Fondazioni e beni ecclesiastici di interesse culturale
Fondazioni e beni ecclesiastici di interesse culturale: sfide, esperienze, strumenti
di Marco Cammelli [*]
Sommario: 1. Il progetto e il rapporto del II anno. - 2. Le analisi. - 2.1. Gruppo giuridico. - 2.2. Esperienze delle fondazioni. - 2.3 Suggerimenti degli esperti. - 3. Indicazioni per le fondazioni. - 4. Conclusioni.
Foundations and church heritage of cultural interest: challenges, experiences, tools
The paper examines the project launched in 2018 to enable foundations, engaged in supporting initiatives in the field of preservation and enhancement of, to have guidance with which to facilitate the solution of the main problems present in the sector and to place their choices in a more complete and in-depth conceptual, institutional and operational framework.
Keywords: foundations; ecclesiastical cultural heritage; cultural interest.
1. Il progetto e il rapporto del II anno
Il Rapporto che insieme a Valentina Dania e Lorenza Gazzerro [1] qui presentiamo è una sorta di diario di bordo dell’itinerario cominciato nel 2018 e che, come tutti i veri viaggi, nel corso del cammino ha incrociato molti più temi di quanto previsto in partenza. Una ragione in più per richiamare brevemente il punto da cui il cammino si è avviato, gli elementi che in questi anni si sono aggiunti con implicazioni significative, la ricognizione istituzionale operata nel primo anno del progetto [2] e le indicazioni di diversa natura emerse nel secondo, che qui presentiamo articolate nei tre temi oggetto di specifico approfondimento [3]. Insieme alla sintesi dell’esperienza delle fondazioni, il Rapporto presenta accurate analisi da parte del gruppo di ricerca dell’Università Cattolica di Piacenza (cui si deve la ricostruzione del quadro normativo in materia) e degli esperti che sulla base dei risultati raggiunti hanno formulato commenti e avanzato indicazioni cui fanno riferimento le conclusioni del Rapporto.
Il progetto si è avviato con un obbiettivo concreto: permettere alle fondazioni, che da anni sono impegnate a sostenere iniziative in materia di conservazione e valorizzazione di beni culturali ecclesiastici (da ora Bce) [4] con risorse (non solo finanziarie) nel tempo diventate significative, di disporre di indicazioni e riferimenti in grado di agevolare la soluzione dei principali problemi incontrati in questi anni [5] e di collocare le proprie (autonome) scelte in un quadro concettuale, istituzionale e operativo più completo e approfondito.
Un intervento ormai urgente date le dimensioni della riduzione in tutta Europa di luoghi e edifici di culto [6] e reso ancora più complesso dall’intersecarsi di profili (culto, valore storico-artistico, tradizioni popolari, riflessi economici) e di attori diversi, dalle autorità ecclesiastiche ai pubblici poteri (sovranazionali, statali e locali), ai privati. A conferma del crescente aumento di rilievo dell’argomento e della varietà di contenuti, logiche, regole e istituzioni diverse che vi insistono, il che spiega la recente attenzione riservata al tema anche in sede scientifica [7].
Di qui l’utilità di disporre di un quadro organico per meglio individuare i problemi in gioco, le possibili soluzioni, le scelte e gli strumenti più adeguati e anche per riflettere, questa è l’indicazione ulteriore che se ne trae, sul più ampio ruolo di stimolo, proposta e supporto che le fondazioni in ragione della propria esperienza e della prossimità con le comunità di riferimento possono svolgere presso i principali attori istituzionali, in particolare le autorità ecclesiastiche e il sistema pubblico statale, regionale e locale. L’esame che si è condotto conferma, oltre ad innegabili problemi, anche significative opportunità costituite da risorse inedite (finanziarie e tecnologiche), dai vantaggi della complementarità tra le politiche pubbliche dei principali settori in gioco (cultura, ambiente, paesaggio, turismo) e dall’importanza delle relazioni tra Bce e rispettive comunità.
