La gestione dei beni culturali: tappe di un percorso
I musei statali in Italia: prove di autonomia
The Italian State Museums: An Autonomy Test
The Italian Museums belong to many different subjects, and those managed by
the State have an ancient structure, which, with few exceptions, makes them
dependent on offices of the Ministry of Cultural Heritage and Activities.
A peculiar organization, today showing some signs of backwardness, especially
considering the international standards, and even those national issued by
the Owner. The paper introduces the experimentation developed by a ministerial
Committee that tries to increase the autonomy of Italian State Museums, without
changing the existing legislation.
I musei pubblici statali italiani presentano molti elementi caratteristici, per il loro numero [1], per i loro eterogenei caratteri, per la loro diversa storia individuale, per la dimensione variamente intesa, per la natura delle collezioni.
Qui se ne vuole esaminare un aspetto non sempre in evidenza, ovvero l'assetto con il quale essi sono gestiti.
E'stato ben posto in evidenza come, in breve, ad onta di questa variegatezza la maggior parte dei musei statali in Italia possono essere definiti, tecnicamente, uffici del ministero per i Beni e le Attività culturali [2]; scelta organizzativa non dovuta solo all'evoluzione storica delle "collezioni governative" da cui traggono origine molti dei patrimoni musealizzati [3], non a caso ritenute universitates facti [4] o iuris [5], ma anche per assicurare, in un'ottica di musealità diffusa, migliori connessioni con le attività di tutela e di ricerca scientifica.
Eppure già la Commissione Franceschini nel 1964 proponeva di attribuire alla direzione dei maggiori musei statali italiani "la qualità di uffici autonomi"delle soprintendenze, e di assicurare a ciascun museo una autosufficienza per ciò che concerne i servizi essenziali e il personale specializzato, affidando solo i musei "minori" ad una amministrazione diretta delle soprintendenze (Dichiarazione LXXIII- Musei).
Ed invero non sono mancati esempi risalenti di sia pur limitate forme di autonomia, come quella goduta sin dalla legge 3 dicembre 1975, n. 805 dai quattro, tradizionali istituti centrali del ministero, nonché in forza di analoghe e coeve disposizioni normative, dalla Biblioteca nazionale centrale "Vittorio Emanuele II".
Sullo scorcio del '900, tuttavia, ha cominciato ad essere consistente il dibattito sull'autonomia degli istituti ministeriali d'arte e cultura, anche sulla spinta di una attenzione proveniente dalle scienze economiche ed aziendali, che hanno avuto il merito di focalizzare l'attenzione sulla dimensione organizzativa, finanziaria ed economica del museo [6], e dell'evoluzione che ha cominciato a prendere anche in Italia la giovane scienza della museologia, attenta a studiare, accanto all'evoluzione del concetto stesso di patrimonio culturale [7], anche le esperienze della gestione museale provenienti dal mondo anglosassone e nord europeo, per molti aspetti notevolmente diverse dalla nostra tradizione [8].
La riflessione più propriamente connessa ai musei statali è stata fortemente implementata dal lavoro della sezione italiana di una rete internazionale di professionals delle attività museali, radunata nell'International Council of Museums (Icom), fondato a Parigi nel 1946, una filiazione dell'Unesco che promuove gli interessi della museologia e delle altre discipline che riguardano la gestione e le attività dei musei; nel "Codice di deontologia professionale", adottato dalla XV assemblea generale, a Buenos Aires nel 1986, vi è una prima definizione di "museo", che è stata recentemente rivista dalla XXI Assemblea generale a Seul nel 2004; la versione vigente, la cui traduzione è curata dalla sezione italiana di Icom, si legge che il museo è "un'istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. E' aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell'umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazione e diletto" [9].
Fu negli anni 90 che furono, dunque, introdotte forme di autonomia "speciale", prima con il sito archeologico di Pompei [10], e poi con le soprintendenze speciali strutturate in Poli museali, che gestiscono musei statali nelle grandi città d'arte di Napoli, Roma, Firenze e Venezia [11].
Insomma, il cammino per definire luoghi ministeriali con capacità decisionali proprie è stato significativo, come è testimoniato dalla attuale struttura dei sette Istituti centrali del ministero per i Beni e le Attività culturali [12], dei tre istituti nazionali [13], e dei cinque istituti dotati di autonomia speciale [14], che si aggiungono alle sei sovrintendenze speciali [15].
