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Il regolamento attuativo dell'art. 10 d.lg. 368/1998:
un primo commento

di Alessandra Canuti


Sommario: 1. Premessa. La gestione dei beni culturali tra liberalizzazione formale e sostanziale: la scelta compiuta con il regolamento. - 2. I processi decisionali fra attribuzioni degli organi e poteri del Ministero. - 3. Il conferimento del bene culturale e l'autonomia finanziaria: presupposti necessari allo svolgimento dell'attività della fondazione mista. - 4. La dimensione sostanziale della privatizzazione: il ruolo degli altri fondatori. La scelta dei partner privati.



1. Premessa. La gestione dei beni culturali tra liberalizzazione formale e sostanziale: la scelta compiuta con il regolamento

E' all'esame del Consiglio di Stato il regolamento attuativo dell'art. 10, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368. Tale decreto legislativo, com'è noto, prevede fra l'altro che l'istituendo ministero per i Beni e le Attività culturali "ai fini del più efficace esercizio delle sue funzioni" possa costituire o partecipare a fondazioni, associazioni o società.

A quasi un biennio dalla riforma del ministero, con il "regolamento sulle fondazioni" viene indicata una via - quella della gestione dei beni culturali mediante la costituzione di fondazioni eventualmente miste - che si discosta significativamente dall'ampiezza di modelli (di carattere concessorio o partecipativo) e di strumenti giuridici (associazioni, fondazioni o società) previsti dalla norma di indirizzo.

Fin dai primi commenti sull'art. 10 del d.lg. 368/98 era stato ipotizzato - non senza ragione, come emerge da questi due primi anni di esperienza applicativa - che difficilmente il ministero si sarebbe privato della gestione di una parte dei beni culturali (e quindi di una quota significativa delle sue prerogative) a favore di soggetti privati [1].

Meno difficilmente è apparso sin dall'inizio che il ministero fosse disposto a cogestire il bene nell'ambito di una struttura mista pubblico/privata, all'interno della quale esso sarebbe stato in grado di influire significativamente sulle scelte in ordine alla gestione del bene affidato. Tale orientamento trae origine oltre che, com'è ovvio, da un principio di autoconservazione, anche dall'atteggiamento generale di diffidenza con cui il ministero guarda al privato come gestore, anziché come semplice finanziatore [2].

Lo scopo del regolamento sulle fondazioni, dunque, dovrebbe essere quello di consentire la partecipazione di soggetti privati alla gestione di beni culturali pubblici e, più in generale, di riavviare quel processo di privatizzazione del settore dei beni culturali che aveva mosso i suoi primi passi con l'art. 4 del d.l. 14 novembre 1992, n. 433 (convertito con l. 14 gennaio 1993, n. 4 e integrato dall'art. 47-quater del d.l. 23 febbraio 1995 n. 41, convertito con l. 22 marzo 1995, n. 85) e di estenderlo dall'ambito limitato e poco gratificante dei c.d servizi aggiuntivi a quello della gestione vera e propria del bene culturale.

Si tratta, in considerazione della consistenza del ruolo che il regolamento attribuisce al ministero e del fatto che la partecipazione di soggetti privati è configurata come una semplice eventualità [3], di un'operazione che è principalmente - anche se non esclusivamente - di "privatizzazione formale". Tuttavia, anche la privatizzazione formale, in sé considerata e non come momento prodromico rispetto ad una più radicale privatizzazione sostanziale, ha comunque una forte valenza innovativa.

Al riguardo, è stato osservato che il fenomeno di "privatizzazione" della cultura intesa non solo come concessione di beni pubblici ad organizzazioni private (privatizzazione sostanziale), ma, in senso più ampio, come "attribuzione di maggior autonomia gestionale ad istituzioni destinate peraltro a rimanere saldamente in mano pubblica", attraverso l'adozione di strumenti privatistici "può aiutare le istituzioni culturali (...) a rispondere in modo più creativo ai cambiamenti reali della società" [4].

Del resto, gli aspetti positivi della privatizzazione formale sono ben stati messi in evidenza alla luce dell'esperienza che degli strumenti privatistici (in particolare di tipo societario) è stata fatta in materia di servizi pubblici locali e nazionali. L'adozione di forme di gestione di carattere privatistico, infatti, consente uno snellimento procedurale ed una maggiore sollecitudine e flessibilità decisionale che sono decisivi anche nel perseguimento degli obiettivi cui un'efficiente gestione dei beni culturali dovrebbe tendere: conservazione e tutela, valorizzazione e massima fruibilità pubblica, ottimizzazione della capacità di coprire autonomamente le spese [5].

Inoltre, è facile immaginare quali benefici possano derivare da una "maggiore trasparenza e distinzione di responsabilità tra politici e gestori" [6], la quale appunto può essere realizzata attraverso l'attribuzione dei compiti di gestione del bene culturale ad una struttura di tipo privatistico.

D'altro canto attraverso una privatizzazione sostanziale, quale quella che si realizza tramite l'eventuale partecipazione di soggetti privati alla compagine fondazionale, dovrebbe essere garantita l'acquisizione di risorse (non solo economiche) che la società civile o il mercato sono in grado di conferire.

Su questo punto, tuttavia, occorre anche evidenziare la scarsa appetibilità per i privati dell'ingresso in strutture miste nelle quali le loro possibilità di partecipare consistentemente alle scelte di gestione del bene siano molto limitate. Ciò vale, in particolare, per i soggetti il cui apporto non abbia esclusivo carattere finanziario - quale ad esempio quello che normalmente forniscono investitori istituzionali (banche e grandi imprese) -, ma anche e prevalentemente carattere tecnico che si basa su competenze specifiche in ordine alla gestione, promozione o conservazione dei beni culturali. Se si pensa a organismi non-profit privati che già gestiscono beni culturali, è facile immaginare che il loro interesse alla partecipazione ad una fondazione mista con il ministero sia determinato dalla volontà di rendere disponibili le proprie specifiche competenze in ordine alla gestione, all'organizzazione di eventi, alla promozione e valorizzazione del bene, e non sia semplicemente interesse ad un conferimento di natura patrimoniale.

In questo contesto, considerata la vastità del nostro patrimonio culturale, l'esigenza di reperire risorse di carattere tecnico, oltre che meramente finanziario, al di fuori dell'ambito pubblico dovrebbe indurre ad intraprendere più coraggiosamente una via di privatizzazione anche sostanziale.

E, del resto, il principio fondamentale in base al quale lo svolgimento delle attività economiche o l'erogazione dei servizi deve essere affidato, ove è possibile, al mercato deve essere temperato in casi - quale quello delle attività che non hanno carattere industriale o produttivo - nei quali il perseguimento del profitto potrebbe porsi in contrasto con gli interessi pubblici che vengono in rilievo [7].