Ne costituisce una ulteriore conferma l’attenzione riservata a questi temi non solo dalla Chiesa e dalle autorità ecclesiastiche [8] ma anche da importanti iniziative adottate a più livelli a partire dalle sedi istituzionali: da quelle sovranazionali (convenzione di Faro, accordi internazionali, Unesco) a quelle comunitarie (Pnrr, fondi europei di coesione, accordi di partenariato) fino alle innovazioni che hanno investito di recente il nostro ordinamento. In questo quadro vanno collocate in particolare dinamiche politico-istituzionali (come il ruolo rilevante assunto negli ultimi anni dal MiC) che importanti interventi normativi, dalle innovazioni ai principi costituzionali introdotte con la revisione dell’art. 9 Cost. (febbraio 2022) alla ridefinizione e ampliamento delle sanzioni penali a protezione del patrimonio culturale nel nuovo titolo VIII-bis del codice penale, artt. 518 ss. (marzo 2022).
Iniziative di diversa natura ma destinate comunque ad incidere in profondità sul patrimonio culturale in termini concettuali (dalla accezione tradizionale di bene culturale alla immaterialità), delle funzioni (rilievo esteso alla valorizzazione e fruizione), dei soggetti (fino alla stessa struttura delle relazioni tra comunità e istituzioni) [9], con ampie ricadute su più fronti: da quello delle politiche pubbliche di settore (già in atto) alla necessità di un aggiornamento, non rinviabile si direbbe, del vigente Codice dei Bc e del patrimonio.
Al fondo di elementi così diversi da ogni punto di vista, emergono dinamiche in vario modo riconducibili a una realtà in forte trasformazione nelle sue componenti principali che potrebbero riassumersi nella cedevolezza dei rispettivi (tradizionali) confini in favore di nuove e complesse relazioni (al momento ancora embrionali) più ampie e trasversali, riconoscibili sul piano funzionale nella interdipendenza tra settori di diversa natura e su quello soggettivo nella crescita della platea degli attori e dei soggetti coinvolti. Gli effetti ricadono su più fronti: quanto alle funzioni, sul crescente intreccio fino alla complementarietà di settori (beni culturali, paesaggio, ambiente) e di politiche (arte, cultura, fruizione, turismo, sviluppo socio-economico, coesione sociale) tradizionalmente separate; quanto ai soggetti, nel già ricordato intervento di istituzioni sovranazionali e nella più ampia disponibilità di conoscenze (grazie alle tecnologie digitali), di altri saperi ed esperienze (centri di ricerca, università, fondazioni) e di attori (associazioni culturali, volontariato, terzo settore, imprese). Il che in prospettiva sembra destinato a rideterminare lo spazio riservato ai saperi degli addetti ai lavori (esperti, tecnici e burocrazie professionali) e il relativo potere decisionale.
Segno che pluralismo e tecnologia mettono in discussione non solo le chiusure e le separatezze dell’assetto tradizionale ma incidono in profondità sulle premesse (comprese le logiche dominicali) che storicamente ne hanno costituito le radici. Un profilo dunque centrale, che va approfondito e meditato anche per mettere a punto tempestivamente le modalità con cui affrontare in modi nuovi i problemi di sempre: protezione dei beni, valorizzazione, accessibilità al significato culturale (e, in questi casi, specificamente religioso), rapporto con il contesto e bilanciamento tra conservazione, fruizione e dinamiche socio-economiche. Tutti aspetti che implicano oltre al ripensamento di categorie consolidate anche adeguati strumenti operativi, partendo dalla precisazione dei criteri ispiratori delle relazioni con le comunità e gli altri soggetti in vario modo coinvolti: il terreno, cioè, su cui le fondazioni operano e sul quale per natura, esperienze e risorse possono dare un contributo rilevante.
