Il punto su alcune riforme istituzionali
La riforma dei ministeri nell'ambito della "spending review"
Sommario: 1. Premessa. - 2. Il ridimensionamento delle strutture ministeriali. - 3. Le novità previste nel d.l. n. 95/2012. - 3.1. Le riduzioni degli uffici e delle dotazioni organiche. - 3.2. La revisione organizzativa. - 4. Sistema delle fonti e riordino dei ministeri. - 5. Conclusioni.
The Reform of Government Departments in the Spending Review Framework
In recent years the
Italian Parliament approved several measures to reduce the total number of
public employees and structures of the central administration of the State.
These reforms have two purposes: to contain public expenditure and to increase
the efficiency of public administrations. The article investigates the
consequences of the Spending Review process on Government Departments and
compares the last measures with the previous ones. Eventually, it aims at
verifying if the expected objectives have been achieved.
Keywords: Government
Departments; Administrative Reforms; Spending Review.
Nell'ambito del programma di attuazione della c.d. spending review, stabilito con il d.l. n. 95 del 2012 (convertito dalla l. n. 135/2012) [1], il legislatore ha disposto una nuova riduzione degli assetti organizzativi dell'amministrazione centrale dello Stato proseguendo un filone di interventi normativi inaugurato nel 2006 e proseguito con misure approvate spesso attraverso lo strumento della decretazione d'urgenza. Quest'ultimo intervento è stato fortemente condizionato dal perdurare della congiuntura economica negativa e dalle esigenze di ordine finanziario legate all'acuirsi della crisi. Esso conferma l'impostazione delle politiche economiche degli ultimi anni e la crescente consapevolezza che la razionalizzazione delle strutture pubbliche rappresenta un capitolo centrale nella strategia di contenimento e riduzione della spesa. Ma, al contempo, la necessità di un nuovo "taglio" è sintomo della inefficacia dei tentativi precedenti.
Le misure utilizzate per contenere i costi dell'organizzazione sono ancora una volta le stesse, ossia la riduzione su base percentuale delle dotazioni organiche e del numero degli apparati amministrativi. Agli obiettivi definiti dalla legge in via quantitativa, inoltre, le disposizioni del d.l. n. 95/2012 affiancano un nuovo riordino delle strutture centrali e periferiche dei ministeri, secondo uno schema già sperimentato con il d.l. n. 112/2008. Purtuttavia, stavolta il governo ha cercato di affinare la strumentazione per garantire l'effettività dell'attuazione da parte delle amministrazioni coinvolte: da un lato, centralizzando il procedimento di rideterminazione delle piante organiche, dall'altro, modulando il sistema delle fonti organizzative - con alcune evidenti forzature - con l'obiettivo di accelerare i tempi di realizzazione delle misure approvate e, in tal modo, i risparmi attesi.
Il contributo intende gettare luce sugli elementi di continuità e di discontinuità tra le misure da ultimo introdotte e i numerosi interventi normativi che, negli anni precedenti, si sono susseguiti e anche sovrapposti, prevedendo revisioni delle strutture ministeriali con obiettivi di riduzione. In sede di analisi, viene poi dedicata particolare attenzione ai riflessi delle riforme prodotte sul sistema delle fonti dell'organizzazione ministeriale.
Ne emerge un quadro problematico, in cui si mette in rilievo la predominante logica della riduzione della spesa rispetto al percorso di razionalizzazione qualitativa dell'organizzazione dei ministeri e come, nonostante l'introduzione di numerose novità tese ad implementare l'attuazione, il riassetto interno dei ministeri risulti, a due anni dall'approvazione delle misure, ancora incompleto.
A partire dal 2006 si è registrata una frequente reiterazione di interventi normativi miranti a ridurre le strutture, a revisionare gli organici del personale, nonché a riordinare gli apparati delle amministrazioni statali e di varie categorie di enti pubblici nazionali. Più precisamente la politica di revisione della spesa trova ingresso nelle riforme dell'apparato amministrativo con la legge finanziaria per l'anno 2007 (art. 1, comma 404-415, l. n. 296/2006), che prevedeva l'adozione di un articolato piano di riorganizzazione finalizzato a razionalizzare e ottimizzare l'organizzazione delle spese e dei costi di funzionamento dei ministeri [2].
Si tratta del primo ampio intervento sull'amministrazione centrale a fini di contenimento della spesa pubblica con tre obiettivi specifici: un risparmio di spesa pluriennale quantificato dalle stesse disposizioni [3]; la riduzione del numero degli uffici dirigenziali (almeno il 10 per cento di quelli di livello dirigenziale generale, e il 5 per cento degli uffici di livello dirigenziale non generale) e la riallocazione del personale con funzioni di supporto, in modo che lo stesso non ecceda il 15 per cento delle risorse umane complessivamente utilizzate da ciascuna amministrazione [4]. Tali misure erano inserite in una piano complessivo di riorganizzazione degli assetti ministeriali ispirato ad ulteriore linee di intervento: eliminazione delle duplicazioni organizzative esistenti; gestione unitaria del personale e dei servizi comuni anche mediante strumenti di innovazione amministrativa e tecnologica; riorganizzazione degli uffici con funzioni ispettive e di controllo; riduzione degli organismi di analisi, consulenza, studio; revisione delle strutture periferiche prevedendone, anche in questo caso, la riduzione [5].
Gli strumenti per il conseguimento di tali risultati sono stati due: i regolamenti di organizzazione dei ministeri, ex art. 17, comma 4-bis, della l. n. 400/1988 [6] e i conseguenti piani di riallocazione del personale [7]. Con l'intenzione di rendere più cogente gli obblighi di razionalizzazione, le stesse norme avevano inserito tali adempimenti in un'articolata procedura di programmazione e di controllo [8].
L'attuazione del processo di riorganizzazione è stata solo parzialmente satisfattoria degli obiettivi previsti dalla legge. La maggior parte dei ministeri - sebbene non tutti - ha provveduto alla riorganizzazione, in ogni caso, con tempi dilatati rispetto alla scansione temporale prevista. Se i regolamenti emanati si sono conformati alle riduzioni del numero degli uffici e dell'organico nelle misure stabilite dalla legge, tuttavia la realizzazione dei risparmi di spesa è stata di misura inferiore alle previsioni in quanto la revisione organizzativa ha inciso prevalentemente su "uffici e posizioni dirigenziali privi di titolari effettivi alla data del riordino" [9]. Ed in ogni caso, il riordino non è intervenuto sugli altri profili di intervento strutturale indicati dalla legge, come, in particolare, la rideterminazione e semplificazione delle articolazioni periferiche, la revisione degli uffici ispettivi e la razionalizzazione degli organismi collegiali.
Pertanto, negli anni successivi si è proseguito con ulteriori interventi sull'organizzazione, disposti dapprima dall'articolo 74 del d.l. n. 112/2008 [10] e, poi, dall'articolo 2, comma 8-bis, del d.l. n. 194/2009 [11] e dall'articolo 1, commi 3-5, del d.l. n. 138/2011 [12]. Il primo degli interventi citati si è sovrapposto a quello della legge finanziaria 2007, stabilendo obiettivi più rigorosi e collegando "i tagli", ancora una volta, all'interno di una più complessa ed ambiziosa revisione organizzativa da attuare secondo puntuali criteri definiti dal legislatore. Mentre, le norme successive si sono limitate a richiedere solo riduzioni permanenti di strutture amministrative e di personale.
