La riforma organizzativa del Mibact
La riforma dell’amministrazione centrale del Mibact tra continuità e discontinuità
Sommario: 1. Il duplice ruolo di governo e di gestione del Ministero. - 2. Il mancato adeguamento del modello organizzativo nei successivi interventi di riforma. - 3. Le indicazioni della Commissione per la riforma del Ministero. - 4. Le premesse della riforma attuale nei d.l. n. 95/2012 e 66/2014. - 5. Continuità e discontinuità del modello organizzativo nel d.p.c.m. n. 171/2004. - 6. Le nuove attese.
The Reform of the Central Administration of the Italian Ministry for National Heritage
The article outlines the organizational
development of the central administration of the Italian Ministry for National
Heritage and analyses the new recent reorganization of the Ministry.
Keywords: Mibact; National Heritage; Ministry; Central Administration; Reorganization.
1. Il duplice ruolo di governo e di gestione del Ministero
Il recente d.p.c.m. n. 171/2014 è l'ultimo di una serie di provvedimenti di riordino che soprattutto negli anni più recenti hanno interessato il Mibact e con i quali si è cercato di dare al Ministero un assetto adeguato al ruolo che esso ricopre o dovrebbe ricoprire per la realizzazione di una efficace politica nel campo dei beni e delle attività culturali.
Come è noto, il Ministero è nato nel 1974 mediante l'aggregazione di strutture dei diversi ministeri in precedenza competenti in materia ed è stato inizialmente organizzato secondo il consueto modello ministeriale per direzioni generali, ordinato eminentemente ad assolvere le funzioni di regolazione e controllo amministrativo tipiche della azione di tutela del patrimonio culturale e paesaggistico come configurata nelle fondamentali leggi nn. 1089 e 1497 del 1939.
E' altrettanto noto peraltro che la tutela del patrimonio culturale e del paesaggio già dall'art. 9 della Costituzione è stata iscritta fra i compiti fondamentali a cui la Repubblica (ovvero tutti i soggetti pubblici e privati che la compongono) è chiamata a provvedere per la promozione dello sviluppo della persona e della società.
Già nell'art. 9 era insita quindi l'esigenza di una politica e di un'azione di tutela che fosse funzionalmente e unitariamente indirizzata ad assicurare in maniera attiva e integrata la protezione, la conservazione, la gestione e la messa a disposizione del patrimonio culturale per la collettività.
L'azione di tutela doveva in tal senso arricchirsi di nuovi contenuti e funzioni e trasformarsi in un'attività non solo di regolazione e controllo amministrativo, ma anche di intervento operativo, di prestazione e di servizi da svolgere in maniera organica e sistematica sulla base di obiettivi e programmi prefissati. Ed a tale azione di tutela così configurata dovevano poter altrettanto bene concorrere, con le istituzioni centrali, le istituzioni pubbliche regionali e locali e i soggetti privati.
Ora, non c'è dubbio che la legislazione più recente abbia recepito la visione di una politica e di un'azione di tutela in modo attivo e integrato. Dal d.lgs. n. 112/1998 al Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42/2004 è agevole constatare come la tutela sia ormai configurata nel suo insieme come attività di "conservazione programmata" (art. 29 del Codice), secondo la ben nota formula di Giovanni Urbani, e come a questa si affianchi, quasi senza soluzione di continuità, l'attività di valorizzazione dei beni per la loro migliore fruizione sociale (art. 111 Codice). Nello stesso tempo si prefigurano nuove modalità di gestione dei beni (art. 148 e 150 d.lgs. n. 112 cit.) informate alla congiunta esigenza della loro conservazione programmata e della loro valorizzazione anche ai fini dello sviluppo economico del Paese.
Vero è che la riforma costituzionale del 2001 (art. 117, 2° e 3° comma) ha inteso considerare tutela e valorizzazione come due funzioni o "aree funzionali" tra loro distinte ai fini del riparto delle competenze fra Stato e Regioni (e ciò parrebbe confermato anche dalla nuova riforma costituzionale in itinere). Ma come appare dalla stessa legislazione ricordata e dalle prassi migliori poste in essere, tutela e valorizzazione, in ordine ai beni e ai risultati ultimi da raggiungere, sono tra loro funzionalmente e strettamente interdipendenti e richiedono un'azione ispirata alla collaborazione fra le istituzioni e fra queste e i soggetti sociali.