Numerosi interventi organizzativi avevano frattanto influenzato le modalità di conduzione dell'organizzazione museale statale; il decreto legge 14 novembre 1992, n. 433, convertito con legge 14 gennaio 1993, n. 4 (la c.d. legge Ronchey) ha inciso su importanti componenti della gestione museale, con strumenti per assicurare l'apertura quotidiana, orari prolungati, e con la ben nota introduzione della nozione di "servizi aggiuntivi", intesi quali servizi accessori al "godimento" del bene culturale, da affidare in concessione a soggetti privati o enti pubblici e suscettibili di produrre reddito.
Di lì a poco, una piccola ma significativa innovazione portò alla sostituzione della "tassa di ingresso ai musei statali" con il semplice biglietto di ingresso [16], sancendo il definitivo abbandono di una concezione "fiscale" della gestione del patrimonio dei musei pubblici dello Stato.
Una importante apparizione va poi menzionata, quella della fondazione; la riforma del ministero del 1998 [17], infatti, gli consentiva di servirsi, per l'espletamento dei suoi compiti gestionali, di forme di esternalizzazione, con il coinvolgimento anche di soggetti privati, ed in particolare (ed in breve) prevedeva che anche per la gestione dei beni pubblici di propria competenza il ministero potesse stipulare accordi con amministrazioni pubbliche e con soggetti privati, e soprattutto costituire o partecipare ad associazioni, fondazioni o società [18]; la norma è stata successivamente abrogata, sostituita da un complesso sistema oggi recato dall'art. 112 del Codice [19], ma ha dato vita ad un regolamento per le fondazioni, dal travagliato iter [20], ad un importante esperimento, quello del Museo Egizio di Torino [21], e ad un dibattito che non sembra esaurirsi [22], anche per la notevole espansione dell'utilizzo del modello in svariate esperienze di gestione di beni e attività culturali [23].
Nel 2001, infine, il ministero ha varato un "Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei", con il quale, in confronto a tutti i musei italiani, pubblici e privati, vengono individuate alcune esigenze ritenute essenziali: ognuno di essi dovrebbe avere un atto (statuto o regolamento) che ne definisca la natura giuridica e l'organizzazione, e godere di elementi che li connotano: denominazione e sede, finalità, funzioni, ordinamento interno, patrimonio, personale, assetto finanziario, gestione e cura delle collezioni, servizi al pubblico, partecipazione [24].
E' dunque a valle di un complesso percorso che va intesa la vigente disciplina recata dal d.lg. 42/2004, e successive modificazioni, con cui è stato confezionato il Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Per i nostri fini, è ben noto, per un verso, che l'art. 101, comma 2, lett. a) qualifica il museo quale "struttura permanente che acquisisce, cataloga, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio" [25], una definizione molto vicina a quella di Icom, e tuttavia non identica, e diversa da quella di altri luoghi della cultura, quali i "complessi monumentali", le "aree archeologiche", i "parchi archeologici".
Tutti, però, sono accomunati dalla seconda disposizione (tra altre) rilevante ai fini del discorso, quella dell'art. 115 del Codice, che al comma 2 definisce la forma di gestione "diretta", quella che interessa, cioè, i musei statali, la quale a norma di legge "è svolta per mezzo di strutture organizzative interne alle amministrazioni, dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico".
A completamento della vigente normativa rilevante, va menzionato l'art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica 26 novembre 2007, n. 233, recante il Regolamento di riorganizzazione del ministero per i Beni e le Attività culturali [26], che esplicitamente include tra gli organi periferici del ministero i musei [27].
Insomma, la disciplina vigente consentirebbe di sostenere che i musei statali del ministero per i Beni e le Attività culturali ne sono organi periferici, dotati di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico, chiamati ad acquisire, catalogare, ordinare ed esporre beni culturali per finalità di educazione e di studio, con un proprio regolamento capace di definire, in uno ai contenuti di questa autonomia, l'identità, la storia, i meccanismi con cui proiettarsi nel futuro [28], e la dotazione di notevoli e proprie misure organizzative e standard.