I risultati del secondo e ultimo anno del progetto sono rappresentati come si è detto dal report del gruppo giuridico, dal riferimento alle esperienze maturate in materia dalle fondazioni che hanno promosso e sostenuto l’indagine e infine dai commenti degli esperti sui risultati conseguiti nei tre settori prescelti. Si tratta di elaborati ampi e approfonditi ed è bene dunque fare diretto riferimento ai testi che seguono. Ci limitiamo in questa sede ad anticiparne alcuni elementi per consentire uno sguardo di insieme sull’indagine e i suoi risultati.
2.1. Gruppo giuridico
L’analisi condotta dal gruppo giuridico sui tre temi di particolare approfondimento (valorizzazione e riuso immobili, turismo cammini e itinerari, terzo settore e volontariato) permette alle fondazioni e più in generale agli operatori del settore di colmare diffuse incertezze e di disporre di un quadro normativo completo e aggiornato delle disposizioni in materia, arricchito dai principi di riferimento e dai principali problemi applicativi. Compresi, e non mancano, quelli che restano ancora aperti e che meritano particolare attenzione.
Per quanto riguarda il delicato tema della dismissione o destinazione ad altro uso di Bce, è indubbio che il largo ricorso a intese (già 8 protocolli sottoscritti, come si è detto) tra Conferenze Episcopali Regionali (Cer) e Regioni sulla scia dell’accordo Cei - Conferenza Stato-Regioni del 2017 ha migliorato il quadro di riferimento e precisato aspetti specifici riguardanti le varie realtà territoriali, ma resta la necessità di fare ancora passi avanti. Le disposizioni del Codice canonico o dello stesso Codice civile costituiscono il riferimento obbligato ma restano aperti aspetti più specifici ma rilevanti come la possibilità che gli interessi ecclesiastici pur superati in precedenza possano ripresentarsi in un momento successivo o la questione della permanenza dei vincoli sul bene nei successivi passaggi ad altri aventi causa. Temi tra l’altro che i recenti inasprimenti delle sanzioni penali in materia di Bc rendono meritevoli di maggiore attenzione.
Si conferma l’opportunità di una disciplina generale del riuso oggi carente [10] con la consigliabile avvertenza di coinvolgere anche altre realtà (istituzioni civili, religiose e soprattutto tecnici ed esperti) nella definizione delle intese regionali.
Il secondo ambito, quello del turismo, dei cammini e degli itinerari, è in forte espansione per il particolare ruolo di congiunzione tra il bello e il sacro che vi gioca il culto e per la scelta di integrare le forme tradizionali e in particolare i pellegrinaggi (per i quali il prossimo Giubileo del 2025 sarà una occasione di ulteriore sviluppo) con nuove forme integrate di azione e valorizzazione quali i parchi culturali ecclesiastici (Pce).
Il problema in questi casi è tipicamente quello della integrazione o meglio ancora della complementarietà tra profili diversi (turismo sociale, culturale, naturalistico ambientale), relativi interventi (attività pastorali, promozionali e di gestione) e conseguente varietà di regimi e di enti regolatori (Stato, enti decentrati, autorità ecclesiastiche), con qualche aspetto problematico sia sul versante pubblico (v. riparto delle competenze tra Stato e regioni) sia su quello privato (singoli, imprese) delle possibili disparità del regime (anche fiscale) tra gli enti religiosi e gli operatori turistici privati.
Va poi aggiunta la crescente tensione tra il riconoscimento dell’immaterialità del bene culturale proprio in casi come questi (pellegrinaggi, processioni, riti tradizionali), peraltro ormai recepita dalla Convenzione di Faro [11] e l’insistenza invece, con modesti correttivi, sulla “materialità” come elemento costitutivo dei beni culturali propria del nostro Codice [12] nel cui sistema peraltro non trova facilmente spazio neppure la “comunità patrimoniale” (art. 2.b) della medesima Convenzione.