D'altro canto, è lo stesso testo costituzionale del 2001 ad ammetterlo quando prevede (art. 118, 3° comma) che "la legge statale disciplina forme di intesa e coordinamento (fra Stato e Regioni) nella materia della tutela dei beni culturali".
Inoltre, la legislazione ordinaria ricordata, in concomitanza con il nuovo assetto dell'ordinamento autonomistico e con il riconoscimento del principio di sussidiarietà sociale (art. 118, 4° comma) disposti nella riforma costituzionale del 2001, non ha mancato di prevedere modalità e strumenti per assicurare il concorso delle istituzioni regionali e locali e dei soggetti privati singoli e associati all'azione di conservazione programmata, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale (per non ricordare l'ultimissima legislazione del 2014 cui si accennerà più avanti).
Il Mibact è venuto così a porsi come il centro di riferimento e di raccordo di una rete o di un sistema e di rapporti nei confronti del quale esso deve poter esplicare un vero e proprio ruolo di coordinamento e di governo o, come si dice spesso oggi, di governance per la realizzazione di un'unitaria ed efficace politica di tutela nel contesto di un ordinamento caratterizzato dal pluralismo istituzionale e sociale.
Nello stesso tempo, un'azione di tutela concepita in termini di conservazione programmata e di valorizzazione dei beni comporta l'impiego di strutture di gestione (previste in passato solo in limitati casi) che consentano di svolgere in maniera integrata il perseguimento del risultato richiesto: vale a dire strutture a carattere aziendale, se non imprenditoriale, diverse da quelle amministrative tradizionali sia in sede centrale che locale.
Si ricordi d'altronde come già negli anni sessanta, prima ancora che il Ministero fosse istituito, tenendo conto di questi ulteriori e determinanti aspetti funzionali dell'azione di tutela, si propose autorevolmente (la ben nota Commissione Franceschini del 1964) di dar vita ad un azienda o ad un'amministrazione autonoma, invece che (o accanto ad) un ministero quale sarebbe poi stato istituito.
Il duplice ruolo di governo e di gestione, che in tal modo si è venuto a profilare, avrebbe quindi paradossalmente richiesto che già nel 1974 non si desse luogo a un ministero come allora è avvenuto attraverso l'opera di scomposizione e ricomposizione di Direzioni di diversi ministeri.
Ciò avrebbe in ogni caso richiesto un diverso assetto del ministero articolato fra strutture di governo e strutture di gestione organizzate tra loro in maniera distinta e differenziata.
Il ministero doveva in certo modo "uscire da se stesso" per trasformarsi in un centro di governo aperto ai rapporti e ai contributi esterni e, insieme, per articolarsi in (o avvalersi di) strutture di gestione adeguate ai compiti di una tutela attiva e integrata.
2. Il mancato adeguamento del modello organizzativo nei successivi interventi di riforma
Se si guarda ora ai ripetuti interventi di riorganizzazione succedutisi nel giro di poco più di un decennio dal 1998 in poi prima dell'ultimo d.p.c.m. n. 171/2014 non è difficile accorgersi come il duplice ruolo di governo e di gestione del Ministero abbia faticato ad emergere dal modo in cui si è cercato di riformarne l'assetto.
Come è noto, dopo la sua istituzione il Ministero è stato riorganizzato o quasi ricostituito ex novo con il d.lgs. n. 368/1998 in attuazione della delega generale conferita dalla legge n. 59/1997 per il riordino dei ministeri in concomitanza con il più ampio conferimento di funzioni amministrative a Regioni ed enti locali all'insegna del c.d. federalismo amministrativo (realizzato a sua volta con il cit. d.lgs. n. 112/1998 e altri decreti delegati).
La legge delega n. 59 cit. fra i suoi principi e criteri ordinatori prevedeva il ricompattamento dei ministeri per grandi aree funzionali o per politiche organiche e la ristrutturazione delle loro strutture centrali in funzione del ruolo di governo che doveva loro essenzialmente spettare, nonché l'istituzione di "dipartimenti o amministrazioni ad ordinamento autonomo o di agenzie ed aziende" per i compiti di gestione, tale da dare anche attuazione al principio della distinzione fra indirizzo e controllo politico amministrativo e amministrazione di gestione sancito già dal d.lgs. n. 29/1993 e ora dal d.lgs. n. 165/2001 in conformità all'art. 97 Cost.
