La riforma organizzativa del Mibact
I nuovi musei statali: un primo passo nella giusta direzione
Sommario: 1. Scenario. - 2. Il contesto dell'intervento sui musei. - 2.1. Le principali misure della riforma del 2014. - 2.2. La figura del segretario generale. - 2.3. Le direzioni generali. - 2.4. Le direzioni non generali. - 2.5. Gli organismi consultivi. - 3. La disciplina dei musei statali. Un problema non nuovo di fonti. - 4. Temi organizzativi. - 4.1. Innovazione attenuata. - 4.2. Trasparenza, legittimazione e reputazione. - 4.3. Innovazione spinta. - 5. Caratteristiche generali dell'autonomia speciale: un'autonomia trattenuta. - 5.1. L'autonomia normativa: gli statuti dei musei autonomi. - 5.2. I musei organi complessi. - 5.3. I consigli di amministrazione. - 5.4. I comitati scientifici. - 5.5. L'organizzazione ed il problema del personale. - 6. Il direttore di museo statale. - 6.1. L'individuazione. - 6.2. La preposizione ed il rapporto con il ministro. - 6.3. Le responsabilità. - 7. Orizzontalità e verticalità. - 7.1. La novità della direzione generale Musei. - 7.2. La novità della direzione generale Educazione e Ricerca.- 7.3. I sistemi museali. - 8. Considerazioni conclusive.
The New State Museums: A First Step in the Right Direction
The paper analyzes
the reform of Italian State Museums, considering the scenario in which it operates, the main measures of
the context, the new discipline; marks
that, above all, the intervention reveals how much the Italian Ministry for the
Culture is rusty, and strives to be placed in the central point of the material
of which it takes care, relevant for the responsibilities of the mission
assigned to the Republic by the Constitution, but also for what concerns the
cultural identity, social cohesion, equality, economic development of the
country. Therefore evaluates favorably the
reorganization, and although notes a few points of special sensitivity (the
figure of the Secretary General, the problem of the legal sources, the the relations between the museum's director and board of
directors, the issues of personnel, budgets, and so on), notes that the reform
faces many of the unresolved nodes for the State museums, highlights in
particular their special autonomy, noting that it is somehow restrained, but also that it startes a process that aims at
management of museums in its own terms, not detaching them from their
territory, an assumption of grown importance (and urgency) together with their
social, economic, civil importance; argues that the fundamental mission of the
museum is the public fruition, a redistributive function that also helps to
define the constitutive mechanisms of the cultural eminence, and produces
significant economic and productive consequences.
Keywords: Mibact; Museums; State Museums; Autonomy;
Institutional Mission.
Il ministero italiano dedicato alla cultura, nato com'è noto nel 1974 [1], è stato oggetto nell'ultimo ventennio, specie se si considerano anche i ripetuti interventi sulla disciplina dei beni culturali e del paesaggio, di una tale massa di interventi di riforma [2] da far parlare in letteratura di vero e proprio "sciame normativo" [3].
Il contesto rilevante in materia è intanto molto cambiato in questi ultimi venti anni.
A voler rassegnare qualcuna di queste trasformazioni, potrebbe partirsi dal fatto che il ruolo dei governi regionali e locali è enormemente aumentato; una parte consistente del budget pubblico per la cultura è ormai a carico dei loro bilanci e, dopo diversi anni di esperienze, cominciano ad avere organizzazioni attrezzate per occuparsene, è cresciuta la percezione della loro affidabilità, e per conseguenza anche la posizione dello Stato (e dunque del ministero) nei compiti assegnati alla Repubblica dagli articoli 9 e 33 Cost. ne è stata investita [4].
Anche grazie a ciò, si sono poi sperimentate formule di alleanza tra diversi attori nel produrre investimenti e gestioni [5], e le conoscenze accumulate in ordine alla realtà di ciò che continua a definirsi dei "privati" e del loro ruolo in cultura ci restituiscono un'immagine molto diversa da quella stereotipata, con figure molto numerose e diverse che non vanno accomunate e confuse [6].
Sta profondamente cambiando il modo con cui si concepiscono, si producono, si commercializzano, si conservano, si tutelano, si tramandano, si espongono, si usano e si fruiscono le opere d'arte e più in generale i prodotti cultuali dei nostri giorni; e ciò influisce enormemente sui musei e i luoghi culturali, e dunque sui loro tratti organizzativi e strutturali: acquisire, conservare, tutelare, studiare, mostrare opere d'arte e prodotti culturali oggi richiede apparati, strumenti e strutture molto diversi rispetto al passato, e competenze specifiche e per certi tratti nuove.
Dopo decenni in cui si è ritenuto che la connessione tra cultura e sviluppo economico fosse essenzialmente dovuta ai soli impatti turistici [7], comincia ad essere chiaro quanto la produzione culturale sia centrale per le condizioni di sviluppo economico e sociale di medio e lungo periodo [8]; gli studi degli effetti del capitale umano sulla crescita sono ormai risalenti e solidi, come la consapevolezza della loro rilevanza per un sistema produttivo [9]; appare sempre più chiara la cosiddetta "culturalizzazione" della vita economica e dei processi identitari [10], e persino famigerato è il concetto di capabilities proposto da Amartya Sen [11]; non stupisce, perciò, se registriamo interventi espliciti della Commissione europea [12], se aumenta la consapevolezza del ruolo della cultura e della creatività quali "palestre dell'innovazione" in ogni settore economico, industriale e produttivo, se molti governi in ambito europeo hanno da tempo adottato politiche di sostegno alle industrie che hanno per input cultura e grazie a ciò generano nuovi beni o costituiscono nuovi processi produttivi [13].
Siamo cioè sempre più coscienti che idee nuove, arricchimento ed utilizzo aggiornato delle tradizioni, uso attuale ed attivo del conosciuto, si alimentano di fruizione culturale [14]; e dunque che chi possiede buoni livelli di alfabetizzazione culturale, accesso agli strumenti, alle fonti informative, ai contenuti ed agli apparati dei prodotti culturali, è evidentemente avvantaggiato non solo per le maggiori densità della sua esperienza di vita, per la costruzione della propria personalità, per la disponibilità di strumenti adatti all'apertura di nuove relazioni, ma anche per le opportunità economiche, professionali e lavorative e che ciò può comportare. In una parola, occuparsi di temi culturali, oggi, significa affrontare un problema di uguaglianza, di contenimento del rischio di un ritorno ad una società duale, della creazione di nuove élites esclusive.
Il decreto del Presidente del consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171 [15] (d'ora innanzi chiamato d.p.c.m.) e gli atti antecedenti e conseguenti, sono dunque anzitutto un altro segno, una ulteriore spia di quanto il ministero sia arrugginito, e fatichi a collocarsi nel punto centrale che invece il materiale di cui si occupa sembra assumere sempre più chiaramente, non solo per le questioni connesse alle responsabilità statali della missione assegnata alla Repubblica dall'art. 9 della Costituzione, ma per molto di ciò che attiene all'identità culturale, alla coesione, all'uguaglianza, allo sviluppo economico del paese.
Il complesso decreto in commento sembra perseguire significative innovazioni organizzative del Mibact, che si prova a riassumere per tenerle in quadro:
a) vengono lievemente rivisti gli uffici di diretta collaborazione [16], imperniati intorno alla figura del capo di gabinetto, dotato di un ufficio di direzione generale che è centro di responsabilità, che assicura il raccordo tra le funzioni di indirizzo del ministro ed i compiti del segretariato generale, verificando gli atti da sottoporre alla firma del ministro, curando gli affari e gli atti la cui conoscenza è sottoposta a particolari misure di sicurezza, e i rapporti con il segretariato generale e con le altre strutture dirigenziali di livello generale, con il Comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale e con l'Organismo indipendente di valutazione della performance;
b) viene regolato l'Organismo indipendente di valutazione della performance (art. 14 decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150), ufficio dirigenziale generale "in forma di organo monocratico" che costituisce centro di costo ed è dotato di una struttura tecnica permanente per la misurazione della performance, con un dirigente di livello non generale;
c) è significativamente ridisegnata la struttura amministrativa del ministero, sia negli uffici dirigenziali generali centrali che in quelli periferici, imperniati intorno al segretario generale, il cui ufficio dispone oggi di tre uffici dirigenziali di livello non generale (erano 22 in precedenza). Le direzioni generali centrali diventano 12 (dal 2009 erano 8, diventate 9 nel 2013 con l'istituzione della direzione generale per le politiche del turismo [17]), per effetto dello scorporo di "Organizzazione", "Bilancio" e "Arte e architettura contemporanee e periferie urbane", la rivisitazione di quella dedicata all'"Archeologia" e a "Belle arti e paesaggio", la istituzione della direzione generale "Musei", l'eliminazione di quella dedicata alla valorizzazione del patrimonio culturale, la costituzione di quella chiamata ad occuparsi di "Educazione e ricerca";
d) viene completamente ripensata la presenza del ministero sul territorio. Le direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici sono eliminate e sorgono i segretariati regionali dei beni e delle attività culturali e del turismo, uffici di livello dirigenziale non generale come le soprintendenze, che si riducono a tre tipi (Archeologia, Belle arti e paesaggio, archivistiche), e non si occuperanno più dei musei statali, resi più autonomi, affidati a un proprio direttore o collocati in un sistema locale (il polo museale regionale) dipendente dalla nuova direzione generale centrale "Musei" [18]; nasce la Commissione regionale per il patrimonio culturale, organo collegiale a competenza intersettoriale ben diverso dal preesistente Comitato regionale di coordinamento: non solo deve garantire "una visione olistica del patrimonio culturale", ma rompe la tradizionale impostazione monocratica dei provvedimenti di individuazione e vincolo sui beni culturali, poiché le è affidata sia la verifica della la sussistenza dell'interesse culturale nei beni appartenenti a soggetti pubblici e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ai sensi dell'articolo 12 del Codice, sia la dichiarazione dell'interesse culturale delle cose, a chiunque appartenenti, ai sensi dell'articolo 13 del Codice, su proposta delle competenti soprintendenze di settore [19];
e) la rivisitazione degli uffici e dei rispettivi compiti si aggiunge un nuovo schema relazionale, con il ridisegno della catena decisionale, orientata in termini più verticali, con molte necessità di raccordo orizzontale in singole decisioni;
f) poiché l'intervento è mosso anche da intenti di contenimento di spesa, vale notare che il ministero riduce la propria pianta organica di 37 dirigenti (6 di prima fascia, 31 di seconda fascia).
E' noto che nel lungo periodo in cui l'abbiamo usato in Italia dopo averlo importato da altre esperienze di governo continentali, il modello ministeriale è molto cambiato rispetto alle sue origini; ed una delle caratteristiche che da qualche decennio lo contraddistingue sta nel fatto che non è più riferibile ad una matrice organizzativa unica, ma che anzi i ministeri italiani sono strutturati in forme diverse tra loro.
Una di queste differenze sta nella cinghia di trasmissione tra il vertice politico e gli uffici dirigenziali; oltre agli uffici di diretta collaborazione, in alcuni ministeri (sempre meno, in realtà [20]) ci si affida per questo delicato meccanismo a uffici di coordinamento tra le direzioni generali, mentre in altri esso è invece imperniato intorno alla figura del segretario generale, ed il Mibact è tra questi ultimi da alcuni anni [21].
La riforma in commento interviene su quest'organo (perché come subito vedremo tale è [22]) con una regolazione che va osservata con attenzione; sino ad ora, infatti, la figura del segretario generale (eccettuando quello del ministero della Difesa, disciplinato comprensibilmente in termini peculiari [23]) è stata profilata in coerenza con lo sviluppo nel nostro ordinamento del principio di distinzione tra politica ed amministrazione, e dunque i suoi compiti sono stati trattenuti entro pur importanti responsabilità di coordinamento dei vertici dirigenziali e di connessione con gli indirizzi provenienti dal vertice politico [24]; e, proprio in ossequio al menzionato principio, il segretario generale non è di norma dotato di competenze propriamente amministrative, se non per sporadiche circostanze in cui esso ha responsabilità che - con espressione che sta tornando in auge - potremmo allocare tra quelle di alta amministrazione [25]. Ma, ad oggi, (se si esclude, si ripete, il segretario generale della difesa) non lo si era collocato come un superiore gerarchico della struttura ministeriale, un vero e proprio vertice organizzativo in senso stretto.
Proprio per questo lo status del segretario generale è quello nel quale si individua il più alto livello di fiduciarietà del nostro sistema organizzativo pubblico, che giustifica la peculiare procedura della nomina, della permanenza nell'ufficio e, soprattutto, il legame della durata della sua carica al ministro che ne ha proposto la preposizione (art. 19, commi 3 e 8 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165).
E' noto che la Corte costituzionale ha più volte affermato l'illegittimità costituzionale di meccanismi del genere (da essa stessa definiti "di spoils system"), se siano usati per incarichi che comportino l'esercizio di compiti di gestione (sentenze n. 152 del 2013, n. 224 e n. 34 del 2010, n. 390 e 351 del 2008, n. 104 e n. 103 del 2007), ritenendoli, al reciproco, costituzionalmente legittimi quando riguardino posizioni apicali, del cui supporto l'organo di governo "si avvale per svolgere l'attività di indirizzo politico amministrativo" (sentenze n. 233 del 2006 e n. 304 del 2010). Ed ha ripetutamente censurato ogni norma che prevedesse incarichi gestionali non connotati da specifiche garanzie, tali da assicurare la tendenziale continuità dell'azione amministrativa e una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione (sentenze n. 161 del 2008, n. 81 del 2010 e n. 124 del 2011).
L'art. 11 della riforma in commento attribuisce al segretario generale del Mibact, oltre ai consueti compiti di coordinamento dell'attività degli uffici, e di proposta al ministro per gli atti di indirizzo politico amministrativo, anche importanti responsabilità (ad es., funzioni di indirizzo e vigilanza, sull'Istituto per il credito sportivo, individuazione dei beni e dei siti di eccezionale interesse culturale e di rilevanza nazionale per i quali sia necessario e urgente realizzare interventi organici di tutela, riqualificazione, valorizzazione e promozione culturale, anche a fini turistici; proposte di nomina del segretario regionale per i beni e le attività culturali e il turismo); ma, soprattutto, gli vengono assegnati poteri vagamente gerarchici nei confronti dei direttori generali centrali e periferici e dei segretari regionali, poiché non solo in caso di inerzia può sollecitarli, ma "in caso di perdurante inerzia e di inottemperanza alle proprie prescrizioni specifiche, il segretario generale si sostituisce al responsabile dell'ufficio e adotta tutti gli atti necessari; risolve altresì ogni eventuale conflitto di competenza tra i diversi uffici dirigenziali di livello generale" [26].
