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Editoriale

Bonus cultura e riorganizzazione del ministero: navigazione difficile, direzione giusta

di Marco Cammelli

Art-Bonus and Reorganization of the Ministry: Difficult Navigation and Right Direction
The Director of Journal gives a first reading of the most recent legislative actions in the field of cultural heritage and activities: the Decree "Bonus cultura" and the Organisational Regulation for the Ministry of Cultural Heritage and Activities and Tourism in itinere.

Keywords: Organisational Regulation for the Ministry; Center-Periphery Relations; Autonomy; Accountability.

1. Dopo anni di stasi, o meglio ancora di moto apparente, si è aperta una stagione di interventi in materia di attività e beni culturali la cui espressione più evidente è rappresentata dalla legge n. 106/2014 di definitiva conversione del decreto cd. bonus cultura e dal non lontano regolamento di organizzazione del Mibact ma che può essere meglio compresa tenendo presente provvedimenti generali nello stesso tempo adottati o proposti dal Governo in tema di pubblica amministrazione e perciò stesso incidenti, talvolta anche direttamente, sul nostro terreno. Nel d.l. n. 90/2014 recante misure urgenti in tema di p.a. ormai definitivamente convertito ad esempio, oltre alle direttrici di fondo in tema di semplificazione, trasparenza e snellimento del processo amministrativo può citarsi l'importante misura relativa alla concentrazione di tutte le sedi ministeriali di formazione quadri nella Scuola nazionale della amministrazione e la conseguente prevista costituzione di un centro di alta formazione per quadri pubblici nella economia e gestione dei beni e delle attività culturali.

Ma ancora più rilevanti sono le innovazioni immaginate dal d.d.l. Riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (Senato, n. 1577). Intanto, per il proposito di riallocare l'intero sistema pubblico nelle macro tipologie delle amministrazioni statale, nazionali (riconoscendo, finalmente!, che l'amministrazione statale non esaurisce né di per sé corrisponde al centro amministrativo), territoriali e - ecco la novità - "le amministrazioni di istruzione e cultura" tra le quali sono compresi insieme "musei, archivi, biblioteche dello Stato e degli enti territoriali" (art. 8.1), facendone segmenti in base ai quali articolare e differenziare normative generali sulle attività (es. procedimenti) e sulla organizzazione (es. uffici e personale). A questo, si aggiungono innovazioni potenzialmente significative su vari fronti, dalla collocazione e unificazione del ruolo dei dirigenti al riordino intorno alle ex prefetture-Utg (ora, Uts, uffici territoriali dello stato) delle altre amministrazioni statali periferiche.

Altre disposizioni infine, e di non trascurabile rilievo, sono preannunciate nel decreto c.d. "sblocca Italia" di fine agosto 2014.

Naturalmente si tratta di vedere se, quando e come queste prospettive prenderanno corpo, ma alcuni elementi come si è detto sono già acquisiti e soprattutto cominciano ad emergere alcune dorsali e linee portanti (come la trasparenza, il rilievo riconosciuto alla gestione operativa, il criterio della separazione tra line e funzioni strumentali o di staff quale premessa della ridefinizione funzionale e organizzativa di entrambe anche in termini di concentrazione, la responsabilizzazione dei dirigenti e la verifica del loro operato) determinanti per l'intero sistema amministrativo ma cruciali e con ricadute ben precise per il segmento delle attività e dei beni culturali a cominciare dal Mibact. Il che ci permette di osservare che le innovazioni introdotte dal Bonus cultura, ormai definitivamente convertito con legge n. 106/2014 o previste nel regolamento di organizzazione, al di là del merito specifico, per questi aspetti non sono misure estemporanee ma semmai anticipazioni di un approccio più organico che nel suo insieme le rende più riconoscibili.