In particolare, nel settore dei beni culturali, come è stato da più parti osservato, vi sono attività, quale ad esempio la gestione dei servizi accessori (ad es. di ristorazione o di merchandising), che ben si conciliano con il perseguimento del profitto, mentre ve ne sono altre - la gestione di un museo, di un immobile, di un sito archeologico, le attività scientifiche di ricerca o le attività didattiche - nelle quali la massimizzazione del profitto indurrebbe ad una selezione market oriented degli obiettivi. Tale orientamento potrebbe confliggere con i due principi garantiti dall'art. 9 della Costituzione: la promozione della cultura - che dovrebbe avvenire anche mediante l'innalzamento della qualità e dell'accessibilità dell'offerta - e la tutela del bene culturale in sé - tutela che potrebbe, ad esempio, rendere necessaria l'introduzione di antieconomici limiti al numero giornaliero dei visitatori, oppure costose procedure di "decontaminazione" dei visitatori e di acclimatazione, o, ancora, comportare la non accessibilità al pubblico del bene per lunghi periodi di restauro, eccetera [8].

Ciò, tuttavia, non deve certamente portare all'esclusione del privato da tali "ambiti socialmente sensibili", ma dovrebbe indurre soltanto ad affermare che occorre distinguere tra soggetti privati in base agli obiettivi istituzionali che essi si pongono, e che quindi il ministero (o i soggetti pubblici in genere) in base a tali obiettivi deve selezionare i suoi interlocutori. Dunque, mentre possono essere affidate, come in effetti oggi avviene in base a quanto disposto dalla legge Ronchey, a soggetti che hanno quale obiettivo la massimizzazione del profitto attività a carattere imprenditoriale (le già citate attività di merchandising, di ristorazione, di vendita di pubblicazioni), per la gestione concreta del bene culturale, per lo svolgimento di attività scientifiche connesse, per le attività didattiche dovrebbero essere preferiti soggetti non-profit. Le fondazioni culturali private, in tale contesto, dovrebbero essere, per le loro caratteristiche istituzionali, gli interlocutori privilegiati del pubblico nell'affidamento del bene [9].

Invece, nonostante dall'articolo 10 del d.lg. 368/98 e dall'art. 32 della l. 23 dicembre 1998, n. 448 sia arrivato un messaggio forte anche alla completa esternalizzazione della gestione (addirittura nell'art. 32 si contempla non solo l'ipotesi dell'affidamento in concessione, ma anche quella ben più radicale della vendita del bene culturale), l'atteggiamento di diffidenza degli apparati ministeriali nei confronti di una privatizzazione sostanziale della gestione dei beni culturali non solo ha comportato una applicazione al momento piuttosto limitata del primo comma lett. a) dell'art. 10, ma ha anche indotto il governo, come vedremo, ad attribuire nell'ambito delle fondazioni miste un ruolo molto forte al ministero.

Il regolamento richiama l'istituto della fondazione "con personalità giuridica di diritto privato", che viene preferita agli altri due istituti partecipativi contemplati dal d.lg. 368/98: l'associazione e la società.

Com'è noto, nel nostro ordinamento la disciplina generale delle fondazioni di diritto privato è tracciata, pur se in modo piuttosto scarno, dagli artt. 12, 14-35 del codice civile [10]. Accanto a queste prescrizioni che lasciano, a dire il vero, molti aspetti solo accennati o del tutto scoperti, vi è una prassi ormai consolidata, anche in materia di beni culturali, che ha integrato significativamente i principi generali ed ha colmato almeno una parte delle lacune normative. Ciò è avvenuto, soprattutto, in tema di controlli interni, di previsione di altri organi fondazionali e di specificazione delle relative competenze, di redazione delle scritture contabili.

Il modello di fondazione proposto nel regolamento ha una struttura complessa, nella quale, accanto a caratteri tipici delle fondazioni private che gestiscono dei beni culturali, vi sono molti tratti anomali, primo fra tutti la forte caratterizzazione in chiave pubblicistica del ruolo del ministero che non può assolutamente essere paragonato (sia quantitativamente che qualitativamente) a quello che nelle strutture fondazionali ordinarie compete ai fondatori [11].

Occorre segnalare fin d'ora, inoltre, che il regolamento, raccogliendo un orientamento ormai comune nella prassi, disciplina una struttura fondazionale sostanzialmente aperta, che presenta, come vedremo, anche alcune caratteristiche proprie dell'associazione. Tale modello è denominato comunemente "fondazione di partecipazione".

 

2. I processi decisionali fra attribuzioni degli organi e poteri del Ministero.

L'analisi dei processi decisionali che presiedono alla gestione della fondazione mista può essere scomposta essenzialmente in due profili problematici la cui definizione occupa la gran parte del testo del regolamento: da un lato quello della composizione, delle caratteristiche e soprattutto delle funzioni degli organi fondazionali previsti dal regolamento (artt. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10), e dall'altro quello dei poteri e dell'ambito di ingerenza del ministero nella vita della fondazione (artt. 13 e 14). In particolare, l'esatta delimitazione del secondo fattore - i poteri del ministero - determina in concreto l'effettivo perimetro di autonomia della fondazione, autonomia che non consiste - o non dovrebbe consistere - soltanto nel distacco del patrimonio (bene culturale) dai fondatori/conferenti, ma anche nella capacità dell'organizzazione di gestire il bene assumendo tutte le decisioni che si rendono necessarie, senza condizionamenti e senza dover acquisire assensi esterni. In linea di principio, seguendo lo schema privatistico: processi decisionali, dunque, dovrebbero essere destinati ad esaurirsi in seno alla fondazione.

2.1. Gli organi della fondazione

Il regolamento, recependo un orientamento comune nella prassi, individua una pluralità di organi fondazionali con compiti diversi ed ulteriori rispetto a quelli posti in capo al semplice organo di amministrazione previsto dal codice civile (art. 18 cod. civ.). Tali organi supplementari, almeno in parte, devono sopperire alle carenze strutturali dell'istituto civilistico.

E' cosa comune infatti vedere negli statuti delle fondazioni private organi di controllo contabile e organi di consulenza scientifica. Mentre i primi hanno normalmente attribuzioni in materia di controllo della contabilità e di verifica della regolarità della gestione, i secondi, in virtù della consolidata esperienza professionale o accademica dei soggetti che vengono chiamati a comporli, affiancano il consiglio direttivo nelle scelte squisitamente tecniche e non di carattere propriamente gestionale. Si pensi, ad esempio, al caso frequente della selezione fra aspiranti ad un premio o ad una borsa di studio da svolgersi sulla base di un concorso che implichi la valutazione di elaborati.

