti, Energia e ambiente, in Diritto dell'ambiente, (a cura di) G. Rossi, Torino, 2008, pag. 278.

[57] Su cui si veda M. Selo, L'utilizzo dell'istituto giuridico della sponsorizzazione in materia di beni culturali. Scavi archeologici di Ercolano e Anfiteatro Flavio di Roma, due casi a confronto, in Aedon, 2014, 3.

[58] Delle quali si vedano, rispettivamente, il parere del 20 dicembre 2011 e la deliberazione n. 9 dell'8 febbraio 2012.

[59] Cons. stato, sez. VI, 31 luglio 2013, n. 4034. Sottolinea F. Merusi, Sub art. 26, in Commentario al codice dei contratti pubblici, (diretto da) G. F. Ferrari e G. Morbidelli, Milano, 2013, pagg. 356-357, come "dietro la maschera dell'evidenza pubblica" si celasse il vero problema della congruità del prezzo dell'operazione.

[60] Sull'importanza di tali processi di contaminazione in funzione di un "approccio modesto che sappia ascoltare e comprendere i punti di vista altrui" e "trovare soluzioni che non impongano dosi eccessive di cultura e lavoro amministrativo", si legga ancora L. Zan, Economia dei musei, cit., pag. 19.

[61] P. Ferri e L. Zan, Tra politiche e pratiche: "administration matters", in La gestione del patrimonio culturale. Una prospettiva internazionale, (a cura di) L. Zan, Bologna, 2014, pag. 237.

[62] Il collegamento al ciclo economico è messo in luce da A.E. Scorcu, Le imprese e la sponsorizzazione dell'arte e della cultura. Spunti per una rilettura empirica, in Riv. pol. ec., 2003, pag. 111, il quale richiama anche i due elementi che possono rendere più stabili nel tempo le sponsorizzazioni: l'azione di fondazioni (eventualmente legate alle imprese) e interventi in natura.

[63] Si rinvia alla giusta rappresentazione di finanziamento ed investimento come "funzioni diverse della medesima vicenda economica" fatta da A. Barba, op. cit., pag. 921.

[64] A.E. Scorcu, Le imprese e la sponsorizzazione, cit., pag. 103 ss. ove, considerando la massimizzazione del profitto come elemento cruciale, si osserva che "la sponsorizzazione più efficace è quella che meglio interpreta le esigenze del consumatore: il grado di conformità ai gusti canonici dell'evento culturale costituisce un elemento che ne favorisce la sponsorizzazione (...). L'evidenza empirica conferma che una quota elevata delle sponsorizzazioni viene indirizzata dalle imprese verso le istituzioni (ospedali, centri di ricerca, università, teatri, orchestre e musei) che hanno maggiore storia e prestigio, con gli sponsor che evitano di finanziarie ciò che potrebbe suscitare la pubblica disapprovazione" (105-106).

[65] Si rinvia in proposito alle notazioni preliminari e conclusive della ricerca condotta da P. Ferri e L. Zan, Economia e gestione delle partnership nei Beni culturali. Riflessioni sull'esperienza di Ercolano, cit.

[66] Per la mappatura di alcune delle relative aree problematiche di "provenienza e matrice culturale diversa" (dimensione storico-estetica, relazione con l'utente, utilizzo delle risorse), si rinvia a L. Zan, Economia dei musei, cit., pagg. 26-30. Dal punto di vista delle imprese, la complessità e l'incertezza della scelta dell'istituzione culturale più adatta a rappresentare le imprese sono evidenziate da L. Onofri, I contratti di sponsorizzazione: un'analisi di law and economics, in Riv. pol. ec., 2003, pag. 231.

[67] L. Zan, Economia dei musei, cit., pag. 19.

[68] Messo a punto degli studiosi dell'evoluzione, nella prospettiva della chimica prebiotica, per studiare le possibili combinazioni tra le molecole elementari nel brodo primordiale. In tema si veda, in particolare, R. Kauffman, Investigations, trad. it. a cura di T. Pievani, Esplorazioni evolutive, Torino, 2005, pag. 65 e185: "Il possibile adiacente consiste di tutte le specie molecolari che non sono membri del reale ma che distano una reazione dal reale".

[69] Così S. Johnson, Where good ideas come from: the natural history of innovation (2010), trad. it. di E. Cantoni, Dove nascono le grandi idee. Storia naturale dell'innovazione, Milano, 2011, pag. 35, ove si segnala anche che la "strana e bellissima verità dell'adiacente possibile è che l'esplorazione dei suoi confini si allarga. Ogni nuova combinazione ne introduce di nuove al suo interno".

[70] Convertito in legge 29 luglio 2014, n. 106, il cui art. 1, comma 6, recava l'invito ad individuare in seno al Mibact "apposite strutture dedicate a favorire le elargizioni liberali da parte dei privati e la raccolta di fondi tra il pubblico".

[71] Si veda il d.p.c.m. 29 agosto 2014, n. 171.

