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Digitalizzazione del patrimonio culturale e IA

L’amministrazione digitale della tutela: opportunità e sfide dei processi in atto [*]

di Annamaria Pentimalli Biscaretti di Ruffia e Valentina Sessa [**]

Sommario: 1. La transizione digitale del ministero della Cultura. - 2. La digitalizzazione dei procedimenti di tutela del patrimonio culturale: gli obiettivi al 2026. - 3. Potenzialità e limiti degli strumenti tecnici. - 4. Stato dell’arte e sfide per l’amministrazione. - 5. Le ricadute della transizione digitale sull’esercizio delle funzioni amministrative. - 6. Conclusioni.

L’articolo analizza la trasformazione digitale delle procedure amministrative del ministero della Cultura italiano, con specifico riguardo alle riforme attuate nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Particolare attenzione è dedicata all’impatto istituzionale delle piattaforme digitali - come il “Portale dei Procedimenti e dei servizi al cittadino” e l’infrastruttura I.Pac - Infrastruttura e servizi digitali per il patrimonio culturale - sull’esercizio della discrezionalità tecnica da parte dei funzionari pubblici. L’analisi evidenzia come l’integrazione di tecnologie semantiche, sistemi basati sull’intelligenza artificiale e banche dati interoperabili rimodelli i processi decisionali, spostando il centro di competenza e alterando i confini tradizionali tra giudizio tecnico e responsabilità amministrativa. L’articolo intende così evidenziare che la digitalizzazione non solo migliora la trasparenza e l’efficienza, ma ridefinisce anche i quadri cognitivi e procedurali all’interno dei quali vengono effettuate le valutazioni discrezionali. In tal modo, viene posta in luce la necessità di predisporre meccanismi di governance robusti, ecosistemi di dati di alta qualità e standard guidati da esperti per garantire che la trasformazione migliori, anziché limitare, le decisioni informate e responsabili in materia di politica culturale.

Parole chiave: amministrazione digitale; ministero della Cultura; Piano nazionale di ripresa e resilienza; meccanismi di governance.

Digital administration of protection: opportunities and challenges of current processes
This article investigates the digital transformation of administrative procedures in the Italian Ministry of Culture, with a focus on the reforms implemented under the National Recovery and Resilience Plan (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza - Pnrr). Particular attention is devoted to the institutional impact of digital platforms - such as the “Portale dei Procedimenti e dei servizi al cittadino” and the I.Pac infrastructure - Infrastruttura e servizi digitali per il Patrimonio Culturale - on the exercise of technical discretion (discrezionalità tecnica) by public officials. The analysis highlights how the integration of semantic technologies, AI-driven systems, and interoperable databases reshapes decision-making processes, shifting the locus of expertise and altering traditional boundaries between technical judgment and administrative responsibility. The article argues that digitization not only improves transparency and efficiency, but also redefines the cognitive and procedural frameworks within which discretionary assessments are made. In doing so, it underscores the need for robust governance mechanisms, high-quality data ecosystems, and expert-driven standards to ensure that the transformation enhances, rather than constrains, informed and accountable cultural policy decisions.

Keywords: Digital administration; ministry of Culture; National recovery and resilience plan; governance mechanisms.

1. La transizione digitale del ministero della Cultura

Da oltre un ventennio è in atto il processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione, a partire da una delle sue fonti normative principali, il Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nato con l’obbiettivo di assicurare “la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale” e poi seguito da molteplici altri atti, sia normativi sia amministrativi, i quali sono andati via via disciplinando l’applicazione delle nuove tecnologie all’attività della pubblica amministrazione.

Indubbiamente negli anni l’evoluzione tecnologica è stata estremamente rapida e, anzi, poiché può definirsi in continua evoluzione, apre sempre nuove frontiere, a fronte delle quali è stato accelerato e incrementato il processo di transizione digitale delle strutture amministrative del Paese.

La digitalizzazione della pubblica amministrazione viene infatti considerata uno dei nodi strategici per il futuro svolgimento dell’attività amministrativa e, per realizzarla, il governo da un lato ha posto in essere iniziative volte ad agire sugli aspetti di “infrastruttura digitale”, ad esempio spingendo la migrazione al cloud delle amministrazioni, accelerando l’interoperabilità tra gli enti pubblici, snellendo le procedure secondo il principio “once only” [1] e rafforzando le difese di cybersecurity; dall’altro, sta tentando di estendere i servizi ai cittadini, migliorandone l’accessibilità alle informazioni e adeguando i processi prioritari delle pubbliche amministrazioni agli standard condivisi da tutti gli Stati membri dell’Unione Europea.

In particolare il Pnrr prevede sette principali investimenti che vanno in questa direzione: infrastrutture digitali, abilitazione e facilitazione migrazione al cloud, dati e interoperabilità, servizi digitali e cittadinanza digitale, cybersecurity, digitalizzazione delle grandi amministrazioni centrali, Competenze digitali di base.

Le misure investono trasversalmente vari settori della pubblica amministrazione e sono suscettibili di provocare ricadute importanti anche in settori ad alta complessità procedurale, ivi incluso quello culturale, tanto che tra le iniziative attuative del Pnrr, e in particolare di quella specifica linea di investimento alla cultura denominata “PNRR Cultura”, è stata inserita l’implementazione del ricorso alle tecnologie digitali.

Più specificamente, il “PNRR Cultura” (missione 1, digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo, componente 3, turismo e cultura 4.0) mira a rafforzare il ruolo della cultura come motore di sviluppo sostenibile, mediante un investimento complessivo pari a 6,68 miliardi di euro, articolato in vari ambiti: dalla rigenerazione di borghi storici all'efficienza energetica dei luoghi della cultura, fino alla valorizzazione dell'industria culturale e creativa [2]. In questo contesto si prevedono, a sostegno del patrimonio culturale, investimenti per creare un patrimonio digitale della cultura, vale a dire, da una parte, per digitalizzare il patrimonio culturale [3], favorendo la fruizione delle informazioni raccolte e, dall’altra, per favorire lo sviluppo di servizi da parte del settore culturale/creativo.

Di particolare rilevanza, ai fini del presente contributo, è l’investimento 1.1 “Strategie e piattaforme digitali per il patrimonio culturale” che rappresenta una delle linee strategiche più significative per la transizione digitale del settore culturale, con una dotazione finanziaria complessiva pari a 500 milioni di euro. L’intervento è coordinato dall’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale - Digital Library, creato nel 2020 proprio con l’obiettivo di coordinare e promuovere i programmi di digitalizzazione del patrimonio culturale di competenza del ministero della Cultura [4], in particolare attraverso il piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale del ministero [5].

L’investimento si articola in dodici sub-investimenti e risponde a diversi obbiettivi: colmare i divari territoriali e infrastrutturali-digitali tra le strutture centrali e periferiche del ministero [6], potenziare le capacità digitali di musei, archivi e biblioteche, favorire lo sviluppo di un ecosistema digitale culturale interoperabile, accessibile e sostenibile. Tra le priorità, si evidenziano il rafforzamento del potenziale delle banche dati e collezioni digitali, anche in una logica di valorizzazione scientifica e di edutainment [7]; la promozione dell’accessibilità a lungo termine agli archivi e ai contenuti digitalizzati; l’attivazione di meccanismi di trasferimento tecnologico tra ricerca, impresa e pubblica amministrazione, anche a beneficio di Pmi e start-up innovative; la crescita di un mercato complementare di servizi culturali per le piccole e medie imprese e le start-up innovative; la facilitazione del trasferimento delle innovazioni di ricerca e sviluppo (R&S) nella pratica del patrimonio culturale; la riduzione delle inefficienze e l’abbassamento dei costi di gestione attraverso la razionalizzazione dei sistemi informativi esistenti, attraverso il superamento delle duplicazioni, l’adozione di soluzioni cloud, la dematerializzazione degli archivi cartacei e la digitalizzazione di procedure e processi; la semplificazione del rapporto tra enti pubblici, cittadini e imprese attraverso la ridefinizione delle procedure di settore e l’attivazione dei servizi online [8].

Tali obbiettivi, a ben vedere, delineano non solo la volontà di creazione di un ecosistema digitale culturale interoperabile, accessibile e sostenibile, ma anche la convinzione di poter ottimizzare le modalità di esercizio del potere amministrativo. Gli interventi finanziati, dunque, lungi dall’essere semplicemente una “informatizzazione” delle strutture amministrative, costituiscono l’opportunità di innovare sul piano sostanziale l’attività amministrativa, rendendo il settore dei beni culturali un ambito sperimentale di un processo potenzialmente in grado di investire qualsiasi apparato amministrativo.

La scadenza del 2026, indicata come traguardo operativo del Pnrr, impone a tale trasformazione un ritmo accelerato, ma al contempo offre l’occasione per risolvere inefficienze storiche e ripensare i procedimenti autorizzativi in un’ottica di qualità e responsabilità.

Tuttavia, l’attuazione di questo disegno richiede al ministero uno sforzo particolare, volto a riorganizzare non solo i propri processi interni e i servizi al pubblico secondo logiche digital-first in grado di coniugare una tutela efficace e il miglioramento dell’accesso ai servizi culturali, ma anche a ripensare lo stesso esercizio delle proprie prerogative amministrative.

Il presente contributo si prefigge dunque di analizzare, pur in sintesi, gli interventi previsti a favore della transizione digitale nel settore della cultura, con particolare attenzione a quelli in grado di incidere sullo svolgimento dell’attività amministrativa, allo scopo sia di ricostruire l’avanzamento di tale processo [9], sia di evidenziarne potenzialità e limiti rispetto all’esercizio della funzione amministrativa in ambito culturale.

Nei paragrafi che seguono, quindi, si analizzeranno dapprima gli interventi di digitalizzazione previsti e il loro stato attuale di avanzamento, delineando cosa è stato realizzato sinora e cosa è previsto entro il 2026, quali innovazioni dovranno essere recepite dall’amministrazione dei beni culturali e con quali strumenti. Si approfondirà poi l’impatto che la transizione digitale potrà avere sull’esercizio delle funzioni amministrative del ministero della Cultura.