Nello stesso senso, anche molte normative speciali (ad esempio la già citata legge sulle fondazioni liriche) prevedono l'esistenza di una molteplicità di organi, ed il fenomeno è tanto diffuso che lo stesso regolamento esplicitamente afferma di conformarsi al "principio della distinzione tra organi" (art. 4). E, alla stregua di tale principio, introduce e disciplina un cospicuo numero di organi fondazionali (sette) che sono: l'organo con funzioni di indirizzo (art. 6), il Presidente (art. 5), l'organo con funzioni di amministrazione (art. 7), l'organo di consulenza scientifica (art. 8), un organo di carattere assembleare destinato a riunire i partecipanti privati alla fondazione (art. 9), ed infine l'organo con funzioni di controllo (art. 10).

Il sistema decisionale che risulta da tale frazionamento è, ovviamente, piuttosto complesso e a tratti frammentario. In particolare, l'organo con funzioni di indirizzo (art. 6) è l'organo a carattere "politico" della fondazione: è infatti competente a determinare obiettivi e programmi ed a verificare i risultati della gestione, approva il bilancio, modifica lo statuto ed i regolamenti interni. E' altresì sua la competenza a nominare e revocare i componenti degli organi di amministrazione e di consulenza scientifica. La consistenza numerica di tale organo dev'essere determinata in maniera congrua dallo statuto, il quale deve altresì indicare criteri per la selezione dei componenti atti a garantire la partecipazione di personalità dotate di particolare professionalità, competenza ed esperienza e garantire un'equilibrata rappresentanza di ciascuno dei soggetti che partecipano alla fondazione [12].

L'organo con funzioni di amministrazione (art. 7) è incaricato di gestire in concreto la fondazione e ha facoltà di proposta e d'impulso, anch'esso è collegiale e devono essere previsti requisiti soggettivi atti ad assicurare la presenza di persone dotate di comprovata esperienza nel settore. E' assicurata allo statuto la possibilità di nominare un direttore generale.

L'organo di consulenza scientifica, denominato Comitato scientifico (art. 8), ha funzione consultiva con riguardo ai programmi di valorizzazione dei beni e promozione di attività culturali, ed ha funzioni di raccordo con il ministero. Esso, infatti, è incaricato di segnalare al ministero le attività della fondazione che siano difformi dagli obiettivi che, come vedremo, devono essere conseguiti a fronte del conferimento del bene culturale da parte del ministero stesso. Nei casi più gravi, ha potere di proporre la revoca della concessione d'uso dei beni conferiti. Tale organo dev'essere composto da personalità di riconosciuto prestigio nel campo della cultura e dell'arte [13].

I fondatori diversi dallo Stato possono essere riuniti in un organo collegiale, il cui compito è quello di designare i rappresentanti di tali fondatori negli organi di carattere propriamente amministrativo ("gli altri organi") della fondazione e di formulare periodicamente proposte e pareri in ordine alla gestione (art. 9).

La presenza di tale organo, unita all'assenza di precisazioni in ordine al momento ultimo in cui è possibile aderire alla fondazione, conferisce alla sessa una struttura aperta.

Del resto, come si è detto, nella prassi è da registrare una specie di "mutamento genetico" della fondazione che, da struttura soggettivamente chiusa e fossilizzata al momento iniziale della costituzione, sta acquisendo sempre più una composizione progressiva. Ciò avviene, in particolare, nel modello della "fondazione di partecipazione". Tale fondazione ha una struttura simile a quella dell'associazione nel senso che ad essa è possibile aderire anche in un momento successivo a quello della costituzione. I fondatori sopravvenuti (denominati "aderenti", "sostenitori", ecc.) hanno uno status particolare che si differenzia da quello dei fondatori veri e propri. Essi, infatti, non solo sono normalmente tenuti ad un versamento periodico, pena l'esclusione dalla fondazione, ma sono anche titolari di poteri gestionali indiretti. Sono previsti, come in questo caso, organi di carattere assembleare all'interno dei quali queste categorie di "soci" possono eleggere un numero predeterminato (e normalmente piuttosto contenuto) di rappresentanti che entrano a far parte degli organi di amministrazione veri e propri della fondazione [14].

I riferimenti contenuti nel regolamento riguardo alla struttura della fondazione, tuttavia, sono troppo scarni per poter desumere con certezza l'opzione a favore di un'organizzazione con base associativa diffusa. Del modello della fondazione di partecipazione, invece, il regolamento sembra avere accolto l'elasticità in ordine al momento dell'ingresso nella compagine fondazionale e adottato lo schema organico relativamente al raggruppamento di una particolare categoria di fondatori (gli eventuali partner privati).

L'organo con funzioni di controllo (art. 10) ha le classiche attribuzioni in ordine alla verifica delle scritture contabili, della corrispondenza ad esse del bilancio e dell'osservanza dei criteri di valutazione che l'art. 2426 cod. civ. stabilisce per la redazione del bilancio delle società per azioni.

I componenti dell'organo sono titolari, anche disgiuntamente, di poteri di ispezione e controllo e possono informarsi presso gli amministratori sull'andamento delle operazioni della fondazione.

L'organo di controllo deve informare immediatamente il ministero e - in base alla modifica dell'art. 10 operata in conformità al parere del Consiglio di Stato - qualora lo ritenga opportuno anche altri organi della fondazione, di tutte le irregolarità nella gestione che dovesse riscontrare o delle violazioni alle norme che regolano l'attività della fondazione. Nel determinare la composizione di tale organo, lo Statuto deve assicurare la presenza di almeno un componente designato dal ministero del Tesoro e di un componente designato dal ministero per i Beni e le Attività culturali.

La prima impressione che si ricava dall'analisi dell'apparato organico della fondazione è quella di una scarsa linearità dei processi decisionali. Infatti l'individuazione di un organo di rappresentanza e di coordinamento (il Presidente), di un organo di amministrazione, di un organo di controllo e di un organo di consulenza scientifica parrebbe sufficiente a garantire un'adeguata ripartizione dei compiti, al di là della particolarità dell'organo assembleare destinato a raccogliere i fondatori privati. La strutturazione minima prevista dal regolamento (il quale in più punti affida allo statuto il compito di prevedere eventuali altri organi) appare invece eccessivamente pesante e presenta alcune sovrapposizioni.

Questo risulta evidente con riguardo all'organo di indirizzo, le cui funzioni da un lato sono destinate a sovrapporsi alle prerogative normalmente proprie dei fondatori (ciò in particolare in tema di nomina dei membri degli organi fondazionali), e dall'altro paiono interferire con le funzioni dell'organo di amministrazione.

Per ciò che concerne il primo aspetto, il sistema piramidale in base al quale i fondatori nominano i loro rappresentanti nell'organo di indirizzo che, a sua volta, nomina i componenti degli organi di amministrazione e di consulenza scientifica sembra essere ingiustificato, almeno in una prospettiva di snellimento procedurale e di semplificazione.