Prima di farlo, tuttavia, è bene sottolineare una implicazione ed anzi più ancora una pregiudiziale di cui così facendo si è fatta giustizia. Si tratta della opinione diffusa e della scelta in fatto più volte riproposta, e mai come in tema di beni e patrimonio culturale tanto fallace, in base alla quale di fronte alla difficoltà di riformare la pubblica amministrazione si è praticata per anni una geniale soluzione alternativa: tutte le volte che si può, se ne fa a meno (by pass per banalizzazione dell'inerte o del silente, silenzio assenso, semplificazioni procedurali, autodichiarazioni senza riscontro e altro: n.b. qualche parte del decreto "sblocca Italia" rischia di rientravi); quando proprio non se ne può fare a meno, ferrea riduzione a zero della discrezionalità amministrativa, trasferendo la selezione delle opzioni al piano di sopra, quello normativo (ecco la ragione del sovraccarico di dettagli e indicazioni minute nei testi legislativi), o a lato e di fianco (contenzioso giurisdizionale), lasciando gli apparati all'automatismo del binomio norma puntuale da applicare - elemento concreto da regolare. Insomma la strampalata idea, dominante da quasi un ventennio, secondo la quale è possibile amministrare senza amministrazione affidandosi semplicemente a leggi (prima) e a giudici o addirittura procure della repubblica (dopo).

Si dirà che è impensabile che una opzione così discutibile in generale venga riproposta anche in tema di beni e patrimonio culturale, cioè in un ambito che più degli altri non può prescindere dal pieno funzionamento di apparati sulla cui solidità poggia buona parte delle politiche di settore e la stessa possibilità di un rapporto corretto con le altre amministrazioni pubbliche e con i privati

Ma così non è perché l'idea, per quanto strampalata, ha avuto e tuttora conserva molti e interessati sostenitori oltre a quelli prima ricordati: i gruppi di pressione, soprattutto i più forti, che possono ottenere in un colpo solo sul piano legislativo e al centro quello che dovrebbero faticosamente guadagnarsi in una pluralità di occasioni e in sedi periferiche; i custodi dell'ortodossia, convinti che una definizione legislativamente blindata di concetti e istituti (un esempio? la codificazione definitoria di impegnative categorie generali come conservazione, prevenzione, manutenzione e restauro nell'art. 29 del Codice dei BC) mettano al riparo da legittime pluralità di interpretazione, magari guidate dalle specificità del caso concreto, o dall'orientamento di scuole di pensiero semplicemente diverse; e, infine, le burocrazie (rectius, la parte meno qualificata degli apparati tecnico-amministrativi) felici di potere evitare peso, critiche e responsabilità di scelte da compiere e di cui rendere conto.

Non c'è bisogno di dire, e il Paese la sta pagando amaramente, quanto l'illusione di amministrare senza amministrazione sia infantile in generale, perché raramente rimuovere un problema significa risolverlo, e perché in ogni caso una simile opzione non è pensabile per la cura del patrimonio culturale ove la doverosità e la delicatezza degli interessi tutelati, il rilievo e la necessaria utilizzazione di particolari saperi scientifici e tecnico-professionali, il peso della memoria (anche amministrativa) storica, la necessità di specifiche e circostanziate valutazioni culturali e tecniche richiedono un intervento puntuale che non può essere frutto né di salti né di automatismi.

Con il corollario, ecco il punto, che queste valutazioni debbono essere legate a criteri stabili e riconoscibili, che vi si deve porre mano con capacità organizzativa e uso efficiente delle risorse, che soddisfatta l'area delle esigenze indeclinabili di protezione del bene e del suo valore (certo, anche immateriale), il resto deve essere affrontato secondo i principi fondanti dell'agire amministrativo in termini distinzione tra funzioni di regolazione e funzioni di gestione o tra compiti amministrativi e compiti di produzione di beni e servizi, di proporzionalità (tra misure adottate e finalità perseguite, tra sacrifici imposti e soddisfazione degli interessi pubblici affidati), di congruità, di rispetto dell'affidamento altrui e di buona fede, di tempestività. Soprattutto, rispondendo del proprio operato oltre che in termini di legittimità anche di merito, e dunque ammettendo eventuali revisioni del provvedimento. Rispetto alle quali, semmai, c'è da chiedersi se il limitarne l'iniziativa (di revisione) alle sole amministrazioni interessate non realizzi una inopportuna e ingiustificata discriminazione anche in termini di legittimità nei confronti di tutti gli altri soggetti genericamente privati, persone fisiche o giuridiche, imprese o soggetti non profit che siano.