La realtà, tuttavia, si presenta molto lontana da questa (pur vigente, si ripete) previsione normativa. I musei statali (ad eccezione di quelli inseriti in una soprintendenza dotata di autonomia speciale, o in un Istituto nazionale, come ad es. la soprintendenza alla Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma), si rivelano dipendenti amministrativamente dalle soprintendenze di settore o miste e, per alcuni aspetti, dalle scelte e dalle valutazioni delle direzioni regionali e generali; non sono organi in senso tecnico, ed in effetti non possono avere capacità propria in tema di programmazione economico-finanziaria, di gestione del personale, di acquisti di beni e servizi, di uso attivo del patrimonio (si pensi, solo per esempio icastico, all'utilizzo del proprio nome); non possono avere relazioni giuridiche proprie con il territorio e più in generale con l'esterno, dotarsi di comitati scientifici, allearsi con partners, pubblici o privati; non possono avere un proprio direttore, almeno per come lo si intende nella prassi internazionale [29], ed è molto difficile organizzare in proprio, o concorrere ad organizzare, mostre, incontri, seminari, convegni; non hanno capacità proprie di produrre servizi di allargamento del pubblico, non hanno, spesso, un vero stato patrimoniale, non possono, da soli, promuovere - ad esempio - una banale operazione di fidelizzazione come "gli amici del museo"; hanno difficoltà a ricevere contributi, sponsorizzazioni, generare ricavi, e se lo riuscissero a fare le risorse dovrebbero essere versate alle entrate del bilancio statale, e dubitabilmente, e comunque non presto, ritornerebbero alla disponibilità del museo, che in ogni caso non potrebbe utilizzarle discrezionalmente.
Questa confusa condizione non è solo un segnale di un disegno normativo tradito dalla realtà, insomma, ma un serio ostacolo per una presenza più dinamica, attiva, visibile ed utile per molti musei statali; è certamente un intralcio alla concezione del museo-azienda, "risorsa capace di generare risorse" [30], pur con tutte le sue incertezze; è forse anche l'attestazione di un cammino ancora in corso da una visione dei musei - conservatorie a quella dei musei - luoghi di fruizione, inclusione, uguaglianza sostanziale; e non facilita l'idea stessa che il museo possa essere una dotazione del territorio in cui sorge, di cui può divenire risorsa, non solo economica, ma soprattutto civile e di coesione sociale.
Qualcosa tuttavia si muove anche su questo che è (forse) l'unico fronte sul quale le tante riforme degli ultimi vent'anni poco o nulla hanno inciso.
Con un progetto promosso dall'Ufficio studi del ministero, si è avviata un'indagine sperimentale [31] con la quale si è provato a lavorare sul tema, senza tuttavia proporre innovazioni radicali o troppo avanzate, che avessero bisogno di importanti riforme normative, nella consapevolezza che intervenire su questi oggetti richiede prudenza, rispetto ed attenzione: un eccessivo grado di autonomia non sarebbe, probabilmente, praticabile per tutte le istituzioni museali statali.
Ne è sortito un documento, che consiste in un modello di regolamento del singolo museo "a legislazione invariata", concepito cioè con lo sforzo di essere giuridicamente possibile perché rispettoso della normativa vigente, articolato in sezioni che, per un verso, consentono l'identificazione dell'identità del museo, derivata anche dalla sua storia, e della sua missione odierna; per altro verso, provano a disporre alcune innovazioni (auspicabilmente compatibili, si ripete, con la normativa vigente) in ordine alla sua struttura, ed alle modalità decisionali.
Il "regolamento" lascerebbe dunque a ciascun museo la definizione della propria storia e, da questa, la ricostruzione di una possibile narrazione della propria identità.
Nell'elencare i compiti di un museo, il "regolamento" ribadisce un assunto che, si spera, non è discutibile, ovvero che la sua è attività di servizio pubblico; senza perdersi in sofisticate speculazioni, basta qui invocare la disposizione dell'art. 101 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, quando stabilisce che i musei "che appartengono a soggetti pubblici sono destinati alla pubblica fruizione ed espletano un servizio pubblico", e quelli "che appartengono a soggetti privati e sono aperti al pubblico espletano un servizio privato di utilità sociale".