[72] Si vedano l'art. 34, comma 1, del citato d.p.c.m. n. 171/2014 e l'art. 4, commi 1 e 2, del d.m. 23 dicembre 2014.

[73] Aspetto sottolineato da M. Veronelli, Le sponsorizzazioni, cit., pag. 895.

[74] L'utilizzo della leva fiscale per promuovere i finanziamenti privati si risolve in una spesa pubblica indiretta nella forma di rinuncia ad un introito tributario e, quindi, "di minori entrate anziché di maggiori uscite pubbliche" (M. Mussoni, Il mecenatismo e la valorizzazione economica della cultura, in Riv. pol. ec., 2003, pag. 137).

[75] Così L. Onofri, I contratti di sponsorizzazione, cit., pag. 237.

[76] Ibid., pag. 247.

[77] Com'è accaduto per rafforzare l'efficacia delle azioni e degli interventi di tutela nell'area archeologica di Pompei con l'art. 2, comma 7, del decreto legge 31 marzo 2011, n. 34, convertito con la legge 26 maggio 2011, n. 75, che allo scopo di favorire l'apporto di risorse provenienti da soggetti privati, ha previsto forme attenuate e semplificate di applicazione degli oneri di pubblicità e trasparenza previsti dagli artt. 26 e 27 del codice dei contratti pubblici. Tale regime speciale è stato conservato anche nell'ambito delle nuove misure urgenti introdotte dall'art. 2 del decreto legge 31 maggio 2014, n. 82, convertito in legge 29 luglio 2014, n. 106 (si veda il comma 4).

[78] Si rinvia alla panoramica offerta da F. Pistolesi, Il ruolo delle agevolazioni fiscali nella gestione dei beni culturali in tempi di crisi, relazione al convegno "I beni culturali in tempi di crisi", Siena, 4 marzo 2015.

[79] Questione controversa e discussa, oscillando tanto la giurisprudenza quanto la prassi tributaria per la più onerosa qualificazione come spese di rappresentanza (come segnalato anche nella parte finale delle "Norme tecniche e linee guida applicative" ministeriali), che potrebbe trovare ora soluzione nel senso indicato per effetto dell'unificazione del regime IVA disposto dall'art. 29 del d.lg. 21 novembre 2014, n. 175 che, nel novellare l'art. 74 del d.P.R. n. 633/1972 ha introdotto un unico regime di detrazione forfetaria dell'Iva pari al 50% sia per le spese di pubblicità che per quelle di sponsorizzazione.

[80] Come notato da M. Mussoni, Il mecenatismo e la valorizzazione, cit., pag. 146.

[81] Come previsto dall'art. 15, comma 1, lett. h), del TUIR.

[82] M. Mussoni, Il mecenatismo e la valorizzazione, cit., pagg. 177-178. Significativo è il resoconto contenuto nella circolare Mibact, 8 ottobre 2013, n. 377 prot. n. 36352, che illustrando gli esiti applicativi del descritto regime fiscale evidenzia per l'anno 2012 un decremento rispetto all'anno precedente pari a 0,55% delle erogazioni liberali effettuate dalle imprese e del 37% di quelle delle persone fisiche.

[83] Come chiarito da R. Lupi, L'Art Bonus come sovvenzione pubblica in forma di "credito d'imposta", in Aedon, 2014, 3. Sugli aspetti applicativi, si veda la circolare dell'Agenzia delle Entrate, 31 luglio 2014, n. 24/E.

[84] Aspetti puntualmente segnalati da M. Cammelli, La riga prima della prima riga, ovvero: ragionando su Art Bonus e dintorni, in Aedon, 2014, 3.

[85] L'art. 4, comma 2, della legge 11 marzo 2014, n. 23 reca la delega ad introdurre "norme dirette a ridurre, eliminare o riformare le spese fiscali che appaiono, in tutto o in parte, ingiustificate o superate alla luce delle mutate esigenze sociali o economiche ovvero che costituiscono una duplicazione, ferma restando la priorità della tutela dei redditi di lavoro dipendente e autonomo, dei redditi di imprese minori e dei redditi di pensione, della famiglia, della salute, delle persone economicamente o socialmente svantaggiate, del patrimonio artistico e culturale, della ricerca e dell'istruzione, nonché dell'ambiente e dell'innovazione tecnologica".

[86] Richiamato da P. A. Valentino, Il mecenatismo culturale diffuso in Italia: una occasione perduta?, in Donare si può? Gli italiani e il mecenatismo culturale diffuso, pag. 23.

[87] Come ha fatto recentemente il Presidente di Confindustria, in vista della presentazione del prossimo rapporto della Fondazione Symbola (G. Squinzi, Cultura e industria, l'orgoglio di costruire il futuro, in Il Sole 24 ORE, 5 marzo 2015, pag. 29).

[88] Segnalata nel Rapporto 2014 di Symbola, Io sono la cultura. L'Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi, pagg. 55-56.

 

 



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