2. La digitalizzazione dei procedimenti di tutela del patrimonio culturale: gli obiettivi al 2026

Come ricordato, negli ultimi anni il processo di digitalizzazione nel settore dei beni culturali ha subito un’accelerazione, in parte stimolata dalle riforme connesse al Pnrr, ma il sistema si trova ancora in una fase evolutiva non pienamente consolidata.

Tra gli strumenti attualmente impiegati nell’ambito della gestione documentale e dei procedimenti amministrativi da parte delle Soprintendenze Abap, un ruolo centrale è svolto dal sistema Giada - “Gestione informatizzata e archiviazione digitale accessibile”, il sistema ufficiale di protocollo informatico e gestione documentale adottato dal ministero della Cultura per le sue aree organizzative omogenee (Aoo) [10], progettato per garantire la registrazione, classificazione, fascicolazione, assegnazione e archiviazione dei documenti amministrativi. L’introduzione di Giada ha avuto inizio nel 2019, con una progressiva estensione agli istituti periferici, tra cui gli archivi di Stato, le soprintendenze e le direzioni generali, con l’obiettivo di rendere più efficiente e trasparente l’azione amministrativa, assicurando la tracciabilità e l’accessibilità dei flussi documentali all’interno delle strutture del ministero.

Dal punto di vista normativo, Giada è stato progettato per rispondere ai principali standard di digitalizzazione in ambito pubblico. In particolare, è conforme al Codice dell’amministrazione digitale (Cad) di cui al d.lg. n. 82/2005 che stabilisce i princìpi fondamentali per la formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici. Il Cad impone alle pubbliche amministrazioni obblighi specifici in materia di interoperabilità, sicurezza, validità giuridica e accessibilità dei documenti digitali. In particolare si evidenziano, a proposito del principio Digital first, l’articolo 40 (formazione di documenti informatici), l’articolo 41 (procedimento e fascicolo informatico), con riguardo alla conservazione strutturata in accordo con regole tecniche, l’articolo 42 (dematerializzazione dei documenti delle pubbliche amministrazioni), l’articolo 43 (conservazione ed esibizione dei documenti) e l’articolo 44 (requisiti per la gestione e conservazione dei documenti informatici), in merito alla validità legale e alla trasmissione e firma digitale, l’articolo 20 (validità ed efficacia probatoria dei documenti informatici), l’articolo 21 (ulteriori disposizioni relative ai documenti informatici, sottoscritti con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale), l’articolo 45 (valore giuridico della trasmissione) e l’articolo 65 (istanze e dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni per via telematica), nonché a proposito della sicurezza e tutela contro rischi informatici, l’articolo?51 (sicurezza e disponibilità dei dati, dei sistemi e delle infrastrutture delle pubbliche amministrazioni).

Inoltre, il sistema è conforme al testo unico sulla documentazione amministrativa (d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445), che riconosce valore legale ai documenti informatici, purché prodotti e conservati secondo le regole tecniche definite da Agid. Tali disposizioni sono dettagliate nelle linee guida Agid emanate ai sensi dell’art. 71 del Cad, ai sensi del quale “l’AgID, previa consultazione pubblica [...] adotta linee guida contenenti le regole tecniche e di indirizzo per l’attuazione del presente Codice [...]”. L’ultima versione di queste Linee Guida, pubblicata nel giugno 2024, sostituisce quella del 2020 e recepisce le evoluzioni del quadro normativo e tecnologico. Essa stabilisce i requisiti fondamentali di autenticità, integrità, leggibilità e reperibilità, definisce un sistema di conservazione articolato in pacchetti di versamento, archiviazione e distribuzione, e impone l’utilizzo di formati standard (pdf/a, xml, csv) corredati da metadati strutturati. Le principali novità includono l’obbligo per tutte le pubbliche amministrazioni di pubblicare il Manuale di gestione documentale e il Manuale di conservazione, il rafforzamento dei ruoli organizzativi, in particolare quelli del Responsabile della conservazione e del responsabile della gestione documentale, con funzioni formalizzate, distinte e soggette a tracciabilità e le prescrizioni più stringenti in materia di interoperabilità, audit, monitoraggio e sicurezza dei sistemi, inclusa la tracciabilità delle operazioni, l’uso di formati interoperabili e la gestione dei registri di controllo.

Infine, Giada rispetta le prescrizioni contenute nel regolamento (Ue) 2016/679 in materia di protezione dei dati personali (Gdpr), che impone vincoli precisi in materia di protezione dei dati personali, con particolare riferimento alla sicurezza del trattamento e alla minimizzazione dei dati, applicabili anche ai sistemi documentali interni.

Tuttavia, nonostante l’adozione di tale strumento rappresenti un passo significativo verso la digitalizzazione, il sistema mostra al momento alcuni limiti strutturali. In particolare, la sua funzione resta in larga parte circoscritta alla gestione interna dei documenti e alla protocollazione, senza coprire l’intero ciclo del procedimento amministrativo e senza offrire un’interfaccia dedicata all’utenza esterna. Di conseguenza, l’esperienza digitale dei cittadini e dei professionisti che interagiscono con le soprintendenze risulta ancora frammentata [11].

Da questa premessa scaturisce la necessità di sviluppare strumenti più avanzati e integrati rispetto a Giada, come quelli previsti dall’Investimento del Pnrr cultura 1.1.9 “Portale dei Procedimenti e dei servizi al cittadino”, che prevede, appunto, la realizzazione di un portale unico delle procedure a rilevanza interna ed esterna di competenza del ministero della Cultura [12]. L’obiettivo strategico è fornire ai cittadini e alle imprese un punto di accesso unico, semplificato e trasparente ai procedimenti amministrativi, migliorando la qualità e la completezza dei servizi digitali e creando le basi per futuri sviluppi legati a tecnologie innovative.

Un altro strumento estremamente significativo è il portale unico dei procedimenti per cittadini e imprese, attualmente in fase di progettazione e sviluppo e non ancora operativo nella sua forma definitiva. Il soggetto attuatore, in questo caso, è la direzione generale organizzazione del ministero della Cultura, cui compete il coordinamento dell’intervento e la realizzazione tecnica e funzionale della piattaforma. Dal punto di vista architetturale, il sistema si configura come un'infrastruttura abilitante per la gestione digitale e integrata dei procedimenti amministrativi legati al patrimonio culturale, con funzioni che spaziano dalla protocollazione e tracciabilità documentale fino all’intelligenza computazionale applicata alla gestione dei dati culturali.

Inoltre, il progetto prevede che il nuovo sistema sia nativamente integrato con i principali servizi digitali abilitanti della pubblica amministrazione - quali Spid (per l’autenticazione dell’identità digitale), PagoPa (per i pagamenti elettronici) e App Io (per l’accesso ai servizi e la ricezione delle notifiche) - al fine di assicurare una piena interoperabilità con l’ecosistema nazionale dei servizi pubblici digitali. Tale impostazione è in linea con i principi di universalità, accessibilità e standardizzazione definiti nelle linee guida Agid e nel piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione. Giada infatti, in quanto sistema ufficiale del ministero della Cultura, è vincolato al rispetto di queste fonti normative multilivello, comprese le più recenti disposizioni contenute nel Piano Triennale per l’Informatica nella pubblica amministrazione 2024-2026. La coerenza con tali riferimenti giuridici rappresenta una condizione imprescindibile per l’efficacia delle trasformazioni digitali nella pubblica amministrazione e per la legittimità dei procedimenti amministrativi che si avvalgono di sistemi automatizzati di gestione documentale, un allineamento che si estende anche agli obiettivi europei delineati nei programmi Digital Europe e Interoperable Europe Act, che promuovono un’infrastruttura digitale armonizzata, sicura e interoperabile a livello continentale.

Parte integrante della strategia soprascritta è l’infrastruttura e servizi digitali per il patrimonio culturale (I.Pac) che rappresenta un nodo centrale del nuovo ecosistema digitale pubblico della cultura [13]. Si tratta di una piattaforma avanzata, progettata e realizzata dall’istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale - Digital Library, il cui scopo è fornire strumenti abilitanti per la gestione, l’arricchimento semantico e la valorizzazione dei dati digitali afferenti al patrimonio culturale nazionale, secondo i principi Fair (Findable, Accessible, Interoperable, Reusable) [14]. Alla base dell’infrastruttura I.Pac vi è l’Ispc - Infrastruttura doftware per il patrimonio culturale - che si configura come il primo spazio dati nazionale della cultura, capace di ospitare in sicurezza risorse digitali provenienti da enti pubblici e privati, garantendo al contempo flessibilità nei modelli di adesione (integrazione o federazione) e interoperabilità semantica e tecnica con altri sistemi pubblici [15]. Tale architettura permette di passare da una gestione statica e descrittiva del patrimonio digitale a una logica dinamica e relazionale, in cui i dati possono essere analizzati, arricchiti, riutilizzati e integrati in nuovi contesti applicativi, dalla conservazione preventiva alla creazione di servizi di fruizione pubblica e personalizzata [16].

Le ricadute più significative dell’adozione di I.Pac si potranno potenzialmente osservare nel campo della conservazione programmata e preventiva. Attraverso moduli basati su tecnologie di intelligenza artificiale e machine learning [17], la piattaforma ha il potenziale di processare immagini, testi, file 3d e audiovisivi, attivando procedure automatizzate per il riconoscimento di pattern, il tagging semantico, l’estrazione di entità (Named Entity Recognition) [18], il monitoraggio delle condizioni dei beni e l’arricchimento continuo dei grafi conoscitivi [19]. Inoltre, l’utilizzo di motori semantici [20] e modelli predittivi [21], già in fase di sperimentazione nella componente Data Fabric della D.PaaS [22], potrà potenziare la capacità delle istituzioni di anticipare fenomeni di degrado, progettare interventi di restauro basati su evidenze analitiche, nonché ottimizzare le politiche di gestione. L’infrastruttura I.Pac, dunque, si pone non solo come un repository intelligente, ma come un ambiente abilitante di trasformazione digitale, in cui la conservazione si integra con la valorizzazione, la produzione con la fruizione, la governance con l’innovazione. In linea con la strategia delineata nel Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (Pnd), I.Pac promuove quindi una cultura dei dati che sia al contempo scientifica, operativa e condivisa.