Infatti, nell'ambito dei requisiti di imparzialità e competenza individuati dal ministero, non è chiaro per quale motivo non possa essere attribuita direttamente ai fondatori la nomina non solo dei loro rappresentanti negli organi di controllo e di indirizzo, ma anche in quelli di amministrazione e di consulenza scientifica.

Il sistema prescelto dal regolamento, inoltre, si presenta piuttosto macchinoso sol che si guardi alla nomina dei rappresentanti dei fondatori privati. Infatti, i fondatori diversi dal ministero e dagli altri soggetti pubblici individuati nell'art. 9 devono innanzitutto nominare i loro rappresentanti nell'organo assembleare, il quale è competente ad esprimere i propri membri nell'organo di indirizzo che, a sua volta, deve individuare i componenti degli organi di amministrazione e di consulenza scientifica.

L'adozione di questo schema incide anche (nel caso di designazione con voto a maggioranza) sulle concrete possibilità per i privati di veder nominati i rappresentanti da loro indicati nell'organo di amministrazione (oltre che in quello di consulenza scientifica), anche se, nelle nomine, l'organo di indirizzo deve garantire una adeguata rappresentanza dei fondatori "anche in funzione dell'entità dei rispettivi conferimenti" (art. 9, n. 3, lett. c).

Il regolamento, infine, disciplina la durata massima degli organi, che è fissata in 4 anni, e pone un limite alla confermabilità della carica (1 volta, per un totale complessivo di 2 mandati).

La spersonalizzazione che deriva da tale disposizione non è un tratto molto comune nelle fondazioni di diritto privato, nelle quali è piuttosto frequente che i fondatori si riservino (o riservino a soggetti da loro designati) un incarico vitalizio negli organi di amministrazione.

D'altra parte, l'introduzione di limiti stringenti alla durata della carica ed alla rinnovabilità della stessa e l'individuazione di requisiti soggettivi che assicurino, oltre alla moralità ed all'indipendenza, anche una spiccata competenza tecnica si configurano come dato indispensabile nelle fondazioni partecipate da soggetti istituzionali o pubblici. Infatti, in questo modo, secondo modelli ben noti alla dottrina che ha analizzato il fenomeno delle autorità amministrative indipendenti, si dovrebbe garantire maggiormente il perseguimento dei fini statutariamente propri della fondazione.

2.2. Il ruolo del ministero

Le attribuzioni degli organi fondazionali sono, poi, da coordinare con le funzioni del ministero il quale, nell'ambito della fondazione, si trova a rivestire una molteplicità di ruoli: innanzitutto vi è quello di fondatore, in secondo luogo quello di autorità governativa preposta dal codice civile al controllo sulle fondazioni di diritto privato, infine, esso è titolare di poteri speciali di controllo e di ingerenza nella vita della fondazione che di per se non spetterebbero, in base alla disciplina codicistica, né ai fondatori né all'autorità governativa.

Gli artt. 13 e 14 del regolamento disciplinano le prerogative del ministero nell'ambito della fondazione mista: l'art. 13 indica i poteri che competono al ministero durante tutta la vita dell'organizzazione, mentre l'art. 14 disciplina i poteri del ministero nell'ipotesi di scioglimento degli organi della fondazione e di eventuale estinzione della stessa.

Il lungo elenco dell'art. 13 che dovrebbe essere una semplice specificazione del potere di vigilanza del ministero individuato dal comma 1 [15], in realtà comprende prerogative molto differenti fra loro che certamente non si possono uniformare nell'ambito di un generale potere di vigilanza.

Poteri di vigilanza e di controllo sono certamente quelli previsti dalle lett. a), c), d) ed f) che riguardano tra l'altro l'approvazione delle modificazioni statutarie; l'ispezione e la richiesta di comunicazione di dati e notizie o l'esibizione di documenti; l'annullamento delle delibere contrarie a norme imperative, alla legge, all'atto di fondazione, all'ordine pubblico o al buon costume, annullamento del quale l'art. 25 cod. civ. incarica l'autorità governativa; la sospensione degli organi della fondazione e la nomina di un commissario.

Potremmo, invece, definire poteri di indirizzo o di gestione indiretta quelli di cui alle lett. b) ed e) che implicano l'adozione di atti a carattere generale aventi ad oggetti, fra l'altro, l'individuazione delle modalità di partecipazione dei privati; i requisiti soggettivi dei membri degli organi della fondazione e delle relative incompatibilità; le cause di sospensione dalla carica e di conflitto d'interessi; i parametri di sana e prudente gestione; l'indicazione circa la revisione e certificazione del bilancio.

Più problematica è la collocazione della lett. g) dell'art. 13 che disciplina la revoca della concessione d'uso del bene culturale. Infatti tale prerogativa - che confligge chiaramente con il principio civilistico della separazione del patrimonio della fondazione da quello del fondatore - non è propria di alcun fondatore di diritto privato, e neppure compete all'autorità governativa in quanto tale.

L'art. 14 disciplina, invece, l'ipotesi dello scioglimento degli organi fondazionali che può essere disposto dal ministero quando risultino gravi e ripetute irregolarità nella gestione o violazione di disposizioni di legge, amministrative o statutarie. Nel decreto ministeriale di scioglimento dev'essere disposta anche la nomina di uno o più commissari straordinari e di un comitato di sorveglianza composto di tre membri. Tale comitato ha il compito di vigilare sull'operato dei commissari che dovranno gestire la fondazione.

I commissari straordinari, previo parere del comitato di vigilanza e con l'autorizzazione del ministero, hanno fra l'altro il compito di proporre l'eventuale azione di responsabilità nei confronti dei componenti degli organi della fondazione. Durante il commissariamento le funzioni degli organi di indirizzo sono sospese.

In caso di impossibilità del raggiungimento dei fini statutari e negli altri casi previsti dallo statuto, il ministero può disporre, eventualmente su proposta dei commissari straordinari (art. 14, comma 3), lo scioglimento della fondazione (art 14, comma 6).

I poteri attribuiti al ministero dall'art. 14 ricalcano, in gran parte, quelli che gli artt. 25 e 27 pongono a carico dell'autorità governativa che presiede alla vita delle fondazioni di diritto privato. L'art. 25, comma 1 infatti, attribuisce a tale autorità, oltre al potere di annullamento delle delibere contrarie alla legge, all'atto di fondazione, all'ordine pubblico o al buon costume (potere che, come abbiamo visto sopra, è già richiamato dall'art. 13, comma 1, lett. d) del regolamento) anche il potere di scioglimento dell'organo di amministrazione (unico organo previsto dal codice) e di nomina di un commissario straordinario, "qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto e dello scopo della fondazione o della legge". La stessa autorità è competente ad autorizzare le azioni di responsabilità contro gli amministratori che saranno esercitate dal commissario straordinario, dai liquidatori o dai nuovi amministratori (art. 25, comma 3). L'art. 27 cod. civ., invece, stabilisce che l'estinzione della fondazione è dichiarata dall'autorità governativa, d'ufficio o su istanza di qualunque interessato.