Sono tuttavia individuabili alcuni caratteri comuni. Rispetto alle previsioni della legge finanziaria 2007, l'ambito di applicazione soggettivo delle misure previste è divenuto più ampio rispetto al solo comparto ministeriale, per ricomprendervi tutte le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo (ivi comprese le agenzie, incluse le agenzie fiscali); gli enti pubblici non economici, gli enti di ricerca e gli enti pubblici di cui all'art. 70, comma 4, del d.lg. n. 165/2001 [13]. Di norma, anche l'elenco dei soggetti esclusi dall'applicazione delle misure stabilite nei singoli provvedimenti è risultato analogo [14]. Per alcune amministrazioni si è stabilita, invece, un'applicazione differenziata; è il caso, ad esempio, della Presidenza del Consiglio dei ministri, che nel d.l. n. 112/2008 beneficiava di un regime speciale, poi richiamato dal d.l. n. 194/2009, e che è stata invece esclusa dall'ambito applicativo delle riduzioni previste dal d.l. n. 138/2011.
Le percentuali di riduzione strutturale richieste dalla legge sono state oggetto di continui aggiustamenti, così come la tipologia degli uffici e del personale interessati dai "tagli": si è iniziato, infatti, con gli uffici apicali per poi coinvolgere nell'operazione di snellimento gli uffici dirigenziali di livello non generale, nonché i relativi posti di dotazione organica e, infine, anche la dotazione organica del personale non dirigenziale.
Quanto al contenuto dei singoli provvedimenti, l'art. 74 del d.l. n. 112/2008 aveva stabilito la riduzione complessiva degli uffici dirigenziali di livello generale e di quelli di livello non generale, in misura non inferiore, rispettivamente, al 20 per cento e al 15 per cento di quelli esistenti, con la contestuale e corrispondente riduzione delle dotazioni organiche. Anche il personale non dirigenziale è stato coinvolto nella riorganizzazione, in quanto si prevedeva una riduzione delle dotazioni organiche non inferiore al 10 per cento della relativa spesa. In via analoga a quanto stabilito dalla legge finanziaria per il 2007, sono stati imposti obiettivi minimi di riduzione (10 per cento) al personale adibito allo svolgimento di compiti logistico-strumentali e di supporto. La legge ha tuttavia, inserito, gli obiettivi di riduzione nella prospettiva di una più ampia revisione dell'organizzazione sulla base di criteri puntualmente indicati ed orientati verso la concentrazione delle funzioni e l'accorpamento delle strutture [15].
Successivamente, l'art. 2, comma 8-bis, del d.l. n. 194/2009 e l'art. 1, comma 3-5 del d.l. n. 138/2011, hanno prescritto due ulteriori e simmetriche riduzioni, ciascuna in misura non inferiore al 10 per cento degli uffici dirigenziali di livello generale e dei relativi posti di funzione, nonché di uguale entità per quanto riguarda i costi relativi alla dotazione organica del personale delle aree funzionali.
Dopo il 2008, il succedersi degli interventi normativi ha applicato le misure in modo "cumulativo", in quanto ogni nuova riduzione è stata calcolata all'esito della riduzione realizzata ai sensi della norma precedente [16]. Ciascuna amministrazione ha pertanto dovuto individuare la propria base di computo sulla base delle indicazioni normative, con tutta una serie di problemi, specie per le amministrazioni che non hanno adempiuto nei termini prescritti.
Per assicurare l'operatività della normativa, tutti i provvedimenti richiamati hanno stabilito il divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi tipo di contratto [17].
Ai sensi dell'art. 74 del d.l. n. 112/2008, così come delle successive previsioni, il ridimensionamento degli assetti organizzativi doveva essere attuato "secondo i rispettivi ordinamenti". Tuttavia, proprio per i ministeri sono state introdotte alcune peculiarità con l'obiettivo di semplificare il procedimento di revisione organizzativa. In particolare, l'articolo 41, comma 10, del d.l. n. 207/2008 [18], ha previsto due innovazioni. La prima consiste nella possibilità di provvedere alla riduzione delle dotazioni organiche mediante decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, in deroga alla normativa primaria che individua la dotazione organica quale contenuto tipico dei regolamenti di organizzazione ex art. 17, comma 4-bis, della l. n. 400/1988.
Mentre la seconda novità ha innovato in modo permanente il modello di organizzazione delle strutture dei dicasteri determinato con l'articolo 4 del d.lg. n. 300/1999, con particolare riguardo agli uffici dirigenziali non generali. Con novella a tale articolo, infatti, si è consentito di utilizzare i decreti ministeriali di natura non regolamentare non solo per definire i compiti degli uffici dirigenziali non generali - come si evince dalla lettura dell'art. 4, comma 4, del d.lg. n. 300/1999 e dell'art. 17, comma 4-bis, lett. e), della l. n. 400/1988 - ma altresì per distribuire tali uffici tra le strutture di livello dirigenziale generale, anche in deroga alla distribuzione operata dal regolamento di organizzazione.
Le misure previste dall'articolo 2 del d.l. n. 95/2012 si pongono in sostanziale continuità con gli interventi precedenti. Anche in questo caso è richiesto alle amministrazioni di realizzare puntuali obiettivi di riduzione del personale e delle strutture, ma, come già prefigurato dalla l. n. 296/2006 e dal d.l. n. 112/2008, questi devono accompagnarsi ad una riprogrammazione complessiva degli assetti organizzativi centrali e periferici, che comporta una nuova articolazione degli uffici e la redistribuzione ottimale del personale. Accanto a ciò, sono riscontrabili alcuni elementi di novità rispetto alle precedenti esperienze.
Resta sostanzialmente invariato il campo soggettivo di applicazione delle riduzioni, rappresentato dalle amministrazioni che fanno capo al governo centrale, come individuate nei precedenti provvedimenti.
Per quanto concerne le esclusioni, il decreto ne prevede alcune motivate dalla contestuale applicazione di normative speciali. In tale ambito, i tagli previsti dall'art. 2 non si applicano al ministero dell'Economia e delle Finanze e alle agenzie fiscali, per le quali lo stesso decreto ha stabilito un programma di riduzione ad hoc (art. 23-quinquies, d.l. 95/2012) [19]. Normative di settore sono previste anche per alcune categorie di personale all'interno dei ministeri, come ad esempio le forze armate e il personale del comparto scuola [20].
Altre esclusioni sono invece determinate, come già previsto in passato, dalla necessità di mantenere inalterata la consistenza delle strutture e delle relative dotazioni organiche di comparti dell'amministrazione in relazione alla specificità delle funzioni svolte. Ciò ha giustificato l'esenzione dai tagli per quanto riguarda il comparto sicurezza, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il personale amministrativo operante presso gli uffici giudiziari e il personale di magistratura (art. 2, comma 7).
Infine, il decreto ha introdotto clausole di flessibilità prevedendo la sospensione dell'efficacia delle misure all'esito di altre procedure di razionalizzazione organizzativa. E' questo il caso della deroga stabilita per il personale dell'amministrazione civile del ministero dell'Interno, al quale le riduzioni si applicano solo a conclusione del processo di soppressione e razionalizzazione delle province e comunque entro il 30 giugno 2014 [21], e per il personale del ministero degli Affari esteri, per il quale è preordinata la riorganizzazione delle sedi estere.