3. Potenzialità e limiti degli strumenti tecnici

Nel percorso di digitalizzazione dei procedimenti amministrativi a tutela del patrimonio culturale, la disponibilità di strumenti tecnologici avanzati rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente. Se da un lato sistemi come Giada, il nuovo portale dei procedimenti e dei servizi al cittadino, o l’infrastruttura I.Pac offrono soluzioni innovative per la gestione documentale, la tracciabilità degli atti e l’analisi intelligente dei dati, dall’altro lato essi rivelano limiti che impongono una riflessione critica sul rapporto tra tecnologia e prassi amministrativa.

In un contesto come quello della tutela del patrimonio culturale, contraddistinto dalla presenza di attori eterogenei (enti locali, professionisti, cittadini, imprese) e da una normativa articolata, la conoscenza “esperta” [23], riveste un ruolo cruciale non solo nell’interpretazione dei dati, ma anche nella definizione semantica delle soluzioni digitali. L’efficacia di queste applicazioni dipende, infatti, dalla solidità del disegno logico, dalla coerenza dei modelli informativi sottostanti e dalla loro capacità di rappresentare e sostenere i processi decisionali delle amministrazioni. In mancanza di un coinvolgimento strutturato delle competenze tecnico-scientifiche, vi è il rischio di generare ambienti digitali formalmente corretti ma poco rispondenti alle esigenze operative reali.

L’interoperabilità - obiettivo tecnico prioritario della strategia digitale del ministero della Cultura - in questa prospettiva è un fenomeno non meramente infrastrutturale, ma eminentemente cognitivo e semantico. Non è sufficiente garantire la comunicazione tra sistemi: occorre assicurare che i dati scambiati siano affidabili, contestualizzati e interpretati in modo uniforme, attraverso ontologie condivise e vocabolari controllati.

La costruzione di un “fascicolo digitale del procedimento”, ad esempio, presuppone la disponibilità di dati completi, normalizzati, continuamente aggiornati, e inseriti in workflow amministrativi coerenti. La tecnologia può facilitare tali processi, ma non può sostituire il giudizio esperto che presiede alla valutazione culturale, alla ponderazione delle prescrizioni di tutela, alla selezione delle fonti e alla determinazione dell’interesse pubblico.

Sotto questo profilo, la piattaforma I.Pac, con la sua architettura modulare e semantica (D.Pac e D.Paas), offre un potenziale rilevante. Le funzioni di arricchimento semantico, i grafi di conoscenza, i motori predittivi e i sistemi di analisi automatica dei contenuti, se correttamente alimentati e addestrati, possono sostenere la conservazione programmata e la gestione evoluta delle informazioni culturali. Tuttavia, tali potenzialità non sono automatiche né universalmente disponibili ma, come si dirà meglio oltre, dipendono dalla capacità dell’amministrazione di governare il cambiamento in modo integrato, promuovendo investimenti nelle infrastrutture, nella formazione (upskilling digitale), nel rafforzamento delle competenze interne e nell’adozione di standard tecnici comuni.

4. Stato dell’arte e sfide per l’amministrazione

Ad oggi, secondo i dati della piattaforma OpenPnrr, la misura risulta in fase avanzata ma non ancora completata: sono stati programmati 135 milioni di euro, con 35 milioni già assegnati al primo trimestre 2024 e un’obbligazione di spesa attualmente limitata (circa 26% al Q1 2024) - a conferma di una progettualità ancora in corso di attuazione.

Tuttavia, gli obiettivi fissati dal Pnrr e dai piani strategici ministeriali delineano entro il 2026 un’amministrazione culturale pienamente digitalizzata: la realizzazione di una piattaforma digitale integrata per l’accesso alle risorse culturali digitali [24]; sistemi di certificazione dell’identità digitale dei beni culturali [25]; la completa digitalizzazione delle procedure e processi interni, con conseguente dematerializzazione degli archivi cartacei; nonché il già menzionato portale unico dei procedimenti per cittadini e imprese.

Entro il 2026, tali strumenti dovrebbero essere pienamente operativi, garantendo un’amministrazione culturale “aperta”, interoperabile con le piattaforme nazionali e in linea con il già richiamato principio europeo del “once-only” in base al quale cittadini e imprese non dovranno fornire più volte le stesse informazioni alla Pa.

Al termine di questo percorso di trasformazione digitale, l’attività amministrativa nel settore dei beni culturali dovrebbe svolgersi in un ecosistema digitale coordinato, dove basi di dati che “dialogano” tra loro assicurano interconnessione tra amministrazioni e dove ogni procedimento può essere avviato e seguito online dall’utente in maniera trasparente [26].

Molteplici quindi sono le potenzialità che emergono da una visione strategica che non si limita a semplificare il lavoro amministrativo, ma si configura come leva di trasparenza, accountability e qualità decisionale.

Tuttavia, la realizzazione di questo scenario richiede al ministero della Cultura di recepire una serie di innovazioni normative, organizzative e tecniche.

Sul piano normativo, per esempio, vi sono specifici standard previsti dalla Agenzia per l’Italia digitale (Agid) che, in attuazione del Codice dell’amministrazione digitale (Cad), ha emanato diverse linee guida [27] per orientare la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni italiane. Tra queste, nell’ambito della valorizzazione del patrimonio informativo della Pa, assumono particolare importanza le linee guida sull’interoperabilità tecnica delle pubbliche amministrazioni [28] che appresentano un passaggio cruciale per rendere la pubblica amministrazione più moderna, integrata e orientata all’utente, definendo un modello condiviso per l’interazione tra sistemi informatici pubblici e privati e promuovendo la digitalizzazione e l’efficienza dei servizi. Gli obiettivi principali delle linee guida sono molteplici: non solo armonizzare le architetture informatiche delle amministrazioni pubbliche, promuovendo la diffusione di un approccio “API first”, ovvero la progettazione dei sistemi in funzione della loro capacità di interazione tramite interfacce applicative programmate [29], ma anche rafforzare la sicurezza degli scambi informativi, semplificare le procedure di interconnessione e migliorare l’efficienza complessiva dei processi amministrativi.

Non meno importante è la finalità di allineare il sistema italiano agli standard europei di interoperabilità, condizione essenziale per la piena integrazione con le infrastrutture digitali transnazionali.

Dal punto di vista tecnico, garantire l’interoperabilità tra sistemi è un obiettivo prioritario e richiede un’azione su due piani distinti ma complementari. Da un lato, è necessario integrare le banche dati relative ai beni culturali, come, per citare alcuni esempi noti, il sistema informativo generale del catalogo (Sigec) [30] o i portali dedicati ai vincoli territoriali (vincoli in rete) [31] con i procedimenti autorizzativi, in modo da assicurare coerenza e continuità informativa lungo tutto il ciclo decisionale. Dall’altro, va assicurata la piena comunicazione tra queste piattaforme e i sistemi digitali in uso presso gli enti locali e le altre amministrazioni pubbliche, così da rendere realmente interoperabile l’intero ecosistema amministrativo.

In questo contesto, un ruolo cruciale è rivestito dal catalogo Ssu (sistema degli sportelli unici), infrastruttura digitale sviluppata per semplificare e uniformare la gestione dei procedimenti amministrativi relativi alle attività produttive, in particolare attraverso i Suap - sportelli unici per le attività produttive. L’integrazione tra il sistema dei beni culturali e il catalogo Ssu è particolarmente rilevante per il settore della tutela architettonica, dove numerosi procedimenti autorizzativi coinvolgono imprese e cittadini e si sovrappongono a competenze interistituzionali. L’obiettivo è quello di superare la frammentazione attuale, standardizzando le procedure e offrendo un’interfaccia unica e coerente agli utenti.

Tale direzione è perfettamente coerente con quanto previsto dal d.p.r. 7 settembre 2010, n. 160,  recante il “Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive”, che già impone l’utilizzo di sportelli unici telematici per le imprese, e con l’agenda nazionale di semplificazione amministrativa, orientata alla riduzione degli oneri burocratici e alla digitalizzazione dei procedimenti autorizzativi.

Sul piano organizzativo, invece, il MiC deve investire in formazione del personale (upskilling digitale) e in infrastrutture tecnologiche (migrazione verso il cloud dei sistemi informativi esistenti, adeguamento delle reti nelle sedi periferiche, ecc.).

Il Ministero è quindi chiamato non solo ad adottare strumenti tecnologici avanzati, come portali digitali, banche dati interoperabili, sistemi di protocollo informatico e firma digitale, ma anche ad assumere nuove logiche operative: lavorare per processi integrati, condividere dati in tempo reale e monitorare in modo sistematico le performance dei procedimenti amministrativi. Solo così la digitalizzazione potrà tradursi in un reale salto di qualità nella gestione della tutela.

Un limite diffuso risiede infatti nella asimmetria tra innovazione tecnologica e innovazione organizzativa. Molti strumenti oggi in uso - come Giada - sono conformi alle normative in materia di gestione documentale digitale, ma continuano a svolgere funzioni essenzialmente di protocollazione interna, senza coprire il ciclo integrale del procedimento né offrire interfacce user-centered. In questo senso, la tecnologia rischia di diventare un involucro formale che replica inefficienze strutturali esistenti, se non è accompagnata da un ripensamento dei processi, delle logiche operative e delle modalità di interazione con l’utenza.