In ogni caso, non è chi non veda quanto aspetti più specifici come la precisazione del ruolo delle direzioni regionali, l'introduzione della commissione di revisione, i principi di pubblicità generale per atti e provvedimenti, per limitarsi a qualche esempio, siano strettamente connessi ai principi generali sopra richiamati

Insomma, una amministrazione nelle intenzioni (ri)messa sul binario giusto almeno in termini generali e di direzione di marcia e questo ci porta a dire che nei provvedimenti Franceschini la rotta è giusta. Il che per quello che si è detto, e verificando con la dovuta attenzione le indicazioni di esperienza [1] più che gli eccessi di pathos [2] o le vere e proprie cadute di stile ("macelleria culturale"), sta a dimostrare che la sfida non è tanto tra "statalisti" e "liberisti" a oltranza come è spesso si dice anche perché a volte possono verificarsi imbarazzanti prossimità, ma semmai tra chi vede i pericoli più seri solo sul fronte esterno e dunque chiede pregiudizialmente mezzi e protezione per gli apparati così come sono e chi ritiene che insieme a queste misure vi siano profonde innovazioni da apportare all'interno degli apparati. Perché l'amministrazione non lavora per sé ma esiste e opera per i propri cittadini e i loro interessi (certo, a cominciare da quelli indisponibili, di cui magari i titolari sono inconsapevoli), perché per farlo sempre (ma particolarmente in questi tempi) ha bisogno anche dei saperi, delle tecniche e delle risorse dei privati, e per farvi ricorso deve essere insieme terza rispetto agli interessi, oculata nella gestione delle risorse, credibile riguardo al proprio funzionamento. E perché, infine, la buona amministrazione fa il buon privato, che sa scegliere e con cui sa operare, mentre quella malmessa è fatalmente nelle mani meno auspicabili.

Certo, si può fare diversamente, per esempio continuare a normare "saltando" l'amministrazione, per sottostima e scarsa conoscenza dei suoi funzionamenti effettivi: con i guai che si sono detti e con l'ennesimo stupore della scoperta (da ultimo: il generalizzato niet delle amministrazioni statali al sistema programmato delle sponsorizzazioni introdotto nel 2012) che forse si è avuta una buona idea, ma mancano le gambe per farla camminare.

2. Del Bonus cultura, e più precisamente della legge n. 106/2014, si è già operato più di un richiamo oltre il quale è necessario rinviare l'esame delle diverse misure, assai varie per la verità e non tutte pienamente convincenti, alle analisi più ravvicinate che saranno svolte nei prossimi numeri. E' giusto però fin d'ora sottolineare l'importanza della soluzione adottata in tema di musei (poli museali e specifiche autonomie) che da un lato apre decisamente il capitolo della possibile valorizzazione in termini di autonomia gestionale e contabile e di specifiche competenze professionali per realtà lungamente trascurate salvo le ipotesi dei poli museali autonomi, e dall'altro innova significativamente l'assetto decentrato del sistema muovendo i primi passi nella direzione del riordino complessivo della amministrazione periferica dello Stato tratteggiato del ddl Senato n. 1577.

Per il resto, e accantonando le disposizioni relative a situazioni (Pompei, Caserta) o sub settori (fondazioni lirico-sinfoniche) di crisi conclamata per le quali si impongono interventi di emergenza, il provvedimento oltre ai profili già richiamati si muove lungo due principali direttrici di intervento:

- promozionale, mirante cioè ad attrarre risorse in senso lato al settore, ove troviamo riferimenti a risorse in senso stretto (credito di imposta per le imprese che investono in materia, e connessi ripensamenti/precisazioni in materia di sponsorizzazioni; attrazione di investimenti esteri nella produzione cinematografica e audiovisiva, il fondo investimenti per i beni culturali), sostegno ad iniziative di rilievo (grandi progetti culturali, progetti sulle periferie urbane, capitale europea e italiana della cultura), sostegno a forme di occupazione presso istituti e luoghi di cultura;

- innovazione nel settore culturale e turistico, dal rinnovamento tecnologico e informatico al miglioramento della qualità recettiva, fino a comprendere percorsi e itinerari turistici, concessioni (opportunamente allungate e rinnovabili a chi provvede alla manutenzione straordinaria) e in breve varie forme di sostegno alla ricaduta della valorizzazione del patrimonio culturale, e dunque anche del paesaggio, in termini organizzativi, funzionali e di apertura a imprese di giovani e meno giovani operanti in materia.