3.1. Le riduzioni degli uffici e delle dotazioni organiche
Rispetto all'oggetto delle misure si segnalano le prime significative novità. Il decreto, infatti, da un lato ha disposto, come i precedenti, una ulteriore, sostanziale riduzione degli uffici e delle dotazioni organiche in misura non inferiore al venti per cento per il personale dirigenziale (di livello generale e non generale) e del dieci per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organico, per il personale non dirigenziale (art. 2, comma 1) [22]. Dall'altro, lo stesso provvedimento ha consentito un'applicazione selettiva dei tagli, ossia la possibilità di effettuare le riduzioni tenendo conto della specificità delle singole amministrazioni e in misura inferiore alle percentuali richieste, a condizione che la differenza sia recuperata operando una maggiore riduzione delle dotazioni organiche di altra amministrazione (art. 2, comma 5). In sede amministrativa è stata chiarita la possibilità di ricorrere allo strumento della compensazione non solo tra amministrazioni (compensazione trasversale), ma anche all'interno di ogni singola amministrazione, tra le aree/profili del personale non dirigenziale (compensazione interna), e tra ministeri ed enti vigilati (compensazione verticale) [23].
L'introduzione di questa metodologia è intesa a incentivare non più un taglio lineare delle posizioni funzionali, bensì un intervento selettivamente qualificato che possa favorire un assetto razionale delle strutture amministrative e tener conto degli effettivi fabbisogni in relazione alle funzioni svolte e ai servizi resi dai singoli apparati.
Ulteriori novità riguardano gli strumenti attuativi, che sono stati scelti soprattutto al fine di agevolare una maggiore rapidità nell'attuazione dei contenuti.
Il d.l. 95 ne stabilisce due: innanzitutto, le riduzioni di organico sono disposte con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (d.p.c.m.), da adottare su proposta del ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze (art. 2, comma 5). La mancata adozione dei provvedimenti di riduzione entro i termini previsti dalla legge (su cui, infra) comporta per l'amministrazione responsabile la sanzione del divieto di assunzione di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto (art. 2, comma 6). Il secondo strumento è rappresentato dai regolamenti di organizzazione con i quali ciascuna amministrazione provvede a ridefinire i propri assetti organizzativi interni (art. 2, comma 10, su cui, si v. infra).
Le novità principali in merito sono almeno due. In primo luogo, a differenza degli interventi normativi precedenti, in questo caso è stabilita una precisa scansione temporale in base alla quale dapprima sono disposte le riduzioni delle dotazioni organiche e poi sono adottati i regolamenti di organizzazione. Il decreto sulla dotazione organica pone in tal modo un vincolo alla normativa di organizzazione successiva.
In secondo luogo, il legislatore ha scelto di centralizzare le procedure di riduzione delle dotazioni organiche. Si conferma, per i ministeri, il ricorso allo strumento del d.p.c.m. rispetto a quello ordinario del regolamento, come già previsto ai sensi dell'art. 41, comma 10, d.l. n. 207/2008, ma, a differenza di tale ultima ipotesi, le singole proposte dei dicasteri sono vagliate e verificate a livello centrale, dal ministro della pubblica amministrazione, di concerto con il ministero dell'Economia. La centralizzazione della fase istruttoria è funzionale ad una molteplicità di obiettivi: garantire maggiore rapidità nell'attuazione, tener conto delle priorità dell'azione di governo e valutare eventuali proposte di compensazione trasversale dei tagli previsti dalle norme.
3.2. La revisione organizzativa
Nel disegno normativo prefigurato dal d.l. 95 il riordino organizzativo conseguente alla rideterminazione delle dotazioni ministeriali deve seguire alcuni criteri di merito e di forma. Rispetto al contenuto, non si evidenziano particolari innovazioni. Si è, difatti, richiesto alle amministrazioni di seguire i criteri di riassetto indicati sin dalla l. n. 296/2006: la concentrazione dell'esercizio delle funzioni istituzionali; la riorganizzazione degli uffici con funzioni ispettive e di controllo; la rideterminazione della rete periferica su base regionale o interregionale; l'unificazione delle strutture che svolgono funzioni logistiche e strumentali [24]; nonché - unico nuovo criterio - la "tendenziale" eliminazione degli incarichi dirigenziali di consulenza, studio e ricerca di cui all'articolo 19, comma 10, del d.lg. n. 165/2001 [25].
Cambia, invece, lo strumento che i ministeri hanno a disposizione, in quanto il decreto prevede la possibilità che anche i regolamenti di organizzazione siano adottati con d.p.c.m., su proposta del ministro competente, di concerto con il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il ministro dell'economia e delle finanze (art. 2, comma 10-ter, del d.l. 95/2012), in deroga al procedimento ordinario stabilito dall'art. 4 del d.lg. n. 300/1999 (che rinvia dall'art. 17, comma 4-bis, della l. 400/1988) che prevede regolamenti governativi di delegificazione, adottati con d.p.r., sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia.
Tali decreti sono soggetti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti ex art. 3, commi da 1-3, della legge n. 20/1994. A differenza dei regolamenti adottati con d.p.r., non è riconosciuta l'obbligatorietà del parere da parte del Consiglio di Stato, ma solo la facoltà al Presidente del Consiglio di richiederlo, né è previsto il parere delle competenti Commissioni parlamentari. A decorrere dalla data di efficacia di ciascuno dei predetti decreti cessa di avere vigore, per il ministero interessato, il regolamento di organizzazione vigente.
La possibilità di questa deroga al sistema delle fonti dell'organizzazione ministeriale è stata consentita in via eccezionale e per un tempo limitato, almeno nelle intenzioni originarie. Ciò in quanto il timing del processo di attuazione degli interventi di revisione organizzativa richiesti dall'art. 2, comma 10, che inizialmente concedeva l'uso del d.p.c.m. per la riorganizzazione dei ministeri entro il 31 dicembre 2012 è stato oggetto di successive proroghe che ne hanno protratto l'efficacia sino al 28 febbraio 2014 [26].
Già in passato il legislatore aveva fatto ricorso ai d.p.c.m. di natura organizzativa, nell'ambito della ridefinizione del numero e delle competenze di ministeri operata con il d.l. n. 85/2008 (conv. da l. n. 121/2008). In quel caso, tuttavia, si trattava di operare una ricognizione in via amministrativa di preesistenti strutture autonome destinate ad essere riaggregate in un unico ministero [27]. E lo schema procedimentale indicato dal d.l. prevedeva che l'adozione dei d.p.c.m. fosse propedeutica - in quanto volta a fornire una indispensabile base conoscitiva - all'emanazione dei regolamenti di organizzazione dei nuovi ministeri secondo lo schema tradizionale.
In questo caso, invece, il decreto sulla spending review-bis ha consentito una piena fungibilità tra i due strumenti (d.p.r. o d.p.c.m.) nella consapevolezza che il secondo costituisce uno strumento più celere in termini procedurali e temporali, che i ministeri possono, ma non hanno l'obbligo di utilizzare, entro i termini previsti. Pertanto, nel caso in cui tale facoltà non venga esercitata, si può ricorrere al d.p.r. previsto dalla disciplina ordinaria [28].
Osservando l'insieme degli interventi che hanno imposto negli ultimi anni il ridimensionamento delle strutture ministeriali, è evidente di primo impatto come il legislatore abbia ritenuto il modello di organizzazione dei ministeri, emergente dall'articolo 4 del d.lg. n. 300/1999, sostanzialmente inadeguato a far fronte alla necessità di effettuare rapidamente mutamenti organizzativi condizionati da obiettivi urgenti di risparmio.