Tuttavia il Ministero (le cui competenze per materia nell'occasione vennero fra l'altro ampliate alle attività culturali e allo sport), venne tuttavia riorganizzato con il d.lgs. n. 368/1998 secondo un modello che aveva certamente l'intento di assicurare l'unitarietà di guida e di indirizzo del ministero mediante l'istituzione della nuova figura del Segretario generale di nomina fiduciaria alle dirette dipendenze del Ministro. Ma, nonostante alcune affermazioni di principio che parevano far sperare in contrario, il d.lgs. non configurava una struttura per la guida, la programmazione e il coordinamento del più ampio sistema che si veniva a creare con il concomitante decentramento di funzioni e il riconoscimento del ruolo di Regioni ed enti locali. La struttura centrale rimaneva organizzata per direzioni generali, ampliate di numero, in un rapporto di continuità e dipendenza funzionale dal vertice politico per il tramite del Segretario generale, mentre non si operava alcun significativo decentramento agli organi periferici (salvo la prevista creazione del Sovrintendente regionale) e ci si limitava solo a prevedere la eventuale creazione di strutture e gestioni autonome ma senza darvi seguito.
Il d.lgs. n. 368 è parso quindi riconfermare, pur essendo pressoché contemporaneo al menzionato d.lgs. n. 112 del 1998 e pur ponendo le premesse di sviluppi futuri (si veda in particolare l'introduzione di norme di principio in tema di cooperazione e di accordi con enti territoriali, altri enti pubblici, forme associative e privati), il modello di un ministero che tendeva ad assorbire in sé tutte le funzioni di governo e di gestione senza che se ne trasformasse e se ne adeguasse realmente la organizzazione alle esigenze proprie dei due diversi ruoli funzionali. E il d.lgs. n. 300/1999, immediatamente successivo, di riordino generale dei ministeri agli artt. 52-54 dedicati al Mibac non ha fatto che riconfermare il modello del d.lgs. n. 368/1998.
Può non stupire quindi che solo dopo pochissimi anni, sulla base della legge delega n. 137/2002 sia stato adottato, in concomitanza con il riordino del Codice effettuato con il d.lgs. n. 42/2004, un nuovo riassetto del Ministero con il d.lgs. n. 3/2004 e il successivo regolamento attuativo emanato con d.p.r. n. 173/2004.
Il riordino venne a suo tempo motivato con l'intento di adeguare l'organizzazione del Ministero al nuovo assetto regionale introdotto dalla riforma costituzionale del 2001: per favorire quindi una maggior coesione nella programmazione e nel coordinamento delle politiche e dell'azione del Ministero e per promuovere un miglior raccordo con le istituzioni regionali e locali in un quadro di maggior decentramento e articolazione territoriale delle politiche stesse.
Di qui prima di tutto il passaggio dal modello a segretario generale a quello alternativo per dipartimenti (quattro dipartimenti articolati peraltro in direzioni generali diversamente da quanto previsto in generale nel d.lgs. n. 300/1999 ricordato), nonché la creazione di direzioni regionali con compiti di direzione e coordinamento delle soprintendenze di settore.
Il modello dipartimentale ha avuto tuttavia breve vita, sebbene il raggruppamento in quattro dipartimenti (tre competenti per grandi settori e uno per funzione, l'allora neoistituito Dipartimento della ricerca, dell'innovazione e dell'organizzazione, competente per la programmazione), potesse contribuire a favorire la coesione dell'azione ministeriale nel suo insieme. Ma l'aver affidato ad un dipartimento accanto agli altri le funzioni di programmazione e l'aver sovrapposto la struttura dipartimentale a quella per direzioni generali non potevano che rendere difficile raggiungere i risultati auspicati.
Nello stesso tempo il riordino poco aggiungeva anche sul versante dei rapporti del Ministero verso l'esterno: risultava pur sempre un riordino pensato con riguardo al suo assetto interno. Né comparivano specifiche novità in tema di modalità e strutture di gestione (sebbene siano state individuate allora nuove figure di collaborazione con i soggetti privati).
L'abbandono del modello del 2004 coincide, d'altronde, con l'avvio dei provvedimenti per il contenimento della spesa pubblica che si sono succeduti poi fino a oggi.