Il ministero quindi influisce sulla vita della fondazione collocandosi in posizioni fra loro confliggenti: è regolatore, sia in base alla disciplina codicistica (è l'autorità governativa preposta ratione materiae al controllo sulle fondazioni culturali non regionali), sia in base alla normativa sui beni culturali che gli assegna specifici compiti di vigilanza (da ultimo, si veda il nuovo Testo Unico sui beni culturali, approvato con d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490) ed è fondatore cui, però, sono attribuite prerogative che normalmente non competono ai fondatori.

E, d'altra parte, l'attribuzione al ministero di cospicui poteri di indirizzo in ordine alle scelte essenziali dell'organizzazione si pone in contrasto con il principio di autonomia della fondazione, principio in base al quale, come si è detto, una volta che il bene oggetto del conferimento si è separato dal patrimonio del fondatore, questi non dovrebbe più interferire, almeno direttamente, nella vita e nelle scelte della persona giuridica che deve essere, invece, retta da organi di amministrazione tenuti, pena l'intervento dell'autorità governativa (che tanto è comunque il ministero), al perseguimento dei fini statutariamente previsti.

I processi decisionali della fondazione, dunque, al di là dei delicati equilibri interni fra soggetti pubblici e privati, dei quali poco si può dire in assenza di qualsiasi dato applicativo [16], sono destinati ad essere condizionati significativamente dall'esterno. Ciò è presumibile che avvenga non soltanto per via dell'esercizio da parte del ministero dei poteri che gli sono assegnati, ma anche a causa della coazione psicologica che la revoca della concessione del bene culturale può esercitare sugli altri partecipanti alla fondazione. Pare difficile che si arrivi ad un contrasto sostanziale sulle scelte di gestione, di fronte alla prospettiva dello scioglimento della fondazione per impossibilità di perseguimento dei fini statutari. I privati appariranno quindi destinati ad un ruolo che avrà più il carattere della sponsorizzazione che quello della partecipazione alla gestione, anche se, occorre evidenziarlo, saranno coinvolti nei profili di responsabilità che la gestione implica.

 

3. Il conferimento del bene culturale e l'autonomia finanziaria: presupposti necessari allo svolgimento dell'attività della fondazione mista

Il regolamento stabilisce che "il Ministero può partecipare al patrimonio delle fondazioni mediante il conferimento dei beni culturali che ha in consegna".

L'espressione è piuttosto ambigua, ma ha il pregio di lasciare massima libertà nell'individuazione dei beni che possono essere oggetto del conferimento a fondazioni miste da parte del ministero. In questo modo, non specificando il titolo in base al quale il ministero detiene il bene, si evita di circoscrivere eccessivamente l'ambito delle possibilità di conferimento e di compiere catalogazioni che possono rivelarsi problematiche [17].

Ciò, tuttavia, se da un lato non può avere, ovviamente, l'effetto di esimere il ministero dal verificare con precisione il titolo in base al quale esso stesso detiene il bene culturale e dall'acquisire l'assenso dell'eventuale proprietario (ed è facile immaginare che tale operazione potrà porre al ministero qualche problema esegetico, e forse comportare un rallentamento della procedura di costituzione della fondazione), d'altra parte non chiarisce quale sia il ruolo del soggetto pubblico effettivamente proprietario all'interno della fondazione, alla quale, in realtà, potrebbe direttamente partecipare accanto al (o senza il tramite del) ministero per i beni e le attività culturali.

Riguardo al conferimento, il codice civile (art. 16) si limita a specificare che l'atto costitutivo e lo statuto devono contenere l'indicazione del patrimonio e le modalità di erogazione delle rendite, oltre che, eventualmente, le norme relative alla devoluzione del patrimonio in caso di estinzione dell'ente. Qualora l'atto costitutivo o lo statuto non dispongano al riguardo, l'art. 31 cod. civ. stabilisce che sia l'autorità governativa a provvedere "attribuendo i beni ad altri enti che hanno fini analoghi".

Il regolamento integra la disciplina codicistica, innanzitutto predeterminando quali sono gli obiettivi che devono essere perseguiti dal ministero mediante il conferimento del bene culturale ad una fondazione eventualmente mista.

In primo luogo troviamo il principio dell'autofinanziamento del bene culturale (art. 2, comma 2, lett. a). Il ministero conferisce alla fondazione il bene culturale al fine di reperire i fondi necessari non solo alla sua conservazione, ma anche ad assicurare un'adeguata fruizione pubblica dello stesso (fondi dunque sufficienti a finanziare servizi igienici, personale, impianti di allarme, cioè tutto ciò che, qualora il bene fosse chiuso al pubblico, non sarebbe necessario per garantirne la semplice conservazione). Non è chiaro se tali fondi debbano, in ipotesi, derivare dal conferimento di eventuali altri partecipanti alla fondazione oppure se possano essere semplicemente il frutto di una gestione autonoma del bene culturale [18].

In secondo luogo, per il caso dei beni che nell'ambito di una gestione pubblica già siano autosufficienti e quindi abbiano raggiunto autonomamente il primo obiettivo, l'affidamento deve perseguire il miglioramento della fruizione o della conservazione (art. 2 lett. b).

Da ultimo, i beni possono essere conferiti dal ministero allo scopo di bilanciare il conferimento effettuato dagli eventuali "altri partecipanti alla fondazione" per integrare le attività di valorizzazione e di gestione realizzando, fra l'altro, economie di gestione (art. 2 lett. c). Questo è il caso, ad esempio, dei beni frazionati fra soggetti diversi [19].

Il regolamento disciplina poi la natura e le sorti del conferimento: il ministero conferisce in concessione e non in proprietà il bene culturale alla fondazione (art. 13, comma 1, lett. g) e art. 8, comma 2). Ciò implica che, nel caso in cui si arrivi all'estinzione della fondazione, come chiarisce l'art. 2, i beni conferiti dal ministero tornano nella disponibilità di quest'ultimo, mentre è affidato allo statuto il compito di definire le sorti del restante patrimonio della fondazione. Tale restante patrimonio potrebbe essere costituito, tra l'altro, anche da beni culturali o da frazioni di beni - si pensi alla lett. c) dell'art. 2 - conferiti da privati o da altri soggetti pubblici.

Ora, rimettere allo statuto o all'atto costitutivo tale determinazione significa che sia nel caso in cui i privati possano "negoziare" il loro ingresso fin dall'inizio, sia qualora essi subentrino in un momento successivo a quello della costituzione della fondazione - il che è ben possibile trattandosi, come si è detto, di un modello fondazionale aperto -, difficilmente sarà prevista una disciplina della sorte dei restanti beni della fondazione simmetrica rispetto a quella prevista per il conferimento del ministero.