Infine, va segnalato che la digitalizzazione della tutela impone all’amministrazione una nuova responsabilità: quella di tradurre l’expertise culturale in modelli computabili e condivisibili, in grado di orientare l’azione pubblica in modo trasparente e documentato. Questo processo implica un salto culturale, che deve coinvolgere l’intero sistema amministrativo e formativo del settore, affinché la digitalizzazione non si limiti a informatizzare procedure esistenti, ma promuova un’autentica trasformazione nella qualità della decisione amministrativa.

Se tali innovazioni saranno attuate, si potrà parlare di una amministrazione digitale della tutela, caratterizzata da procedimenti avviati online ed istruttorie condotte attraverso l’integrazione di dati digitali verso una azione amministrativa più veloce e trasparente.

5. Le ricadute della transizione digitale sull’esercizio delle funzioni amministrative

Gli strumenti sopra descritti incidono su diversi aspetti dell’attività amministrativa.

La prima ricaduta positiva derivante dall’introduzione del sistema Giada, come verrà poi implementato dal Portale dei procedimenti e dei servizi digitali al cittadino, discende dalla centralizzazione e sistematizzazione dei flussi informativi: le informazioni, una volta acquisite e archiviate digitalmente in modo strutturato, risultano non solo conservate in modo sicuro, ma anche agevolmente rintracciabili da parte degli utenti autorizzati.

Questo comporta una potenziale semplificazione sia nella consultazione dei dati conservati, sia nel loro impiego successivo. Se la conoscenza è presupposto necessario per lo svolgimento di qualsiasi attività, essa lo è a maggior ragione per gli interventi di tutela relativi al patrimonio culturale, come ricordano svariate norme del Codice dei beni culturali e del paesaggio, dall’art. 17 sugli obblighi di catalogazione [32] all’art. 29 che indica lo studio come prima fase del processo conservativo, prodromico a qualsiasi intervento di prevenzione, manutenzione e restauro, senza contare che è indispensabile per le azioni di contrasto alla circolazione illecita dei beni.

L’infrastruttura digitale in via di costituzione, prevedendo una completa gestione documentale digitale, dalla registrazione alla classificazione, fino all’archiviazione dei documenti amministrativi, potrà mettere a disposizione informazioni di indubbia utilità a fini conoscitivi e predittivi, consentendo di utilizzare i dati custoditi nel sistema anche nell’ambito di procedimenti successivi a quello nel corso del quale sono stati acquisiti, ad esempio per valutare l’opportunità e le modalità di eventuali ulteriori interventi di conservazione su un bene culturale alla luce degli interventi precedenti che esso ha subito e dei loro esiti. Ne risulterà quindi facilitata e arricchita l’istruttoria per eventuali nuove valutazioni relative agli interventi sugli stessi beni.

Inoltre, la possibilità di accedere agevolmente ai dati, potrà facilitare la conservazione programmata, ormai obbligatoria ai sensi del già ricordato art. 29 del Codice dei beni culturali, che richiede “una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro” [33] e pertanto necessita sia della memoria storica degli interventi effettuati, sia di una costante raccolta e analisi dei dati che possono emergere nel corso di attività di monitoraggio e manutenzione periodica al fine di assumere eventuali ulteriori scelte conservative. Il sistema, infatti, attraverso l’analisi dei dati, può supportare la valutazione relativa alle probabilità di deterioramento di materiali, in correlazione alle condizioni ambientali di contesto del bene, così come può suggerire una priorità di intervento o la sua tipologia, contribuendo ad adottare logiche preventive e una più efficace gestione dei rischi cui è soggetto il bene medesimo.

Peraltro, il sistema potrebbe facilitare l’adempimento del disposto dell’art. 3 dell’allegato II.18 del Codice dei contratti pubblici, che indica la conservazione programmata quale criterio per la programmazione dei lavori pubblici. Secondo la norma citata, infatti, “gli interventi sui beni culturali sono inseriti nei documenti di programmazione dei lavori pubblici di cui all'articolo 37, commi 1 e 2, del codice e sono eseguiti secondo i tempi, le priorità e le altre indicazioni derivanti dal criterio della conservazione programmata”, prevedendo che “a tal fine le stazioni appaltanti, sulla base della ricognizione e dello studio dei beni affidati alla loro custodia, redigono un documento sullo stato di conservazione del singolo bene, tenendo conto della pericolosità territoriale e della vulnerabilità, delle risultanze, evidenziate nel piano di manutenzione e nel consuntivo scientifico, delle attività di prevenzione e degli eventuali interventi pregressi di manutenzione e restauro. Per i beni archeologici tale documento illustra anche i risultati delle indagini diagnostiche” [34]. L’adempimento di tale previsione, indubbiamente gravoso per molti enti pubblici, potrebbe risultare infatti facilitato da una più ampia e immediata disponibilità di dati sui beni e sugli interventi che essi hanno subito in precedenza.

Le ricadute positive ora descritte potrebbero dunque andare a beneficio sia dell’esercizio delle funzioni del ministero della Cultura, sia di quelle proprie di altri enti pubblici, a condizioni che ad essi sia consentito di accedere ai dati del sistema, circostanza che al momento non è del tutto chiarita. Sotto questo profilo, anzi, deve evidenziarsi che l’accessibilità ai dati relativi ai beni del territorio, non solo dei propri, potrebbe fornire utili indicazioni agli enti territoriali nell’assunzione anche di più generali scelte pianificatorie che interessano il territorio medesimo.

Tale osservazione in merito all’accessibilità si può formulare anche con riguardo a una seconda potenziale ricaduta positiva della transizione digitale, vale a dire il possibile utilizzo dei dati raccolti a fini comparativi, per assumere decisioni in casi analoghi. Quello dei beni culturali, infatti, è un settore in cui le esperienze precedenti costituiscono un fattore importante di confronto per l’assunzione di scelte successive, così che risulta importante garantire la massima accessibilità alle informazioni, anche non strettamente relative ai propri beni, per creare una “condivisione di esperienze” attraverso l’accesso a un estesissimo catalogo di casi maturati nei diversi contesti.

Anche a tale scopo, infatti, e pur nel rispetto dei limiti legati alla riservatezza di alcuni dati, pare ampiamente consigliabile che sia ampliata quanto più possibile la fruibilità dall’esterno dei dati disponibili, creando un’interfaccia appositamente dedicata all’utente per permettere di visionare sia i dati di proprio diretto interesse o relativi a beni in proprietà, sia per mettere a disposizione dati preziosi riguardanti interventi relativi ad altri beni che presentino caratteristiche similari a quelli di pertinenza del richiedente, al fine di individuare quali soluzioni siano state adottate per problematiche analoghe a quelle di proprio interesse. Attraverso le funzioni di consultazione digitale [35], il sistema potrebbe consentire infatti di individuare casi che presentano profili di somiglianza o analogia con quello di proprio interesse, consentendo di verificare come si è intervenuti in quei casi e con che esito, così fornendo una preziosa guida nell’assunzione di decisioni.

Naturalmente le informazioni accessibili potranno essere filtrate escludendo i dati coperti da riservatezza e chiedendo che ogni richiesta di accesso risulti accuratamente motivata, in particolare qualora riguardante informazioni non relative ai propri beni.

Quest’ultimo aspetto potrebbe significativamente supportare le scelte di qualsiasi utente, non solo pubblico. Del resto, il portale dei procedimenti e dei sevizi al cittadino nasce proprio per quest’ultimo. Prima che come strumento a disposizione della pubblica amministrazione, infatti, esso dovrebbe rispondere all’esigenza di garantire un punto di accesso unico, semplificato e trasparente, alle procedure amministrative a rilevanza sia interna sia esterna, rivolte a cittadini e imprese. La sua finalità primaria è dunque facilitare la presentazione di istanze da parte dei privati, al contempo tracciando lo svolgimento dei procedimenti e fornendo una serie servizi online. A titolo esemplificativo, il portale sarà nativamente integrato con altri servizi abilitanti della pubblica amministrazione - quali Spid per l’identificazione, PagoPa per i pagamenti digitali e App Io per l’interazione diretta con l’utenza - in linea con gli standard previsti dal piano triennale per l’informatica nella Pa e dalle linee guida Agid sull’interoperabilità tecnica [36], nonché dalle linee guida Agid sull’interoperabilità tecnica del 2024 [37].

Dal punto di vista operativo, l’interfaccia utente del Portale è concepita per agevolare la navigazione e la presentazione delle istanze, tramite strumenti di supporto alla compilazione “passo-passo”, feedback in tempo reale e visualizzazione dinamica dei soli moduli pertinenti in base alle scelte dell’utente. Una volta trasmessa, l’istanza potrà essere monitorata tramite una dashboard personale che consentirà l’accesso a tutte le informazioni sullo stato del procedimento, l’invio di comunicazioni integrative e la consultazione degli atti collegati.

Tra i primi procedimenti digitalizzati e per i quali si attende il rilascio in modalità “full digital” - inizialmente fissata al giugno 2024, poi rinviata - rientrano sei tipologie fondamentali previste dal d.lg. n. 42/2004: le autorizzazioni per interventi su beni culturali ai sensi dell’art. 21 (interventi soggetti ad autorizzazione); le autorizzazioni all’alienazione di beni culturali, quali quelle di cui all’art. 55 (alienabilità di immobili appartenenti al demanio culturale), dell’art. 56 (altre alienazioni soggette ad autorizzazione, dell’art. 57 (cessione di beni culturali in favore dello Stato); gli attestati di libera circolazione di cui all’art. 65 (uscita definitiva), all’art. 66 (uscita temporanea per manifestazioni), all’art. 67 (altri casi di uscita temporanea) e all’art. 68 (attestato di libera circolazione); le concessioni d’uso di cui all’art. 106 (uso individuale di beni culturali); le autorizzazioni paesaggistiche ai sensi dell’art. 146; le autorizzazioni per cartelli pubblicitari di cui all’art. 153.

L’attuazione proseguirà con l’integrazione di ulteriori procedimenti amministrativi, quali le locazioni di immobili pubblici a fini di valorizzazione, le espropriazioni, le procedure concorsuali, gli incarichi e le consulenze esterne, nonché i procedimenti di verifica dell’interesse culturale e di esportazione di beni.