Ma il documento prova a far di più, facendo "esplodere" le funzioni museali in più articolati e dettagliati compiti specifici, impegni dunque per una sana e coerente conduzione della sua gestione. Ad una attività principale, direttamente dipendente dalla funzione stabilita per legge ("conserva, cataloga, ordina, espone e acquisisce beni culturali, anche per finalità di educazione e di studio"), ciascun museo potrebbe aggiungerne altre, importanti e, a stare agli atti Icom, essenziali: curare l'inventariazione, la catalogazione, l'ordinamento delle sue collezioni, curare e rendere disponibile la documentazione sui beni e gli interventi su di essi, badare alla ricerca, alle collaborazioni con altri musei e centri di studio alla sicurezza dei beni e delle persone che al Museo lavorano o accedono, diffondere ed implementare la fruizione pubblica del patrimonio e delle conoscenze, e dunque curare una accurata comunicazione, occuparsi di mostre temporanee, incontri, seminari e convegni, promuovere iniziative per favorire la partecipazione dei cittadini e l'incremento della fruizione, usare attivamente il proprio nome, la propria denominazione storica, il proprio logo.
Se queste sarebbero le proprie attività irrinunciabili, altre potrebbero essere innescate se il museo "ne abbia la possibilità", perciò definite strumentali, accessorie, connesse; collaborazioni con soggetti terzi, promozione di attività commerciali, interventi di formazione a vario titolo, stimolo a studi e ricerche con premi, borse di studio, concorsi vari, raccolta di fondi, iniziative di fidelizzazione, gemellaggi.
Uno snodo centrale del regolamento è poi l'attenzione rivolta al Direttore del museo, e ad un sistema dinamico di gestione del patrimonio e delle risorse finanziarie.
E' ben nota l'importanza del direttore per un museo, purché ne possa essere effettivamente il centro propulsore, per poteri decisionali e responsabilità conseguenti; il regolamento prova ad identificare questa figura, lavorando negli interstizi della normativa vigente, e dunque con necessarie connessioni e raccordi con gli uffici ministeriali in cui il museo è inserito: in proprio, o in accordo con il sovrintendente, il direttore - individuato ed incaricato "con conferimento formale di incarico, ad una professionalità tecnico-scientifica esperta nelle discipline attinenti le collezioni, con esperienza pluriennale in un museo" - sarebbe responsabile dell'andamento del museo, e dunque potrebbe decidere in ordine a molti aspetti della sua gestione.
Sulla base di una programmazione triennale, dovrebbe provvedere alla direzione culturale, artistica e scientifica, alla gestione organizzativa, amministrativa e contabile, dirigendo l'attività dei dipendenti assegnati al museo, "ad esso funzionalmente subordinati", e conducendo le relazioni sindacali "aziendali"; sarebbe tenuto a badare alla sicurezza dei beni e delle persone, assicurare la tenuta e l'aggiornamento degli inventari, esprimersi per l'acquisizione e l'uso di opere, verificare gli elementi qualitativi dell'attività, intervenire nella definizione dei prezzi dei biglietti di accesso.
La programmazione triennale concordata con il sovrintendente dovrebbe permettere una più affidabile consapevolezza sulle disponibilità delle risorse umane e economiche a valere sul bilancio statale, ma anche sugli introiti per le attività locali e strumentali; ma soprattutto potrebbe consentire la definizione di obbiettivi espliciti dell'azione del museo, sia per le attività "core" (conservazione delle strutture e del patrimonio, catalogazione, restauro, allestimenti, mostre ed altri eventi culturali), sia per quelle accessorie.
Una "relazione annuale" dovrebbe poi fornire un rendiconto dell'attività, che consentirebbe di verificare l'andamento del museo, e la rispondenza alle previsioni programmate, non escludendo valutazioni di impatto e misurazioni sociali.