Ciò è alla base del ripetuto inserimento di correttivi, modifiche e deroghe a quel modello che, sebbene spesso motivate dall'urgenza e caratterizzate dall'eccezionalità - ma protratte nel tempo - hanno finito per modificare l'assetto del sistema delle fonti dell'organizzazione ministeriale.
Generalmente i correttivi introdotti hanno inciso sulla delimitazione degli spazi di regolazione tra regolamento governativo (adottato con d.p.r.) e decreto ministeriale, assicurando maggiore rigidità o, viceversa, maggiore elasticità nell'uso delle fonti a seconda dell'obiettivo perseguito [29].
Sebbene le previsioni contenute al riguardo nella legge finanziaria per il 2007 sembrassero non rivedere le ordinarie modalità organizzative dei ministeri, la giurisprudenza del Consiglio di Stato formatasi sul punto ne ha dato un'interpretazione innovativa, in virtù della quale si è richiesto che il regolamento di organizzazione (d.p.r.), adottato in attuazione di quelle disposizioni, contenesse scelte organizzative normalmente demandate ai decreti ministeriali.
In particolare, gli schemi di regolamento dovevano recare anche l'identificazione numerica degli uffici di livello dirigenziale non generale riferiti a ciascun ufficio di primo livello, rimettendo alla decretazione ministeriale la sola precisazione dei compiti delle unità organizzative in questione. Ciò al fine di verificare il rispetto degli obiettivi e dei criteri di riordino delle strutture stabiliti dalla norma primaria [30].
Non vi è alcun dubbio che tale procedimento abbia prodotto un maggior irrigidimento dell'assetto organizzativo, perché ha innalzato al livello del regolamento di delegificazione non solo il numero complessivo, ma anche la specifica assegnazione delle direzioni, con la conseguenza di richiedere per ogni minimo spostamento di unità tra uffici dirigenziali generali la modifica del regolamento di organizzazione.
In occasione del successivo intervento normativo, pertanto, si è cercato di reintrodurre una maggiore elasticità della disciplina. Come già anticipato, infatti, l'articolo 41, comma 10, del d.l. n. 207/2008, ha modificato l'art. 4 del d.lg. n. 300/1999 in direzione opposta, ossia consentendo ai decreti ministeriali di individuare gli uffici di livello dirigenziale generale e di distribuirli tra le strutture di livello dirigenziale generale, anche in deroga a quanto eventualmente stabilito nel regolamento di organizzazione del singolo ministero. Attraverso la devoluzione a livello di normazione sub-regolamentare della intera organizzazione degli uffici dirigenziali non generali, in alcuni casi potrebbe essere sufficiente utilizzare il solo decreto ministeriale per adeguare le strutture amministrative ai tagli imposti dalla legge.
Diverso è, tuttavia, il caso in cui s'intenda riscrivere organicamente l'organizzazione del ministero. In tali ipotesi diventa fondamentale intervenire anche sulle strutture di primo livello, come previsto dall'art. 2, comma 5, del d.l. n. 95/2012, che, a tal fine, ha utilizzato un nuovo schema procedimentale (d.p.c.m.), alternativo rispetto alle previsioni dell'art. 4 del d.lg. n. 300 (d.p.r. e d.m.), che, semplificando notevolmente l'iter di approvazione dei regolamenti (ciò che rappresenta un fatto oggettivo), dovrebbe garantire una attuazione più spedita delle modifiche organizzative ed assicurare i vantaggi attesi.
Al di là dei profili di legittimità dell'uso di tale strumento [31], su cui si rinvia alle conclusioni, merita osservare che lo stesso legislatore, in corso d'opera, si è reso conto che la stessa soluzione individuata nel d.p.c.m. di organizzazione non è sufficiente a garantire la piena attuazione delle misure previste dal decreto sulla spending review-bis.
Basti citare due dati. Il primo è rappresentato dal fatto che, in alcuni casi, è stato necessario modificare anche la normativa di grado primario, soprattutto per poter articolare in modo più flessibile gli uffici tra il livello centrale e quello periferico, all'esito delle riduzioni stabilite. E' il caso, ad esempio, del ministero dell'Istruzione, dell'Università e della ricerca la cui estesa organizzazione periferica è articolata in uffici scolastici regionali che l'articolo 75, comma 3, del d.lg. n. 300/1999 stabiliva fossero solo di livello dirigenziale generale. Con la legge di stabilita 2014 (art. 1, comma 394, l. n. 147/2013), il decreto è stato novellato, consentendo in particolare, che gli uffici regionali possano essere anche di livello dirigenziale non generale [32]. In via analoga, anche per il riordino del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo è stato necessario modificare, con l'articolo 14 del recente d.l. n. 83/2014, l'articolo 54, comma 1, del d.lg. n. 300/1999 che stabilisce in numero fisso il numero degli uffici dirigenziali di prima fascia a livello periferico [33].
In tali casi, il quadro legislativo dell'organizzazione è stato adeguato per consentire il riordino conseguente alle riduzioni degli apparati e coerente con il vigente assetto delle fonti.
Una soluzione opposta è, invece, quella proposta dal testo originario del d.l. n. 150/2013 che, nel disporre la proroga del termine per la riorganizzazione al 28 febbraio 2014, prevedeva anche un duplice ampliamento del campo di intervento oggettivo dei d.p.c.m. di organizzazione. Si disponeva, infatti, che gli assetti organizzativi definiti con i regolamenti adottati con d.p.c.m., qualora determinassero comprovati effetti di riduzione di spesa, potessero sia derogare alla disciplina legislativa vigente concernente le strutture di primo livello di ciascun ministero, fermi restando i due diversi modelli organizzativi, uno basato sui dipartimenti e uno sulle direzioni generali ai sensi dall'articolo 3 del d.lg. n. 300/1999 [34], sia modificare anche la disciplina regolamentare degli uffici di diretta collaborazione dei rispettivi ministri [35]. Tale tentativo è stato abbandonato in sede di esame parlamentare per la conversione, anche in considerazione dell'impatto di un'ennesima deroga all'ordinario assetto delle fonti che, in tal caso, andava valutata alla luce della riserva di legge in materia di organizzazione dei ministeri (art. 95, comma 3, Cost.).
Da entrambi i dati, seppur di segno opposto, emerge che il bisogno di flessibilità, richiesta all'organizzazione ministeriale - che è stata ed è tuttora fortemente condizionata da vincoli di revisione della spesa - non può trovare adeguate risposte nella sola scelta di schemi procedurali più rapidi, o, ancora, nelle modifiche all'uso della fonte sub-regolamentare. Piuttosto, il problema attiene alla possibilità di intervenire su aspetti dell'organizzazione che la disciplina attuale rimette alla fonte legislativa, come la scelta del modello organizzativo (per dipartimenti o per direzioni generali) o il numero delle strutture di primo livello o la tipologia di uffici che compongono le articolazioni territoriali: tutti aspetti sui quali le riduzioni imposte dalle politiche di razionalizzazione della spesa hanno determinato l'esigenza di adeguamenti.
Ne consegue che, per consentire una razionale ed efficiente riorganizzazione dei ministeri, anche in termini di riduzione della spesa, è ammesso intervenire con singoli adeguamenti delle norme primarie, come già fatto in taluni casi, ovvero, si potrebbe decidere di riscrivere l'articolo 4 del d.lg. n. 300/1999, alterando il rapporto tra disciplina riservata alla legge e disciplina regolamentare in favore di quest'ultima. L'alternativa individuata dal d.l. n. 95/2012 e recentemente confermata dal d.l. n. 66/2014, che in nome dell'auspicata efficacia delle politiche di revisione della spesa, ha confermato la possibilità di ricorrere ai d.p.c.m. di organizzazione fino al 15 luglio 2014, va invece in una direzione inversa che non convince [36].