Ora, è vero che di recente il diritto amministrativo vigente sta aumentando la propensione all'individuazione di competenze sostitutive per il caso di inerzia, e il comma 9-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, stabilisce in termini generali che l'organo di governo individua il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo "nell'ambito delle figure apicali dell'amministrazione"; ma è anche vero che, in coerenza con il principio di distinzione tra politica d amministrazione, e con la lettura che ne ha dato la corte costituzionale, la disposizione medesima prevede che "nell'ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all'ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente nell'amministrazione", trattenendo cioè il potere sostitutivo entro il perimetro in cui vige ordinariamente la sovraordinazione gerarchica.
Se a ciò si aggiunge il potere riconosciuto al segretario generale di dettare "prescrizioni specifiche", in uno a quello di intervenire in via sostitutiva in caso di inottemperanza, e a quello di risolvere i conflitti, infine, ne esce qualcosa di molto vicino ad una sovraordinazione gerarchica, che appare piuttosto discutibile in capo ad un ufficio che in realtà è organo che "opera alle dirette dipendenze del ministro" (art. 11, co. 1), e che ai sensi del all'articolo 54 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, dovrebbe avere mere funzioni di coordinamento.
La disposizione in commento è infine diversa dalla norma primaria che affronta in generale il problema dell'inerzia dei vertici gestionali dei ministeri; il co. 3 dell'art. 14 del d.lgs. 165/2001, è noto, consente in tali casi l'intervento del ministro, che tuttavia può solo fissare un termine perentorio entro il quale il dirigente deve adottare gli atti o i provvedimenti dovuti, e qualora l'inerzia permanga, o in caso di grave inosservanza delle direttive generali che determini pregiudizio per l'interesse pubblico, può nominare, salvi i casi di urgenza previa contestazione, un commissario ad acta, dandone comunicazione al Presidente del consiglio dei ministri.
La riforma in commento si caratterizza per il ridisegno dei comparti principali di lavoro del ministero; usando la tradizionale ripartizione degli uffici direzionali in generali e non generali, il ministero si articola in direzioni generali centrali e locali.
Per le prime, spiccano, in particolar modo, la nascita di direzioni generali del tutto nuove ("Educazione e ricerca", "Musei"), la "rinascita arricchita" della direzione generale "Arte e architettura contemporanee e periferie urbane", il riordino non da poco di quelle connesse agli ambiti più tradizionali ("Archeologia", "Belle arti e paesaggio", "Spettacolo", "Cinema", "Archivi", "Biblioteche e istituti culturali"), la conferma della recente direzione generale "Turismo", e delle direzioni generali "di macchina" ("Organizzazione", "Bilancio").
Ma sono direzioni generali, quali "istituti dotati di autonomia speciale", anche la Soprintendenza speciale per il Colosseo, il Museo nazionale romano e l'area archeologica di Roma, e sia pure dal 1 gennaio 2016, la Soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia, la Galleria Borghese, la Galleria degli Uffizi, la Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma, le Gallerie dell'accademia di Venezia, il Museo di Capodimonte, la Pinacoteca di Brera, la Reggia di Caserta.
Anche gli uffici dirigenziali non generali possono essere centrali o locali (qui si continua ad usare la dizione "periferici); accanto a quelli assegnati alle direzioni generali centrali, sono individuati come tali anche i segretariati regionali dei beni e delle attività culturali e del turismo, le soprintendenze, i poli museali regionali, l'Istituto superiore per la conservazione e il restauro, la Biblioteca nazionale centrale di Roma, la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, l'Archivio centrale dello Stato, il Centro per il libro e la lettura, la Galleria dell'accademia di Firenze, la Galleria estense di Modena, la Galleria nazionale d'arte antica di Roma, il Museo nazionale del Bargello, il Museo archeologico nazionale di Napoli, il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, il Museo archeologico nazionale di Taranto, Paestum, il Palazzo ducale di Mantova, il Palazzo reale di Genova, il Polo reale di Torino, la Galleria nazionale delle Marche e quella dell'Umbria
Mentre viene confermato il tradizionale Consiglio superiore beni culturali e paesaggistici, vengono costituiti sette comitati tecnico-scientifici (archeologia, belle arti, paesaggio, arte e architettura contemporanee, musei e economia della cultura, archivi, biblioteche e istituti culturali), i cui presidenti siedono nel primo; vengono confermati anche la Consulta per lo spettacolo e il Comitato consultivo permanente per il diritto di autore, mentre è nuovo (è previsto da una norma del 2011) il Comitato permanente per la promozione del turismo in Italia, recentemente insediatosi.
In linea tendenziale, ed in ossequio alla riserva relativa di legge recata in materia dall'art. 97 Cost., l'articolazione generale dei ministeri è disposta, oltre che in base a legge, con appositi regolamenti governativi, i quali possono poi prevedere decreti ministeriali di natura non regolamentare per provvedere alla "definizione dei compiti delle unità dirigenziali nell'ambito degli uffici dirigenziali generali" (art. 17, comma 4-bis, legge 23 agosto 1988, n. 400; art. 4, comma 4, d.lgs. 300/1999).
Questa impostazione è stata temporaneamente alterata dall'articolo 16, comma 4, del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66 [27], che ha previsto, fino al 15 ottobre 2014 ed "al solo fine di realizzare interventi di riordino diretti ad assicurare ulteriori riduzioni della spesa", una peculiare procedura semplificata per l'adozione dei regolamenti di organizzazione dei ministeri [28]. Per il Mibact ne è sortito il d.p.c.m. 171/2014, i cui commi 4 e 5 dell'articolo 30 rimettono a decreti ministeriali di natura non regolamentare l'assegnazione ai musei dotati di autonomia speciale di ulteriori istituti o luoghi della cultura, la ridenominazione, e l'organizzazione e il funzionamento degli istituti dotati di autonomia speciale, ivi inclusa la dotazione organica, nonché i compiti dell'amministratore unico o del consiglio di amministrazione, in affiancamento al soprintendente o al direttore, con specifiche competenze gestionali e amministrative in materia di valorizzazione del patrimonio culturale. Insomma, prevedono che con decreto del ministro siano organizzati anche uffici di direzione generale, quali sono quelli elencati all'art. 30, co. 2 lett. a) e co. 3 lett. a). Ed infatti il decreto ministeriale 23 dicembre 2014 (d'ora innanzi chiamato semplicemente "decreto musei") provvede all'organizzazione e al funzionamento dei musei statali, che siano direzioni generali o non generali.
Il problema non è nuovo, tanto da meritarsi una sorta di appellativo con cui è menzionato nelle sedi specializzate, la "fuga dal regolamento" [29], che in questo caso, tuttavia, trova notevoli attenuanti, poiché la gran parte della disciplina delle direzioni generali chiamate a gestire musei statali è già contenuta nella legge o nel regolamento, e dunque il decreto del ministro compie al riguardo una sorta di sistemazione e di adeguamento di coerenza. Con qualche scostamento significativo.
La norma primaria infatti, nell'avviare l'ultima riforma del ministero, aveva previsto "soprintendenze dotate di autonomia scientifica, finanziaria, contabile e organizzativa" per la gestione dei luoghi eccezionali [30], e "uffici di livello dirigenziale" per "i poli museali e gli istituti della cultura statali di rilevante interesse nazionale" [31], e mentre per le prime affiancava al soprintendente anche un amministratore unico, nulla diceva al riguardo in ordine ai secondi.
Il decreto del Presidente del consiglio menziona invece anche un consiglio di amministrazione, "in affiancamento al soprintendente o al direttore" e, in conseguenza, il decreto musei, non regolamentare, prevede che tutti i musei dotati di autonomia speciale abbiano un consiglio di amministrazione, presieduto dal direttore.
E qui cominciano i temi organizzativi dei nuovi musei statali.
La struttura che presiede ai musei statali è dunque stata completamente innovata; oltre al ministro con i suoi consueti poteri di indirizzo politico amministrativo (tra i quali, si vedrà, vi sono significative nomine), vi partecipano a vario titolo il segretario generale, il direttore generale per i musei, i sovrintendenti speciali, i direttori, i consigli di amministrazione, i comitati scientifici e i collegi dei revisori dei conti dei musei con autonomia speciale, i direttori dei poli museali regionali, il direttore generale Educazione e ricerca, il direttore generale Bilancio, il direttore generale Organizzazione, il Consiglio superiore beni culturali e paesaggistici, il Comitato tecnico-scientifico per i musei e l'economia della cultura; le sovrintendenze Archeologia conservano alcune competenze per i siti museali archeologici, e dunque ha un ruolo anche la relativa direzione generale; infine, a un museo dotato di autonomia speciale o a un polo museale regionale possono essere assegnati archivi o biblioteche non aventi qualifica di ufficio di livello dirigenziale, ma in tal caso mantengono la propria autonomia tecnico-scientifica e dipendono funzionalmente rispettivamente dalla direzione generale Archivi o dalla direzione generale Biblioteche. E ciò senza considerare i musei già dotati di propria personalità giuridica.
Un panorama decisamente complesso, che può tuttavia essere compreso se si prova a ricostruirne tratti sistematici. Come è stato già notato [32], i rinnovati musei statali sembrano rispondere a diversi modelli; saranno qui esaminati quelli direttamente oggetto della riforma del 2014, e dunque non ci si soffermerà, se non per menzione, alla ipotesi dei musei statali gestiti mediante fondazione (che, al momento, sono solo due).
Per primo si può considerare il modello che presenta maggiori vicinanze alla situazione preesistente dei musei statali, che mi sembra essere la condizione di quelli rimessi ad un polo regionale, in quali effettivamente sembrano, a prima vista, rimanere parti di un ufficio-organo del ministero come erano in precedenza in relazione alle sovrintendenze.
E' tuttavia proprio qui il principale punto di scostamento con la tradizione, tutta italiana, che affidava alle sovrintendenze quasi per intero i compiti conservativi connessi alla tutela del patrimonio culturale ed ambientale del Paese, ma che accanto ai poteri di individuazione, conoscenza e preservazione dei beni - pubblici e privati - rilevanti, ed al controllo conseguente [33], faceva gravare sulle sovrintendenze, di fatto, il compito di provvedere alla gestione dello sterminato patrimonio museale [34] e più in generale dei luoghi della cultura in titolarità statale (siti archeologici, monumenti, ville, archivi) [35].
Questo modello, supportato da argomentazioni raffinate e tutt'altro che banali (oggi si parla di "visione olistica" [36]), ha concorso alla peculiare identità del nostro Paese, ed alla sua percezione (più o meno appropriata) che lo rende - specie allo sguardo altrui - un "immenso territorio culturale di oltre 300.000 chilometri quadrati, che va dalle Alpi a Capo Passero" [37], un "museo di musei", "disseminato di luoghi, originali e densi" [38].
Tuttavia questo approccio ha anche il suo verso, e da tempo mostra la corda, poiché, in sintesi, la importanza e la mole dei compiti gestionali ed operativi delle sovrintendenze ne ha ostacolato il lavoro di tutela, ad esempio rendendo praticamente impossibile l'aggiornamento e l'ampliamento delle conoscenze necessarie, ed aggiungendovi le incombenze gestionali dei luoghi aperti al pubblico non solo ha oberato di lavoro quegli uffici, rallentandone l'operatività e la delicata lucidità che il loro compito richiede, ma al contempo ha inibito lo sviluppo di una gestione professionale ed aggiornata dei luoghi della cultura, intralciando di fatto l'evoluzione sia delle funzioni conservative che di quelle connesse alla fruizione [39].
Le conseguenze che ne sono risultate si sono perciò via via aggravate; in un territorio densissimo di rilevanze culturali - grazie anche alla "pratica olistica" -, e dotato di una disciplina della trasformazione edilizia, urbanistica e territoriale che impone quasi sempre una valutazione dell'intervento alla luce delle esigenze culturali o paesaggistiche, le funzioni di tutela preventiva sono progressivamente diventate (o percepite come) dei rallentatori, degli ostacoli talora incomprensibili o discutibili, riducendo gravemente l'autorevolezza e, dunque, la percezione diffusa della loro importanza (che invece è grande) [40].
Ed allo stesso tempo, in un mondo che sempre più utilizza musei e collezioni culturali per accrescere le proprie potenzialità sociali ed economiche, e li tratta perciò come "risorsa capace di generare risorse" [41], la gestione di quelli statali si è come arrestata, costretta come è stata ad affrontare con una oberata, affaticata, non specializzata struttura le continue innovazioni che ciò richiede [42].
Gli uffici delle sovrintendenze sono stati infatti chiamati a doversi occupare, forzando lo specifico professionale dei preposti, di marketing e comunicazione, di ristoranti e caffetterie, di punti vendita, di mostre ed altri interventi di promozione, ed a supplire a tutte le funzioni strutturali della gestione museale, nella ricerca, cura e gestione delle collezioni (conservazione, catalogazione, prestiti e movimentazione delle opere, restauro), nei servizi e rapporti con il pubblico (education, accoglienza e custodia, documentazione, archivi e biblioteca), nelle responsabilità amministrative e finanziarie, nell'ufficio stampa e nelle relazioni pubbliche, nel fundraising, nella presenza sul web, nelle strutture e nell'impiantistica, nella rete informatica, nella sicurezza, nella gestione degli allestimenti degli spazi museali e nelle mostre temporanee [43], spesso dovendosi rivolgere, per mancanza di adeguate risorse interne, a soggetti di mercato, e dunque a gestire anche la complessità di appalti e concessioni, e le successive relazioni con aziende private gestori di servizi [44]. Davvero troppo per una pur qualificata classe dirigenziale, che infatti invecchia tra scontenti generalizzati e disfunzioni diffuse [45].
I musei in parola, la maggioranza numerica, vengono oggi rimessi ad un apposito ufficio organo, il polo regionale appunto, che non ha funzioni di soprintendenza, e si cerca di aumentarne la identità individuale dotandoli di uno statuto - atto essenzialmente identitario, con pochi margini di disciplinare in proprio altri assetti - ma al contempo la gran parte delle loro necessità gestionali, ed i servizi di cui hanno bisogno, viene centralizzata presso un ufficio ad hoc, il polo, che adotta lo statuto (su proposta del direttore del museo, per l'approvazione del direttore generale Musei), nomina il direttore, elabora ed approva i progetti relativi alle attività e ai servizi di valorizzazione, ivi inclusi i servizi da affidare in concessione e, dunque, le procedure di evidenza pubblica connesse, stabilisce modalità ed importo dei biglietti di ingresso, orari di apertura, autorizza il prestito di beni, provvede al fundraising, è la stazione appaltante. Insomma, il luogo decisionale per questi musei è il polo regionale, di cui infatti i musei ad esso assegnati sono "articolazioni" (art. 35 d.p.c.m.), e se se ne vuole avere ulteriore conferma basterà confrontare i compiti dei direttori dei poli con quelli dei musei dotati di autonomia speciale per verificare quanto siano simili.