Un museo è innanzitutto una collezione, ed il regolamento presta attenzione agli aspetti patrimoniali; anzitutto esplicitando la centralità di inventari, registri cronologici o altri elenchi di individuazione, uno degli aspetti "deboli" dell'attuale situazione [32]. Il museo dovrebbe tuttavia essere in grado di effettuare il monitoraggio periodico delle condizioni ambientali e dello stato di conservazione delle opere esposte e di quelle conservate nei depositi, e di proporre gli interventi conservativi necessari; dovrebbe avere la possibilità di intervenire per l'incremento delle collezioni; dovrebbe poter decidere dell'ordinamento e dell'allestimento, e documentare gli ordinamenti storici; dovrebbe poter avere una gestione più attiva dei depositi, quanto meno per promuovere studi e ricerche e la pubblicazione degli studi effettuati.
Più in generale, il museo dovrebbe tenere normalmente propri documenti economico finanziari, che ne evidenziano la consistenza patrimoniale e l'andamento gestionale, ma con valore giuridico limitato, e senza alterazioni sulla disciplina contabile, patrimoniale e finanziaria vigente.
Documenti interni (altro non potrebbero essere a legislazione invariata) fungerebbero dunque da "bilancio" e "consuntivo" del museo, rappresentando le previsioni di entrata ed uscita, ed il risultato della situazione patrimoniale, economica e finanziaria, distinguendo le attività istituzionali da quelle strumentali, accessorie e connesse.
Il regolamento sfrutta poi un accorgimento tecnico per far utilizzare al museo - in proprio - gli eventuali contributi provenienti da enti territoriali o da altri enti pubblici o privati, nazionali ed internazionali; se infatti tali introiti derivino da accordi stipulati con altre amministrazioni pubbliche o organismi di diritto pubblico, in applicazione dell'art. 8 del d.p.r. 20 aprile 1994, n. 367, il soprintendente ovvero il Direttore del museo, ove ne abbia la competenza, assumerebbero la veste di funzionario delegato, con la possibilità di un contabilità e rendicontazioni proprie.
Una sezione del regolamento è dedicata alle mansioni del personale addetto al museo; si tratta, probabilmente, della parte del documento meno disponibile per il singolo museo, influendo sul rapporto di lavoro, e per certi aspetti, su quello di servizio dei dipendenti del ministero assegnati alla struttura. Resta interessante il fatto che esso evidenzia alcune necessità, e cioè che ogni museo statale dovrebbe poter disporre di "funzionari" con esplicite responsabilità in ordine alla progettazione e il coordinamento di progetti di educazione al patrimonio, promozione e didattica, alla gestione della movimentazione delle opere, alla responsabilità tecnica della sicurezza, alla vigilanza e assistenza al pubblico [33].
Il "regolamento" vorrebbe poi un museo che bada ai suoi visitatori, magari non solo come "clienti", pubblico, spettatori paganti, ma cittadini in contatto con qualcosa di proprio; e non solo in occasione della visita, le cui condizioni dovrebbero essere redatte in un apposito Regolamento della visita, tradotto in maneggevoli indicazioni grafiche, ma più in generale come elemento dell'allestimento e della qualità della sua offerta, che dovrebbe essere resa consapevole con una apposita Carta della qualità dei servizi, utile alla definizione degli elementi qualitativi, ed alle misure per incrementarla ed orientarla a finalità di pubblica utilità.
Il testo del "regolamento" è stato fornito ai musei statali coinvolti nella sperimentazione, per verificarne la praticabilità, e ricevere ogni miglioramento, ed è stato rimesso in versione definitiva al ministero per quanto possa essere utile [34].
Non tutti i musei statali, s'è detto, hanno probabilmente bisogno di più autonomia, e la connessione con il restante corpo del ministero presenta innegabili vantaggi, da non disperdere; e tuttavia quella dei musei statali sembra oggi una struttura costruita in termini non del tutto consapevoli, per certi versi, s'è visto, contraddittori, insomma non un modello rispondente ad un disegno, ma più l'inerte perpetrarsi di un passato importante e serio, che tuttavia rischia di non reggere in futuro. Discuterne è forse diventato urgente.
Note
[1] Secondo la Rilevazione 2010 della Direzione generale per l'Organizzazione, gli Affari generali, l'Innovazione, il Bilancio e il Personale (Servizio I - Affari Generali, Sistemi Informativi, Tecnologie Innovative - Ufficio di Statistica) del ministero i musei statali sono 208, cui vanno aggiunti 215 monumenti ed aree archeologiche.
[2] D. Jalla, Il museo contemporaneo, Torino, 2000.