Tale aspetto della transizione digitale, oltre a semplificare l’attività del privato sostituendo una pluralità di piattaforme disomogenee con un unico sistema armonizzato, conforme ai princìpi del Codice dell’Amministrazione Digitale e coerente con gli obiettivi di interoperabilità europea sanciti dal Regolamento sull’interoperabilità tecnica e dal principio del “once only”, è destinato a riverberarsi anche sull’esercizio della funzione amministrativa e, in particolare, sulla gestione del procedimento.

Se Giada, attraverso la messa a disposizione di una grande varietà di atti e documenti derivanti dalle banche dati dei beni, della documentazione digitale dei progetti, grafica e fotografica, è un utile strumento di gestione della conoscenza “interna” alla pubblica amministrazione (salvo in futuro essere aperta al pubblico, come sopra auspicato) a supporto di scelte in materia di interventi conservativi, il Portale consente una più ampia riflessione sulla gestione del potere amministrativo in materia di beni culturali.

Esso infatti, nella sua versione pienamente implementata e informata a criteri metodologici chiari, dovrebbe in primo luogo completare l’attività assolta da Giada, in quanto attraverso il novero di informazioni gestite potrebbe consentire di assumere decisioni alla luce di un più completo corredo istruttorio.

In secondo luogo, se il portale fosse - realmente - interconnesso con le numerose banche dati citate in precedenza, potrebbe accelerare e rendere più efficiente l’attività amministrativa, venendo a costituire un incisivo strumento di semplificazione, in grado di agevolare le interazioni tra cittadini, imprese e amministrazioni, riducendo oneri burocratici e tempi di attesa, in particolare uniformando i procedimenti che oggi le soprintendenze spesso gestiscono con differenti modalità.

La digitalizzazione dei procedimenti, infatti, richiede l’adozione di standard uniformi per la loro gestione, costituiti innanzitutto dalla scelta di un unico format da indicare in piattaforma per la predisposizione di ciascun tipo di istanza o domanda e da specifici elenchi di documenti da produrre per ciascuna di esse, così che format ed elenchi documentali diverranno omogenei su tutto il territorio nazionale.

Tale standardizzazione indubbiamente è suscettibile di creare un’omogeneità di gestione dei procedimenti, in ossequio a criteri di razionalità e imparzialità ma che, al contempo, essendo la risultante di uno sforzo di reductio ad unum delle varie modalità attuali di gestione della medesima tipologia di procedimento da parte di strutture territoriali diverse, può essere occasione per ripensare i procedimenti in chiave di economicità ed efficacia.

La predisposizione di format e di elenchi documentali uniformi che guidino la presentazione delle richieste affinché il Portale possa recepirle, inoltre, non esaurisce i suoi effetti sul piano formale, ma provoca ricadute anche sul piano sostanziale di esercizio del potere, perché presuppone una previa riflessione su quali elementi chiedere all’utente di produrre e su come essi debbano essere rappresentati all’amministrazione, in modo da acquisire informazioni strutturate, contestualizzate e complete rispetto all’oggetto della decisione, raccolte secondo criteri omogenei e con parametri uniformi.

Tale riflessione favorirà un corretto e trasparente esercizio della discrezionalità, in particolare di quella tecnica, che proprio in quanto fondata su regole tecniche, su ‘norme’ non giuridiche, implica la necessità di individuare gli elementi tecnici che devono essere forniti per poter procedere alle relative valutazioni [38].

Del resto, è superfluo ricordare che gli interventi relativi ai beni culturali siano normalmente considerati un tipico ambito oggetto di discrezionalità tecnica: “tutela del patrimonio culturale e discrezionalità tecnica da sempre, per la giurisprudenza del Consiglio di Stato e per la dottrina, rappresentano un binomio inscindibile. Il giudizio di discrezionalità tecnica inerente a una ‘disciplina non esatta’, qual è nell’esercizio della funzione pubblica di tutela, è stato addirittura assunto a paradigma per indicare che la possibile, fisiologica opinabilità del risultato non converte la valutazione tecnica, da compiere alla stregua delle sole cognizioni tecniche rilevanti, in ponderazione e scelta tra più interessi, cioè in discrezionalità amministrativa” [39].

Proprio in relazione a tale opinabilità, negli ultimi anni è andata diffondendosi una crescente richiesta di certezza, giuridica e operativa, tanto che da più parti è stata sollecitata la condivisione di parametri che possano guidare le scelte progettuali in materia di beni culturali, in particolare architettonici, rendendo l’azione amministrativa più trasparente e prevedibile, come avvenuto ad esempio con il documento di indirizzo per la qualità dei progetti di restauro predisposto dalla società italiana per il restauro dell’architettura (Sira) [40].

Sotto tale aspetto l’approccio metodologico al nuovo sistema digitalizzato e alle sue potenzialità è dirimente: al fine di produrre i benefici effetti prospettati e non un inutile appesantimento degli oneri burocratici correlati a ciascun procedimento, occorre in sostanza uno sforzo condiviso di definizione metodologica sull’impostazione dell’infrastruttura digitale così da stabilire le modalità di presentazione di istanze e richieste e i relativi parametri di valutazione, allo scopo non certo di irrigidire il sistema ma di renderlo trasparente, uniforme, accessibile e verificabile.

Da ultimo, non si deve trascurare che la nuova infrastruttura digitale potrebbe consentire l’attivazione di una serie di funzionalità digitali inerenti la gestione procedimentale, quali lo svolgimento di una prima analisi e classificazione automatica dei contenuti progettuali, la valutazione automatizzata di completezza e coerenza delle domande presentate (in relazione alla corretta indicazione dei requisiti richiesti e all’avvenuta allegazione della documentazione necessaria), la standardizzazione dei contenuti istruttori, il rilevamento di eventuali anomalie, l’analisi comparativa tra soluzioni adottate in precedenti simili.

Tale prospettiva potrebbe aprire all’interrogativo circa la possibilità che le nuove tecnologie, e in particolare l’intelligenza artificiale, possano essere utilizzate per pervenire persino ad alcune decisioni amministrative automatizzate [41], che si fondino sulla possibilità di fornire al calcolatore istruzioni, ossia regole logico-matematiche (opportunamente codificate in un linguaggio tecnico) desunte da percorsi di razionalizzazione dell’attività umana, affinché la macchina, da una certa situazione di fatto e da determinati presupposti giuridici, faccia discendere l’elaborazione di un atto che definisca l’assetto dei rapporti e degli interessi secondo le previsioni di legge.

Se questa operazione è più facilmente percorribile per quanto riguarda l’emanazione di atti vincolati, più difficoltosa essa si rivela per gli atti a contenuto discrezionale, tant’è che - con una riflessione estesa in generale ai diversi settori dell’attività amministrativa - parte della dottrina tende ad escludere la configurabilità di un provvedimento discrezionale ad elaborazione elettronica in quanto l’atto discrezionale, essendo fondato sulla ragionevolezza umana, sarebbe informato ad una logica “opaca” non riconducibile a percorsi predeterminati e predeterminabili [42].

Non manca tuttavia anche chi preferisce assumere una posizione possibilista alla luce del progresso tecnologico, che potrebbe trovare conferma negli ultimi sviluppi dell’intelligenza artificiale, ventilando una possibile trasformazione del modello di decisione pubblica da “intuitive policy making, into model-based policy design” [43].

Il tema è troppo vasto per essere trattato in questa sede. Tuttavia, non si può trascurare almeno di ricordare che tale modello, seppure di difficile applicazione al settore dei beni culturali, non può neppure essere del tutto escluso, anche solo limitandosi a pensare alle funzionalità da ultimo ricordate, quali ad esempio quella di valutazione dell’ammissibilità o ricevibilità delle domande.

6. Conclusioni

I paragrafi precedenti hanno evidenziato come la transizione digitale dell’amministrazione del settore culturale, per certi versi imposta dall’evoluzione sia tecnologica sia dell’intero contesto sociale e normativo, non costituisca una semplice adozione di strumenti tecnologici, ma possa rappresentare un fattore di evoluzione dello stesso esercizio della funzione amministrativa.

La necessità di strutturare un sistema digitale interoperabile, di adottare strumenti di rilievo avanzato, repository condivisi e piattaforme per la verifica della qualità informativa, può determinare non solo un innalzamento qualitativo della conoscenza del patrimonio culturale e delle sue necessità, ma è suscettibile anche di alimentare un processo virtuoso di costante arricchimento delle conoscenze e di continua condivisione delle stesse, avvalendosi di un linguaggio che risulti comune ad amministrazioni, professionisti, imprese e cittadini e che adotti criteri predeterminati e verificabili che semplifichino e rendano più trasparente l’esercizio della funzione amministrativa e le ragioni che la sostengono.

Se si perseguiranno a pieno le potenzialità della transizione digitale, essa potrà diventare un fattore strategico per un’azione amministrativa sempre più improntata ai principi di trasparenza, accessibilità, semplificazione, efficienza ed economicità.

Il traguardo del 2026, termine entro cui dovrebbe compiersi tale complessa trasformazione, arrivando ad avere piattaforme integrate e procedure digitali standardizzate, è molto vicino e il pieno sviluppo di tali strumenti è un processo complesso, che sconta sia un gap tecnologico tra la situazione attuale e il disegno complessivo della transizione digitale, sia la difficoltà culturale di “ripensare” l’attività amministrativa in chiave maggiormente condivisa e partecipata, ispirata a una metodologia rigorosa ma al contempo atta a razionalizzare e semplificare l’azione amministrativa.

Tuttavia tale processo evolutivo sarebbe di indubbio vantaggio sia per l’amministrazione sia per i cittadini, sia infine per la tutela dei beni culturali, che la Costituzione indica quale interesse primario per il nostro Paese.