Il primo dei questi provvedimenti, la legge n. 286 del 2006 (art. 2, 94° comma) (modificando ancora una volta l'art. 54 del d.lgs. generale n. 300 del 1997), imponeva un tetto numerico agli uffici dirigenziali (generali e non) del Ministero e il ritorno al modello a segretario generale. Subito dopo la legge finanziaria per il 2007 (l. n. 296/2006, 404° comma) ha imposto una diminuzione generalizzata del 10% degli uffici dirigenziali generali di tutti i ministeri e nel contempo ha autorizzato a riorganizzarli con regolamento di delegificazione. Il che è avvenuto per l'allora Mibac con d.p.r. n. 233 del 2007.
Subentra poi un ulteriore intervento di modifica con il d.p.r. 2 luglio 2009, n. 91, in relazione alle riduzioni di posti di organico disposte con il d.l. n. 112/2008 conv. in legge n. 133/2008, che conferma il modello del segretario generale e determina in numero di otto le direzioni generali.
3. Le indicazioni della Commissione per la riforma del Ministero
Il Ministero nel giro di pochi anni è stato quindi fatto oggetto di ben quattro riforme. Ma i successivi interventi di riordino del 1998, del 2004, del 2007 e del 2009, come si sarà potuto notare, non sembrano aver molto innovato il modello originario e paiono aver concorso poco ad adeguarne l'assetto al duplice ruolo funzionale indicato.
E' quanto d'altronde conferma la relazione dell'apposita Commissione di studio istituita e operante nel 2013 "per il rilancio dei beni culturali e del turismo e per la riforma del Ministero in base alla disciplina sulla revisione della spesa" (Commissione D'Alberti), dopo che il Ministero venne investito anche delle competenze statali in materia di turismo,
La Commissione, nel rassegnare le sue raccomandazioni finali per la riforma del Mibact, mostra di non volere disegnare un nuovo modello organizzativo, tanto da confermare la sua preferenza per il modello a direzioni generali senza prendere posizione sulla necessaria presenza o meno del segretario generale. Enuncia tuttavia in via prioritaria l'esigenza che sia "assolutamente razionalizzata la struttura centrale del Ministero, affidando ad essa compiti di direzione, di programmazione, di indirizzo e coordinamento" e concentra poi l'attenzione sull'esigenza di "potenziare al massimo le funzioni strumentali e "orizzontali" di innovazione, di organizzazione, di formazione continua del personale e di controllo unitario sull'intero apparato" mediante strutture di staff, fra cui in particolare propone che sia individuata "un'apposita Unità preposta al controllo strategico e alla pianificazione amministrativa".
Nello stesso tempo la Commissione, con riguardo alle "funzioni finali" del Ministero, sottolinea la necessità di superare "la logica organizzativa non omogenea (per aree, per funzioni, per tipo di bene, per tipo di istituti)" fin allora in atto e di dar vita a poche strutture di linea competenti per tipo di bene o attività fra cui in particolare "un'unica direzione di livello dirigenziale generale con competenza di tutti i beni culturali e del paesaggio". La relazione insiste inoltre sulla esigenza di restituire autonomia alle strutture periferiche e in specie a quelle di gestione degli istituti culturali e dedica nella seconda parte particolare attenzione allo sviluppo dei rapporti "esterni" al Ministero.
Dai pochi tratti richiamati emerge quindi come la Commissione abbia posto l'accento sull'esigenza di un riordino del Ministero che valorizzasse, da un lato, le funzioni "orizzontali" di staff, ivi compresa in particolare la istituzione dell'Unità per il controllo strategico e la pianificazione amministrativa, e dall'altro desse autonomia e compattezza alle funzioni di linea secondo uno schema a matrice tale da comporre e da rafforzare insieme il ruolo di governo e quello di gestione in maniera innovativa.
4. Le premesse della riforma attuale nei d.l. n. 95/2012 e 66/2014
Ci si deve chiedere ora tuttavia se e come il d.p.c.m. n. 171/2014 abbia risposto a queste attese.
Se si considera innanzitutto da che cosa ha preso origine, va ricordato che il decreto doveva nascere inizialmente in attuazione di una fra le principali disposizioni legislative varate per la riduzione della spesa pubblica.
In particolare si tratta del d.l. n. 95/20012 conv. in legge n. 135/2012 (art. 2, 10° comma) (c.d. spending review), già tenuto presente dalla Commissione di riforma, che autorizzava fra l'altro a procedere al riordino dei ministeri con d.p.c.m. nel rispetto di predeterminati contingenti di organico delle qualifiche dirigenziali.