Occorrerà aspettare la piena attuazione delle misure approvate per valutarne il reale impatto sull'organizzazione dell'amministrazione centrale dello Stato, ma il complessivo disegno normativo, prefigurato nelle norme analizzate, e la prima attuazione che di tale misure è stata data offrono alcuni spunti di riflessione critica.
Il riordino degli assetti organizzativi richiesto dal d.l. n. 95, al pari degli interventi precedenti, persegue due obiettivi: la riduzione della spesa pubblica e il raggiungimento di una maggiore funzionalità ed efficienza degli apparati amministrativi.
Quanto al primo aspetto, sappiamo che le misure concernenti la rideterminazione degli organici previste dal d.l. n. 95/2012 hanno ricevuto attuazione per undici su tredici ministeri, in tempi abbastanza brevi [37]. Secondo le analisi della Corte dei conti, l'insieme delle novità procedimentali introdotte analizzate nei paragrafi precedenti, può essere per ora valutata positivamente, almeno in considerazione della risposta delle amministrazioni, che hanno adempiuto in maniera più tempestiva e virtuosa rispetto alle precedenti esperienze, facendo registrare una riduzione di spesa maggiore rispetto a quanto stimato dal d.l. [38]. Si tratta evidentemente di risparmi in "divenire", in quanto l'impatto certo complessivo degli interventi di riduzione è, al momento, di aver riavvicinato la definizione normativa degli organici in termini più o meno coincidenti con il personale in servizio. Solo, all'esito della verifica delle situazioni di soprannumerarietà e di esubero del personale sarà possibile determinare se si tratta di risparmi "teorici" o "concreti".
Altro discorso merita il secondo degli obiettivi annunciati, quello dell'efficienza organizzativa, che passa attraverso un percorso di rivisitazione non solo del numero, ma delle dimensioni e delle attribuzioni degli uffici. Sul punto, l'impostazione complessiva della riforma sconta un vizio di fondo, presente in origine in questo tipo di interventi, dettati dalla contingenza della riduzione della spesa, ma reso ancora più evidente dalle previsioni del decreto sulla spending review. In queste, infatti, si teorizza la priorità logica della riduzione delle dotazioni organiche rispetto all'atto di organizzazione, sottolineata dall'andamento della sequenza procedimentale e temporale. Dapprima, si realizzano i "tagli" e, successivamente, le amministrazioni procedono alla riorganizzazione. Un approccio alle riforme molto distante da quello, indicato da Massimo Severo Giannini (nello scritto dal titolo In principio sono le funzioni) per cui l'organizzazione è conseguente all'assetto delle funzioni amministrative; lo stesso approccio a cui è ispirata la riforma del d.lg. n. 300/1999 e la cui assenza, in questo caso, comporta il rischio di "adattare" l'organizzazione agli organici e di produrre, in futuro, nuove disfunzioni organizzative.
Il senso e la direzione del processo di riorganizzazione previsto dal d.l. n. 95, peraltro, sono indicati solo dai "virtuosi" criteri contenuti nelle norme che, al pari di quanto avvenuto per la rideterminazione delle dotazioni organiche, sarebbero dovuti essere oggetto di approfondimento e linee guida esplicative in una circolare della Presidenza del Consiglio, annunciata e mai adottata. In tal modo, le amministrazioni sono state lasciate libere di riordinare i propri uffici in assenza di una regia unitaria.
Tale potestà di "auto-organizzazione" è ampliata dalla scelta di utilizzare lo strumento del d.p.c.m., non solo per la determinazione delle dotazioni organiche, ma anche per l'emanazione dei regolamenti di organizzazione. Si è già visto come tale scelta risponda ad un'esigenza di flessibilità organizzativa e di semplificazione dell'iter di approvazione dei regolamenti. Tuttavia, su questa appaiono prevalenti gli aspetti problematici.
In primo luogo, l'assenza delle garanzie procedimentali che l'articolo 17, comma 4-bis della l. n. 400/1988 individua a regime per l'organizzazione ministeriale, ossia passaggio parlamentare e parere del Consiglio di Stato, integra una deroga significativa all'assetto delle fonti normative e, di conseguenza, anche una deroga all'assetto dei rapporti tra potere esecutivo e potere legislativo in materia. La mancanza del parere delle Commissioni parlamentari competenti estromette integralmente il Parlamento dalle scelte organizzative operate dalle amministrazioni ministeriali. Ciò in controtendenza al processo che, in altri casi, ha visto intensificare gli strumenti di controllo parlamentare, a partire dall'introduzione dell'obbligatorietà del parere su tutti gli schemi di regolamento governativo.
L'autoreferenzialità del procedimento è rafforzata dalla eliminazione del vaglio del Consiglio di Stato. Per l'emanazione del d.p.c.m. tale parere non è più obbligatorio, ma solo facoltativo, a richiesta del Presidente del Consiglio, che, peraltro, nelle prime attuazioni non si è mai avvalso di tale possibilità. Pertanto, l'unica forma di verifica rimasta è quella della registrazione presso la Corte dei Conti, che è un vaglio limitato e non motivato.
Rispetto al quadro delineato, non sorprende che, in fase attuativa, due ministeri (Sviluppo economico e Salute) abbiano introdotto con d.p.c.m. modifiche molto incisive della struttura organizzativa, sostituendo al modello dipartimentale previgente una nuova struttura articolata in direzioni generali, in tal modo contravvenendo a quanto previsto dalle disposizioni di rango primario contenute nel d.lg. n. 300/1999.
In questo schema, l'espansione del potere organizzativo dell'esecutivo rischia di muoversi lungo due direttrici che corrispondono, rispettivamente, ai vincoli a cui è soggetta la scelta organizzativa: uno di carattere sostanziale, ossia la legge, e l'altro di tipo procedurale, il parere da richiedere al Consiglio di Stato. La prima direttrice consiste nel superamento del limite della riserva della legge, sancita dalla Costituzione, riducendosi sempre di più il margine di apprezzamento lasciato al potere legislativo. La seconda ovvia al limite procedurale e si sostanzia nella possibilità di fare a meno della riserva di potere consultivo affidata al Consiglio di Stato, indebolendo così l'operatività di tale meccanismo di controllo ex ante, funzionale ad assicurare la coerenza complessiva dell'ordinamento, nonché l'equilibrio tra apparati pubblici.
Infine, ma non per importanza, non si possono trascurare le contraddizioni che si saldano sulla presunta efficacia delle deroghe introdotte al "fine di semplificare ed accelerare il riordino" delle strutture organizzative. Sia in quanto lo stesso legislatore è intervenuto più volte per prorogare i tempi di tale assetto derogatorio, conferendogli stabilità nel tempo. Sia perché, a dispetto della maggiore celerità dello strumento e delle proroghe della possibilità di utilizzarlo, l'attuazione da parte delle amministrazioni ha proceduto meno speditamente di quanto si possa ritenere.