In altre parole, è possibile che, secondo il modello codicistico e secondo quanto previsto negli statuti di molte fondazioni private, il patrimonio, in caso di scioglimento della fondazione, sia assegnato ad organizzazioni che abbiano fini analoghi.

Questa disparità di trattamento, unita al fatto che lo scioglimento della fondazione è determinato unilateralmente dal ministero il quale, eventualmente, può anche limitarsi a revocare la concessione in uso del suo bene (o della sua quota di bene, nel caso dell'art. 2 lett. d) potrebbe essere un elemento fortemente disincentivante per i privati, ma anche per gli altri soggetti pubblici, che vogliano partecipare alla fondazione conferendo altri beni culturali (o porzioni di essi).

Il bilanciamento da parte degli altri fondatori del conferimento del bene effettuato dal ministero, dunque, è probabilmente destinato, nella maggior parte dei casi, ad essere realizzato mediante risorse finanziarie.

Quanto alla consistenza di tale apporto, essa è da valutare ovviamente in rapporto al potere di influire concretamente sulle scelte della fondazione che ne deriva. Tale problema è correttamente affrontato dal regolamento in sede di definizione della rappresentanza dei soggetti privati in seno agli organi fondazionali. In particolare, il conferimento degli altri partecipanti alla fondazione è menzionato a proposito dell'organo con funzioni di indirizzo, il quale, nella nomina dei componenti degli organi di amministrazione e consulenza scientifica deve assicurare un'equilibrata rappresentanza dei soggetti che partecipano alla fondazione "anche in funzione dell'entità dei relativi conferimenti".

Come si può vedere, il testo normativo non dispone nulla circa la consistenza dell'apporto dei privati, o meglio, circa l'apporto finanziario minimo necessario a consentire la nomina di membri negli organi fondazionali. Tale genericità, correttamente, rimette questa decisione all'autonomia negoziale delle parti - qualora l'ingresso di soggetti diversi dal ministero avvenga al momento della costituzione della fondazione - e, in ogni caso, consente di determinare la proporzione dell'apporto dei privati in funzione delle esigenze concrete dello specifico bene culturale oggetto di conferimento e di tenere conto della ipotetica capacità del bene culturale di autofinanziarsi o del richiamo pubblicitario che eventualmente esso sia in grado di garantire.

E' evidente il passo avanti che è stato fatto rispetto al testo della legge sulle fondazioni liriche (cfr. art. 10, comma 3, d.lg. 367/1996, come modificato dall'art. 4 d.lg. 134/1998), il quale, com'è noto, prevede in dettaglio l'importo (almeno il 12% del totale dei finanziamenti statali per i tre anni successivi all'ingresso nella fondazione) che i privati devono corrispondere per vedersi garantito un posto nel consiglio di amministrazione. Tale rigidità ed uniformità di conferimento, criticata dalla dottrina e rivelatasi, almeno in parte, fallimentare nella prassi, non tiene in alcuna considerazione le profonde differenziazioni che vi sono fra realtà qualitativamente e geograficamente diverse [20].

Quanto al profilo dell'autonomia finanziaria, esso è strettamente connesso al tema dell'attività che la fondazione sarà chiamata a compiere. Infatti, com'è ovvio, le risorse necessarie al sostentamento dell'organizzazione possono essere molto diverse, a seconda che si tratti di gestire un bene culturale, di gestirlo soltanto limitatamente ad alcuni profili, di svolgere esclusivamente attività di carattere strumentale (ad es. organizzazione di eventi) oppure ancora di erogare i c.d. servizi accessori. Nel caso delle fondazioni miste del regolamento, come abbiamo visto, l'ambito di attività è definito, almeno in parte, in sede di individuazione delle finalità del conferimento del bene. Alla fondazione, quindi, verrà affidata la gestione integrale del bene indispensabile per garantirne la conservazione, la fruizione pubblica e l'integrazione delle attività di gestione e di valorizzazione. In base all'attuale testo dell'art. 11, comma 3, la fondazione può altresì svolgere direttamente i c.d. servizi aggiuntivi di cui all'art. 4 del d.l. 433/1992, convertito con l. 4/1993 e all'art. 47-quater del d.l. 41/1995.

In proposito, occorre ricordare che il testo di regolamento che si sta commentando non è ancora in versione ufficiale, è auspicabile pertanto che in sede di pubblicazione tale norma sarà integrata e coordinata con quanto disposto dagli artt. 100, 103, 104, 105, 112, 113 e 166 del nuovo Testo Unico sui beni culturali (d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490), il quale, com'è noto, oltre ad abrogare totalmente l'art. 47-quater del d.l. 41/1995 ed in parte l'art. 4 del d.l. 433/92, detta una nuova disciplina delle modalità e dei limiti alla concessione dei servizi complementari rispetto alla gestione del bene culturale.

Al riguardo, pare auspicabile una deroga, a favore delle fondazioni miste, della disciplina delle concessioni di cui all'art. 113 del Testo Unico, nella quale vengono posti limiti temporali al rinnovo delle stesse (l'affidamento quadriennale può essere rinnovato soltanto due volte). Infatti, è bene evidenziare che, in base ai dati forniti dal ministero a proposito degli esiti dell'applicazione del d.l. 433/1992, dai servizi accessori possono, soprattutto nel caso di strutture museali di grande visibilità, provenire introiti consistentemente superiori rispetto ai proventi della vendita dei biglietti d'ingresso.

Accanto ai proventi dell'eventuale gestione diretta dei servizi accessori, le fonti del sostentamento della fondazione individuate dall'art. 11, sono costituite dai redditi del patrimonio, da sponsorizzazioni ed altre erogazioni private, da finanziamenti pubblici e dall'espletamento di attività strumentali mediante società di capitali delle quali si dirà nel prossimo paragrafo.

 

4. La dimensione sostanziale della privatizzazione: il ruolo degli altri fondatori. La scelta dei partner privati

Il profilo della partecipazione alla fondazione di soggetti privati o pubblici diversi dal ministero è in assoluto il più incerto. Infatti, da un lato i riferimenti nel testo del regolamento sono piuttosto scarsi, e, dall'altro, è difficile immaginare quale sarà l'orientamento del ministero cui è affidata espressamente la definizione delle modalità concrete di tale partecipazione (art. 13, comma 1, lett. b), n. 1). Ovviamente, l'indeterminatezza della norma consentirà al ministero di definire in ogni situazione concreta l'esatto perimetro dell'eventuale ruolo da assegnare agli altri fondatori.