Le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale possono offrire validi e innovativi strumenti di supporto alla gestione e alla valutazione delle richieste, semplificando quantomeno alcune fasi procedimentali, in particolare quelle iniziali e istruttorie, anche se al momento esse devono comunque essere considerate come integrazione della valutazione umana “esperta”, essendo chiamate ad affiancare quest’ultima per facilitarne l’istruttoria, agevolare l’individuazione di errori o incoerenze delle domande, corroborare le motivazioni delle decisioni assunte, consentire di ricostruire agevolmente il percorso valutativo ex post, ma comunque mai ad escluderla o sostituirla in toto.

 

Note

[*] Il contributo è frutto di una riflessione comune delle autrici. In ogni caso, la stesura dei par. 1, 5 e 6 è da attribuire a Valentina Maria Sessa e quella dei par. 2, 3 e 4 ad Annamaria Pentimalli Biscaretti di Ruffia.

[**] Annamaria Pentimalli Biscaretti di Ruffia è ricercatrice di Dritto amministrativo presso il Politecnico di Milano, Piazza Leonardo da Vinci 32, 20133 Milano, annamaria.pentimalli@polimi.it.

Valentina Maria Sessa è professoressa associata di Diritto amministrativo presso l’Università degli Studi E-Campus, Via Isimbardi 10, 22060 Novedrate (CO), valentina.sessa@uniecampus.it.

[1] Il principio secondo il quale le pubbliche amministrazioni devono evitare di chiedere a cittadini ed imprese informazioni già fornite in precedenza è uno dei più importanti principi della strategia europea per la trasformazione digitale della pubblica amministrazione ed è enunciato esplicitamente nel regolamento (Ue) 2018/1724 che istituisce il Single Digital Gateway (art. 14), è richiamato nel programma Europa digitale 2021-2027 e nella comunicazione della Commissione Una strategia per il mercato unico digitale in Europa (COM(2015) 192). Tale principio è oggi previsto anche dal d.lg. n. 36/2023, art. 19, commi 2 e 4, ai sensi dei quali, rispettivamente “In attuazione del principio dell'unicità dell'invio, ciascun dato è fornito una sola volta a un solo sistema informativo, non può essere richiesto da altri sistemi o banche dati, ma è reso disponibile dal sistema informativo ricevente. Nell’ordinamento italiano, tale principio si applica ai dati relativi a programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché a tutte le procedure di affidamento e di realizzazione di contratti pubblici soggette al presente codice e a quelle da esso escluse, in tutto o in parte, ogni qualvolta siano imposti obblighi di comunicazione a una banca dati o a un sistema informativo” e “I soggetti titolari di banche dati adottano le necessarie misure organizzative e di revisione dei processi e dei regolamenti interni per abilitare automaticamente l'accesso digitale alle informazioni disponibili presso le banche dati di cui sono titolari, mediante le tecnologie di interoperabilità dei sistemi informativi secondo le previsioni e le modalità del codice di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005”. Il principio è stato poi ripreso anche dal Piano triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione (Agid, edizioni 2022-2024 e 2024-2026) e inserito tra gli obiettivi di interoperabilità previsti dal Regolamento sull’interoperabilità europea (Interoperable Europe Act, COM(2022) 720 final). Nel piano triennale Ict 2022-2024 dell’Agid, in particolare, si afferma che “per semplificare e agevolare l’utilizzo del servizio è necessario favorire l’applicazione principio, del principio once only, richiedendo agli utenti i soli dati non conosciuti dalla Pubblica Amministrazione e, per questi, assicurandone la validità ed efficacia probatoria nei modi previsti dalla norma, anche attraverso scambi di dati nei modi previsti dal Modello di Interoperabilità per la PA (...)”.

[2] Gli interventi previsti, in conformità con gli obiettivi e i principi trasversali del Piano, intendono ristrutturare gli asset chiave del patrimonio culturale italiano e favorire la nascita di nuovi servizi, sfruttando anche la partecipazione sociale come leva di inclusione e rigenerazione, con l’obiettivo di migliorarne l’attrattività, l’accessibilità (sia fisica che digitale) e la sicurezza, in un’ottica generale di sostenibilità ambientale. Le misure si basano su un modello di governance multilivello e prevedono una forte cooperazione tra attori pubblici, in linea con la Convenzione di Faro e il Quadro di azione europeo per il patrimonio culturale.

[3] Sul punto si veda A.M. Ligresti, Sulla riproduzione (digitale) dei beni culturali. Il P.N.R.R. per il ‘digital cultural heritage’, in Amministrazione in cammino, 23 novembre 2022; M. Ippolito, Il patrimonio digitale della cultura: un’opportunità di fruizione dei beni culturali “senza barriere”, in PA Persona e Amministrazione, 2021, pag. 751 ss.

[4] Si ricordi che, ai sensi del d.m. 3 febbraio 2022, n. 46, la digital library, in particolare: a) cura il coordinamento in materia di programmi di digitalizzazione del patrimonio culturale di competenza del Ministero, nonché dei censimenti di collezioni digitali e dei servizi per l’accesso online, quali siti Internet, portali e delle banche dati; b) verifica lo stato dei progetti di digitalizzazione attuati dagli uffici del ministero e monitora la consistenza delle risorse digitali disponibili; c) coordina appositi tavoli tecnici con rappresentanti degli istituti e degli uffici centrali e periferici del ministero, ai fini dell’elaborazione e dell’attuazione del piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale; d) fornisce supporto agli uffici del ministero e redige accordi tipo per la realizzazione di progetti di digitalizzazione del patrimonio culturale, anche in collaborazione con altri enti pubblici o privati; e) coordina le iniziative atte ad assicurare la catalogazione del patrimonio culturale, ai sensi dell’articolo 17 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Inoltre si ricordi che alla digital library afferiscono anche gli storici istituti centrali del ministero con sede a Roma: l’istituto centrale per gli archivi, l’istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi, l’istituto centrale per il catalogo e la documentazione, l’istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane.

[5] Il Pnd, articolato in linee guida tecniche e metodologiche 2022-2026, costituisce la cornice di riferimento per tutti i processi digitali applicati ai beni culturali, fornendo standard, vocabolari controllati, formati aperti e modelli di metadatazione condivisi. Le linee guida del Pnd sono strutturate per promuovere una digitalizzazione sostenibile, interoperabile e accessibile, in linea con i principi Fair (Findable, Accessible, Interoperable, Reusable). Esse integrano anche le indicazioni tecniche fornite da Agid e risultano vincolanti per tutti gli istituti e uffici del ministero. In questa prospettiva, tutti gli strumenti digitali, esistenti o in fase di sviluppo, sono parte integrante di un disegno più ampio che mira a creare un ecosistema digitale nazionale per la cultura. Il Pnd, pertanto, non solo promuove la razionalizzazione e la qualità delle risorse digitali, ma impone agli enti coinvolti l’adozione di standard condivisi e la rendicontazione dei processi digitali, incidendo direttamente sulla conformità giuridico-amministrativa dei procedimenti digitalizzati. Cfr. L. Cerullo e A. Negri, L’infrastruttura software per il patrimonio culturale (ISPC) come abilitatore di un ecosistema digitale nazionale del patrimonio culturale, in DigItalia, 2023, vol. 18, n. 1 pag. 38 ss.; L. Cerullo e A. Negri, Verso la creazione di un Ecosistema digitale nazionale per la Cultura, in DigItalia, 2024, vol. 23, n. 2, pag. 11 ss.; M. Croce, La digitalizzazione delle collezioni museali. Stato dell’arte e prospettive, in Aedon, 2023, 2, pag. 179 ss.

[6] Il riferimento al superamento dei “divari territoriali e infrastrutturali” all’interno dell’investimento 1.1 del Pnrr cultura riguarda, da un lato, le diseguaglianze nella dotazione tecnologica di base - come sistemi gestionali, connettività e interoperabilità digitale - tra le sedi centrali del ministero e le sue articolazioni periferiche; dall’altro, evidenzia le disparità nelle competenze digitali del personale. L’investimento prevede pertanto misure strutturali per garantire infrastrutture digitali uniformi e azioni di capacity building, al fine di promuovere una transizione digitale equa e coesa nell’intero territorio nazionale, tra cui: la migrazione in cloud dei sistemi informativi del Mic (sub-investimento 1.1.3), volta ad assicurare continuità operativa e scalabilità tecnologica in tutte le sedi; Infrastruttura digitale per il patrimonio culturale (1.1.4), progettata per superare la frammentazione informativa mediante un’infrastruttura semantica interoperabile; la creazione di un polo nazionale per la conservazione digitale (1.1.8), destinato a tutelare nel lungo periodo la memoria digitale pubblica. Sul fronte delle competenze, l’investimento si articola in percorsi di formazione strutturata per il personale della cultura (formazione e miglioramento delle competenze digitali, 1.1.6), nello sviluppo di hub territoriali di supporto (supporto operativo, 1.1.7) e nella sperimentazione di modelli partecipativi basati su crowdsourcing e co-creazione dei contenuti digitali (piattaforma di servizi digitali per sviluppatori e imprese culturali, 1.1.11).

[7] Questo profilo è stato tra i primi ad essere attuati del più ampio fenomeno della digitalizzazione. Per una panoramica sul tema si vedano, tra gli altri, P. Forte, Il bene culturale pubblico digitalizzato. Note per uno studio giuridico, in PA Persona e Amministrazione, 2019, 2, pag. 245 ss.; R. Pellegrino, Strumenti giuridici per la digitalizzazione del patrimonio culturale, in Aedon, 2024, 3, pag. 251 ss.; P. Carpentieri, Digitalizzazione, banche dati digitali e valorizzazione dei beni culturali, in Aedon, 2000, 3; M. Croce, La digitalizzazione delle collezioni museali. Stato dell’arte e prospettive, cit.; R. De Meo, La riproduzione digitale delle opere museali fra valorizzazione culturale ed economica, in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica, 2019, 3, pag. 669; C. Di Cocco, Tutela delle banche di dati: patrimonio culturale e mercato unico digitale, in Aedon, 2020, 3, pag. 214 ss.; M.C. Pangallozzi, Condivisione e interoperabilità dei dati nel settore del patrimonio culturale: il caso delle banche dati digitali, in Aedon, 2020, 3, pag. 254 ss.