I musei del polo, dunque, non sembrano organi, come invece sono ora quelli dotati di autonomia speciale ed i poli stessi, o se lo sono (l'art. 31 del d.p.c.m. qualifica tutti i musei statali come organi del ministero) appartengono alla discutibile categoria degli "organi interni".
Dunque è il polo, con il relativo direttore, a gestire questi musei, ed è lì che si devono costituire le esigenze organizzative cui si risponde con le "aree funzionali" che devono essere assicurate, infatti, non in ciascun museo, ma "nell'amministrazione dei musei statali" (art. 4, co. 1 decreto musei). Il direttore del museo singolo del polo regionale, pur essendo "il custode e l'interprete dell'identità e della missione del museo, nel rispetto degli indirizzi del ministero", è nominato dal direttore del polo "sulla base di una apposita procedura selettiva", non è un dirigente, e dunque non si vede come possa essere considerato "responsabile della gestione del museo nel suo complesso, nonché dell'attuazione e dello sviluppo del suo progetto culturale e scientifico" (art. 4, co. 2 decreto musei). Infatti è il direttore del polo che "cura il progetto culturale di ciascun museo all'interno dell'intero sistema regionale, in collaborazione con il relativo direttore, in modo da garantire omogeneità e specificità di ogni museo, favorendo la loro funzione di luoghi vitali, inclusivi, capaci di promuovere lo sviluppo della cultura" (art. 34 d.p.c.m.).
Ulteriore riprova sta nel fatto che questi musei avranno, si, propri "bilanci", ma che non sono tali in senso tecnico, poiché hanno "la esclusiva natura di documento di programmazione e di rendicontazione delle risorse e del loro utilizzo", ed infatti non c'è bisogno di alcuna approvazione, ma vengono predisposti e trasmessi dal direttore del museo al direttore del polo museale regionale, che ne verifica la correttezza (art. 3, co. 3 decreto musei).
Importanti, tuttavia, restano i fatti che il cd. bilanci dei musei (sia di quelli del polo che di quelli autonomi, come subito si vedrà ben più solidi) servano per la valutazione dell'adeguatezza dell'assetto economico, la regolarità della gestione e la confrontabilità, anche internazionale, delle istituzioni museali, oltre che essere documenti di rendicontazione contabile che evidenziano "la pianificazione e i risultati della gestione finanziaria e contabile delle risorse economiche a disposizione del museo", ed infine che vengano comunque pubblicati in rete (art. 3, co. 1 e 4 decreto musei); tali disposizioni valgono per tutti musei statali; e ciò consente qualche riflessione che, dunque, riguarda l'intero fenomeno.
Quanto al primo aspetto, pur se è apprezzabile l'intenzione, si tratta di un primo passo, poiché questi documenti resteranno monchi se non potranno contemplare - come sarà difficile fare - l'intera spesa della struttura, ivi compresi i costi per investimento e quelli per il personale.
E quanto alla pubblicazione in rete, si tratta di una delle misure di trasparenza cui sono chiamate le amministrazioni pubbliche, secondo un concetto che si è andato raffinando nel tempo anche in termini giuridici, aggiungendosi ai più classici approcci recati dalle regole sulla pubblicità e sull'accessibilità degli atti [46], e divenendo, da ultimo, anche uno degli strumenti per contrastare l'endemico fenomeno della corruzione [47]. Si tratta di veri e propri obblighi, che tuttavia trovano una interessante corrispondenza in quanto è rilevato dalla letteratura in tema di organizzazioni private non profittevoli [48], le quali, senza esservi obbligate per legge come quelle pubbliche, se sane tendano rendere sempre più facile, accessibile, leggibile il proprio operato, i propri conti, i risultati economici e gli impatti della propria attività, oltre che le proprie strategie, i profili dei responsabili, i loro compensi. Si tratta di scelte motivate da ragioni connesse alle relazioni con stakeholders e shareholders, poiché facilitano la raccolta di energie economiche e reputazionali, legami di sponsorship e sostegni partenariali, donazioni ed erogazioni liberali, conferimenti e depositi di patrimoni artistici, contatto e fidelizzazione con nuovo pubblico, e così via; e forse, dato che si cominciano ad intravedere anche forme di filibusteria nell'utilizzo fittizio del non profit [49], anche per poter distinguere la rettitudine del proprio impegno. Si può dunque ipotizzare che anche gli obblighi dei musei pubblici in tema di trasparenza rispondano alla medesima logica: la legittimazione e la conservazione della reputazione.
Lo scostamento più evidente con la tradizione si ritrova, tuttavia, con la costituzione di musei dotati di speciale autonomia.
Usando l'esperienza già vissuta con le soprintendenze speciali, questi musei sono retti da una struttura che assomiglia a quella di un ente pubblico. Hanno infatti una pluralità di "organi" propri (dunque sembrano ciò che in dottrina è qualificato come organo complesso [50]) dotati di autonomia decisionale significativa, hanno propri bilanci e conti consuntivi, una certa qual capacità organizzativa.
Le forme dell'autonomia speciale sono tre: le già note soprintendenze speciali, chiamate alla gestione l'una di Pompei, Ercolano e Stabia, e l'altra del Colosseo, del Museo nazionale romano e dell'area archeologica di Roma; 7 uffici-organo di livello dirigenziale generale, e 13 uffici-organo di livello dirigenziale non generale.
Questi assetti presentano alcune caratteristiche uniche per tutti, ed altre che invece ne differenziano alcuni aspetti
Gli statuti di questi musei - pur essendo disciplinati dalle medesime disposizioni di quelli di ogni museo statale - potranno avere un contenuto ben più rilevante di quello che abbiamo rilevato per i musei dei poli regionali.
Occorre preliminarmente osservare che nel definire l'autonomia di questa nuova formula, la normativa omette di riconoscere ai musei statali anche una capacità regolamentare, come invece fa per altre esperienze di autonomia (a prescindere da quelle di carattere territoriale - regioni, province, città metropolitane, comuni -, si pensi alla potestà statutaria e regolamentare delle università [51] o delle camere di commercio [52]).
Insomma, sembra che l'autonomia di questi musei non contempli la potestà regolamentare, e dunque lo statuto è l'unico strumento normativo di cui la loro autonomia dispone - a giudicare dall'art. 2 del decreto musei - per adottare le variegate regole e assetti micro organizzativi, con le quali assicurare le modalità di svolgimento delle incombenze essenziali di un museo, che per quelli statali sono desumibili dal decreto ministeriale 10 maggio 2001 [53], dall'art. 4 del decreto musei, oltre che dal Codice etico dei musei dell'International Council of Museums (Icom), da questo esplicitamente richiamato.
Tutte le altre "regole" dei musei statali (si pensi, solo per menzione, alle strutture del museo, alla disciplina del personale; alla sicurezza di opere, edifici, beni mobili, personale, pubblico; alla gestione e cura degli immobili, dei beni mobili, delle collezioni; alla ripresa e riproduzione di immagini; ai rapporti del museo con il pubblico e relativi servizi; ai rapporti con il territorio), dunque, sono rimesse ad altre fonti normative, e solo se queste non abbiano in alcun modo disciplinato, potranno essere adottate con lo statuto.
Resta dunque di grande importanza, anche per i musei autonomi, il contenuto identitario dello statuto, oltre che per il fatto stesso di esplicitarlo, anche perché, poi, impostazione statutaria al riguardo non potrà non essere considerata per gli atti di gestione.
Dunque i musei dotati di autonomia speciale hanno uno statuto "rinforzato", adottato dal consiglio di amministrazione e approvato con decreto del ministro dei Beni e delle Attività culturali e del turismo, su proposta del direttore generale Musei (art. 2 decreto musei).
Sono dotati di notevole autonomia finanziaria e contabile, hanno un proprio bilancio ed un proprio rendiconto, tutti accompagnati da revisione interna, affidata ad un proprio collegio dei revisori dei conti, e da altri documenti usuali, hanno propri flussi di cassa, insomma posseggono un proprio circuito economico e finanziario che consente di avere relazioni dirette con altri soggetti [54].
Il bilancio (ma, si può ritenere, anche il rendiconto) è redatto in forma scritta e pubblicato sui siti internet del museo, del polo museale regionale e del ministero, ed è approvato in sede centrale (dalla direzione generale Musei, o da quella Archeologia per le due soprintendenze speciali, in entrambi i casi su parere conforme della direzione generale Bilancio).
La novità è tra le più rilevanti, poiché estende la sperimentazione già effettuata con le soprintendenze speciali rendendo possibili operazioni sinora sostanzialmente impedite agli altri musei statali: generare ricavi propri non solo per la vendita di beni e servizi, ma anche per sostegni, sponsorizzazioni, liberalità, attività varie di funding, che - abbiamo lentamente imparato - non sono solamente aiuti economici, ma generano legami relazionali e reputazionali di grande importanza per la percezione del museo come realtà istituzionale e collettiva. E soprattutto rende possibile che i propri ricavi possano essere utilizzati per programmare la propria attività, e dunque per sostenere le proprie spese e, se possibile, i propri investimenti; ma, e qui si vede una caratteristica dell'attenuata autonomia di cui godono per essere organi di una struttura nazionale più ampia, ciò non impedisce operazioni di perequazione, con interventi diretti al riequilibrio finanziario tra gli istituti e i luoghi della cultura statali di competenza del direttori generali Musei e Bilancio [55].
Qui si vede molto bene anche quale sia la differenza tra un soggetto dotato di propria personalità giuridica e un organo pur dotato di speciale autonomia. Basterà confrontare al riguardo le situazioni del MAXXI (museo nazionale del contemporaneo gestito da una fondazione di diritto privato costituita in base all'art. 25 della legge 18 giugno 2009, n. 69), emanazione diretta del ministero (che provvede alla nomina degli organi di indirizzo ed alla vigilanza), e la soprintendenza alla Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma (già prima della riforma dotata di autonomia speciale), che - grazie anche alla grande qualità delle persone che, dalla fine degli anni '30 del 900 ad oggi, si sono avvicendati nella struttura - ha costituito, prima del MAXXI, il principale "motore" istituzionale statale per l'arte contemporanea: mentre la prima riesce a raccogliere quasi la metà del suo fabbisogno economico annuo di gestione con ricavi propri (anche grazie a sponsorizzazioni e liberalità che confluiscono direttamente nel suo bilancio) e le utilizza interamente, la Gnam ha dovuto registrare, nel 2012, il ritorno alla propria disponibilità solo del 42,8% degli incassi effettivamente registrati al proprio botteghino [56].
Naturalmente ciò è dovuto alla notevole differenza di standing economico tra i musei statali, solo pochi dei quali generano ricavi capaci di coprire tutti i propri costi, e la maggior parte invece ha irrimediabilmente bisogno di più o meno consistenti sostegni [57].
Si diceva che i musei autonomi sono organi complessi del ministero, poiché la loro attività si svolge mediante il lavoro del direttore, del consiglio di amministrazione, del collegio dei revisori dei conti, del comitato scientifico.
Qualche osservazione merita in particolare la funzione di affiancamento gestionale e amministrativo all'opera del direttore; il decreto musei sembra aver compiuto una scelta unica ed uniforme [58], affidandola ad un "consiglio di amministrazione" composto dal direttore del museo, che lo presiede, e da quattro membri, scelti tra esperti di chiara fama nel settore del patrimonio culturale, tutti nominati con decreto del ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo per una durata di cinque anni, riconfermabili per una sola volta [59]. In realtà però per le due soprintendenze speciali l'art. 14 co. 2 del decreto legge 31 maggio 2014, n. 83 prevede esplicitamente "un amministratore unico".
In secondo luogo, colpisce l'affidamento della presidenza del cda dei musei autonomi al direttore, che dunque non solo ne fa parte con diritto di voto, ma svolge tutti i delicati compiti propri del Presidente; l'anomalia è notevole, non foss'altro perché rende piuttosto incerta la relazione tra consiglio di amministrazione e direttore, normalmente collocata in un rapporto che assegna a quello la fissazione di obbiettivi, programmi, scelte di fondo, verifiche e controlli, e a questo l'attuazione operativa e responsabile.
Tuttavia non si tratta di una vera e propria novità, poiché l'ordinamento conosce fenomeni del genere, quali sono, ad esempio, i consigli di dipartimento delle università statali, organi collegiali spesso presieduti dal direttore del dipartimento medesimo; è un meccanismo organizzativo che esalta la figura del direttore, attenuando (ma non eliminando del tutto) la relazione di subordinazione che esso normalmente ha nei confronti di un organo collegiale di indirizzo.
Va poi tenuta in conto la necessità di conciliare la presenza dei consigli di amministrazione con le capacità di indirizzo politico del ministro, e più in generale con il quadro strutturale ed organizzativo del ministero, che suppongono una centralità del dirigente. E' prevedibile, perciò, che l'assetto definitivo del ruolo dei consigli di amministrazione si definirà progressivamente, assestandosi con la esperienza del loro lavoro.
Infine anche qui si ripropone un'abitudine delle recenti disposizioni in argomento, stabilendo che la partecipazione al cda dei musei statali autonomi "non dà titolo a compenso, gettoni, indennità o rimborsi di alcun tipo". Ho avuto modo di avanzare seri dubbi non solo di opportunità, ma persino di costituzionalità di disposizioni del genere, che impongono un lavoro gratuito per reggere responsabilità che, invece, sono notevoli e, s'è visto, per certi versi determinanti per l'assetto civile e persino economico del paese [60].
Questi cda non solo dovranno riunirsi almeno una volta al mese [61], ma questa è solo una piccola testimonianza dell'impegno richiesto, in strutture che possono muovere volumi di diversi milioni di euro annui, ed assumono importanti responsabilità su un patrimonio che può valere più d'un tesoro. Imporre la gratuità, purtroppo, è davvero una sottovalutazione rischiosa.