Tutto questo da un lato spiega il largo favore a forme decentrate di natura collaborativa tra enti territoriali e autorità ecclesiastiche con la sottoscrizione di protocolli di intesa (preceduti dall’accordo Cei-Conferenza Regioni del 2017) tra Cer, regioni e relativa legislazione. Ne è una prova la legge regionale Piemonte 2018 n. 11 (legge quadro in materia di cultura) che si propone di agevolare il superamento dei sistemi “a bando” e le relative discontinuità a favore di relazioni continuative e consensuali basate su convenzioni. Il che conferma anche la necessità di una cornice generale nella quale gli aspetti problematici emersi trovino una adeguata composizione.
La terza sezione del rapporto giuridico è dedicata allo svolgimento delle attività appena viste e riferite al regime degli enti del terzo settore (ETS) e del volontariato. A parte le novità introdotte di recente per gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e alla possibilità di istituire un “ramo separato” di attività e relativo patrimonio destinato (d.l. n. 77/2021), si riscontra una sostanziale replica del modello dettato per gli Ets, le imprese sociali e il volontariato con la previsione di tre distinte forme di collaborazione: quella di tipo funzionale, solo tra enti diversi, e quelle strutturali consistenti o nell’inserimento (nello stesso ente) della nuova attività a fianco di quella precedente in forma di costituzione di un ramo per attività terze o nella modalità opposta, nel distacco cioè di un ramo esclusivamente dedicato alle attività religiose.
Anche in questo caso è di particolare importanza la messa a punto in sede nazionale di criteri, regole e controlli per le varie forme di esternalizzazione. Ed è esattamente questa l’indicazione di fondo che si trae dal rapporto del gruppo giuridico e dall’ampia ricostruzione ivi operata.
Non c’è dubbio infatti che il fattore decisivo dell’intervento negli ambiti esaminati, vale a dire la cooperazione tra i diversi soggetti coinvolti nella definizione di programmi e nella relativa messa in opera, trovi le più appropriate forme di espressione nelle sedi decentrate, essenzialmente regionali lungo l’asse Cer-Regione [13], alle quali è auspicabile che contribuiscano con il proprio apporto anche gli altri soggetti pubblici e privati.
Ma è altrettanto chiaro che il permanere di lacune o incertezze (non certo insuperabili) e la messa a punto degli strumenti in grado di assicurare la necessaria flessibilità in sede decentrata richiede un incisivo ruolo delle sedi centrali (Cei e MiC) proprio perché garanti della unità del sistema (da un lessico condiviso a standard omogenei di azione e di valutazione) con interventi di natura regolativa e di indirizzo la cui messa in opera appare, insieme, urgente e matura (l’avvio della fase operativa del Pnrr insegna).
2.2. Esperienze delle fondazioni
Pochi dati generali per cogliere la natura e le dimensioni dell’impegno delle fondazioni italiane sul patrimonio culturale. Nel 2021 gli importi complessivi deliberati per il settore sono stati pari a 245,5 milioni, di cui 75,3 destinati alla conservazione e valorizzazione di Bc, per lo più associati a forme di cofinanziamento e dunque con un volume complessivo ancora maggiore. In ogni caso, l’entità delle risorse non dice tutto perché va integrata con le attività continuative e di sistema svolte in sede nazionale dall’Acri (una per tutte, R’Accolte) [14] e con i macro-progetti promossi dalle singole fondazioni nei quali le attività poste in essere in termini di ideazione, progettazione, documentazione e gestione delle attività e delle strutture dedicate al settore sviluppano un complesso di interventi e di servizi assai più ampio della mera quantità di risorse erogate [15].