Anche su questi punti è emersa più di una preoccupazione, del tutto legittima s'intende, salvo qualche doveroso richiamo all'equilibrio e al senso delle proporzioni di fronte ad appelli con affermazioni quali la denuncia di "confondere in modo pericolosissimo la materia prima dei beni culturali e ambientali (siti, musei, centri storici, paesaggi, ecc.) con l'indotto economico del turismo...facendo prevalere la logica economica (solo? nda) di quest'ultimo sul valore culturale, educativo, quindi non misurabile del secondo". Essendo ben nota, a italiani e stranieri, l'eccessiva attenzione prestata alle esigenze del turismo da parte delle amministrazioni pubbliche e in particolare di quelle operanti in materia di beni culturali.

3. Ma è nel regolamento di organizzazione che la questione è affrontata con una ampiezza che consente di valutarne ad un primo esame i profili più significativi, naturalmente senza neppure accennare in questa sede ai non trascurabili aspetti di metodo, come la problematica coerenza tra approccio adottato dalla spending review e sistema delle fonti in materia di organizzazione dei ministeri (il regolamento è tecnicamente un regolamento autorizzato, e dunque in grado di innovare entro limiti abbastanza ampi la disciplina anche legislativa vigente), né al tema degli incerti risultati ottenuti per tali vie, su cui si rinvia in questo stesso numero all'analisi di Chiara Martini.

Gli aspetti più rilevanti dello schema che ha circolato [3], e con l'ovvia avvertenza che la versione finale potrebbe presentare numerose e significative variazioni, sono naturalmente quelli che intersecano gli aspetti sui quali più volte nel corso di questi anni la Rivista si è soffermata. E tuttavia, pur con queste cautele, i punti critici o comunque irrisolti sembrano superare quelli positivi che pure non mancano.

Al centro, ad esempio, tra le innovazioni più significative l'istituzione al grado più elevato di un organismo indipendente di valutazione della performance o la ridefinizione dei contenuti di alcune direzioni generali rileggendo i compiti e intrecciandone profili (v. arte e architettura contemporanee e periferie urbane) o concentrando positivamente intorno ad una nuova polarità frammenti di funzioni e apparati prima sparsi dentro e fuori il ministero come nel caso della direzione educazione e ricerca, la cui missione assai ampia appare bisognosa di precisazioni in termini di ruolo e connessione con altre istituzioni (non solo di ricerca).

Altrettanta novità, tuttavia, non si riscontra nella impostazione del modello cui le direzioni generali afferiscono. L'organizzazione, pur con le innovazioni dette, resta rigidamente verticale e settoriale senza credibili bilanciamenti in grado di limitarne le logiche autocentranti, basti pensare che il più significativo e ordinario raccordo reciproco è rappresentato, esattamente come per i segretari regionali e i titolari degli uffici periferici, dall'esile sistema delle "conferenze" e dunque dalla conferenza dei direttori generali. E aggiungere che la reciproca impermeabilità è così densa e acquisita che in più di un caso il regolamento si preoccupa espressamente di prevedere la "possibilità della proposta" di un direttore generale ad un altro (come avviene tra direzione archeologia e direzione musei ex art. 14.2 lettera d) o di garantire espressamente che i programmi riguardanti studi e ricerche riguardanti beni archeologici siano elaborati "sentita la direzione generale Educazione e ricerca". Con moduli, come si vede, assai più consoni ai rapporti tra ministeri o soggetti pubblici diversi che non all'ordinario collegamento tra articolazioni della stessa amministrazione.