Molto interessante e davvero nuova [62] è la previsione di comitati scientifici, anch'essi (ma qui si comprende di più) presieduti dal direttore del museo, e dotati di quattro componenti (individuati tra professori universitari di ruolo in settori attinenti all'ambito disciplinare di attività dell'istituto o esperti di particolare e comprovata qualificazione scientifica e professionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali) nominati con decreto del ministro dei Beni e delle Attività culturali e del turismo per una durata di cinque anni rinnovabile per una sola volta. Ad eccezione di un componente, i membri sono designati dal Consiglio superiore "beni culturali e paesaggistici", dalla regione e dal comune ove ha sede il museo: si tratta di un apprezzabile primo, timido passo di ingresso del territorio nei luoghi decisionali dei musei statali [63], cui potranno aggiungersi altre connessioni con il tessuto locale, dato che per un verso tra i compiti del direttore, lo vedremo, c'è la responsabilità di assicurare la "stretta relazione con il territorio" (art. 35, co. 4, lett. g) del d.p.c.m.), e per altro che il d.m. 2001 prevede (timidi) standard al riguardo [64].
Il comitato scientifico ha funzioni consultive del direttore piuttosto usuali, salvo per due rilevanti competenze, allorché è chiamato a verificare e approvare, "d'intesa con il consiglio di amministrazione", le politiche di prestito e di pianificazione delle mostre, ed a valutare e approvare i progetti editoriali del museo (art. 12 decreto musei).
Ma ciò che rileva di più sta nel fatto che per questi musei l'expertise scientifico e specialistico sarà solo in parte rimesso alle sovrintendenze - vedremo infatti che con esse si deve continuare a connettersi -, ma appunto ad appositi organi propri, che potranno concorrere a definire in termini più attenti e, soprattutto, più plurali lo sviluppo identitario e la presenza sociale del museo.
Sul piano micro organizzativo va salutata con favore la disposizione che prevede la presenza "obbligatoria" di alcune aree funzionali: oltre alla direzione (che forse dovrebbe essere considerata a parte, essendo l'ufficio dirigenziale presso cui sono allocate le altre), almeno una unità di personale deve essere responsabile della cura e gestione delle collezioni, studio, didattica e ricerca; di marketing, fundraising, servizi e rapporti con il pubblico, pubbliche relazioni; di amministrazione, finanze e gestione delle risorse umane; di strutture, allestimenti e sicurezza (art. 4 decreto musei).
E qui sorge un tema delicato e, bisogna ammettere, non facile, poiché i musei statali devono ovviamente utilizzare, anzitutto, personale dipendente del ministero, la cui individuazione ed assegnazione non dipende dal direttore, il quale, però, può utilizzare i poteri direzionali per le persone assegnate al suo ufficio.
Il punto è che la dotazione organica di ciascun museo è rimessa a norme o a decreti ministeriali, dunque non è espressione di autonomia; la successiva (e, si spera, appropriata) assegnazione di personale avviene con atto del direttore generale "Organizzazione", sentito il segretario generale; per i musei che non sono uffici dirigenziali regionali, occorrerà un ulteriore ripartizione ad opera dalla direzione generale Musei; il segretario regionale cura la gestione delle risorse umane e assicura i servizi amministrativi di supporto agli uffici periferici operanti sul rispettivo territorio (anche agendo come tramite del Segretariato generale e, per i profili di competenza, delle direzioni generali Organizzazione e Bilancio), le relazioni sindacali e la contrattazione collettiva a livello regionale. Sembra perciò possibile sostenere che, in ordine alle risorse umane, il direttore del museo autonomo statale e più in generale i suoi organi potranno, al massimo, fare proposte sia per la definizione della struttura (la "dotazione organica"), che per i fabbisogni di risorse umane, che infine per l'individuazione delle persone concretamente chiamate a lavorare in esso e per l'organizzazione del lavoro [65].
Ora non si dubita che il ministero abbia importanti ed appropriate energie per far fronte a gran parte di queste incombenze, ed in particolare di quelle amministrative e connesse alla conoscenza, cura e gestione delle collezioni. Più delicata appare la questione in ordine alla didattica, alla ricerca, al marketing, al fundraising, ai servizi e rapporti con il pubblico, alle pubbliche relazioni; qui risiede, in fin dei conti, il cuore dell'uso attivo del patrimonio museale, quel rilievo enzimatico che esso possiede e che consente i valori connessi alla fruizione e la relazione con i mondi economici e produttivi. E può perciò essere rilevante che ogni museo statale sia stazione appaltante, e che al direttore sia esplicitamente incaricato di disporre, previa istruttoria delle soprintendenze di settore per gli aspetti di tutela [66], e sulla base delle linee guida elaborate dal direttore generale Musei, l'affidamento diretto o in concessione delle attività e dei servizi pubblici di valorizzazione del museo, ai sensi dell'articolo 115 del Codice.
Resterà da verificare se spetti al direttore stesso, o forse invece al consiglio di amministrazione, il compito che sta a monte di tale operazione, ovvero la scelta se gestire queste attività in house o esternalizzandole, scelta che a termini dell'art. 115, co. 4 del Codice, "è attuata mediante valutazione comparativa in termini di sostenibilità economico-finanziaria e di efficacia, sulla base di obbiettivi previamente definiti".
E' giunto il momento di dare l'attenzione che merita una delle scelte portanti della riforma, quella di dotare i principali musei statali di un proprio direttore con responsabilità e poteri paragonabili a quelli di cui si servono queste figure quando dirigono strutture gestite da soggetti dotati di personalità giuridica.
Si tratta di una raffinata costruzione tecnica del tutto coerente con l'impianto generale degli uffici dirigenziali pubblici: è costituito l'ufficio-organo, di livello dirigenziale generale o non generale, e la preposizione ad esso ha un suo percorso selettivo, mentre la durata dell'incarico è - come ormai in tutti gli uffici dirigenziali statali - a tempo determinato [67]; una volta preposti, tuttavia, i direttori di museo sono, lo si è visto, inseriti nello schema strutturale del ministero, e dunque, per un verso, si relazionano in termini orizzontali e verticali con il ministro, gli altri dirigenti ed altri uffici, e per altro verso hanno responsabilità e poteri direzionali del proprio ufficio.
La prima novità in argomento della riforma consiste nell'aver allargato la platea dei candidati a dirigere i musei autonomi con l'avvio di una procedura di selezione pubblica, un bando adottato con atto del direttore generale organizzazione del 7 gennaio 2015 (d'ora innanzi "bando musei"). A ben guardare, si tratta dell'utilizzo per lo specifico dei musei autonomi di un atteggiamento generale che già da tempo consente, entro certi limiti, l'attribuzione di responsabilità dirigenziali nell'amministrazione pubblica ad esperti provenienti dal mondo aziendale privato o da alcuni altri settori specifici (ricerca, docenza universitaria, magistrature avvocati e procuratori dello Stato).
Non è irrilevante aver scelto un percorso del genere, che avvicina i musei statali alle abitudini internazionali al riguardo, anche se - contrariamente a quanto si pensa - tali abitudini sono spesso orientate a formule vagamente comparative tra più figure, dunque ad un'idea di "concorso" molto variegata, spesso informale, o circoscritta o piuttosto negoziale, mentre il bando musei avvia una vera e propria procedura formalmente concorsuale, i cui estremi sono tuttavia, in ragione dell'incarico, molto peculiari rispetto agli usi in materia concorsuale pubblica.
Non vi sono prove scritte, anzi l'unica prova vera e propria è un colloquio, mentre il resto della selezione è operato sul curriculum e su una "lettera di motivazione" dei candidati, uno schema con pochi precedenti [68] pienamente "leggibile" anche in ambito internazionale. I metodi di valutazione sono in parte rimessi alla commissione di concorso, un rimando rischioso [69] che viene però temperato dal fatto che devono rimanere preponderanti la particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali, e il possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di istituti e luoghi della cultura.
Il lavoro di selezione si svolge dunque innanzitutto valutando titoli, esperienze, speciali competenze, intenti, e tende a far emergere i candidati (al massimo dieci) che verranno inviati al colloquio, al termine del quale la commissione proporrà al ministero una terna per ciascun ufficio.
Sarà interessante verificare come si assesterà la relazione che i direttori dei musei autonomi hanno con il ministro, il quale innanzitutto individua, sulla base della terna proposta dalla commissione di esperti, i direttori di musei di direzione generale (gli altri sono individuati, nella terna, dal direttore generale "Musei"), nomina che dovrà essere comunicata al Senato della Repubblica ed alla Camera dei deputati, allegando una scheda relativa ai titoli ed alle esperienze professionali dei soggetti prescelti (art. 19, co. 9 d.lgs. n. 165/2001).
E sarà anche interessante osservare se ed in che modo l'atto di conferimento dell'incarico del ministro e del direttore generale "Musei" sarà motivato, come sarebbe necessario se si considerasse applicabile l'art. 3 della legge n. 241/1990 (si tratta di atto "concernente lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale"), o il fatto che si vanno assottigliando gli argomenti che escludono dalla motivazione gli atti di indirizzo politico amministrativo o, se si preferisce, di alta amministrazione, ma non lo sarebbe ove si acceda ad una visione "panprivatistica" del pubblico impiego ed in particolare delle decisioni che consistano in nomine e preposizioni in posizioni apicali [70], che in questo caso dovrebbe però affrontare il problema della scelta operata dal ministro o dal direttore generale nell'ambito di una terna, al culmine di una selezione "fra persone in possesso di specifici requisiti culturali e professionali", per l'individuazione di un dirigente "qualificato dalle norme come una figura tecnico-professionale che ha il compito di perseguire, [...] gli obiettivi gestionali e operativi definiti [...] dagli indirizzi", e considerando che nel ministero sussiste "una molteplicità di livelli intermedi lungo la linea di collegamento che unisce l'organo politico ai direttori generali" [71].
Il ministro ha, ovviamente, il potere di indirizzo politico amministrativo anche in ordine ai musei statali, che comprende la potestà di definire obiettivi, priorità, piani e programmi da attuare, normalmente ricompresi nell'atto di preposizione del dirigente generale, in direttive generali per l'attività amministrativa e per la gestione ("indirizzi strategici" nel lessico del d.lgs. 150/2009) e nel piano della performance.
Occorre rammentare che il "circuito" dell'indirizzo politico di governo anche nella fase ascendente, ovvero nella sua formazione, contempla l'apporto dei direttori generali del ministero, e dunque che almeno i direttori dei musei che sono direzioni generali hanno possibilità interloquire, direttamente (art. 16, co. 1 lett. a) del d.lgs. 165/2001) o per il tramite del segretario generale (art. 11, co. 2 lett l) del d.p.c.m.), con il ministro per sottoporre analisi, osservazioni, proposte; quelli che invece sono direzioni non generali, almeno di massima, dovranno relazionarsi con il direttore generale Musei che a sua volta potrà fornire il proprio apporto.
La definizione delle indicazioni di indirizzo politico amministrativo potrà poi giovarsi degli uffici di gabinetto, del Consiglio superiore, ma anche del nuovo comitato tecnico-scientifico per i musei e l'economia della cultura, organismo che può assumere rilievo importante (tanto da essere l'unico tra i comitati a meritare una disposizione a parte nell'art. 26 del d.p.c.m.) sia per la definizione di piani e programmi finalizzati a favorire l'incremento delle risorse destinate al settore, sia per altre questioni di carattere tecnico-economico concernenti gli interventi per i beni culturali.
Infine, il ministro ha capacità di valutare il lavoro dei direttori dei musei autonomi che sono uffici generali, mentre per quelli che non lo sono la valutazione è rimessa al direttore generale Musei, in entrambi i casi in base ad un complesso sistema di valutazione. E ciò, ancora una volta, spiega per un verso la singolare struttura del consiglio di amministrazione dei musei autonomi, e per altro la ragionevole aspettativa che il loro ruolo possa assestarsi con la pratica.
Ora, buona parte di questi temi e delle competenze degli organi dei musei autonomi che ci accingiamo ad esaminare ha bisogno di qualche esplicitazione in più rispetto alle previsioni meramente normative, e gli atti di conferimento dell'incarico dirigenziale (e dunque di preposizione all'ufficio-organo) saranno un'occasione adatta per fissare, in prima istanza, "gli obiettivi da conseguire, con riferimento alle priorità, ai piani e ai programmi definiti dall'organo di vertice nei propri atti di indirizzo e alle eventuali modifiche degli stessi che intervengano nel corso del rapporto" (art. 19, co. 2 d.lgs. 165/2001), raccordando tutto ciò con la retribuzione, fissata dal contratto accessorio, la quale, come per tutti i dirigenti statali, è articolata in una parte fissa ed una variabile connessa proprio al raggiungimento dei risultati. Vale la pena, forse, osservare en passant che, al momento, la retribuzione annunziata dal bando musei - soprattutto quella per gli organi-uffici di livello generale - è sufficiente a rendere appetibile la dimensione economica dell'incarico anche a livello europeo [72].
Sul piano della responsabilità dei direttori, il decreto musei la qualifica in termini omnicomprensivi, stabilendo che essi siano responsabili "della gestione del museo nel suo complesso, nonché dell'attuazione e dello sviluppo del suo progetto culturale e scientifico", ed abbiamo già visto quanto ciò possa gravare con pienezza sui direttori che siano dirigenti, non su quelli che dipendono dal polo museale.
Status che fa gravare sui primi, in aggiunta alle responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile, anche quella propriamente dirigenziale, allargatasi negli ultimi anni in proporzione (o forse più che in proporzione) all'aumento dei poteri decisionali dei dirigenti dell'amministrazione pubblica statale; giusto per menzionare alcuni elementi di questa peculiare responsabilità, tratti direttamente da norme, basterà rammentare che essi sono responsabili per il "mancato raggiungimento degli obiettivi" e per "inosservanza delle direttive imputabile al dirigente" (art. 21, comma 1 d.lgs. 165/2001), per il "dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi fissati dall'amministrazione" (art. 21, comma 1-bis d.lgs. 150/2009), per "la mancata o tardiva emanazione del provvedimento" (art. 2 legge 241/1990, art. 7 legge 69/2009), per l'esercizio tempestivo dell'azione disciplinare nei confronti dei funzionari pubblici da lui dipendenti (art. 55-sexies, comma 3 del d.lgs. 165/2001), per l'adozione del piano annuale anticorruzione e di misure di selezione e formazione del personale dipendente (art. 1, comma 8 legge 190/2012), per la commissione di un reato di corruzione nel proprio ufficio, accertato con sentenza passata in giudicato (art. 1, comma 12 legge 190/2012), per l'adempimento agli obblighi di pubblicazione e trasparenza (art. 43 d.lgs. 33/2013), per il ricorso improprio a contratti di collaborazione coordinata e continuativa (art. 46 d.l. 112/2008), per l'affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di legge (art. 6, comma 7 d.l. 78/2010,), per il conseguimento degli obiettivi di risparmio stabiliti per i ministeri (art. 1, comma 7 d.l. 138/2011), per le concessioni di vantaggi economici in mancanza di adeguata pubblicità (art. 18 del d.l. 83/2012).