[8] Nello specifico, i 12 sub-investimenti sono: 1.1.1 Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (Pnd); 1.1.2 Sistema di certificazione dell’identità digitale per i beni culturali; 1.1.3 Servizi di infrastruttura cloud; 1.1.4 Infrastruttura digitale per il patrimonio culturale; 1.1.5 Digitalizzazione; 1.1.6 Formazione e miglioramento delle competenze digitali; 1.1.7 Supporto operativo; 1.1.8 Polo di conservazione digitale; 1.1.9 Portale dei procedimenti e dei servizi al cittadino; 1.1.10 Piattaforma di accesso integrata della digital library; 1.1.11 Piattaforma di co-creazione e crowdsourcing; 1.1.12 Piattaforma di servizi digitali per sviluppatori e imprese culturali.

[9] Si avverte il lettore che i dati disponibili sono aggiornati al marzo 2025, momento in cui diversi aspetti della configurazione finale del sistema che si andrà a descrivere non erano ancora stati definiti compiutamente. Non sono disponibili dati ufficiali per fornire ulteriori aggiornamenti.

[10] Nell’ambito della riorganizzazione del ministero della Cultura avviata con la legge 9 ottobre 2023, n.?45 (di conversione del d.l. n. 105/2023) e attuata attraverso il d.p.c.m. 15 marzo 2024, le Aoo assumono un ruolo funzionale strategico, in quanto costituiscono le unità responsabili per la gestione documentale e la dematerializzazione dei procedimenti amministrativi, sia a livello centrale (es. direzioni generali, istituti centrali) sia periferico (es. archivi di Stato, biblioteche statali, musei autonomi e soprintendenze).

[11] Da un punto di vista operativo, questa frammentarietà si traduce in una condizione in cui i portatori di interesse devono interagire con una molteplicità di sistemi, portali e uffici, spesso non integrati tra loro, per completare un singolo procedimento amministrativo. Questo comporta, ad esempio, l’obbligo di fornire più volte le stesse informazioni a enti diversi, consultare piattaforme separate per l’accesso ai dati (provvedimenti di tutela, autorizzazioni, cataloghi) e affrontare percorsi digitali non omogenei nei formati, nei linguaggi o nei tempi di risposta. Tali discontinuità determinano ridondanze procedurali, inefficienze operative e scarsa trasparenza, ostacolando l’obiettivo di una gestione fluida, integrata e user-centered dei procedimenti. Superare la frammentazione dell’esperienza dell’utente è uno degli obiettivi prioritari delle strategie di interoperabilità promosse dal Pnrr e dalle linee guida Agid, in coerenza con il principio europeo del once-only e con i modelli di sportello unico digitale.

[12] I primi procedimenti ad essere resi disponibili saranno: autorizzazioni cartelli pubblicitari; autorizzazioni di interventi di qualsiasi genere su beni di interesse culturale (restauri); concessione d’uso; concessione in uso o locazione di immobili pubblici di interesse culturale per finalità di valorizzazione; procedure concorsuali esterne ed interne; procedure relative ad incarichi e consulenze esterne. Per approfondimenti si veda https://pnrr.cultura.gov.it/misura-1-patrimonio-culturale-per-la-prossima-generazione/1-1-piattaforme-e-strategie-digitali-per-laccesso-al-patrimonio-culturale/.

[13] Cfr. L. Cerullo e A. Negri, Verso la creazione di un Ecosistema digitale nazionale per la Cultura, cit.

[14] L’acronimo Fair fa riferimento ai quattro principi guida per una corretta gestione dei dati scientifici e digitali: Findable (rintracciabili), Accessible (accessibili), Interoperable (interoperabili), Reusable (riutilizzabili). Introdotti nel 2016 da un gruppo internazionale di ricercatori (Wilkinson et al., 2016), i principi Fair non definiscono standard tecnici rigidi, ma un quadro metodologico per promuovere la trasparenza, la tracciabilità e il riutilizzo dei dati, sia da parte di umani che di macchine. Nell’ambito della digitalizzazione del patrimonio culturale, tali principi guidano l’organizzazione e la pubblicazione dei dati in modo che possano essere integrati, aggregati e sfruttati all’interno di ecosistemi digitali complessi e distribuiti, come l’Ispc o il portale nazionale della cultura digitale.

[15] L’Ispc è articolata in due componenti fondamentali: D.Pac (Digital platform for cultural assets), ovvero il complesso dei servizi digitali standard (Api, motori semantici, moduli di processamento contenuti) dedicati alla gestione degli asset digitali e all’interazione con grafi di conoscenza di dominio e cross-dominio; D.Paas (Digital platform as a service), una piattaforma di sviluppo e orchestrazione dati che fornisce agli utenti (istituti culturali, sviluppatori, ricercatori, Pmi culturali) strumenti avanzati per la creazione di Data Product specialistici, per il training di modelli di machine learning e per la costruzione di workflow intelligenti di trasformazione e analisi dati.

[16] Cfr. L. Cerullo e A. Negri, L’infrastruttura software per il patrimonio culturale (ISPC) come abilitatore di un ecosistema digitale nazionale del patrimonio culturale, cit.

[17] Per moduli basati su tecnologie di intelligenza artificiale e machine learning si intendono componenti software progettati per apprendere automaticamente dai dati e ottimizzare progressivamente le proprie prestazioni senza una programmazione esplicita. In ambito culturale, tali moduli possono essere utilizzati per analizzare immagini, testi e modelli 3D, migliorando la capacità dei sistemi di riconoscere schemi ricorrenti, classificare contenuti e produrre inferenze sui dati del patrimonio. Queste tecnologie si basano su approcci statistici e computazionali consolidati, come le reti neurali, gli algoritmi supervisionati e i modelli di deep learning.

[18] Le procedure automatizzate per il riconoscimento di pattern, il tagging semantico e la Named Entity Recognition (Ner) sono applicazioni dell’intelligenza artificiale che permettono ai sistemi di identificare e strutturare informazioni non esplicitamente codificate nei dati culturali. Il riconoscimento di pattern consente, ad esempio, di individuare regolarità in immagini o testi, mentre il tagging semantico assegna etichette significative a segmenti di contenuto in base a un vocabolario controllato. La Ner, nello specifico, è una tecnica di Natural Language Processing (Nlp) che consente di estrarre automaticamente nomi propri di persone, luoghi, eventi o opere da documenti testuali, facilitando la costruzione di relazioni nei grafi di conoscenza.

[19] Il termine “grafo” è utilizzato per descrivere una struttura informativa costituita da nodi (entità) collegati da relazioni. Questa rappresentazione a grafo consente di modellare e navigare le connessioni semantiche tra diverse risorse culturali digitali, facilitando l’interoperabilità e l’arricchimento dei dati attraverso tecnologie come il web semantico e le ontologie. Si veda in merito https://digitalia.cultura.gov.it/article/view/3008.

[20] Con il termine motori semantici si fa riferimento a componenti software che, attraverso l’utilizzo di ontologie, dizionari strutturati e algoritmi di inferenza, permettono di rappresentare e navigare i dati in base ai significati e non solo alle parole-chiave. Tali motori sono alla base della creazione e gestione dei grafi di conoscenza (knowledge graphs), strutture dati che organizzano le entità e le relazioni in modo formalizzato e interconnesso. In ambito culturale, i motori semantici consentono un’interrogazione più ricca e pertinente del patrimonio informativo, superando la mera corrispondenza sintattica tra termini.

[21] I modelli predittivi sono algoritmi progettati per prevedere eventi futuri o stati latenti a partire da dati storici o in tempo reale. Nella conservazione del patrimonio culturale, essi possono essere utilizzati per stimare la probabilità di deterioramento di materiali in base a condizioni ambientali, cronologie d’intervento o tipologie strutturali. L’utilizzo di tali modelli consente di implementare strategie di manutenzione preventiva e gestione del rischio più efficaci, riducendo la dipendenza da interventi ex post e migliorando la pianificazione delle risorse.

[22] La componente Data Fabric della D.Paas (Digital platform as a service) rappresenta un ambiente di sviluppo e orchestrazione avanzata dei dati all’interno dell’infrastruttura Ispc. Questa componente è pensata per aggregare, elaborare e virtualizzare dati culturali provenienti da fonti eterogenee, offrendo strumenti per la creazione di “data product” personalizzati. Include inoltre funzionalità per il training di modelli di machine learning, la costruzione di pipeline di processamento intelligenti, l’esposizione di Api e dashboard interattive, contribuendo così alla generazione di servizi digitali innovativi e specializzati. Cfr. A. Negri e L. Cerullo, cit.

[23] In questo contesto, per “conoscenza esperta” si intende un insieme integrato di competenze avanzate e specialistiche, che uniscono saperi disciplinari con competenze tecniche e metodologiche proprie dell’ambito digitale. Una conoscenza di tipo inter- e transdisciplinare come presupposto per garantire che la digitalizzazione del patrimonio culturale non si limiti a una mera riproduzione tecnica dei beni, ma si configuri come azione culturale, scientifica e civica ad alto valore aggiunto.

[24] Per risorse culturali digitali si intendono, nel contesto del Pnrr Cultura e in linea con le definizioni offerte dall’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale - Digital Library, le rappresentazioni digitali di oggetti, contesti e processi culturali: includono immagini, video, modelli 3D, metadati, documenti testuali e registrazioni audio, ma anche insiemi strutturati di dati e grafi di conoscenza semantica. Tali risorse non sono semplicemente copie digitali di materiali analogici, ma entità digitali native o digitalizzate, dotate di identità archivistica, descrizione catalografica e valore giuridico o scientifico.