Secondo il d.l. n. 95 cit., il riordino dei ministeri poteva avvenire con il solo obbligo di rispettare un tetto predeterminato di posti di organico nelle qualifiche dirigenziali (stabiliti per il Mibact in numero di 24 per quelle generali e 167 per quelle non generali), oltre che di rispettare i generali principi sulla struttura dei ministeri richiamati nello stesso decreto legge, e poteva valersi perciò potenzialmente di un relativo ampio spazio di scelte organizzative.
D'altro canto, il previsto d.p.c.m. di riordino del Mibact trovava già tracciate nelle raccomandazioni e nelle proposte della Commissione di riforma alcune delle scelte più innovative a cui potersi rifare.
Per il Mibact tuttavia il d.l. n. 95/2012 ha avuto solo una provvisoria attuazione, appena insediato l'attuale Ministro Franceschini causa l'imminente scadenza dei termini previsti per il riordino, con il d.p.c.m. del 28 febbraio 2014 poi ritirato per adeguare il decreto alle successive disposizioni legislative
E' subentrato infatti prima il d.l. n. 66/2014 conv. in legge 89/2014 (art. 16, 4° comma) a riaprire la possibilità di riordinare i ministeri con d.p.c.m. e poi il d.l. n. 83/2014 su iniziativa dell'attuale Ministro "per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo" a dettare nuove e rilevanti disposizioni al riguardo, muovendosi ad un tempo in un rapporto di continuità e di discontinuità rispetto al passato.
Da un lato, l'art. 14 del d.l. n. 83/2014 ha riscritto nuovamente l'art. 54 del d.lgs. n. 300 del 1999 e non si è limitato a stabilire il tetto complessivo dei posti di qualifica dirigenziale generale in numero di 24, ma ha di nuovo precisato anche che il Ministero doveva "articolarsi in uffici dirigenziali generali centrali e periferici coordinati da un segretario generale", salvo i due uffici dirigenziali generali assegnati al Gabinetto del ministro. In tal modo l'art. 14 non ha fatto che riconfermare, per quanto si parli solo di "uffici dirigenziali centrali e periferici" e non di specifiche strutture organizzative, il modello esistente a Segretario generale condizionando sotto un profilo determinante le scelte del successivo decreto di riordino.
D'altro lato, il medesimo d.l. n. 83/2014 ha dettato non poche disposizioni del tutto innovative. Oltre a prevedere significative misure per incentivare l'apporto dei privati ai fini della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale, il decreto legge ha introdotto all'art. 14 nuove norme e misure sia in ordine alla qualificazione dell' attività di programmazione in senso progettuale (si vedano le norme sui grandi progetti e su altri progetti strategici di intervento), sia in ordine alla trasformazione delle più importanti sovrintendenze e istituti culturali in strutture dotate di ampia autonomia gestionale, a cui preporre fra l'altro anche personale nuovo selezionato sulla base di bandi internazionali.
Il d.l. n. 83 del 2014 ha inserito quindi alcune novità del tutto significative nell'organizzazione dell'amministrazione periferica che, per essere ispirate a principi di decentramento e di autonomia e responsabilità gestionale, non potevano che riverberarsi sul modo di impostare le funzioni e l'assetto dell'amministrazione centrale. Si potrebbe dire che dalle disposizioni adottate in tema di amministrazione periferica, peraltro in coerenza con le raccomandazioni della Commissione di riforma, emergevano altrettante precise indicazioni - come necessario risvolto - per la riforma dell'amministrazione centrale. In particolare, ne scaturiva l'esigenza di dare un nuovo volto e un nuovo assetto alle strutture centrali che ne valorizzasse il ruolo di governo non solo del Ministero, ma del sistema di tutela e valorizzazione del patrimonio pubblico nel suo insieme in corrispondenza con la maggiore autonomia riconosciuta alle strutture di gestione.
Il d.l. n. 83 ha introdotto peraltro, come si è visto, un tratto e un vincolo di continuità che ha contribuito ad ostacolare la creazione di un disegno organizzativo in tal senso.