[3] A. Iunti, Il nuovo sistema museale umbro nella legge regionale 22 dicembre 2003, n. 24, in Aedon, n. 1/2005,
[4] R. Juso, Pinacoteca e museo, in Nov.ss.mo dig. it., XIII, Torino, 1966, 105 ss.
[5] M. Cantucci, La tutela giuridica delle cose d'interesse storico o artistico, Padova, 1953, 137.
[6] Per qualche riferimento storico, si vedano ad es., M. Negri, M. Sani, Museo e cultura della qualità, Bologna, 2001, e M. Montella, Musei e beni culturali. Verso un modello di governance, Milano, 2003.
[7] Ad es., per S. Settis, Italia Spa. L'assalto al patrimonio culturale, Torino, 2002, il patrimonio culturale è "un insieme organico (di opere, monumenti, case, paesaggi, città) strettamente legato al territorio che lo ha generato"; non diversamente G. Pinna, Il controllo politico dei musei, Napoli, 2001.
[8] Si vedano, ad esempio, L. Salerno, Musei e collezioni, in Enciclopedia Universale dell'Arte, IX, Firenze, 1963; L. Binni, G. Pinna, Museo. Storia e funzioni di una macchina culturale dal Cinquecento ad oggi, Milano 1989; A. Mottola Molfino, Il libro dei musei, Torino 1991; K. Schubert, Museo, storia di un'idea, Milano 2004. Nell'ultimo decennio del novecento, accanto ad importanti iniziative istituzionali di studio (Il sistema museale italiano, in ministero per i beni culturali ed ambientali, Ufficio Studi, Notiziario, nn. 34-35/gennaio-aprile 1991, 63 ss.), si registrano anche notevoli iniziative legislative: nell'XI legislatura, si ricordano i disegni di legge d'iniziativa del sen. Covatta e altri (A.S. 548 del 1992), e quella del sen Chiarante, Argan e altri (A:S:572); nella XII legislatura il ministro Paolucci presentò un disegno di legge (A.S. 1649) per l'attribuzione dell'autonomia ad alcuni istituti del ministero, e grandi musei come Capodimonte, Uffizi, Brera.
[9] Va anche tenuto presente l'art. 3 dello statuto Icom, nella vigente versione approvata a Vienna il 24 agosto 2007, che definisce il museo come "un'istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo; è aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali dell'umanità e del suo ambiente: le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazione e diletto".
[10] A partire alla legge 8 ottobre 1997, n. 352.
[11] In realtà l'art. 8, comma 2, del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, aveva previsto la possibilità di attribuire autonomia scientifica, finanziaria, organizzativa e contabile anche "a musei, biblioteche pubbliche statali, archivi di Stato e soprintendenze archivistiche". Al contrario delle disposizioni del primo comma, questa non ha trovato seguito concreto (comma 2).
[12] Istituto centrale per gli Archivi, Istituto centrale per i Beni sonori ed audiovisivi, Istituto centrale per il Catalogo e la Documentazione, Istituto centrale per il Catalogo unico delle Biblioteche Italiane e per le Informazioni bibliografiche, Istituto centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio archivistico e librario, Istituto centrale per la Demoetnoantropologia, Opificio delle Pietre dure.
[13 ]Istituto nazionale per la Grafica, Museo nazionale d'arte Orientale, Soprintendenza al Museo nazionale Preistorico etnografico "L. Pigorini".
[14] Archivio centrale dello Stato, Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Biblioteca nazionale centrale di Roma, Centro per il Libro e la Lettura, Istituto superiore per la Conservazione ed il Restauro.
[15] Per i Beni archeologici di Napoli e Pompei, per i Beni archeologici di Roma, per il Patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il Polo museale della Città di Firenze, per il Patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il Polo museale della Città di Napoli, per il Patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il Polo museale della Città di Roma, per il Patrimonio Storico, Artistico ed etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Venezia e dei Comuni della Gronda Lagunare.
[16] Legge 25 marzo 1997, n. 78.
[17] Art. 10 d.lg. 368/1998.