E' proprio da questo ordine di problemi, vale a dire tradizionale e forte articolazione del ministero che sfiora la vera e propria frammentazione quando lo sguardo si estende agli organi consultivi, agli istituti centrali dotati di autonomia e all'intera amministrazione periferica con le sue sedi ordinarie e speciali (segretariati e commissioni regionali, soprintendenze, poli museali) unita alla altrettanto forte verticalità e settorializzazione delle relazioni tutte interne alle singole direzioni, che nasce naturale la domanda su chi e cosa assicuri a tutto ciò la necessaria unità e coerenza. Dato che meno sono disponibili e credibili i relais di coordinamento diretto e orizzontale tra le diverse filiéres funzionali e più queste esigenze si condensano in modo abnorme al centro e sul vertice. Cioè nell'unico momento e dimensione spaziale in cui i lati della piramide, per il resto separati e contrapposti, si incrociano.

Se le cose stanno così, i maggiori effetti negativi prevedibili e largamente confermati dalla esperienza sono due:

- da un lato il sovraccarico oltre ogni misura del ruolo del segretario generale i cui compiti, peraltro eterogenei perché passano da funzioni di indirizzo e di coordinamento estese a tutta l'amministrazione centrale e periferica e a tutte le relazioni con l'esterno comprese quelle internazionali a compiti minuti di vera e propria amministrazione attiva (dall'istruttoria del patrocinio concesso dal ministero alla definizione di quanto e come i soggetti beneficiari di liberalità debbono darne comunicazione), presuppongono un titolare modello superman;

- dall'altro l'inevitabile separatezza e estensione del ruolo giocato dalle due direzioni organizzazione e bilancio, perché in una situazione di vera e propria frammentazione come quella appena descritta fatalmente le funzioni di staff per eccellenza (risorse umane e finanziarie) invece che aderire il più possibile innestandosi nelle dinamiche e nelle esigenze delle strutture di line vi si contrappongono assumendo su di sé la garanzia delle esigenze sistemiche che proprio perché tali sono distinte e facilmente contrastano con quelle specifiche delle singole linee operative.

Su questa area, evidentemente strategica per il funzionamento di tutto il sistema, non sembrano registrarsi passi avanti e anzi si sommano vecchie contraddizioni purtroppo non superate a tempo debito (come la diretta disponibilità delle risorse ai dirigenti cui è affidata la responsabilità di precisare e attuare i programmi formulati dalle sedi politiche, negata dal Tesoro nelle riforme della fine anni '90) e attuali sottovalutazioni: il caso più evidente è quello della comunicazione, e in particolare della comunicazione interna, che non solo non è percepita per quello che è da sempre e soprattutto ai nostri giorni, vale a dire il vero asse portante del funzionamento degli apparati (in termini di indirizzo e controllo) e del loro reciproco coordinamento, ma è affidata all'esile e tradizionalmente ininfluente modalità delle relazioni periodiche (come quelle trimestrali stese dagli uffici periferici per le direzioni) o collocata in posizione ancillare tra le funzioni della direzione Organizzazione, mentre dovrebbe costituire il primo e necessario strumento di coordinamento a disposizione del Segretariato.

Dunque un centro frammentato, rigido e settorial-verticale i cui elementi, che si rapportano tra loro come soggetti di amministrazioni distinte più che come segmenti della medesima, si incontrano soltanto al vertice del segretariato o grazie all'esile modalità della conferenza o della relazione periodica. Stando così le cose, non stupisce che le relazioni intrattenute con la propria "periferia" finiscano facilmente per essere altrettanto deboli e che il rapporto con il contesto, e in particolare il contesto dei sistemi locali nei quali il Ministero è totalmente immerso per la natura stessa del patrimonio culturale, sia del tutto estraneo al cuore amministrativo del Mibac o riservato ad altre sedi (vertice politico, segretariati regionali). Una parziale e positiva eccezione in materia sembrerebbe rappresentata dalla previsione di un sistema museale nazionale articolato su poli regionali

Tutto ciò finisce per condizionare pesantemente il resto della organizzazione amministrativa e segnatamente le articolazioni periferiche.