5. Continuità e discontinuità del modello organizzativo nel d.p.c.m. n. 171/2004
Se si considera ora il testo del d.p.c.m. n. 171 per quel che concerne l'amministrazione centrale alla luce delle premesse richiamate non sembra difficile notare come in esso convivano elementi di novità e discontinuità e insieme tratti di continuità rispetto al passato che ben emergono sotto i tre principali profili che possono venire in rilievo, guardando: a come la struttura centrale sia stata adeguata al nuovo ruolo di governo a cui è chiamata; a come questa si rapporti con il nuovo assetto dell'amministrazione periferica; a come questa si rapporti al sistema esterno al Ministero.
a) In primo luogo, è indubbio che con il decreto n. 171, che è particolarmente ampio e dettagliato, si sia cercato, pur conservando il modello tradizionale, di adattare e di arricchire il modello poggiato sul segretario generale e le direzioni generali nell'intento di assicurare una maggiore unità e compattezza funzionale alla struttura centrale in relazione al ruolo di governo (di indirizzo, programmazione e controllo, come diceva la Commissione di riforma) che essa è chiamata a svolgere.
Da un lato, secondo le previsioni del d.l. n. 83 cit. il decreto pone sempre al centro della struttura la figura e l'ufficio del segretario generale, scelto per nomina fiduciaria, che "opera alle dirette dipendenze del Ministro" ed è investito di un amplissimo spettro di competenze (si veda in particolare l'art. 11). Per le competenze che gli sono attribuite il Segretario generale rappresenta il punto di riferimento unitario per lo svolgimento delle attività di "direzione, indirizzo, programmazione" generale e nello stesso tempo è investito delle competenze di coordinamento di tutte le direzioni e uffici centrali e periferici assumendo quindi anche la figura di vertice amministrativo.
D'altro lato, il decreto affianca al Segretariato generale dodici direzioni generali, seguendo il modello stabilito in generale per i ministeri dal d.lgs. n. 300/1999 che prevede solo due tipi di struttura ministeriale: o la struttura a dipartimenti o la struttura a segretario generale e direzioni generali, senza sembrare ammettere soluzioni miste o diverse. Peraltro le direzioni generali, per come sono state individuate e per le competenze rispettivamente attribuite, paiono certamente anch'esse voler corrispondere alle nuove esigenze funzionali prospettate in specie dalla Commissione di riforma. Si pensi in particolare alle Direzioni con compiti trasversali o di staff, come la nuova direzione generale Educazione e ricerca e le ricostituite direzioni Organizzazione e Bilancio. E non mancano novità anche nell'individuazione delle altre nove direzioni di linea. In particolare va segnalata l'istituzione della nuova Direzione Musei di nuova istituzione, che vuole essere la controparte in sede centrale del nuovo assetto delle strutture museali in sede locale. Oltre a questa le altre direzioni sono intitolate con alcune prospettazioni nuove ai principali campi o settori di materia del Ministero e rispettivamente a Archeologia, Belle arti e paesaggio, Arte e architettura contemporanee e periferie urbane, Spettacolo, Cinema, Turismo, Archivi, Biblioteche e istituti culturali. Si avverte in particolare lo spostamento di attenzione dalla tutela e dalla valorizzazione del patrimonio esistente anche alla promozione di nuova produzione culturale per migliori condizioni vita nel territorio e nell'ambiente.
A parte, nell'ambito del Gabinetto, è inoltre previsto, come disposto per ogni Ministero dalla legge n. 150 del 2009, l'Organismo indipendente di valutazione della performance (OIV).
Pur considerando tutto ciò, è altrettanto indubbio tuttavia che il disegno organizzativo non sembra prestarsi bene a realizzare quell'unitarietà e compattezza di funzionamento della struttura di governo che sarebbe richiesta. Al Segretariato generale si contrappone la perdurante frammentazione delle direzioni generali. Funzioni trasversali e determinanti al riguardo come Educazione e ricerca, Organizzazione e Bilancio sono organizzate in direzioni generali al di fuori del Segretariato, a cui sono invece affidati i principali compiti di programmazione. Le Direzioni di staff si pongono in parallelo con quelle di linea. Le stesse Direzioni generali di linea non sono state accorpate per grandi aree come proponeva la Commissione D'Alberti. E non mancano le interferenze e le sovrapposizioni di materia fra l'una e l'altra, se si considera in particolare che le competenze di alcune direzioni sono individuate per beni o attività e altre per istituti.
Ne scaturisce verisimilmente ancora una volta un effetto di compartimentazione dell'azione ministeriale, che è tipico del modello a direzioni generali e che meglio si attaglia all'esercizio di competenze puntuali di amministrazione.