[18] La disposizione faceva il paio con quella allora vigente anche per gli enti locali, l'art. 113-bis del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che consentiva di procedere all'affidamento diretto dei servizi culturali e del tempo libero anche ad associazioni e fondazioni da loro costituite o partecipate, disposizione abrogata dalla Corte costituzionale, a motivo del fatto che non rientra tra le competenze della legislazione statale una disciplina dettagliata di servizi pubblici privi di rilevo concorrenziale (sent. n. 272/2004).
[19] L. Zanetti, Articolo 112, in M. Cammelli (a cura di), con il coordinamento di C. Barbati e G. Sciullo, Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Mulino, Bologna, 2007, 435 ss.
[20] D.m. 27 novembre 2001, n. 491. Cfr. A. Canuti, Il regolamento attuativo dell'art. 10 d.lg. 368/1998: un primo commento, in Aedon, n. 2/2000; S. Foà, Il regolamento sulle fondazioni costituite e partecipate dal ministero per i Beni e le Attività culturali, in Aedon, n. 1/2002.
[21] S. Foà, Lo statuto-tipo della fondazione museale: il caso del Museo egizio di Torino, in Aedon, n. 2/2003; L. Dal Pozzolo, L. Zan, Studio per la riorganizzazione e lo sviluppo del nuovo Museo egizio di Torino. Assetto organizzativo e risorse umane. Analisi, valutazione e sostenibilità dei costi di gestione. Modelli di governance, in Ires Piemonte, Progetto di ricerca finalizzato al rinnovamento del Museo egizio di Torino, Torino, 2003,
[22] Ad es., si vedano G. Franchi Scarselli, Sul disegno di gestire i servizi culturali tramite associazioni e fondazioni, in Aedon, n. 3/2000; id., La gestione dei servizi culturali tramite fondazione, ibidem, n. 1/2002; C. Barbati, Pubblico e privato per i beni culturali, ovvero delle "difficili sussidiarietà", in Aedon, n. 3/2001; E. Bruti Liberati, Pubblico e privato nella gestione dei beni culturali: ancora una disciplina legislativa nel segno dell'ambiguità e del compromesso, in Aedon, n. 3/2001; L. Zan, La trasformazione delle organizzazioni culturali in fondazione: la prospettiva manageriale, in Aedon, n. 2/2003. Il modello è stato usato di recente per il Museo nazionale delle arti del XXI secolo (MAXXI), dedicato al contemporaneo, costituito in base al d.m. 15 luglio 2009, in attuazione della legge 18 giugno 2009, n. 69, il cui art. 25 prevede la gestione a mezzo di una fondazione partecipata dal ministero, che esercita anche la vigilanza sul "conseguimento di livelli adeguati di pubblica fruizione delle opere d'arte e delle raccolte in uso o nella titolarità della Fondazione", aperta ad enti pubblici territoriali del territorio in cui essa ha sede ("in qualità di soci fondatori") e ad altri soggetti, pubblici e privati, che partecipino al fondo di dotazione e a quello di gestione della fondazione.
[23] Di recente indagato con interessante estensione dal "X rapporto annuale 2011" del Giornale dell'Arte, dedicato alle fondazioni.
[24] In seguito, molte leggi o direttive regionali hanno individuato l'esistenza di un regolamento o di uno statuto come uno dei requisiti obbligatori per il riconoscimento o l'accreditamento dei musei regionali e locali; vale anche rammentare l'istituzione, nel 2006, di una Commissione ministeriale incaricata di elaborare una proposta per la definizione dei livelli minimi uniformi delle attività di valorizzazione, il cui rapporto finale è pubblicato in "Notiziario" cit., nn. 83-88/2007-2008.
[25] La definizione normativa di museo, è osservazione ricorrente, è mancata nella legislazione statale sino al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, recante il Testo Unico dei beni culturali; può essere di qualche interesse riportare anche la definizione di "museo di Francia" recata dalla legge francese n. 2002.5 del 4 gennaio 2002: "qualsiasi collezione permanente di beni la cui conservazione ed esposizione costituiscono interesse pubblico, e organizzata per la conoscenza, l'educazione ed il diletto del pubblico", i cui compiti sono "conservare, restaurare studiare ed incrementare le proprie collezioni; rendere le stesse più accessibili ad un pubblico più esteso possibile; concepire e mettere in atto azioni educative e di diffusione allo scopo di garantire un uguale accesso di tutti alla cultura: contribuire al progresso delle conoscenze e della ricerca ed alla loro diffusione" (trad. mia degli artt. 1 e 2).