La descrizione dei compiti dei dirigenti dei musei autonomi recata dall'art. 35 co. 4 del d.p.c.m. aggiunge alle "normali" incombenze dirigenziali alcune più propriamente legate alla funzione, come la gestione del museo, l'organizzazione di mostre ed esposizioni, e quelle di studio, valorizzazione, comunicazione e promozione del patrimonio museale; il direttore del museo autonomo stabilisce l'importo dei biglietti di ingresso, sentita la direzione generale Musei e il polo museale regionale, stabilisce gli orari di apertura del museo, cura gli standard, autorizza il prestito di opere e, sentito il soprintendente di settore, le attività di studio e di pubblicazione, dispone l'affidamento diretto o in concessione delle attività e dei servizi pubblici di valorizzazione del museo, promuove progetti di sensibilizzazione e specifiche campagne di raccolta fondi, anche in crowd-funding ("modalità di finanziamento collettivo"), svolge attività di ricerca, e le funzioni di stazione appaltante.
A ciò occorre aggiungere le specificità del dirigere un organo dotato di autonomia speciale, dunque spetta al direttore presiedere il consiglio di amministrazione ed il comitato scientifico, predisporre i bilanci preventivi e consuntivi e documenti annessi, curare incassi, pagamenti e scritture contabili, assumere in consegna, con debito di vigilanza, beni mobili ed immobili del museo, stipulare i contratti approvati dal consiglio di amministrazione [73].
Dentro a queste descrizioni si possono intravedere alcuni compiti non esplicitamente menzionati, ma usuali nella direzione di musei [74]; si pensi ai fenomeni delle sponsorizzazioni, alle assicurazioni, alle misure di sicurezza dei dipendenti, dei visitatori e di chiunque abbia contatto con le attività del museo.
Su tutto ciò la direzione dei musei autonomi potrà poi contare sul supporto di vari uffici; ad esempio, il segretario regionale la può coadiuvare in tema di gare e appalti, sponsorizzazioni, politiche turistiche, accordi con altri soggetti pubblici e privati del territorio; la direzione generale Musei fornisce, a richiesta, il supporto tecnico-amministrativo per la predisposizione degli atti di ricezione in comodato o in deposito di cose o beni; la direzione generale Bilancio svolge attività di supporto e consulenza in materia di contratti pubblici, di contabilità e informatica operativa; ogni direzione generale può fornire, per le materie di competenza, il supporto e la consulenza tecnico-scientifica.
L'analisi della distribuzione delle competenze (ed in particolare la relazione con la direzione generale Musei), sembra far intendere che il museo autonomo possa provvedere in proprio alla ricezione precaria, in comodato o in deposito, di cose o beni, ai sensi dell'articolo 44 del Codice, mentre non possa acquistare in proprio cose o beni culturali (e dunque nemmeno esercitare la prelazione di cui all'articolo 62, comma 1, del Codice).
In quanto dirigenti di ufficio, i direttori di museo non hanno, lo si è visto, la possibilità di esercitare per intero la gestione del personale, ma hanno capacità direzionale nei confronti del personale assegnato, distribuendolo tra le aree funzionali del museo, effettuandone la valutazione, ed esercitando la vigilanza sul loro lavoro ed i poteri disciplinari.
Tutti i musei statali autonomi sono sottoposti a una non meglio precisata vigilanza ad opera di direzioni generali centrali (Musei, Bilancio, e, per le due soprintendenze speciali "Archeologia"), e si sostanzia nella capacità di approvare i loro bilanci, mentre non vi è alcuna disposizione in ordine agli organi ed al funzionamento in generale, ma in questo caso occorre tenere insieme le capacità di vigilanza (che suscitano fisiologicamente il complesso discorso dei cd. poteri impliciti [75]) e quelle proprie delle relazioni delle organizzazione compatte, la gerarchia e il coordinamento.
In effetti il direttore dei musei autonomi è innanzitutto collocato in una vera e propria scala gerarchica, molto evidente - e pacifica - per gli uffici che non sono direzioni generali (che rispondono gerarchicamente al direttore generale "Musei" [76]), più discutibile per quelli che sono direzioni generali, dove funziona la relazione diretta con il segretario generale già esaminata [77].
Ma, inoltre, i musei statali non rimangono avulsi dalla restante struttura del ministero, e dunque sono molte le circostanze nelle quali il direttore deve relazionarsi con altri organi e uffici: oltre a quanto già s'è visto, deve assicurare "la piena collaborazione con la direzione generale Musei, il segretario regionale, il direttore del polo museale regionale e le soprintendenze; "coadiuva la direzione generale Bilancio e la direzione generale Musei nel favorire l'erogazione di elargizioni liberali da parte dei privati a sostegno della cultura, anche attraverso apposite convenzioni con gli istituti e i luoghi della cultura e gli enti locali"; "propone alla direzione generale Educazione e ricerca iniziative di divulgazione, educazione, formazione e ricerca legate alle collezioni di competenza"; "collabora altresì alle attività formative coordinate e autorizzate dalla direttore generale Educazione e ricerca, anche ospitando attività di tirocinio previste da dette attività e programmi formative".
Il museo autonomo ha infine la responsabilità di mantenere una stretta relazione con il territorio, in virtù del quale può promuovere organizzazioni di sostegno ("amici" e simili), curare le relative relazioni, riceve direttamente (si deve presumere) le erogazioni liberali e gli altri sostegni economici tecnici o strumentali provenienti da privati, e sembra essere in grado di svolgere attività di comunicazione e (si deve ritenere) promozione in proprio.
Non è possibile dilungarsi sulla disciplina oggi vigente per questo tipo di relazioni, che spesso richiede procedure onerose e complicate costruite sul modello dei rapporti commerciali e profittevoli; è forse il caso, però di segnalare che qualche messa a punto riguarda il rapporto che i musei autonomi avranno, in particolare, con la direzione generale Musei e quella Educazione e Ricerca
La direzione generale Musei è una delle principali innovazioni della riforma, che completa il distacco dei musei statali dalle soprintendenze; ha comprensibili funzioni di coordinamento del sistema che, lo si è visto, è estremamente complesso, che generano diversi prodotti (linee guida, parametri qualitativi e quantitativi, procedure e modelli, un rapporto annuale sulla gestione dei servizi per il pubblico), ed è il vertice amministrativo per i musei che non sono direzioni generali e per quelli afferenti ad un polo regionale.
Poiché ad essa spetta la cura delle "collezioni dei musei e dei luoghi della cultura statali, con riferimento alle politiche di acquisizione, prestito, catalogazione, fruizione e valorizzazione", è probabile (la locuzione usata dalla norma non è chiarissima) che al suo direttore competa ogni decisione in ordine alla allocazione ed ai movimenti delle collezioni, agli acquisti - anche per prelazione - e, probabilmente, anche all'accettazione delle donazioni [78]. E' inoltre comprensibile che essa sovraintenda al sistema museale nazionale, mentre bisognerà trovare numerose capacità di dialogo con i musei autonomi e con i poli regionali per gli aspetti connessi alla fruizione ed alla valorizzazione; in particolare, si tratterà di verificare se questa direzione generale curerà i profili, a dir così, macro, nazionali di queste policies, rilasciando quelli micro, locali, agli uffici territoriali che gestiscono i musei; e ciò vale anche, e forse in particolare, per i sostegni esterni (erogazioni liberali, sponsorizzazioni, partenariati), per i quali la direzione generale Musei e quella Bilancio dovranno coordinare le proprie competenze con le capacità dei musei autonomi di operare in proprio.
Ma le necessità di raccordo sono molte altre: per la organizzazione di mostre e la circolazione internazionale delle opere d'arte, per l'assicurazione delle opere in movimento, per la predisposizione degli atti di deposito o comodato, per le relazioni con le regioni e con altri soggetti pubblici e privati in tema di gestione e valorizzazione, per la partecipazione del ministero a soggetti misti, per l'individuazione dei musei e luoghi della cultura da affidare in gestione indiretta a privati ai sensi dell'articolo 115 del Codice, per il riequilibrio finanziario tra gli istituti e i luoghi della cultura statali.
Recuperando opportunamente il legame tra cultura, ricerca, arte e scienza insito negli articoli 9 e 33 della Costituzione, la riforma punta sulla capacità del ministero di usare le proprie risorse per finalità di ricerca, e dispone per questo di una apposita direzione generale centrale cui affida anche il compito di educazione e formazione, in collaborazione con università, enti e organismi di ricerca e formazione, regioni, enti locali, enti senza scopo di lucro [79].
La vera e propria funzione di ricerca dovrà essere messa a punto con la pratica, poiché le altre direzioni generali (e gli stessi musei autonomi, come visto) conservano capacità di definire i programmi concernenti studi, ricerche ed iniziative scientifiche nei propri ambiti specifici; mentre novità interessanti sono dovute al fatto che questa direzione generale è chiamata a predisporre annualmente un rapporto sull'attuazione dell'articolo 9 della Costituzione, e dispone di un "Centro per i servizi educativi" che, evidentemente, sarà nazionale [80], con cui si occuperà di coordinamento in tema di educazione, comunicazione, divulgazione e promozione ai sensi degli articoli 118 e 119 del Codice.
Il punto può essere dirimente, e fa vedere quanto ancora il ministero sia strutturato con incroci di competenze e siano necessari fenomeni di raccordo e coordinamento tra le sue strutture principali, e dunque anche in relazione ai musei, che, lo si è già accennato, sempre più assumono ruoli nella ricerca e più in generale nell'accumulo delle conoscenze; ma al contempo sono tra i luoghi della cultura quelli dove maggiormente si deve praticare il culto della fruizione, che passa fisiologicamente per compiti quali educazione, comunicazione, divulgazione e promozione. Dunque, se saranno interpretati in termini aggiornati, i musei statali avranno molte ragioni di connettersi con questa direzione generale, e non solo per trovarvi le modalità di aggiornamento professionale o le relazioni con le istituzioni formative specializzate.
La riforma reca una importante e complessa ambizione, poiché in più momenti fa riferimento ad un "sistema museale", un obbiettivo il cui presupposto è abbastanza chiaro (la pluralità dei musei e delle collezioni statali è di per se' un valore), ma la cui realizzazione sarà una delle scommesse tutta da costruire.
Già dal punto di vista concettuale un "sistema" è, si perdoni il calembour, tutto da sistemare: le impostazioni, i metodi, le relazioni, gli obbiettivi, gli strumenti possono infatti essere molto diversificati [81]; ma soprattutto sembra rilevante stabilirne il sistema decisionale, se ad assetto orizzontale o verticale, compatto o diffuso, se vi sia o meno un "centro" del sistema con capacità decisionali valevoli per tutte le componenti, e come sia costituito.
L'impostazione seguita dalla riforma del Mibact si limita ad articolare il sistema in più livelli [82], affidando quello nazionale al coordinamento della direzione generale Musei, che, sentito il Consiglio superiore "Beni culturali e paesaggistici", dovrà definirne modalità di organizzazione e funzionamento, e quello regionale e cittadino al polo museale, il cui direttore potrà includervi, mediante apposite convenzioni, musei pubblici e privati del territorio che rispondano agli standard nazionali ed internazionali [83]; predispone alcuni strumenti di raccordo interni (il nuovo meccanismo dei musei autonomi inseriti nel ministero è, in fin dei conti, un principio di sistema in se'), ma rimanda la gran parte delle decisioni di assetto, struttura e, soprattutto, gestione, aggiungendo perciò al quadro normativo già esistente (artt. 111 e ss. del codice) [84] una mossa non da poco ma ancora incompleta, e cioè un chiaro indirizzo politico amministrativo e l'individuazione delle principali competenze decisionali del ministero al riguardo.
Come si è visto, la riforma prova ad affrontare molti dei nodi rimasti irrisolti negli ultimi decenni in ordine alla situazione dei musei statali, e già questo è un merito notevole dell'intervento.
La mossa più significante, a mio avviso, resta l'aver avviato un percorso che punta sulla gestione dei musei in termini propri, non distaccandoli dal loro territorio ma predisponendo alcuni strumenti che ne possono consentire un vero e proprio management, un presupposto cresciuto di importanza (ed urgenza) insieme con il rilievo sociale, economico, civile di questi oggetti che chiamiamo musei, che hanno bisogno di professionisti e specialisti, strategie e capacità decisionali e relazionali, autonomia, autorevolezza e consapevolezza.
Come forse per tutte le organizzazioni umane, ma certamente per i musei, è determinante l'elemento identitario, e le due mosse compiute al riguardo dalla riforma (la previsione dello statuto e di un direttore per ogni museo statale) sono davvero rilevanti; per quelli dotati di autonomia, poi, avremo finalmente modo di verificare - come l'esperienza dei musei nel mondo dimostra - quanto importante sia la personalità del direttore, e dunque la fase di selezione ora in corso ed in futuro il suo rinnovo saranno determinanti, ma anche quanto siano rilevanti tutte le componenti professionali che vi si dedichino.
I decisori museali di oggi divengono sempre più narratori, mediatori culturali, capaci di dare evidenza e riconoscibilità con il patrimonio museale a contenuti del "capitale territoriale", ed in grado perciò di porsi al centro di fenomeni complessi, che contemplino anche le relazioni con una imprenditoria che voglia lavorare sui contenuti e sulle potenzialità di tutte le componenti del palinsesto che un uso attivo dei patrimoni culturali può generare.
L'organizzazione dei musei, perciò, è implicata da una molteplicità di discipline utili ed appropriate, ha bisogno di abbandonare ogni riduzionismo a favore dello specialismo, e di usare i saperi e le invenzioni provenienti dalle scienze dure come da quelle umane, di sperimentare ogni complicità tra strumenti epistemici e tecnico operativi di tipo economico, aziendale, giuridico, sociologico, storico, biologico, ingegneristico, informatico, elettronico, chimico, fisico, matematico, statistico, filosofico, poiché tutto ciò ormai incide sulla formazione, la conservazione, l'organizzazione, la gestione delle cose e dei fatti della cultura, e può arricchire, potenziare le infrastrutture chiamate a realizzare l'ampliamento e la capacità maieutica della loro fruizione.