Basti pensare che, a distanza di due anni dall'approvazione delle misure contenute nel d.l. n. 95, solo cinque, su tredici, ministeri hanno completato il procedimento di riordino: ministero dell'Economia e delle Finanze, ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, ministero dello Sviluppo economico, ministero della Salute e ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti [39]. Se si considera che nei primi due anni dall'approvazione delle analoghe disposizioni di riassetto organizzativo previsto dal d.l. n. 112/2008, che però richiedevano l'adozione dei regolamenti di organizzazione ex art. 4, d.lg. n. 300/1999, furono emanati otto regolamenti, è evidente che neanche in termini di efficacia del procedimento, si registrano i vantaggi sperati [40].
Note
[1] Per un inquadramento generale dell'intervento di riduzione di spesa delle pubbliche amministrazioni, si rinvia a C. Lacava, Il decreto "spending review", in Giorn. dir. amm., 2012, pag. 1161 ss.
[2] Il punto sulla riorganizzazione dei Ministeri a seguito degli intervenuti che si sono susseguiti a partire dal 2007 si trova in G. D'Auria, La riforma dell'amministrazione centrale: un documento e due provvedimenti, in Giorn. dir. amm., 2008, pag. 831 ss.
[3] L'articolo 1, comma 416, della l. 296/1996 indica un risparmio non inferiore a 7 milioni di euro per l'anno 2007, 14 milioni di euro per l'anno 2008 e 20 milioni di euro per l'anno 2009, senza specificare le modalità di imputazione a ciascuna amministrazione.
[4] S'intende utilizzato per funzioni di supporto (c.d. back-office) il personale adibito alla gestione delle risorse umane, ai sistemi informativi, ai servizi manutentivi e logistici, agli affari generali, ai provveditorati e agli uffici di contabilità.
[5] L'art. 1, comma 404, lett. c), della legge finanziaria 2007 ha indicato in proposito due percorsi opzionabili dalle singole amministrazioni: l'accorpamento di tutti gli uffici periferici facenti capo ad una amministrazione in un unico ufficio regionale, oppure il trasferimento delle funzioni svolte da tali uffici all'interno delle prefetture - uffici territoriali del governo. Erano dettate, inoltre, disposizioni specifiche per la rideterminazione della rete periferica del ministero dell'Economia e delle Finanze e del ministero dell'Interno.
[6] L. 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri. L'art. 17, comma 4-bis, fa rinvio al comma 2, relativo ai regolamenti di delegificazione in generale, che vengono emanati su proposta del ministro competente d'intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri e con il ministro dell'Economia e delle Finanze.
[7] Con il riassetto normativo delle fonti ad opera della l. n. 59/1997 e del d.lg. n. 300/1999, l'organizzazione interna dei ministeri è disciplinata da una pluralità di fonti normative. Le strutture di primo livello (dipartimenti o direzioni generali) sono stabilite direttamente da un atto avente forza di legge, nella specie il d.lg. 300/1999, che fissa per ciascun ministero il numero massimo di dipartimenti o di direzioni generali, a seconda del modello organizzativo prescelto. Nell'ambito di tale struttura primaria, si provvede a definire il numero (nonché l'organizzazione, la dotazione organica e le funzioni) degli uffici di livello dirigenziale generale in cui sono articolati i dipartimenti o le direzioni generali, mediante regolamenti di delegificazione adottati con d.p.r. ex art. 17, comma 4-bis, l. 400/1988 (così dispone l'art. 4, comma 1, del d.lg. 300/1999). L'articolazione interna degli uffici di livello dirigenziale non generale è demandata al ministro che provvede, con proprio decreto di natura non regolamentare, alla individuazione degli uffici e alla definizione dei relativi compiti ex art. 17, comma 4-bis, lett. e), l. 400/1988 (ripreso da art. 4, comma 4, d.lg. 300/1999). Sul tema, l. Torchia, Il nuovo ordinamento dei ministeri: le disposizioni generali (articoli 1-7), in La riforma del governo. Commento ai decreti legislativi n. 300 e n. 303 del 1999 sulla riorganizzazione della Presidenza del Consiglio e dei ministeri, (a cura di) A. Pajno, l. Torchia, Bologna, 2000, pag. 127 ss.
[8] I regolamenti governativi dovevano essere adottati entro il 30 aprile 2007 sulla base di linee-guida che, di fatti, sono state stabilite con d.p.c.m. 13 aprile 2007. Queste hanno poi chiarito che i regolamenti potevano rinviare a decreti ministeriali non regolamentari ai sensi dell'art. 4, comma 4, d.lg. 300/1999 solo per definire i compiti degli uffici dirigenziali non generali, da adottarsi entro due mesi dall'entrata in vigore dei regolamenti di organizzazione.
[9] Si cfr. le considerazioni svolte in proposito dalla Corte dei conti nella Relazione sul rendiconto generale dello Stato per l'esercizio finanziario 2007, vol. I, pagg. 503-505.
[10] D.l. 25 giugno 2008, n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, l. 6 agosto 2008, n. 133. In argomento, C. Lacava, E. Midena, La manovra finanziaria prevista dalla legge n. 133/2008. La riorganizzazione dell'amministrazione centrale, in Giorn. dir. amm., 2008, pag. 1189 ss.
[11] D.l. 30 dicembre 2009, n. 194, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, l. 26 febbraio 2010, n. 25.
[12] D.l. 13 agosto 2011, n. 138, Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, l. 14 settembre 2011, n. 148. Le relative misure sono commentate in G. D'Auria, La manovra di agosto. Organizzazione amministrativa e costi della politica, in Giorn. dir. amm., 2012, pag. 11 ss.
[13] D.lg. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Il comma 4 dell'art. 70 citato fa riferimento ai seguenti enti e organismi: Ente autonomo esposizione universale di Roma (trasformato in società per azioni con d.lg. 304/1999); enti autonomi lirici ed istituzioni concertistiche assimilate (trasformati in fondazioni lirico-sinfoniche con d.lg. 367/1996); Agenzia spaziale italiana (Asi); Istituto poligrafico e Zecca dello Stato; Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura; Comitato nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell'energia nucleare e delle energie alternative (Enea); Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale; Registro aeronautico italiano (Rai); Comitato olimpico nazionale italiano (Coni); Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro; Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac); Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (Cnipa); Cassa depositi e prestiti.
[14] Vi rientrano: il personale amministrativo operante negli Uffici giudiziari; le Autorità di bacino di rilievo nazionale; il corpo della Polizia penitenziaria; i magistrati; l'Agenzia italiana del farmaco, nei limiti consentiti dalla normativa vigente; le strutture del comparto sicurezza, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; le strutture del personale ancora in regime di diritto pubblico di cui all'art. 3, comma 1, del d.lg. 165/2001.
[15] In quest'ottica, era prevista anche la possibilità di pervenire ad accordi tra le amministrazioni per l'esercizio unitario di funzioni logistiche e strumentali, incluse quelle di gestione del personale. La riorganizzazione riguardava anche le strutture periferiche: alle amministrazioni è stata lasciata la facoltà di scegliere se rideterminare la rete periferica secondo un'articolazione (non inferiore a quella) regionale o interregionale, ovvero se farla confluire nell'ambito delle esistenti prefetture-uffici territoriali di governo, secondo le procedure di cui al citato art. 1, comma 404, lett. c), della l. 296/2006.
[16] Per quanto riguarda le misure richieste dal d.l. 112/2008, l'art. 74, comma 4, chiariva che nel processo di riorganizzazione possono essere computate le riduzioni derivanti dai regolamenti di riassetto dei ministeri emanati in attuazione del art. 1, comma 404 ss., della legge finanziaria 2007. Il successivo comma 5, in attesa dell'emanazione dei provvedimenti di riorganizzazione, fissava provvisoriamente le dotazioni organiche in misura pari ai posti coperti alla data del 30 settembre 2008 (salve le procedure concorsuali e di mobilità in corso).