[26] Modificato da ultimo (ma non sul punto) dal d.p.r. 2 luglio 2009, n. 91.
[27] Il comma 1 così dispone: "1. Sono organi periferici del ministero: a) le Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici; b) le soprintendenze: 1) per i beni archeologici; 2) per i beni architettonici e paesaggistici; 3) per i beni storici, artistici ed etnoantropologici; c) le soprintendenze archivistiche; d) gli archivi di Stato; e) le biblioteche statali; f) i musei".
[28] Una preziosa testimonianza della dott.ssa Silvana Balbi De Caro, è riportata in A. Maresca Compagna, Il progetto di ricerca, in La carta d'identità del museo - il regolamento, Roma, 2009, 13, nt. 7: "l'assenza di un vero e proprio atto costitutivo lascia il museo e le sue collezioni in una condizione di estrema fragilità, non essendo dichiarato quell'ubi consistam che ne motivi l'esistenza, rendendo più difficili smembramenti e trasferimenti successivi".
[29] "Non sono state quasi mai precisate le funzioni e le responsabilità del direttore, individuato dal soprintendente fra i funzionari tecnico-scientifici della Soprintendenza, archeologi o storici dell'arte (senza peraltro motivare i criteri di scelta adottati) con un ordine di servizio contenente una delega generica 'alla direzione'": così A. Maresca Compagna, Il progetto di ricerca, cit., 10.
[30] C. Barbati, L'impresa museale (a proposito di una possibile dimensione economica della cultura), in corso di pubblicazione in Aa.Vv., Scritti in onore di Giuseppe Palma.
[31] Avviata dall'Ufficio Studi del ministero per i Beni e le Attività culturali nell'ambito del progetto più ampio denominato Laboratori per il miglioramento delle forme di gestione e dell'offerta dei servizi nelle strutture aperte al pubblico, a valere sulle delibere Cipe 35/2005 e 3/2006. Alla sperimentazione hanno partecipato i seguenti musei: Pinacoteca di Brera - Milano; Galleria, Museo e Medagliere Estense di Modena; Galleria Palatina e Appartamenti Reali di Palazzo Pitti - Firenze; Museo Archeologico Nazionale di Firenze; Museo di San Marco - Firenze; Museo Nazionale e Pinacoteca di Palazzo Mansi; Museo Nazionale di Villa Guinigi - Lucca; Pinacoteca Nazionale di Siena; Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia - Roma; Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga (Lt); Museo Nazionale di Capodimonte - Napoli; Museo Archeologico Nazionale di Paestum (Sa); Galleria Nazionale Della Puglia "Girolamo e Rosaria Devanna" - Bitonto (Ba); Museo Nazionale Archeologico - Taranto.
[32] "Il nuovo modello per rilevare le variazioni nella consistenza patrimoniale dei "beni mobili demaniali" (cioè del "beni mobili di valore culturale, biblioteche e archivi" considerati "immobili agli effetti inventariali" in base all'art. 7 del Regolamento di contabilità generale dello Stato, r.d. 23 maggio 1924, n. 827) e le linee guida per la sua compilazione sono state diramate dal Segretario generale del ministero con le circolari 30 novembre 2009, n. 42 e 14 dicembre 2009, n. 46": A. Maresca Compagna, Il progetto di ricerc, cit., 13, nt. 9.
[33] Sulle professioni museali si vedano, ad esempio, E. Cabasino, I mestieri del patrimonio. Professione e mercato del lavoro nei beni culturali in Italia, Milano, 2005; A. Garlandini (a cura di), Professioni museali in Italia e in Europa, Icom, 2007.
[34] La Commissione tecnica istituita dall'Ufficio Studi nell'ambito del progetto menzionato ha rassegnato il prodotto, sottolineando come "il modello sottoposto a sperimentazione, insomma, costituirebbe un passo in direzione di una maggiore autonomia dei musei, precostituendo alcuni dei fattori che ne danno struttura sul piano dell'organizzazione e dei flussi decisionali; e tuttavia è congegnato in modo da predisporre il cammino necessario a giungervi, senza compierlo completamente".