[25] Per certificazione dell’identità digitale dei beni culturali si intende invece l’insieme di tecnologie e procedure - inclusi metadati persistenti, identificatori univoci, blockchain o firme digitali - finalizzate a tracciare la provenienza, la titolarità e l’integrità delle opere nel tempo. Questo approccio consente di rafforzare i meccanismi di contrasto al traffico illecito, migliorare la gestione delle collezioni e abilitare nuove forme di fruizione controllata.

[26] L. Cerullo, M. Bartoli, L.A. Coppola, C. Landino, A.D. Madonna, A. Negri, G. Pescarmona, C. Fauda Pichet, M. Porena e V. Rossetti, Verso la creazione di un ecosistema digitale nazionale per la cultura, in DigItalia, 2024, 2, pag. 11 ss.

[27] Come accennato anche nei paragrafi precedenti, le linee guida dell’Agenzia per l’Italia digitale (AgId) costituiscono l’apparato normativo e tecnico-operativo volto a indirizzare il processo di trasformazione digitale delle pubbliche amministrazioni italiane, in attuazione del Codice dell’amministrazione digitale e del piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione. Tra le principali si annoverano: le Linee guida sull’interoperabilità tecnica, che definiscono standard e protocolli per lo scambio sicuro di dati tra enti pubblici; le Linee guida per la formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici; le Linee guida di design per i servizi digitali pubblici, orientate all’usabilità e all’accessibilità; le Linee guida sull’intelligenza artificiale nella PA, che introducono criteri etici, tecnici e organizzativi per l’adozione di sistemi intelligenti. Questi strumenti, pubblicati e aggiornati periodicamente su docs.italia.it, rappresentano un riferimento normativo vincolante e un supporto tecnico fondamentale per l’uniformazione e la qualità dei servizi digitali offerti dalla Pa.

[28] https://www.agid.gov.it/sites/agid/files/2024-05/linee_guida_interoperabilit_tecnica_pa.pdf.

[29] Con l’espressione API first si fa riferimento a un paradigma di progettazione architetturale che prevede la definizione e documentazione delle Application Programming Interface (Api) come primo e centrale atto della fase di sviluppo software. In ambito pubblico, ciò significa concepire i sistemi informativi fin dall’origine come moduli interconnessi e interoperabili, in grado di scambiare dati e servizi in modo sicuro, standardizzato e riusabile tra diverse amministrazioni. Il principio è alla base delle Linee guida sull’interoperabilità tecnica pubblicate da Agid, ed è coerente con le strategie europee per il Once-Only Principle e il modello federato di dati pubblici. L’approccio “API first” consente di promuovere l’apertura dei dati (open data), la trasparenza, il riuso applicativo e la modularità dell’infrastruttura digitale, riducendo le ridondanze e favorendo l’integrazione progressiva di servizi eterogenei.

[30] Il Sistema informativo generale del catalogo (Sigec) è la piattaforma ufficiale del ministero della Cultura per la catalogazione, gestione e pubblicazione dei dati relativi al patrimonio culturale italiano. Realizzato dall’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (Iccd), il Sigec consente agli istituti territoriali e centrali di inserire, validare e archiviare le schede descrittive dei beni (mobili, immobili, paesaggistici), secondo standard uniformi e interoperabili. Si veda in proposito http://www.iccd.beniculturali.it/it/sigec-web.

[31] Il portale Vincoli in Rete, sviluppato dall’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione in collaborazione con le Soprintendenze, consente l’accesso pubblico alle informazioni giuridiche relative ai vincoli di tutela che insistono su beni immobili e aree di interesse culturale o paesaggistico. Entrambi gli strumenti rappresentano elementi fondamentali dell’ecosistema informativo del ministero, ma necessitano di maggiore interoperabilità semantica e tecnica per poter dialogare efficacemente con le infrastrutture digitali nazionali e comunitarie. Si veda in argomento https://vincoliinrete.beniculturali.it/VincoliInRete/vir/utente/login.

[32] Per un commento della norma si veda P. Petraroia, Articolo 17. Catalogazione, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Commento al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modifiche, (a cura di) M. Cammelli, C. Barbati e G. Sciullo, 2004, pagg. 127-132.

[33] Per una disamina della norma si veda M. Guccione, Articolo 29. Conservazione, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pagg. 179-185.

[34] Su questo tema specifico sia consentito rimandare a V.M. Sessa, Il ruolo della conservazione programmata nella programmazione degli interventi dui beni culturali secondo le previsioni del nuovo Codice dei contratti pubblici, Atti del XXXIX Convegno di Scienza e beni culturali, Bressanone 2-5 luglio 2024, dedicato al tema La conservazione preventiva e programmata. Venti anni dopo il Codice dei beni culturali, 2024, pag. 451 ss.

[35] Le funzioni di consultazione digitale si configurano come componenti dell’architettura della Digital Library nazionale concepite per abilitare forme evolute di interazione con i dati culturali. Tali funzioni possono comprendere interfacce semantiche, sistemi di ricerca intelligente, navigazione guidata e strumenti di interrogazione trasversale, capaci di aggregare, correlare e visualizzare contenuti provenienti da fonti eterogenee. In questo contesto, esse svolgono un ruolo abilitante per la costruzione di una cultura dei dati aperta, interoperabile e condivisa, promuovendo la fruizione attiva delle risorse da parte dei portatori di interesse e supportando modelli di governance informativa basati sulla qualità, sull’accessibilità e sul riuso dei dati.

[36] Gli standard tecnici e normativi cui devono conformarsi le pubbliche amministrazioni in materia di interoperabilità e digitalizzazione sono definiti principalmente dal piano triennale per l’informatica nella Pa (2022-2024 e 2024-2026).

[37] Tali fonti prevedono un modello multilivello (organizzativo, semantico, tecnico) basato sui principi di “interoperabilità by design”, “once only”, “user-centricity” e “cloud-first”. Gli standard includono l’adozione di formati aperti (Xml, Json, Rdf), vocabolari controllati (es. Dcat-Ap_It, Skos), Api Restful per lo scambio di dati, identificatori univoci (Uri, Uuid), protocolli sicuri (Https, Spid, Cie) e l’uso delle piattaforme nazionali come PagoPa, App Io, Anpr e la piattaforma digitale nazionale dati (Pdnd). Le Pa sono inoltre tenute a documentare e pubblicare le proprie Api su api.italia.it, promuovendo trasparenza, riuso e coerenza dei servizi digitali. Si vedano in proposito: AgID, Linee guida sull’interoperabilità tecnica delle PA, maggio 2024, disponibile su: https://www.agid.gov.it/sites/agid/files/2024-05/linee_guida_interoperabilit_tecnica_pa.pdf; Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la trasformazione digitale, Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione 2024-2026, disponibile su: https://pianotriennale-ict.italia.it; v. anche Docs Italia - Modelli e standard per la PA digitale: https://docs.italia.it.

[38] Come affermato dalla più autorevole giurisprudenza, infatti, la discrezionalità tecnica nasce dalla constatazione che, in determinate materie, la discrezionalità deve attuare il dettato normativo attraverso il ricorso a ‘norme’ non giuridiche, bensì derivate da saperi diversi: il concetto di discrezionalità tecnica, nell’accezione più diffusa, “identifica i casi in cui, in relazione a determinate materie, l’operato della p.a. si deve svolgere secondo criteri, regole o parametri tecnici o scientifici, direttamente o indirettamente richiamati dalla norma regolatrice del potere esercitato” Cons. Stato, Sez. V, 5 marzo 2001, n. 1247, in Foro Amm., 2001, 3.

[39] G. Severini, Tutela del patrimonio culturale, discrezionalità tecnica e principio di proporzionalità, in Aedon, 2016, 3. In giurisprudenza, con riguardo all'esercizio della tutela quale espressione di stretta discrezionalità tecnica, ex multis, Cons. Stato, VI, 7 ottobre 2008, n. 4823? 9 novembre 2011, n. 5921? 13 settembre 2012, n. 4872? 14 luglio 2014, n. 3637? 11 marzo 2015, n. 1257? 15 giugno 2015, n. 2903? 4 settembre 2020, n. 5357, da ultimo 9 febbraio 2023, n. 1433 e 9 maggio 2023, n. 4686.

[40] Il recente Documento di Indirizzo per la Qualità dei Progetti di Restauro predisposto dalla Società italiana per il restauro dell’architettura (Sira), ha infatti caldeggiato l’adozione di linee guida tecniche da parte del Ministero della Cultura, ai sensi dell’art. 29, comma 5, d.lg. n. 42/2004, ai fini della costruzione di un lessico comune tra istituzioni, professionisti e comunità scientifica.

[41] AA.VV., Il diritto dell’amministrazione pubblica digitale, (a cura di) R. Cavallo Perin e D.U. Galetta, Torino, 2020; D. Marongiu, L’attività amministrativa automatizzata, Rimini, 2005, A. Masucci, voce Atto amministrativo informatico, in Enc. dir., Aggiornamento I, Milano, 1997, pag. 221 ss.; A. Usai, Le prospettive di automazione delle decisioni amministrative in un sistema di teleamministrazione, in Dir. inf., 1993, pag. 163 ss.

[42] F. Merusi, Ragionevolezza e discrezionalità amministrativa, Napoli, 2011, pag. 51.

[43] Così P. Otranto, Decisione amministrativa e digitalizzazione della p.a., in federalismi.it, 2018, 2, che richiama in proposito S. Civitarese Matteucci e L. Torchia, La tecnificazione dell’amministrazione, in Id., La tecnificazione, in A 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana. Studi, (a cura di) L. Ferrara e D. Sorace, Firenze, Vol. IV, 2016, pag. 36, i quali richiamano il pensiero di E. Pruyt, From Building a Model to Adaptive Robust Decision Making Using Systems Modeling, in M. Janssen, M.A. Wimmer e A.Deljoo A (eds.), Policy Practice and Digital Science: Integrating Complex Systems, Social Simulation and Public Administration in Policy Research, Berlino, 2015, pag. 90 ss.

 

 

 



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