[17] A partire dal 2009, sono stati esclusi da tale divieto gli incarichi dirigenziali conferiti a soggetti esterni all'amministrazione di riferimento, ai sensi dell'art. 19, commi 5-bis e 6, del d.lg. 165/2001.
[18] D.l. 30 dicembre 2008, n. 207, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, l. 27 febbraio 2009, n. 14.
[19] L'art. 23-quinquies prevede la riduzione del personale, sia dirigenziale che non dirigenziale, del ministero dell'economia e delle finanze e delle agenzie fiscali, in misura identica a quanto previsto per la generalità dei ministeri, salvo per il fatto che tale riduzione trova applicazione anche per gli uffici di diretta collaborazione del ministro. Inoltre, provvede ad individuare i principi - tra cui la riduzione del numero delle strutture territoriali e l'accorpamento delle direzioni generali che svolgono funzioni analoghe - sulla cui base procedere ad una riorganizzazione del ministero e delle agenzie; dispone infine specifiche variazioni nell'organigramma e nelle competenze di alcune direzioni generali del ministero.
[20] Anche la Presidenza del Consiglio dei ministri è sottratta all'obbligo di adeguamento ai nuovi obiettivi di riduzione, in quanto ha provveduto ad effettuare corrispondenti tagli della propria dotazione organica con d.p.c.m. 15 giugno 2012 (art. 2, comma 7). Ciononostante, si prevede che, in relazione al taglio della dotazione organica dei dirigenti disposta, la Presidenza del Consiglio provvede alla riorganizzazione delle proprie strutture sulla base di criteri di contenimento della spesa e di ridimensionamento strutturale (art. 2, comma 20).
[21] L'articolo 2, comma 2, del d.l. 95/2012 fa riferimento alla riforma delle province prevista dall'articolo 17 del medesimo decreto, successivamente dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale e, comunque, fissa il termine entro il quale adempiere al 30 aprile 2013, successivamente prorogato. Nel chiarire le modalità applicative della disposizione, tuttavia, la direttiva del Dipartimento della funzione pubblica n. 10/2012 ha ritenuto praticabile, anche al fine di evitare il protrarsi degli effetti sanzionatori sul piano assunzionale, un'anticipata riduzione delle dotazioni organiche, nei tempi previsti per tutte le altre amministrazioni, da verificare successivamente all'esito della riforma delle province. A dispetto di tali indicazioni operative, la sospensione della riduzione delle dotazioni organiche del ministero è stata confermata fino al 30 giugno 2014 dal comma 5 dell'art. 12 del d.l. 93/2013.
[22] Tali riduzioni si applicano agli uffici e alle dotazioni organiche risultanti a seguito degli interventi già disposti dal precedente d.l. 138/2011 per le amministrazioni destinatarie. Per le restanti amministrazioni si prendono a riferimento gli uffici e le dotazioni previsti dalla normativa vigente. I criteri per l'applicazione delle misure di riduzione degli assetti organizzativi sono stati ulteriormente specificati con direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 10/2012 del 24 settembre 2012.
[23] Nella direttiva n. 10/2012 si chiarisce che il termine "verticale" serve ad individuare un settore di intervento aggregato o per funzioni omogenee (come, ad esempio, nel caso nel caso degli enti non territoriali vigilati dal ministero della salute che operano nel Servizio sanitario nazionale) o per identità funzionale con distinzione fondata sul diverso ambito territoriale di competenza (come, ad esempio, gli enti parco nazionale). La proposta di compensazione verticale può essere avanzata a condizione che la differenza tra la riduzione in difetto operata rispetto alla percentuale prevista dalla norma sia recuperata con una riduzione in eccesso sulle dotazioni organiche del ministero o di altro ente vigilato.
[24] A tal fine possono essere previsti accordi tra amministrazioni per l'esercizio unitario delle funzioni, compresa la gestione del personale e dei servizi comuni, anche con strumenti di innovazione amministrativa e tecnologica e l'utilizzo congiunto delle risorse umane.
[25] L'articolo 19, comma 10, del d.lg. n. 165/2001 prevede che i dirigenti ai quali non sia affidata la titolarità di uffici dirigenziali svolgano, su richiesta degli organi di vertice delle amministrazioni interessate, funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti dall'ordinamento, ivi compresi quelli presso i collegi di revisione degli enti pubblici in rappresentanza di amministrazioni ministeriali.
[26] In base al testo originario del decreto legge, il termine per l'adozione dei nuovi regolamenti di organizzazione era stabilito in sei mesi dall'adozione dei rispettivi d.p.c.m. di riduzione delle dotazioni organiche. Il termine per l'uso di tale deroga al sistema delle fonti era comunque fissato al 31 dicembre 2012 e successivamente prorogato al 28 febbraio 2013 dall'art. 1, comma 406, l. n. 228/2012 (legge di stabilità 2013). Successivamente, l'articolo 2, comma 7, del d.l. n. 101/2013 (conv. l. n. 125/2013) ha stabilito un nuovo termine unico per tutte le amministrazioni che avessero provveduto alla rideterminazione dell'organico, fissato alla data del 31 dicembre 2013. Parallelamente, la stessa disposizione ha prorogato al 31 dicembre 2013 il termine entro il quale i ministeri possono adottare i propri regolamenti mediante d.p.c.m., specificando che per i ministeri il termine s'intende rispettato con l'approvazione preliminare del Consiglio dei ministri degli schemi dei regolamenti. Da ultimo, anche questo termine è stato prorogato al 28 febbraio 2014 con l'art. 1, comma 6, del d.l. n. 150/2013 (decreto proroga-termini).
[27] Con il d.l. 6 maggio 2008, n. 85 (convertito in legge, con modificazioni, dalla l. 14 luglio 2008, n. 121), il numero dei ministeri, da diciotto, è stato riportato a dodici, in attuazione dell'articolo 1, commi 376 e 377 della l. 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008). Il decreto prevedeva che i regolamenti di organizzazione fossero anticipati dall'adozione di tre d.p.c.m. volti alla ricognizione delle strutture trasferite (art. 1, comma 8), alla determinazione dei criteri e delle modalità per l'individuazione delle risorse umane relative alle funzioni riorganizzate (art. 1, comma 18) e alla definizione provvisoria degli uffici di ciascun ministero (art. 1, comma 20). In sede di attuazione, per tutte le strutture ministeriali "accorpate" sono stati adottati i seguenti decreti di ricognizione: d.p.c.m. 24 giugno 2008 per il ministero dello Sviluppo economico; d.p.c.m. 6 agosto 2008 per il ministero dell'Istruzione, dell'Università e della ricerca; d.p.c.m. 6 agosto 2008 per il ministero delle Infrastrutture e i Trasporti; d.p.c.m. 20 novembre 2008 per il ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali.
[28] Come è stato rimarcato nella direttiva n. 10/2012, recante le Linee guida per l'attuazione dell'art. 2 del d.l. 95/2012. Contestualmente, proprio per salvaguardare l'obiettivo di contenimento dei costi, il comma 10-bis dell'art. 2 ha introdotto un elemento di rigidità nell'organizzazione, stabilendo che il numero degli uffici di livello dirigenziale generale e non generale non può essere incrementato se non con disposizione legislativa di rango primario. La "legificazione" opera solo in un senso, cioè quello dell'aumento, mentre non sembrano escluse riduzioni ulteriori, ad opera di diversa fonte, rispetto a quelle prescritte dalla normativa vigente.