Su questo terreno certo non mancano scelte di cui si potrà discutere a fondo per altri profili ma che sul piano organizzativo appaiono apprezzabili come lo sforzo di procedere al riordino delle soprintendenze rispetto alla attuale e insoddisfacente articolazione funzionale e territoriale, del quale molto si potrà dire salvo disconoscerne la necessarietà e urgenza; lo sforzo di meglio precisare, in chiave di coordinamento intersettoriale e supporto strumentale tecnico-amministrativo, il ruolo della commissione e del segretariato regionale e della commissione rispetto agli altri organi, luoghi o istituti presenti nel territorio; la funzione particolare di garanzia sui provvedimenti delle soprintendenze già oggi affidata alla commissione regionale (art. 1.1-bis legge 106/2014); il principio, affermato in questa sede e invece curiosamente omesso con riguardo agli apparati centrali, secondo cui "i dirigenti preposti agli uffici dirigenziali periferici provvedono alla organizzazione e gestione delle risorse umane e strumentali ad essi rispettivamente assegnate" (art. 30.2) sia pure con la riaffermazione delle competenze della direzione generale organizzazione; e infine, ma tra le novità più interessanti, la previsione di un sistema nazionale museale articolato su poli regionali ai quali sono affidati oltre ad ampie e trasversali funzioni di valorizzazione di luoghi e istituti statali un ruolo di riferimento in ordine all'iniziativa e al sostegno dei piani strategici di valorizzazione. In breve, un profilo orizzontale di cooperazione tra amministrazioni pubbliche (statali, regionali e locali) e privati che potrebbe rendere effettiva una delle più importanti (e inattuate) modalità di valorizzazione previste dal Codice (art. 112).

Gli aspetti positivi dunque non mancano, ma impermeabilità reciproca degli apparati di settore nonché verticalità e centralizzazione dell'intero ministero condizionano pesantemente anche queste ipotesi di coordinamento orizzontale e di cooperazione intersettoriale (in particolare segretariati regionali Mibact e poli museali regionali) attivabili e realmente incisive solo se ed in quanto compatibili con le linee rigide di un sistema la cui ossatura portante, basata su direzioni generali e istituti ad autonomia speciale, appare condizionata in modo significativo da dinamiche separate e facilmente divaricanti. Il che conferma anche in questo caso l'esilità delle soluzioni organizzative adottate proprio sui punti più delicati, come l'affidare il flusso informativo tra periferia e centro alle consuete e per lo più inutili relazioni trimestrali (sistemi informatici adeguati, oggi possibili, e incisivi servizi ispettivi darebbero assai di più) o il prevedere per la conferenza regionale (garante prima dell'intersettorialità oltre che della bontà dei provvedimenti adottati) quorum strutturali e funzionali che consentono ai titolari degli uffici e delle realtà sottostanti assenze che potrebbero facilmente pregiudicare in breve tempo il ruolo stesso dell'organo.

Il discorso è andato avanti anche più di quanto previsto, se stiamo ai limiti di una prima lettura e se si considera che i lavori sono ancora in corso, e dunque si ferma qui senza un cenno agli Istituti centrali, agli organi consultivi, e sopratutto alla necessità sempre più stringente di concepire (come si è cominciato a fare con i musei) strutture pubbliche a regime differenziato e con gradi reali di autonomia capaci di operare correttamente sul terreno della produzione di beni e servizi.

Alcune cose, come si è visto, sono state fatte: molte restano da fare e pongono seri interrogativi destinati a restare aperti in attesa del testo definitivo. L'auspicio, anche tenendo conto dei limiti propri dello strumento utilizzato e dei vincoli dell'operare in corpore vivo, è che si tratti solo di difficoltà di navigazione e non di incertezze di rotta.

Note

[1] Alcune delle quali, ad esempio all'interno del documento redatto dalla Conferenza dei dirigenti del ministero (5 punti per la riforma Mibact 30.6.2014), sembrano meritevoli di approfondimento.

[2] Tale appare l'appello del 30 luglio 2014 al Ministro Franceschini nel quale l'istituzione delle commissioni di garanzia operata dal decreto art bonus "rischia di smantellare una tradizione di conoscenza, tutela, conservazione" del nostro patrimonio cultuale.

[3] L'esame è stato condotto su un testo ancora non definitivo, ed esattamente sulla versione comunicata alle organizzazioni sindacali.



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