Qui c'è una seconda caratteristica del mutamento avviato che va rilevata, anche se non appare evidente, ed è dovuta alla speranza che esso potrà concorrere ad aumentare la consapevolezza che i musei pubblici trovano la propria ragion d'essere, la giustificazione del rilevante investimento che richiedono, insomma la loro missione fondamentale, solo se incentrano il proprio lavoro sulla fruizione.
Seguendo le impostazioni che provengono dai documenti internazionali cui il nostro Paese ha aderito [85], ed in piena coerenza con l'impianto costituzionale italiano, lo sviluppo di questa riforma può condurre ad anteporre anche nella concezione stessa della funzione dei musei la persona e le sue esperienze; la fruizione del patrimonio museale statale, allora, deve diventare la ragione di fondo per la quale è giustificato l'intervento pubblico in cultura, il motivo per cui i beni che vi appartengono sono "meritori", per intervenire quando ci sia "inefficienza" di alcune aree del mercato culturale per esternalità che vi si verificano, contrastare il 'morbo di Baumol' [86], prendersi cura della qualità culturale anche quando non coincida col successo commerciale, con i "gusti di massa" [87], o sostenere "le energie intellettuali che stentano a farsi largo nella dimensione economica della vita culturale" [88].
Quella museale pubblica è insomma una funzione redistributiva, che consente a molti di avere contatto con la cultura ed i suoi prodotti indipendentemente dalla condizione [89], e tutto ciò che serve allo scopo (studiare, individuare, acquistare, tutelare, spiegare, gestire, mostrare, rappresentare, ecc.) è ad essa strumentale.
Rendere socialmente attivo questo patrimonio può infine incidere su di un argomento complicato, che qui si può solo accennare, ovvero l'evoluzione dei meccanismi costitutivi della dominanza culturale, che partono dall'offerta di conoscenza, contatto, istruzione e consapevolezze (corsi di studio basilari, superiori e universitari, prodotti editoriali, televisivi, radiofonici e multimediali, conferenze, convegni, collezioni visitabili, mostre, dibattiti e seminari, fiere e mercati), aumentano il numero e l'autorevolezza dei sistemi di critica e vaglio dei prodotti culturali selezionati, concorrono a definire i "caratteri" (l'aura, gli stili, le convenzioni) che conferiscono alle opere rilievo ed eminenza culturale, diffondendole nel globo, e ne traggono conseguenze economiche, lavorando su tutte le derivazioni di filiera (pubblicazioni, mostre, restauri, mercato delle opere, prodotti televisivi e multimediali, merchandising, formazione, ricerca applicata, edilizia ed artigianato, servizi culturali), e su quelle dei sottosistemi creativi non di filiera (architettura, design, grafica, moda, arredi e forniture, oggettistica e gadgets, pubblicità, turismo, prodotti digitali e nuove tecnologie, giochi e giocattoli, enogastronomia, ecc); ed infine ricadendo su molte innovazioni, di prodotto e di processo produttivo, per innumerevoli beni e servizi anche in ambiti insospettabilmente lontani.
I musei sono parti importanti di questo complesso fenomeno, che non solo ha rilievo economico e produttivo ormai significativo, ma soprattutto genera egemonie culturali, in virtù delle quali chi non partecipa con appropriate dotazioni rischia di essere distributore e non produttore di cultura: senza gli elementi, le strutture di costruzione dell'autorevolezza, lavorare a fenomeni culturali può significare essere impegnati a diffondere valori e contenuti culturali provenienti da un altrove. Non è necessariamente un difetto, è però un peccato, visto che per lunghi secoli il nostro Paese è stato maestro in queste pratiche, ed ha tutti gli elementi patrimoniali per rimetterle in moto.
Molto resta dunque ancora da fare, non solo per dare attuazione alle innovazioni già stabilite, ma anche per elaborare ed eventualmente decidere ulteriori avanzamenti, e molte disposizioni di questo riordino sembrano aver natura temporanea, in attesa di condizioni che consentano mosse più decise. E tuttavia la riforma che finalmente si avvia è solo un primo passo, ma nella giusta direzione.
Note
[1] Inaugurando peraltro la tecnica di costituzione di un ministero mediante decreto legge, come notano a proposito del decreto legge 14 dicembre 1974, n. 657 A. Corsetti, D. Vajano, Beni culturali e paesaggistici, Torino, 2005, pag. 134.
[2] Il ministero è stato riformato nel 1998 e poi riordinato per ben tre volte in sei anni: nel 2004, nel 2007 e nel 2009; da ultimo, la legge 24 giugno 2013, n. 71 gli ha affidato le competenze del turismo, e in conseguenza il decreto ministeriale 18 novembre 2013 ha istituito la direzione generale per le Politiche del Turismo. Va anche ricordato che nell'agosto del 2013 era stata istituita la "Commissione per il rilancio dei beni culturali e il turismo e per la riforma del ministero in base alla disciplina sulla revisione della spesa", la quale ha presentato la propria relazione finale al ministro il 31 ottobre 2013; all'esito, era stato adottato il decreto del Presidente del consiglio dei ministri 28 febbraio 2014 recante regolamento di riorganizzazione del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del turismo, ritirato tuttavia il 30 giugno 2014 per consentire l'adeguamento dell'organizzazione del ministero a quanto disposto dal decreto legge 31 marzo 2014, n. 83.
[3] G. Severini, La seconda novellazione "correttiva ed integrativa" del Codice dei beni culturali e del paesaggio, in Giorn. dir. amm., 2008, pag. 1058.
[4] Una rassegna della legislazione regionale in materia è rinvenibile in C. Barbati, L'impresa museale (a proposito di una possibile dimensione economica della cultura), in AA.VV., Scritti in onore di Giuseppe Palma, Napoli, 2012, II, pag. 1364 ss.; si veda anche A.L. Tarasco, La gestione dei beni culturali degli enti locali: profili di diritto dell'economia, in Foro Amm. - Cds, 2006, pag. 2382 ss.
[5] S. La Porta, I sistemi museali nella legislazione regionale, in Cultura e istituzioni: la valorizzazione dei beni culturali negli ordinamenti giuridici, a cura di L. Degrassi, Milano, 2008, pag. 239 ss.
[6] Basti osservare che nel nono censimento industria e servizi (2013, dati riferiti al 2011), l'Istat ha rilevato 1377 fondazioni dedicate ad attività culturali ed artistiche, che diventano 1623 se si considerano le "unità locali"; nel 2005 erano 666: www.istat.it; il Giornale dell'arte, che meritoriamente cura un Rapporto fondazioni giunto nel 2014 alla quarta edizione, registra nell'ultimo censimento 67 Fondazioni museali (spazi espositivi, circuiti museali e culturali) con finalità conservative ed espositive. Anche M. Cammelli, La riga prima della prima riga, ovvero: ragionando su Art Bonus e dintorni, in Aedon, 2014, 3, nota come "il privato, come ormai dovrebbe essere chiaro, è composto di molte realtà e se non ci si prende la briga di considerarle tutte e nello stesso tempo di tenerle distinte, perché diversi sono gli elementi costitutivi, le finalità e gli stessi modi di operare, si rischia di non intercettare quello che si cerca o di fare incontri sgraditi e da evitare".
[7] Ad es., si vedano P.L. Sacco, Domanda di cultura e sviluppo locale: superare i luoghi comuni, in AA. VV., Il bene culturale è un valore per tutti?, Napoli, 2005, pag. 245 ss.; M.C. Turci, L'intervento straordinario a favore dei beni culturali, in Associazione per l'economia della cultura, Roma, 1994.
[8] Soprattutto se si utilizzano le metodologie sviluppate a partire dalla cd. teoria delle interdipendenze strutturali, oggi largamente usate dai sistemi statistici europei, su cui si vedano W. Leontief, Teoria economica delle interdipendenze settoriali, Milano, 1968; M. D'Antonio, Analisi delle interdipendenze settoriali. Teoria e applicazioni empiriche, Napoli, 1980. Applicando tali metodi, il rapporto Fondazione Symbola-Unioncamere, Io sono Cultura - Rapporto 2014, pag. 97, rileva come esista "un fattore moltiplicativo per cui per ogni euro prodotto da un'attività se ne attivano altri sul resto dell'economia, secondo una logica di filiera"; e "secondo queste elaborazioni, il sistema produttivo culturale vanta un moltiplicatore pari a 1,67: come dire che per un euro di valore aggiunto (nominale) prodotto da una delle attività di questo segmento, se ne attivano, mediamente, sul resto dell'economia, altri 1,67".
[9] R. Putnam, Making democracy work: Civic tradition in modern Italy, Princeton, 1993; L. Guiso, P. Sapienza, L. Zingales, Does Culture Affects Economic Outcomes? in Journal of Economic Perspectives, n. 2/2006, pag. 23 ss.; G. De Blasio, P. Sestito, Il capitale sociale. Che cos'è e cosa spiega, Roma, 2011.
[10] S. Lash, J. Urry, Economies of Signs and Space, Thousand Oaks, CA, 1994; G.A. Akerlof, R.E. Kranton, Economics and Identity, in The Quartely Journal of Economics, 2000, pag. 715 ss.; D. Lewis, D. Bridger, The Soul of the New Consumer: Authenticity. What We Buy and Why in the New Economy, Londra, 2000.
[11] A. Sen, Commodities and Capabilities, Oxford, 1985; Id., Development as Freedom, New York, 1999, tr. it. Libertà è sviluppo. Perché non c'è crescita senza democrazia, Milano, 2000; Id., Capability and well-being, in A. Sen, M. Nussbaum, The Quality of life, Oxford, 1997.
[12] Libro Verde del 27 aprile 2010 - Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare - COM(2010) 183 def.; ma si consideri anche la policy europea 2014-2020, con il programma "Europa creativa".
[13] P. Higgs, S. Cunninngham, H. Bakhshi, Beyond the creative industries: Mapping the creative economy in the United Kingdom (technical report), NESTA, London, 2008; H. Bakhshi, E. McVittie, J. Simmie, Creating Innovation: Do the creative industries support innovation in the wider economy? (research report), NESTA, London, 2008; D. Boyle, A. Coote, C. Sherwood, J. Slay, Right here, right now: Taking co-production into the mainstream (discussion paper), NESTA, London, 2010.
[14] C. Caliandro, P.L. Sacco, Italia Reloaded. Ripartire con la cultura, Bologna, 2011.
[15] Adottato in seguito all'articolo 16, comma 4, del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, ma anche in considerazione dell'articolo 13 del decreto legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112.
[16] Disciplinati per la prima volta dal decreto del Presidente della Repubblica 6 luglio 2001, n. 307.
[17] Va notato che alla conclusione del Grande Progetto Pompei, approvato dalla Commissione europea con la Decisione n. C(2012) 2154 del 29 marzo 2012, e comunque a partire dal 1° gennaio 2016, la soprintendenza archeologica speciale per Pompei, Ercolano e Stabia diverrà ufficio dirigenziale generale, ai sensi dell'articolo 41, comma 2.
[18] Il d.p.c.m. aveva stabilito che rimanessero affidati alle soprintendenze archeologiche le aree e i parchi archeologici, ma il decreto musei ha affidato alla gestione dei poli museali una lunga lista di tali luoghi, "ferma rimanendo la competenza delle soprintendenze Archeologia in materia di scavi e ricerche archeologiche" (v. art. 16 e all. 3 del decreto musei, il quale stabilisce anche che "con uno o più successivi decreti ministeriali, sono assegnati ai poli museali regionali ulteriori aree o parchi archeologici che, ai sensi dall'articolo 35, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, sono gestiti dalle soprintendenze Archeologia; in tali aree e parchi restano comunque ferme le competenze della direzione generale Musei e dei poli museali regionali in materia di musei e luoghi della cultura, ivi inclusa la elaborazione e l'approvazione dei progetti di cui all'articolo 15, comma 1".
[19] Non è azzardato prevedere che la trasformazione di queste decisioni, divenute collegiali, possa indurre ad indagare sulla loro natura, sottoponendo in particolare a verifica come funzioni la qualifica di discrezionalità tecnica in forma collegiale.
[20] A quelli che sono stati tradizionalmente organizzati con questa soluzione, di recente si sono aggiunti il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2011, n. 144), il ministero della Salute (con un sistema peculiare: cfr. il decreto del Presidente della Repubblica 11 marzo 2011, n. 108), il ministero dello Sviluppo Economico (decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 2008, n. 197), il ministero dell'Ambiente (decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2011, n. 144).
[21] Dopo un lungo periodo in cui esso è stato strutturato per sole direzioni generali, il ministero ha conosciuto anche una breve fase in cui ha sperimentato un modello dipartimentale (2004-2007: v. nt. 23).
[22] Ho provato a dimostrare che quelli dirigenziali sono, nell'attuale assetto, organi a tutto tondo dell'amministrazione italiana in P. Forte, Il principio di distinzione tra politica e amministrazione, Torino, 2005, spec. pag. 110 ss.
[23] Si vedano, tra altri, i decreti del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1999, n. 556 e 3 agosto 2009, n. 145.
[24] Si veda, giusto ad esempio, l'art. 2 del decreto 19 maggio 2010, n. 95, per il segretario generale del ministero degli Affari Esteri, l'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 2009, n. 140, che disciplina il segretario generale del ministero dell'Ambiente, l'art. 3 del d.p.r. 144/2011 per quello del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
[25] La questione si era già posta con l'adozione del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, il cui art. 5, co. 2, affidava al segretario generale del ministero "la gestione dei servizi generali dell'amministrazione"; il successivo d.p.r. 29 dicembre 2000, n. 441, ed il decreto ministeriale 11 maggio 2001, ne avevano ulteriormente ampliato i compiti operativi. Tutto venne demolito dal decreto del Presidente della Repubblica 10 giugno 2004, n. 173, che abolì la figura, poi reintrodotta dal decreto del Presidente della Repubblica 26 novembre 2007, n. 233 (a norma dell'articolo 1, comma 404, della legge 27 dicembre 2006, n. 296), che tuttavia aveva circoscritto le sue funzioni in termini di coordinamento e supporto all'attività di indirizzo politico amministrativo.
[26] Così l'art. 11, co. 2 lett.c) del d.p.c.m. A riprova di quanto la questione non sia un fuor di penna, e dunque è invece nodo centrale della riforma, basti osservare che l'art. 1, co. 5 del bando per la selezione dei nuovi direttori dei musei statali, adottato con decreto del direttore generale per l'organizzazione del 7 gennaio 2015, informa specificamente della disposizione in esame, quasi ad avvisare preventivamente i potenziali candidati dell'inquadramento gerarchico della funzione messa a concorso.