Quanto ai dati testuali, il regolamento contempla l'ipotesi della partecipazione alla fondazione di soggetti diversi dal ministero solamente in tre punti (oltre al citato art. 13). Innanzitutto, come abbiamo visto, nell'art. 2 lett. c), quando indica fra gli obiettivi del conferimento anche quello dell'integrazione delle attività di gestione e valorizzazione dei beni conferiti dal ministero con i beni "conferiti dagli altri partecipanti alla fondazione". In secondo luogo, nell'art. 6 lett. c), quando descrive la composizione dell'organo di indirizzo specificando che deve essere assicurata un'equilibrata rappresentanza di "ciascuno dei soggetti che partecipano alla fondazione, anche in funzione dell'entità dei rispettivi conferimenti". Infine, nell'art. 9 ove viene prevista la facoltà dello statuto di istituire un organo specifico "composto dai partecipanti alla fondazione diversi dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali, con il compito di designare i propri rappresentanti negli organi della persona giuridica e di formulare periodicamente proposte e pareri circa l'attività della fondazione".

Com'è evidente, il regolamento lascia scoperti alcuni aspetti essenziali che, in parte, sono già stati considerati a proposito della composizione degli organi e del conferimento, e in parte devono essere ancora segnalati.

In particolare ci si riferisce al tema delle modalità di scelta degli eventuali partner privati, tema che comprende sia l'eventuale individuazione di requisiti soggettivi necessari alla partecipazione alla fondazione (ad esempio il carattere non-profit degli eventuali altri fondatori, oppure la necessità di un'esperienza specifica in ordine alla gestione o valorizzazione di beni culturali, ecc.), sia il complesso problema delle procedure di selezione. Quanto a questo secondo aspetto, sembrerebbe di potersi escludere la necessità di adottare procedure di carattere concorsuale (oltre che per le specifiche obiezioni mosse ad un'interpretazione analogica della disciplina delle gare) sulla base del fatto che la scelta di un modello non-profit (e il carattere non-profit della fondazione mista è chiaramente affermato all'art. 11, comma 4 [21]), pone la gestione del bene culturale completamente al di fuori di ogni logica di profitto e rende inestensibili, concettualmente prima che esegeticamente, le norme ed i principi elaborati dalla giurisprudenza in altri ambiti (in particolare in materia di scelta del socio privato nelle società preposte alla gestione di servizi pubblici locali) [22].

Diverso e più complesso è, invece, il caso del comma 2 dell'art. 11, il quale disciplina la costituzione o partecipazione da parte della fondazione a società di capitali che svolgano in via strumentale ed esclusiva attività dirette al perseguimento degli scopi statutari.

Difficile è contestualizzare esattamente tale norma ed immaginare l'applicazione che in concreto ne verrà fatta. In generale, è da chiarire quali ragioni rendano necessaria la costituzione di un soggetto ulteriore, for-profit, esterno alla fondazione e che sia finalizzato esclusivamente a svolgere attività strumentali rispetto all'attività della stessa.

Una chiave di lettura può senz'altro essere quella che collega tale norma al successivo comma 3. Il comma 3 dell'art.11 stabilisce che la fondazione può svolgere direttamente i c.d. servizi accessori previsti dal decreto Ronchey e dall'art. 47-quater del d.l. 41/1995 (tale articolo, come si è detto è stato abrogato dal nuovo testo unico). Pare ipotizzabile che la fondazione, qualora non voglia svolgere direttamente - sia per mancanza di capitali, sia per mancanza di specifiche competenze - i c.d. servizi accessori (ad es. servizi di caffetteria, gestione di bookshops, attività di merchandising, attività editoriali), scelga un partner in grado di apportare le risorse necessarie.

In questo caso, sarebbe da valutare con attenzione il problema della necessarietà e/o opportunità dell'utilizzo di procedure di gara per la selezione del socio privato che accanto alla fondazione sarà chiamato ad offrire, attraverso la società di capitali, un'attività chiaramente a carattere imprenditoriale. Al riguardo è da chiedersi se la fondazione (che è comunque un soggetto di diritto privato anche se partecipata esclusivamente dal ministero) sia tenuta ad utilizzare procedure di gara per la selezione dei suoi partner [23].

Infine resta comunque in ombra, al di là delle considerazioni che frammentariamente si sono svolte, quale sarà in concreto il ruolo dei privati all'interno delle fondazioni miste.

Ci si chiede se essi avranno, come sembra, mero ruolo di finanziatori che, però, a differenza degli sponsor, hanno anche un certo controllo sulla destinazione finale dei fondi conferiti, oppure se saranno protagonisti della gestione di una parte del patrimonio culturale pubblico. Tale aspetto, in realtà, potrà essere chiarito soltanto alla luce di qualche dato applicativo.

Il regolamento stesso, infatti, pare risolvere le incertezze rimandando e demandando agli statuti l'individuazione dell'effettiva dimensione della privatizzazione dei beni culturali.



Note

[1] E. Bruti Liberati, Il Ministero fuori dal Ministero, in Aedon 1/1999.

[2] Si veda l'intervento di O. Forlenza alla giornata di studio su "L'istituzione del Ministero per i Beni e le Attività culturali nel quadro delle riforma amministrative" organizzato da Aedon il 9 marzo 1999, in Aedon 1/1999. In tale intervento risulta evidente come il privato è considerato dagli apparati ministeriali quale latore di "risorse aggiuntive" di carattere esclusivamente finanziario, quale sponsor come tale interessato soltanto alla visibilità pubblicitaria ed al risparmio fiscale.

[3] In proposito, occorre tuttavia ricordare l'esperienza fallimentare del d.lg. 29 giugno 1996, n. 367 sulla trasformazione degli enti lirici, che condizionava la trasformazione in chiave privatistica dell'organizzazione alla partecipazione ad essa di soggetti privati. Com'è noto, il d.lg. 367/96 è stato modificato anche in tale disposizione dal d.lg. 134/98. Per un commento si rinvia a A. Serra, La difficile privatizzazione delle fondazioni liriche: strumenti pubblici e presenza privata, in Aedon, 2/1998.

[4] Da Privatizzare la cultura, raccomandazioni conclusive al Convegno di Amsterdam del 1997 su Privatizzazione della cultura: limite o opportunità per lo sviluppo culturale dell'Europa?, in Economia della cultura, 1997, 178 ss. Nello stesso senso si esprime M. Trimarchi in Privatizzare la cultura in Italia: obiettivi, vincoli ed effetti, in Economia della cultura, 1997, 192 ss. il quale avanza l'ipotesi che per privatizzazione si intenda "l'inserimento di una sostanziale libertà sul piano organizzativo, in nome della quale ogni istituzione culturale possa scegliere la forma giuridica, la struttura amministrativa e i processi decisionali che più efficacemente le consentono di interagire con il resto dell'economia, con le istituzioni pubbliche e con le imprese private".