Vero è che è lo stesso decreto quasi a mostrare consapevolezza dell'inadeguatezza dell'assetto organizzativo. Il decreto prevede infatti, in misura del tutto peculiare e diffusa, accanto all'individuazione delle diverse strutture e delle loro attribuzioni la previsione di modalità e di rapporti non meglio precisati di consultazione o di codecisione o di informazione (spesso indicati in maniera generica con il termine "raccordo") tra le une e le altre, miranti presumibilmente ad assicurare una più efficace integrazione dei processi decisionali.
Parrebbe di poter rilevare che il decreto quasi intenzionalmente giustapponga all'organigramma del Ministero una flow-chart ovvero una trama di flussi e di rapporti di collaborazione diretta a compensare la mancanza di una complessiva strutturazione orizzontale delle funzioni di indirizzo, programmazione e controllo.
Il che dovrebbe consentire un maggiore coordinamento e una collegialità interna di azione tale da facilitare il compito del segretariato generale e l'unitarietà complessiva di indirizzo politico-amministrativo. Nello stesso tempo non si possono sottacere i limiti di tipo strutturale e funzionale che ancora l'assetto del centro presenta.
b) Resta inoltre riconfermata, con il mantenimento del modello tradizionale, pur arricchito nel senso indicato, l'ambiguità o meglio la polivalenza di ruolo che la struttura centrale presenta e che si riflette poi nei suoi rapporti con le strutture periferiche.
Come spesso si è notato, tale ambivalenza appare abbastanza evidente quando si consideri come il Segretario generale opera - si dice - alle "dirette dipendenze del Ministro" e "coordina" nello stesso tempo le Direzioni generali. Soluzione che certo può considerarsi in certo senso obbligata se si considera quanto già stabilito con il cit. d.l. n. 83 nel modificare l'art. 54 del d.lgs. n. 300/1999.
Il che sarebbe tuttavia perfettamente comprensibile e coerente con il principio della distinzione fra indirizzo e controllo politico-amministrativo e amministrazione di gestione se le direzioni generali fossero investite di attribuzioni analoghe a quelle del segretariato generale, come lo sono ad es. quelle a carattere trasversale.
Mentre se si guarda a come sono configurate le attribuzioni di queste e delle altre direzioni di linea non è difficile scorgere che ne restano non poche di amministrazione e gestione puntuale.
Ne deriva una sorta di nodo problematico non facile da sciogliere. Da un lato le Direzioni generali, pur investite di competenze di amministrazione, rimangono in un rapporto di dipendenza dal vertice politico per il tramite del Segretario generale, dall'altro le attribuzioni delle Direzioni generali interferiscono con quelle in linea di principio riconosciute alle strutture periferiche.
Queste sono state fatte oggetto ad opera dello stesso decreto di interventi non poco incisivi di accorpamento oltre che di "autonomizzazione". Si pensi all'accorpamento delle Sovrintendenze nonché alla creazione dei segretariati regionali in luogo delle direzioni regionali istituite nel 2004 e delle Commissioni regionali per il patrimonio culturale, con funzioni anche di commissioni di garanzia ai sensi dell'art. 12 del d.l. n. 83/2014.
C'è da chiedersi peraltro se le due parti centrale e locale della intera struttura ministeriale siano oggi tra loro complementari o se una, quella centrale, non rispecchi in parte ancora un rapporto fra centro e periferia proprio di assetti precedenti.
Si pensi per un verso a come non si sia realizzata l'unificazione in un'unica Direzione generale dei compiti di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, in corrispondenza con quanto invece si è disposto per le soprintendenze in periferia. Ne potrà facilmente derivare una molteplicità di rapporti paralleli dal centro verso la periferia.
E per altro verso non si può non rilevare che l'aver creato delle strutture di gestione dotate di particolare prerogative di autonomia significa aver introdotto nella trama complessiva dell'amministrazione del Mibact un principio, una "logica organizzativa" diversa che non può che estendersi complementarmente e specularmente anche alle strutture del centro sia quanto al modo di far indirizzo e controllo, ove questo sia sufficiente, sia, quando sia necessario, a trasformarsi esse stesse in strutture di gestione.