[27] convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89.
[28] Questi "possono essere adottati con decreto del Presidente del consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa delibera del Consiglio dei ministri. I decreti previsti dal presente comma sono soggetti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti ai sensi dell'articolo 3, commi da 1 a 3, della legge 14 gennaio 1994, n. 20. Sugli stessi decreti il Presidente del consiglio dei ministri ha facoltà di richiedere il parere del Consiglio di Stato. A decorrere dalla data di efficacia di ciascuno dei predetti decreti cessa di avere vigore, per il ministero interessato, il regolamento di organizzazione vigente. Il termine di cui al primo periodo si intende rispettato se entro la medesima data sono trasmessi al ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e al Ministero dell'economia e delle finanze gli schemi di decreto del Presidente del consiglio dei ministri". Vale notare che, per un verso, la deroga era stata già disposta dal comma 5 dell'articolo 2 del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e che per altro per il d.p.c.m. qui esaminato si è ritenuto di prescindere dal parere del Consiglio di Stato.
[29] La letteratura al riguardo è sterminata; solo per menzionarne alcuna, si vedano F. Cintioli, A proposito dei decreti ministeriali "non aventi natura regolamentare", in Quaderni costituzionali, 4/2003, pag. 820; U. De Siervo, Il complesso universo degli atti normativi secondari del Governo, in Norme secondarie e direzione dell'amministrazione, a cura di U. De Siervo Bologna, 1992, pag. 23 ss.; Id., Una necessaria riflessione, Il potere regolamentare nell'amministrazione centrale, a cura di U. De Siervo, Bologna, 1992, pag. 19; G. Puccini, La forma dei regolamenti del Governo oltre i modelli dell'art. 17 della legge n. 400 del 1988, ibidem, pag. 25 ss.; L. Cossu, Regolamenti governativi e ministeriali, in Dizionario di diritto pubblico diretto da S. Cassese, Milano, 2006, pagg. 5028 ss.; G. Sciullo, Potere regolamentare, potere "pararegolamentare" e pubblica amministrazione: gli orientamenti del giudice amministrativo dopo la legge n. 400 del 1988, in Le Regioni, 1993, pag. 1277 ss.; G. Berti, Diffusione della normatività e nuovo disordine delle fonti, in Jus, 2003, pag. 3 ss.; G. Della Cananea, Gli atti amministrativi generali, Padova, 2000; G. Clemente di San Luca, L'atto amministrativo fonte del diritto obiettivo, Napoli, 2003.
[30] Art. 14, co. 2, del d.l 83/2014, come risultante dalla conversione operata dalla legge 29 luglio 2014, n. 106.
[31] Art. 14, co. 2-bis, del d.l. 83/2014.
[32] L. Casini, Il "nuovo" statuto giuridico dei musei italiani, in Aedon, 2014, 3, individua "quattro ipotesi: il museo-ufficio; il museo-ufficio dirigenziale dotato di autonomia speciale; il polo museale regionale; il museo-fondazione".
[33] Secondo i dati forniti dalla Relazione Finale della Commissione per il rilancio dei beni culturali e del turismo e per la riforma del ministero in base alla disciplina sulla revisione della spesa, in Aedon, nel solo 2012 sono stati rilasciati più di 263.000 "provvedimenti autorizzativi".
[34] E' stato ben posto in evidenza come la maggior parte dei musei statali in Italia potessero essere definiti, tecnicamente, uffici del ministero (ad onta del fatto che già l'art. 16 del d.p.r. 233/2007, esplicitamente li includesse tra gli organi periferici): D. Jalla, Il museo contemporaneo, Torino, 2000.
[35] Prima della riforma, si contavano 33 soprintendenze per i beni architettonici e paesaggistici, 20 soprintendenze per i beni storico artistici ed etnoantropologici, 19 soprintendenze per i beni archeologici, 19 soprintendenze archivistiche.
[36] La quale viene oggi discussa come vero e proprio paradigma della conoscenza, e dunque anche scientifico: solo per esempio, si vedano F. Capra, Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente, Milano, 1982; E. Laszlo, The Systems View of the World: A Holistic Vision for Our Time. Advances in Systems Theory, Complexity, and the Human Sciences, Hampton Press, 1996; T.S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, trad. it. Torino, 1978.
[37] A. Emiliani, Dal museo al territorio, Bologna, 1974, pag. 127.
[38] A. Chastel, L'Italia museo dei musei, in I musei, a cura di A. Emiliani, Milano, 1980, pag. 11 ss: "tutta l'Italia è museo", afferma A. Paolucci, Museo Italia. Diario di un soprintendente-ministro, Livorno, 1998, pag. 107.
[39] E' nota la definizione di M.S. Giannini, I beni culturali, in Rivista Trimestrale di diritto pubblico, 1976, pag. 254: "il bene culturale è pubblico non in quanto bene di appartenenza, ma in quanto bene di fruizione".
[40] Una buona sintesi di questa diffusa percezione è recata dall'articolo di Giovanni Valentini su La Repubblica, 9 marzo 2014, I no delle Soprintendenze che rovinano i tesori d'Italia, che ne rinviene le cause in "paralisi della conservazione", "blocco preventivo", "cautela della tutela", ritardi, rinvii, atti adottati "per prudenza o per paura di complicazioni giudiziarie".
[41] C. Barbati, L'impresa museale, cit., pag. 1379. In realtà la concezione dei musei come luoghi attivi per il territorio, con implicazioni su tutte le altre sue funzioni, "oggetti di investimento produttivo nel senso più ampio del termine" comincia ad essere proposta già dagli anni 70 del 900: si vedano, ad esempio, A. Emiliani, Dal museo al territorio, cit.; B. Toscano, Museo locale e territorio, in Spoletium, 1972, (da cui è tratta la citazione, a pag. 7).
[42] E' noto che le istituzioni che producono beni e servizi culturali sono particolarmente predisposte per soffrire il 'morbo di Baumol', ovvero la difficoltà del "ad incorporare il progresso tecnologico nella funzione di produzione": W.J. Baumol, W.G. Bowen, Performing Art: the Economic Dilemma, New York, 1966; anche se "per le arti visive, i musei e le gallerie, non esistendo contestualità fra produzione e consumo, la legge assume una rilevanza minore": S. Bagdadli, Il museo come azienda. Management e organizzazione al servizio della cultura, Milano, 2000, pag. 14.
[43] Sulle professioni museali si vedano, ad esempio, E. Cabasino, I mestieri del patrimonio. Professione e mercato del lavoro nei beni culturali in Italia, Milano, 2005; A. Garlandini (a cura di), Professioni museali in Italia e in Europa, ICOM, 2007.
[44] "I responsabili delle soprintendenze, infatti, hanno dovuto gioco forza accostarsi alle logiche manageriali di gestione tipiche del settore privato, a partire dal momento in cui è stato necessario individuare le componenti economiche da inserire nei bandi di concessione da emanare. La successiva esigenza di valutare, con cognizione di causa, tanto le previsioni formulate sulle prospettive di sviluppo della domanda di servizi aggiuntivi, quanto i budget economico-finanziari prodotti a corredo delle domande di partecipazione alla gara, ha implicitamente rafforzato la necessità di far proprie alcune strumentazione tipicamente aziendali": così L. Solima, A. Bollo, I Musei e le imprese. Indagine sui servizi di accoglienza nei musei italiani, Napoli, 2002, pag. 28.
[45] L. Bobbio, Le peculiarità dell'ordinamento museale italiano nel contesto europeo e il dibattito sulla sua riforma, in L'Immagine e la Memoria. Indagine sulla struttura del museo in Italia e nel mondo, a cura di P.A. Valentino, Roma, 1992, pag. 45 ss., nota come "una gestione burocratico-conservazionista, come quella prevalente in Italia, corra il rischio... di scoraggiare i potenziali fruitori e di dimensionare l'offerta museale in funzione delle esigenze di studio e di ricerca di coloro che li dirigono e di ristrette élite di specialisti. Ciò non significa che in Italia non siano stati compiuti sforzi per migliorare la fruizione o ideati progetti di trasformazione museale... Ma queste iniziative si scontrano quotidianamente con una struttura istituzionale che certamente non le favorisce e infatti non sembrano procedere con particolare dinamicità".
[46] Tra altri, si vedano, ad esempio, B. Ponti (a cura di), La trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, Repubblica di San Marino, 2013; C. Marsocci, Gli obblighi di diffusione delle informazioni e il d.lgs. 33/2013 nell'interpretazione del modello costituzionale di amministrazione, ne Le istituzioni del federalismo, 2013, pag. 687; A. Bonomo, Informazione e pubbliche amministrazioni, Bari, 2012; E. Carloni, La "casa di vetro e le riforme". Modelli e paradossi della trasparenza amministrativa, in AA.VV., Scritti in onore di Giuseppe Palma, cit., pag. 927; F. Merloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, 2008; F. Rota, Diritto di accesso e soggetti privati, in La nuova disciplina dell'attività amministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento, a cura i G. Clemente di San Luca, Torino, 2005, pag. 89.
[47] B.G. Mattarella, La prevenzione della corruzione in Italia, in Giorn. dir. amm., n. 2/2013, pag. 123; B.G. Mattarella, M. Pelissero, La legge anticorruzione, Torino, 2013.
[48] Si veda, ad esempio, P.L. Sacco (a cura di), Il fundraising per la cultura, Roma 2006; è noto peraltro che si stanno diffondendo sistemi di rating che misurano in base a diversi sistemi la meritevolezza delle istituzioni non profittevoli.
[49] G. Moro, Contro il non profit, Roma-Bari, 2014.
[50] I più noti esempi dei quali sono, in diritto costituzionale, il governo della Repubblica ed il Parlamento: cfr. T. Martines, Diritto costituzionale, Milano, 2011, pag. 117.
[51] Si vedano, tra altre, la legge 9 maggio 1989, n. 168 e l'art. 2 della legge 30 dicembre 2010, n. 240.
[52] Cui l'art. 3 della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (dopo la riforma operata con il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 23) conferisce autonomia statutaria e regolamentare; ma già l'art. 2, comma 2-bis, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (introdotto dalla legge 16 giugno 1998, n. 191) consentiva loro di adottare propri regolamenti.
[53] Recante "Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei".
[54] Si vedano l'art. 3 del decreto musei, il decreto del Presidente della Repubblica 29 maggio 2003, n. 240, ed il decreto del Presidente della Repubblica 27 febbraio 2003, n. 97.
[55] In realtà la situazione è complessa; l'art. 110 del Codice stabilisce che "i proventi derivanti dalla vendita dei biglietti di ingresso agli istituti ed ai luoghi della cultura, nonché dai canoni di concessione e dai corrispettivi per la riproduzione dei beni culturali, sono versati alla sezione di tesoreria provinciale dello Stato...Il ministro dell'Economia e delle Finanze riassegna le somme incassate alle competenti unità previsionali di base dello stato di previsione della spesa del ministero, secondo i criteri e nella misura fissati dal ministero medesimo... I proventi derivanti dalla vendita dei biglietti d'ingresso agli istituti ed ai luoghi appartenenti o in consegna allo Stato sono destinati alla realizzazione di interventi per la sicurezza e la conservazione dei luoghi medesimi"; l'art. 4 del d.p.r. 240/2003 prevede che con decreto del ministro una quota non superiore al trenta per cento delle entrate degli organi autonomi sia versata in conto entrata del bilancio dello Stato e riassegnata con decreto del ministro dell'Economia e delle Finanze allo stato di previsione della spesa del ministero per i Beni e le Attività culturali, per poi essere nuovamente ripartita; l' art. 1, co. 615 ss. della legge 24 dicembre 2007, n. 244 aveva invece consentito ogni utilizzo anche di queste entrate; l'art. 42, co. 9, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in legge 22 dicembre 2011, n. 214), stabilisce che "le somme elargite da soggetti pubblici e privati per uno scopo determinato, rientrante nei fini istituzionali del ministero per i Beni e le Attività culturali, versate all'erario sono riassegnate, con decreto del ministro dell'Economia e delle Finanze, allo stato di previsione della spesa dell'esercizio in corso del ministero per i Beni e le Attività culturali, con imputazione ai capitoli corrispondenti alla destinazione delle somme stesse o, in mancanza, ad appositi capitoli di nuova istituzione. Le predette somme non possono essere utilizzate per scopo diverso da quello per il quale sono state elargite". Infine, l'art. 3 del decreto legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito con legge 7 ottobre 2013, n. 112, stabilisce che "i proventi di cui all'articolo 110 del predetto decreto legislativo n. 42 del 2004 sono riassegnati a decorrere dall'anno 2014, con decreto del ministro dell'Economia e delle Finanze, allo stato di previsione della spesa dell'esercizio in corso del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo".
[56] Più precisamente, a fronte di incassi effettivi nel 2011 pari a 259.669,26 euro, l'anno successivo (già si noti la forbice finanziaria) la Gnam ha ricevuto per tale voce 111.211 euro; Fonte: Mibact, Ufficio Statistica - Sistan. Per il 2013, la stessa fonte riporta che la soprintendenza speciale ha incassato per biglietti d'ingresso 395.105,5 euro, cui andrebbero aggiunti 146.562,9 euro per ricavi da servizi aggiuntivi. Per un'analisi dell'esperienza delle soprintendenze autonome e poli museali si veda L. Mandriani, Modelli di gestione per le aziende di beni culturali. L'esperienza delle Soprintendenze "speciali", Milano, 2012; N. Spinosa, L'esperienza dei poli museali: un primo bilancio. Il polo museale napoletano, e C. Strinati, L'esperienza dei poli museali: un primo bilancio. Il polo museale romano, entrambi in Strumenti di valutazione per i musei italiani. Esperienze a confronto, a cura di A. Compagna Maresca, Roma, 2005.
[57] C. Fuortes, Nuove esperienze gestionali nel settore museale, in Economia della cultura, 2000, 2, pag. 213 ss.; Id., La finanza del museo tra Stato e mercato: casi di studio internazionali, ibidem, 1998, 2, pag. 125 ss.; P. Leon, Gli approcci alla valutazione nel settore dei beni culturali nell'esperienza italiana, in AA.VV., Le risorse culturali, cit., 31; P.A. Valentino, Gli ingranaggi delle "Macchine del tempo": la struttura economica delle organizzazioni museali, in Id. (a cura di), L'immagine e la memoria. Indagine sulla struttura del Museo in Italia e nel mondo, Roma, 1993; A. Paolucci, Italia, paese del 'museo diffuso', in La Gestione dei musei civici: pubblico o privato, (a cura) di C. Morigi Govi, A. Mottola Molfino, Torino, 1996.