[5] Si vedano, per un'analisi del fenomeno della c.d. privatizzazione formale, anche se con riguardo a settori differenti da quello dei beni culturali e degli enti non-profit, M. Cammelli e A. Ziroldi, Le società a partecipazione pubblica nel sistema locale, Rimini, 1997, in particolare 20 ss. e M. Renna Le società per azioni in mano pubblica, Torino, 1997. Con specifico riferimento al settore dei beni culturali, si vedano invece: A. Serra, Il regime dei beni culturali di proprietà pubblica, in Aedon, 2/1999; C. Bodo, Finanziamenti pubblici o privati? Considerazioni sulle strategie di privatizzazione, intervento al Convegno di Amsterdam del 1997 sul tema Privatizzazione della cultura: limite o opportunità per lo sviluppo culturale dell'Europa?, in Economia della cultura, 1997, 181 ss., e M. Trimarchi, Privatizzare la cultura in Italia: obiettivi, vincoli ed effetti, in Economia della cultura, 1997, 192 ss.

[6] M. Cammelli e A. Ziroldi, op cit., 20.

[7] R. Pini, Sussidiarietà ed essenzialità nei servizi pubblici, in Il diritto dell'economia, 1997, 47 ss.; E. Bruti Liberati, op. cit.

[8] Si vedano M. Trimarchi, Privatizzare la cultura in Italia: obiettivi, vincoli ed effetti; C. Bodo, Finanziamenti pubblici o privati? Considerazioni sulle strategie di privatizzazione, in Economia della cultura, 1997; G. Penella e M Trimarchi, Introduzione: il ruolo dello Stato nel settore culturale, in Stato e mercato nel settore culturale, Bologna, 1993, 7 ss.

[9] Si veda F. Roversi Monaco, Interessi pubblici e interessi privati nella disciplina e nella attività delle fondazioni. Gli enti privati di interesse pubblico, in Vita Notarile, 1998, 1388 ss. Si vedano anche G. Clemente di San Luca, Volontariato e non-profit sector nel quadro del sistema giuridico-istituzionale italiano con specifico riguardo al settore culturale, in Regione e governo locale, 1995, 1003 ss.; M. Spasiano, Enti non lucrativi a rilevanza pubblica, in Diritto amministrativo, 1994, 263 ss.; S. de Gotzen, Organizzazioni di volontariato: relazioni con le amministrazioni pubbliche, in Le Regioni, 1997, 575 ss.

[10] Sulla fondazione di diritto privato si vedano, fra i molti, F. Galgano, Fondazione, voce in Enc. Giur., XIV, 1989; G. Iorio, Le fondazioni, Milano, 1997; D. Guzzi, Le fondazioni. Perché crearle, come gestirle, Milano, 1995; A. Fusaro, Fondazione, voce in Digesto discipline privatistiche. In particolare, invece, sulle fondazioni culturali, si vedano F.L. Cavazza, Le fondazioni indipendenti a fini culturali, in Queste Istituzioni, 1993, 78; E. Bellezza e F. Florian, Le fondazioni del terzo millennio. Pubblico e privato per il non-profit, Firenze, 1998; D. Vittoria, Le fondazioni culturali ed il consiglio di amministrazione. Evoluzione della prassi statutaria e prospettive della tecnica fondazionale, in Rivista di diritto commerciale, 1975, 298 ss.

[11] Su questo tema utili spunti di riflessione possono essere tratti, per analogia dei principi generali, dalla disciplina delle Spa pubbliche. Si veda M. Renna, Le spa in mano pubblica, cit.

[12] All'organo con funzioni di indirizzo è affidata anche la nomina, fra i suoi componenti, del presidente della fondazione (art. 5), il quale ultimo ha, fra l'altro, il compito di presiedere tale organo e l'organo con funzioni di consulenza scientifica. Il presidente è il legale rappresentante della fondazione, e può, nei casi di necessità e urgenza, compiere gli atti di indirizzo, salvo poi sottoporli alla ratifica dell'organo competente.

[13] Il regolamento demanda allo statuto l'eventuale nomina di ulteriori organi di carattere scientifico.

[14] Sul punto si veda E. Bellezza e F. Florian, Le fondazioni del terzo millennio, Firenze 1998.

[15] Che testualmente recita "il Ministero esercita la vigilanza sulle fondazioni oggetto del presente regolamento. In particolare...".

[16] Anche se, al riguardo possono valere, almeno in parte, le considerazioni svolte dalla dottrina con riferimento al rapporto tra soci pubblici e privati all'interno di società di capitali a composizione mista. In particolare, si vedano M. Renna, Le società per azioni in mano pubblica, cit, 182 ss. e M. Cammelli e A. Ziroldi, Le società a partecipazione pubblica nel sistema locale, cit., 141 ss.

[17] Sul punto, alcune osservazioni sono state espresse da G. Iudica nella relazione alla Tavola Rotonda su "Pubblico e privato nel settore dell'attività culturali" tenutasi nell'Università Bocconi di Milano il 15 dicembre 1999 (atti in corso di pubblicazione).

[18] Su quest'ultimo aspetto, cioè sui risultati cui una gestione autonoma del bene culturale può condurre, si vedano le considerazioni svolte ed i dati riferiti da G. Gherpelli, L'autonomia pilota: l'esperienza di Pompei, in Aedon, 1/1999.

[19] Normalmente ciò avviene fra soggetti pubblici. Si pensi alla Villa Reale di Monza i cui proprietari sono il ministero per i Beni e le Attività culturali, da un lato, ed i comuni di Monza e di Milano dall'altro. In questo caso, il conferimento ad una fondazione comune consentirebbe di integrare le attività di gestione e di valorizzazione delle diverse porzioni del bene, assicurando ad esso una gestione unitaria e concordata.

[20] Sul punto si veda A. Serra, La difficile privatizzazione delle fondazioni liriche: strumenti pubblici e presenza privata, in Aedon, 2/1998.

[21] Il carattere della non lucratività della fondazione è inteso non tanto come impossibilità di produrre utili, quanto piuttosto come impossibilità di destinarli a scopi diversi da quelli statutariamente propri dell'ente. Tale definizione è individuata normativamente con chiarezza, per la prima volta, nel d.lg. 4 dicembre 1997, n. 460 che detta la disciplina delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus). Per un commento si veda C. Bises, Il trattamento fiscale delle organizzazioni culturali non-profit, in Economia della cultura, 1999, 40.

[22] Sul problema dell'individuazione delle modalità di scelta dei partner privati nel settore dei beni culturali, si veda E. Bruti Liberati, Il Ministero fuori dal Ministero, in Aedon, 1/1999.

[23] Problema analogo si è posto, in materia di erogazione dei servizi pubblici locali, nel caso in cui società per azioni a partecipazione pubblica abbiano costituito una nuova società con uno o più soggetti privati.



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