[29] Sulla delegificazione in materia di organizzazione ministeriale e sul rapporto tra fonte regolamentare e fonte sub-regolamentare, si rinvia a N. Lupo, Dalla legge al regolamento. Lo sviluppo della potestà normativa del governo nella disciplina delle pubbliche amministrazioni, Bologna, 2003, pag. 224 ss.
[30] Si cfr., Cons. St., Sezione consultiva per gli atti normativi, Ad. del 27 agosto 2007, nn. 2146/07 e 2147/07. Tale interpretazione fa leva sul fatto che l'art. 1, comma 404, della legge 296/2006 impone l'adozione dello schema regolamentare per la riorganizzazione degli uffici sia di livello dirigenziale generale che di livello dirigenziale non generale. E non sarebbe casuale il fatto che lo schema regolamentare sia stato identificato dalla norma primaria ai sensi dell'art. 17, comma 4-bis, della l. 400/1988 (la cui lettera e) rimette ai decreti ministeriali la sola definizione dei compiti degli uffici dirigenziali di livello non generale), piuttosto che mediante il richiamo all'art. 4, d.lg. 300/1999.
[31] Su questo aspetto si registra, ad esempio, il costante orientamento espresso dal Comitato per la legislazione della Camera dei deputati, per la quale il ricorso ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri non appare conforme alle esigenze di un coerente utilizzo delle fonti normative, in quanto si demanda ad un "atto di natura politica" la definizione di una disciplina che dovrebbe essere oggetto di una fonte secondaria del diritto, secondo una procedura difforme rispetto a quella dell'articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400, che non offre quindi le medesime garanzie individuate da tale procedura.
[32] Si v. art. 1, comma 394, l. 27 dicembre 2013, n. 147. La scelta tra le due tipologie di uffici è stata posta in relazione alla popolazione studentesca della relativa regione.
[33] Si v. art. 14, comma 1, lett. a), d.l. 31 maggio 2014, n. 83, recante Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo. In particolare, il testo originario dell'art. 54, comma 1, del d.lg. n. 300 del 1999 prevede che "il ministero si articola in non più di dieci uffici dirigenziali generali centrali e in diciassette uffici dirigenziali generali periferici, coordinati da un Segretario generale", mentre all'esito della modifica, si prevede che il numero degli uffici dirigenziali generali, incluso il segretario generale, non può essere superiore a ventiquattro. Peraltro, la necessità della modifica è stata condizionata dal fatto che tale ministero è l'unico ad avere una specifica disposizione di legge che vincola in modo non flessibile il numero degli uffici dirigenziali generali periferici, mentre per tutti gli altri Ministeri la legge già prevede formule più flessibili, individuando solo il numero massimo degli uffici di primo livello. Sulla quarta riorganizzazione del ministero per i beni e le attività culturali disposta con il d.p.r. 2 luglio 2009, n. 91, l. Casini, Il mito di Sisifo ovvero la quarta riorganizzazione del ministero per i beni e le attività culturali, in Giorn. dir. amm., 2010, pag. 1006 ss.
[34] Sull'alternanza tra dipartimenti e direzioni generali, M. Cammelli, Ossimori istituzionali: l'instabile immobilità della organizzazione ministeriale, in Aedon, 2006, 3.
[35] Si cfr. art. 1, comma 6 e 7, d.l. 30 dicembre 2013, n. 150, recante Proroga di termini previsti da disposizioni legislative, nel testo pubblicato in G.U. 30 dicembre 2013, n. 304. Successivamente, il provvedimento è stato convertito con modificazioni dalla l. 27 febbraio 2014, n. 15.
[36] L'art. 16, comma 4, del d.l. 24 aprile 2014, n. 66, recante Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale, in corso di conversione, autorizza nuovamente i ministeri, fino al 15 luglio 2014, ad adottare i rispettivi regolamenti di organizzazione nella forma di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Tale deroga è subordinata ad una condizione, che consiste nel realizzare interventi di riordino organizzativo comportanti riduzioni di spesa "ulteriori" rispetto a quelle prescritte in via diretta e immediata dallo stesso decreto.
[37] Per il ministero dell'Economia e delle Finanze con autonomo d.p.c.m. 25 ottobre 2012. Con un unico d.p.c.m. 22 gennaio 2013, sono state disposte le riduzioni per un gruppo di nove dicasteri composto da: ministero della Difesa, ministero dello Sviluppo economico, ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ministero del lavoro e delle Politiche sociali, ministero dell'Istruzione, dell'Università e della ricerca, ministero per i Beni e le Attività culturali, ministero della Salute. Infine, anche per il ministero degli affari esteri si è provveduto con d.p.c.m. 25 luglio 2013. La mancata attuazione delle riduzioni da parte del ministero della Giustizia e del Ministero dell'interno sono riconducibili alle disposizioni di deroga contenute nello stesso art. 2 del d.l. n. 95.
[38] Secondo i dati riportati dalla Corte dei conti nella Relazione al rendiconto generale dello Stato per l'esercizio finanziario 2012, vol. I, pag. 281 ss., dall'adempimento dei nove ministeri disposto con il d.p.c.m. 22 gennaio 2013 è stata registrata una riduzione di spesa di 272.821.139 euro, con una differenza di più di nove mila euro rispetto alle previsioni dello stesso d.l. n. 95/2012 (263.454.985 euro).
[39] Sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale i regolamenti di organizzazione del ministero dell'Economia e delle Finanze (d.p.c.m. 27 febbraio 2013, n. 67), del ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali (d.p.c.m. 27 febbraio 2013, n. 105), del ministero dello Sviluppo economico (d.p.c.m. 5 dicembre 2013, n. 158), del ministero della Salute (d.p.c.m. 11 febbraio 2014, n. 59) e del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (d.p.c.m. 11 febbraio 2014, n. 72). Risultano approvati dal Consiglio dei ministri i regolamenti di organizzazione del ministero dell'Ambiente, della tutela del territorio e del mare e del ministero dell'Istruzione, dell'Università e della ricerca (e altresì registrati dalla Corte dei Conti, rispettivamente in data 6 maggio e 16 giugno 2014), nonché del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (Consiglio dei ministri del 14 febbraio 2014) e del ministero dei Beni e Attività culturali (Consiglio dei ministri del 28 febbraio 2014).
[40] Le disposizioni di riassetto organizzativo, previste dall'articolo 74 del d.l. n. 112/2008 sono state attuate per i seguenti dicasteri: ministero degli Affari esteri (d.p.r. 19 maggio 2010, n. 95), ministero dell'Interno (d.p.r. 24 novembre 2009, n. 210), ministero della Difesa (d.p.r. 3 agosto 2009, n. 145), ministero dello Sviluppo economico (d.p.r. 28 novembre 2008, n. 197), ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (d.p.r. 22 luglio 2009, n. 129), ministero dell'Ambiente, della tutela del territorio e del mare (d.p.r. 3 agosto 2009, n. 140), ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (d.p.r. 3 dicembre 2008, n. 211), ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.ministeriale:2011-04-07;144!vig=); ministero dell'Istruzione, dell'Università e della ricerca (d.p.r. 20 gennaio 2009, n. 17), ministero per i Beni e le Attività culturali (d.p.r. 2 luglio 2009, n. 191), Ministero della salute (d.p.r. 11 marzo 2011, n. 108).