[58] L'articolo 18 del decreto musei stabilisce che "le disposizioni di cui al Capo II del presente decreto" (dunque anche quelle sul consiglio di amministrazione) "si applicano anche alle Soprintendenze speciali".
[59] Uno è designato d'intesa con il ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e uno d'intesa con il ministro dell'Economia e delle Finanze.
[60] Si permetta il rimando a P. Forte, Il contemporaneo in Italia. Evoluzione normativa e modelli di gestione, in Economia della cultura, 2014, spec. pag. 13 s., dove ho provato a segnalare quanto esse incidano sulla forma di Stato, implichino un dubbio in relazione agli artt. 3, 35, 36 e 97 della Costituzione, oltre a trascurare tutto quanto, s'è visto, connota la rilevanza delle produzioni culturali nelle economie e nelle società odierne, trattando le organizzazioni culturali come una sorta di balocco per ricchi annoiati.
[61] Art. 11 d.p.r. 240/2003.
[62] In realtà si dà finalmente prima attuazione alla "autonomia scientifica" prevista per i musei dall'art. 115 del codice.
[63] Alcune delle ragioni per non "staccare dagli enti di governo del territorio" i musei, e dunque per non usare in tal senso l'autonomia, sono esposte da M. Montella, Musei e beni culturali. Verso un modello di governance, Milano, 2003, spec. pag. 372 ss.
[64] Ne si veda l'Ambito VIII, rubricato "Rapporti con il territorio".
[65] Anche qui c'è una differenza tra il direttori che sono dirigenti generali e quelli che non lo sono; solo i primi, a termini del art. 16, co. 1 lett. a-bis) decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono direttamente proporre "le risorse e i profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell'ufficio cui sono preposti anche al fine dell'elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale di cui all'articolo 6, comma 4", mentre i secondi dovranno rivolgersi al direttore generale Musei per concorrere a ciò (art. 17, co. 1 lett. a-bis) del d.lgs. 165/2001). Si deve anche notare che in fase transitoria, in attesa dell'individuazione dei direttori dei musei autonomi, queste incombenze sono rimesse ai segretariati regionali: cfr. l'art. 17 del decreto musei.
[66] Il decreto musei ha qui operato una non lieve correzione di rotta rispetto al d.p.c.m., che appunto ha previsto che l'istruttoria degli affidamenti delle attività e dei servizi pubblici di valorizzazione del museo sia condotta dalla competente soprintendenza, con una disposizione che attenua, e non di poco, l'autonomia gestionale e di progetto della direzione del museo. L'art. 15 co. 2 del decreto musei ha precisato che l'intervento della soprintendenza "si riferisce alla esclusiva ipotesi in cui siano previsti lavori sugli immobili sede dello svolgimento dei servizi".
[67] Il bando musei ha stabilito, "d'intesa con il direttore generale Musei", di fissare in quattro anni la durata di tutti gli incarichi, indipendentemente dalla qualifica generale o meno dell'ufficio dirigenziale interessato. Vale ricordare che a termini del comma 2 dell'art. 19 del d.lgs. 165/2001 "in caso di primo conferimento ad un dirigente della seconda fascia di incarichi di uffici dirigenziali generali o di funzioni equiparate, la durata dell'incarico e' pari a tre anni", ma che l'art. 14, co. 2-bis del d.l. 83/2014 prevede, evidentemente in via speciale, "una durata da tre a cinque anni".
[68] Ne conosco piuttosto bene uno solo, usato (e, posso testimoniarlo per esperienza diretta, con esito molto soddisfacente) per l'individuazione del direttore generale del Museo regionale Madre di Napoli nel 2012. A ciò si può aggiungere anche l'esperienza vissuta dagli atenei pubblici italiani nella individuazione dei direttori generali a seguito della legge 240/2010.
[69] In materia di concorsi, diversamente dagli appalti, la giurisprudenza ammette che i criteri di valutazione possano essere fissati direttamente dal bando oppure rimessi alla discrezionalità della commissione esaminatrice, con l'unica accortezza che i criteri medesimi devono essere attinenti e fissati prima dell'avvio delle operazioni valutative; tra altre, si vedano ad es. Cons. Stato, V, 19 novembre 2012, n. 5831 ("nei concorsi a posti di pubblico impiego, la Commissione esaminatrice deve stabilire preventivamente ed in astratto i criteri di massima solo in relazione alla valutazione dei titoli e non anche per la valutazione delle prove scritte o pratiche, che è rimessa alla sua discrezionalità tecnica"); sez. V, 11 maggio 2009, n. 2880; sez. IV, 24 luglio 2003, n. 4238.
[70] La giurisprudenza amministrativa al riguardo è ormai solida nel circoscrivere l'area degli atti politici (ad es., Consiglio di Stato, sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2588; sez. IV, 18 novembre 2011, n. 6083; sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1397), molto meno in ordine all'obbligo di motivazione per quelli che non lo siano, potendosi ritrovare sia arresti che lo affermano (ad es., Consiglio di Stato 1139 del 1998, Cass., Sez. Lav., 16 luglio 2014, n. 16247), sia altri che fanno prevalere l'elemento fiduciario della nomina (ad es. Cass. civ., sez. un., 19 luglio 2011, n. 15764; Cons. Stato, sez. V, 29 dicembre 2009, n. 8850; Cass. 3 novembre 2006, n. 23549 e Cass. 12 novembre 2007, n. 23480), o ritengono che "l'intera materia degli incarichi dirigenziali nelle amministrazioni statali è retta dal diritto privato e l'atto di conferimento è espressione del potere di organizzazione che, nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all'art. 2, primo comma, del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modifiche, è conferito all'amministrazione dal diritto comune. Ne consegue che se gli atti di conferimento e revoca degli incarichi sono ascrivibili al diritto privato, non possono che essere assoggettati ai principi fondamentali dell'autonomia privata e, in primo luogo, alla regola della normale irrilevanza dei motivi e non sono soggetti alle disposizioni della legge 7 agosto 1990, n. 241 sui procedimenti amministrativi, né ai vizi propri degli atti amministrativi" (Cass., Sez. Lav., 30 ottobre 2014, n. 23062; Cass. S.U. 17 giugno 2004, n. 11353; 9 febbraio 2012, n. 1878; 4 ottobre 2013, n. 22738).
[71] Le frasi tra virgolette sono tra gli argomenti usati dalla corte costituzionale per escludere che la nomina di un direttore generale di Asl sia di natura fiduciaria: Corte cost., sent. n. 104 del 2007, più volte confermata (da ultimo, si veda la sent. n. 152/2013).
[72] Si veda al riguardo anche il d.m. 29 dicembre 2014, di graduazione delle funzioni dirigenziali di livello non generale; l'assunto sembra confermato dal fatto che al bando per i musei autonomi abbiano risposto, su 1.220 candidati, 80 stranieri che hanno presentato la loro application (fonte: il giornale dell'arte.com).
[73] Su tutto ciò si veda il d.p.r. 240/2003.
[74] B. Sibilio Parri (a cura di), Responsabilità e performance nei musei, Milano, 2007.
[75] L. Arcidiacono, La vigilanza nel diritto pubblico. Aspetti problematici e profili ricostruttivi, Milano, 1984; M. Stipo, Vigilanza e tutela, in Enc. giur., XXXII, Roma, 1994; S. Valentini, Vigilanza (dir. amm.), in Enc. Dir., XLVI, Milano, 1993, 703 ss.; M. D'Alberti, La vigilanza economica esercitata da pubblici poteri, e S. Amorosino, Tipologie e funzioni delle vigilanze pubbliche sulle attività economiche, entrambi in Vigilanze economiche. Le regole e gli effetti, a cura di E. Bani e M. Giusti, Padova, 2004, risp. pag. 75 ss. e pag. 25 ss.; sulla qualificazione della nomina di un commissario straordinario quale "attuazione del principio generale, applicabile a tutti gli enti pubblici, del superiore interesse pubblico al sopperimento, con tale rimedio, degli organi di ordinaria amministrazione, i cui titolari siano scaduti o mancanti", si veda Corte Cost. 20 gennaio 2004, n. 27.
[76] Tuttavia i musei archeologici si raccordano con la direzione generale Archeologia: art. 35, co. 3 del d.p.c.m.
[77] In verità l'art. 35, co. 3 del d.p.c.m. stabilisce che "i musei uffici di livello dirigenziale di cui all'articolo 30, comma 3, dipendono funzionalmente dalla direzione generale Musei"; non è ben chiaro cosa ciò significhi in relazione a quelli che sono uffici dirigenziali generali, nei confronti dei quali la direzione generale Musei ha certamente capacità di coordinamento, ed altre che tuttavia non sembrano far parlare di "dipendenza" (sia pure "funzionale"); tanto ciò è vero che il bando musei ha precisato che per questi uffici "si applica la disposizione di cui all'art. 11, co. 2, lett. c)" del d.p.c.m., ovvero la già commentata relazione diretta con il segretario generale.
[78] L'art. 20, co. 2 lett. m) del d.p.c.m. assegna al direttore generale musei la competenza all'adozione dei "provvedimenti in materia di acquisti di cose o beni culturali, secondo le modalità di cui all'articolo 21 del regio decreto 30 gennaio 1913, n. 363, sentiti i direttori generali competenti per materia e previo parere del competente Comitato tecnico-scientifico". Tale competenza non dovrebbe estendersi anche al meccanismo di pagamento delle e delle prestazioni fiscali mediante cessione di opere d'arte, che ha un procedimento specifico regolato dall'articolo 28-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, come modificato dall'art. 6 della legge 2 agosto 1982, n. 512.
[79] Questa direzione ha capacità programmatore, le viene affidata la catalogazione del patrimonio culturale (e perciò ad essa è ricondotto l'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione), e ad essa è ricondotto il coordinamento e l'indirizzo sulle istituzioni formative del ministero (scuole di archivistica presso gli archivi di Stato, Istituto superiore per la conservazione e il restauro, Opificio delle pietre dure, Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario, queste ultime uffici dirigenziali di livello non generale); si tratta di una scelta innovativa, poiché scompagina i tradizionali assetti di ognuna di queste importanti realtà, e perciò qui è disposta la necessità di intese con altre direzioni generali.
[80] L'art. 118 del Codice previde che ministero e regioni possano stipulare accordi per istituire, a livello regionale o interregionale, centri permanenti di studio e documentazione del patrimonio culturale, con il concorso delle università e di altri soggetti pubblici e privati.
[81] P. Bilancia (a cura di), La valorizzazione dei beni culturali. Modelli giuridici di gestione integrata, Milano, 2006; S. Cassese, Le reti come figura organizzativa della collaborazione, in L'Europa delle reti, a cura di A. Predieri, M. Morisi, Torino, 2001; L. Zanetti, Sistemi locali e investimenti culturali, in Aedon, 2003, 2; C. Tubertini, L'aggregazione degli enti locali: percorsi e contenuti consigliabili della legislazione regionale, in Autonomie territoriali e beni culturali, in Aedon, 2006, 2; M. Cammelli, "Nodi" e sistema dei beni culturali: soluzioni in cerca di autore, in Aedon, 2007, 1; P. Pietraroia, Modelli di governance per i beni culturali, in Economia della cultura, 2007, pag. 47 ss.
[82] L'importanza dell'individuazione del contesto geografico per questo tipo di approccio è segnalato dalla letteratura aziendalistica al riguardo: si vedano, ad esempio, F.G. Alberti, Reti e sistemi museali: una panoramica del fenomeno, in AA.VV., I musei fanno sistema. esperienze in Lombardia, Milano, 2005; S. Bagdadli (a cura di), Le reti di musei L'organizzazione a rete per i beni culturali in Italia e all'estero, Milano, 2001.
[83] C. Tubertini, La definizione dei livelli di qualità della valorizzazione, in Autonomie territoriali e beni culturali, parte II, in Aedon, 2006, 2.
[84] C. Barbati, Art. 111, e L. Zanetti, Art. 112, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Commento al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, a cura di M. Cammelli, Bologna, 2004, pag. 437; D. Vaiano, Art. 111, in Commentario. Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di G. Trotta, in Le nuove leg. civ. comm., 2005, pag. 1444; P. Carpentieri, Art. 111, in Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, coordinato da R. Tamiozzo, Milano, 2005, 482; P. Bilancia, Introduzione. La valorizzazione dei beni culturali tra pubblico e privato: studio dei modelli di gestione integrata, in P. Bilancia (a cura di), La valorizzazione dei beni culturali tra pubblico e privato cit., spec. pag. 26 ss.; A. Serra, Individuazione dei contenuti "di principio" dell'art. 115 (e dintorni) del Codice e degli spazi per la normazione regionale, in Autonomie territoriali e beni culturali, parte II, in Aedon, 2006, 2.
[85] Solo per menzionarne alcuni: la Convenzione di Faro (2005), la Convenzione Culturale Europea (1954), la Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Architettonico d'Europa (1985), la Convenzione Europea sulla protezione del Patrimonio Archeologico (rivista nel 1992), e la Convenzione Europea del Paesaggio (2000); ma non bisogna trascurare l'esistenza di atti internazionali, anche risalenti, che si sono preoccupati del diritto di ciascuno a partecipare liberamente alla vita culturale: la Dichiarazione universale delle Nazioni Unite dei diritti dell'uomo (1948), il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (1966), e più di recente la Convenzione di Parigi sulla Salvaguardia dei Beni Immateriali dell'Umanità (2003).
[86] Ovvero la difficoltà delle istituzioni che producono beni e servizi culturali "ad incorporare il progresso tecnologico nella funzione di produzione": W.J. Baumol, W.G. Bowen, Performing Art: the Economic Dilemma, New York, 1966; anche se "per le arti visive, i musei e le gallerie, non esistendo contestualità fra produzione e consumo, la legge assume una rilevanza minore": S. Bagdadli, Il museo come azienda. Management e organizzazione al servizio della cultura, Milano, 2000, pag. 14.
[87] B.S. Frey, W.W. Pommerehne, Muse e mercati. Indagine sull'economia dell'arte, Bologna, 1991, pag. 43.
[88] M. Ainis, Lo statuto giuridico dei musei, in Riv. trim. dir. pubbl., 1998, pag. 396.
[89] D. Netzer, The Subsidized Muse: Public Support for the Arts in the United State, Cambridge, 1978.