Ci si deve tornare ancora a domandarsi in breve se il Ministero saprà "uscire da se stesso" in tutto o in parte, come prima si accennava. Il Ministero sta per diventare una sorta di "holding", di capo gruppo di una costellazione di strutture tra loro finalizzate secondo una logica di missione e non può che trasformare anche se stesso cogliendo l'occasione che oggi si presenta.
c) Analoghe considerazioni si devono fare infine ove si valuti se e come il Ministero, per il modo in cui è stato riordinato, si sia per così dire "aperto" al sistema plurale che oggi concorre alla politica di tutela e di valorizzazione del patrimonio culturale. Se si guarda alle declaratorie delle attribuzioni delle diverse strutture centrali è indubbio che viene indicato per tutte le strutture interessate, il compito di promuovere rapporti di concertazione e collaborazione con le altre istituzioni pubbliche, specie con quelle territoriali, nonché con i soggetti e le istituzioni sociali specie a fini di un'effettiva conservazione programmata e valorizzazione del patrimonio culturale. Le competenze della soppressa Direzione generale per la valorizzazione sono state (opportunamente si potrebbe osservare) redistribuite fra il Segretariato generale e le varie Direzioni interessate e fatte rientrare come parte integrante delle responsabilità di ciascuna.
Nel medesimo tempo anche al riguardo non si rileva, in particolare con riguardo alla conservazione programmata e alla valorizzazione, l'individuazione di luoghi e modalità che assicurino un confronto il più sistematico e continuativo con l'esterno del Ministero e consentano di realizzare un coordinamento più efficace e strategico della politica di tutela e valorizzazione.
Questa funzione sembra affidata soprattutto, secondo le disposizioni del decreto, alle strutture di livello regionale, in particolare ai segretariati regionali a cui è commesso il compito di tenere i rapporti con le istituzioni regionali e locali.
Per quel che concerne la struttura del centro, il decreto mostra ancora una volta più attenzione all'interno dell'organizzazione ministeriale e alle funzioni di tutela. Ne è un indice significativo il fatto che gli organi consultivi siano riconfermati come organi a composizione tecnica e di settore, a cominciare dal Consiglio superiore beni culturali e paesaggistici, pur essendo investito di non poche competenze consultive in tema di programmazione, e non sia previsto alcun organo preordinato per la sua composizione al confronto e all'incontro diretto con i soggetti istituzionali sia centrali che regionali e locali variamente interessati o competenti al riguardo. Il che parrebbe quindi rimesso per il centro o alla stipulazione di singoli accordi interistituzionali, come è avvenuto in passato, o ad accordi e intese da assumere in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata.
Il modello organizzativo dell'amministrazione centrale sembra quindi ancora mostrare tratti di continuità con il passato non trascurabili nei suoi aspetti strutturali. L'occasione offerta ad un tempo dalle esigenze di riduzione della spesa e dal nuovo assetto delle strutture periferiche poteva certo favorire soluzioni più innovative. E' peraltro evidente lo sforzo di riversare, pur entro una cornice di continuità, contenuti e raccordi funzionali che possano favorire una più sistematica ed efficace azione di conservazione e valorizzazione dei beni culturali anche in rapporto alle nuove attribuzioni del Ministero in tema di turismo.
Che ciò avvenga dipenderà tuttavia anche da non pochi altri fattori che condizionano la buona riuscita di qualsiasi disegno organizzativo: in particolare dall'effettiva adozione di metodi e procedure di programmazione strategica e di gestione sulla linea di quanto indicato dalla Commissione di riforma e dall' acquisizione e dal miglior impiego di nuove risorse sia umane che finanziarie e strumentali.
Non c'è che augurarsi che alcune delle novità che sono già contenute al riguardo, come già si ricordava, nel d.l. n. 83 e che rappresentano un preciso segno di discontinuità possano trovare ulteriore anche sotto i profili indicati e ripercuotersi positivamente sul buon funzionamento dell'insieme.
Si annuncia d'altronde all'orizzonte il prossimo varo di una nuova delega per il riordino dei ministeri che è prevista nel d.d.l. del Governo n. 1577 Senato ora all'esame in commissione e che potrà presumibilmente contribuire a nuovi sviluppi dell'organizzazione ministeriale.
Nota bibliografica
Sui temi trattati si fa rinvio in particolare agli scritti di Autori Vari nei nn. 1/1999 e 1/2005 di questa Rivista, di S. Bonini Baraldi nel n. 1/2007, di C. Martini nel n. 2/2014, di L. Casini e di L. Covatta nel n. 3/2014, di M. Cammelli nei nn. 2/2014 e 3/2014, di G. Sciullo e P. Forte in questo numero della Rivista, nonché al proprio scritto nel n. 3/2004. Tutti i testi normativi citati e la Relazione finale della Commissione D'Alberti sono anch'essi pubblicati in Aedon.