Considerazioni analoghe riguardano le esperienze in materia di Bce, delle quali ci si limita a richiamare solo alcune tra quelle indicate dalle fondazioni aderenti al progetto per mostrare la varietà delle tipologie e delle modalità d’intervento, cominciando dall’iniziativa promossa dalla fondazione Cassa di Risparmio di Parma con l’Università cittadina [16], dedicata alla mappatura dello stato di conservazione del patrimonio culturale ecclesiastico architettonico diffuso sul territorio provinciale per conoscere le condizioni dei beni e definire le priorità d’intervento della Fondazione.
La diffusione del patrimonio culturale religioso e la esigenza di disporre di criteri per gli interventi di sostegno in materia e rappresentano infatti per molte fondazioni un elemento di difficoltà, considerando che l’urgenza dell’intervento di recupero e restauro è stata per molto tempo un elemento dominante nelle scelte da compiere con il rischio di mettere in secondo piano altre azioni connesse, come la divulgazione della conoscenza e la fruizione da parte del pubblico.
Proprio per affrontare i temi degli interventi in urgenza sul restauro del patrimonio architettonico fondazione Cariplo promuove da circa 15 anni la diffusione dell’approccio della conservazione preventiva e programmata, proposto attraverso i bandi come percorso di conoscenza, intervento, monitoraggio e cura continua e basato su una visione di medio e lungo periodo, volta a prevenire condizioni di degrado aggravate e a mitigare l’esposizione ai rischi naturali estremi. Gli enti ecclesiastici sono tra i più frequenti beneficiari di contributo su questi strumenti erogativi, con progetti di conservazione programmata finalizzati alla messa in sicurezza degli edifici di pregio, prevedendo inoltre azioni di coinvolgimento delle comunità in attività di cura continua del patrimonio e di sensibilizzazione su questi temi.
Più recentemente Fondazione Compagnia di San Paolo ha promosso alcuni strumenti erogativi volti a promuovere la corretta pianificazione della conservazione programmata di sistemi di beni e a diffondere la cultura della manutenzione in luogo dell’intervento emergenziale. L’iniziativa è diretta a fornire alle istituzioni che si occupano del patrimonio vincolato i più adatti strumenti di conoscenza specialistica a carattere tecnico e tecnologico, con riferimento alla sostenibilità finanziaria, ambientale e sociale, anche grazie a un accompagnamento qualificato. Questi approcci, come esposto in maniera diffusa più avanti (cfr. Stefano Della Torre), mirano a stimolare gli enti titolari a una migliore gestione del patrimonio culturale di cui dispongono e a favorire forme di collaborazione tra le diverse istituzioni coinvolte.
Tra le esperienze dedicate al recupero e alla valorizzazione di sistemi di beni promosse dalla Fondazione Crt la prima, Città e Cattedrali, è un progetto nato nel 2005 per avviare un circuito culturale tra le cattedrali piemontesi e valdostane grazie al recupero e alla valorizzazione del loro patrimonio storico artistico. Da questo nasce nel 2017 come spin-off il progetto Chiese a porte aperte per favorire la fruizione in modo sostenibile delle tante testimonianze d’arte diffuse sul territorio. Una soluzione tecnologica innovativa, ideata per l’apertura e la valorizzazione di siti di particolare interesse storico artistico, permette di effettuare le visite autonomamente, in condizioni di sicurezza, anche in assenza di un presidio umano. L’apertura si attiva tramite una App per smartphone previa prenotazione, anche in loco, del servizio [17]. Infine, Santuari e Comunità - Storie che si incontrano è un progetto avviato nel 2018 con l’obiettivo di recuperare e attualizzare, con l’aiuto delle realtà territoriali, il ruolo storico dei Santuari, attraverso la costruzione e il sostegno di progettualità innovative capaci di porsi come crocevia tra la storia di questi beni e la storia delle persone.
Il tema del rapporto tra patrimonio culturale religioso e comunità è inoltre presente nelle strategie di Fondazione Crc Cassa di Risparmio di Cuneo, che sostiene dal 2016 il recupero, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale del proprio territorio attraverso il Bando patrimonio culturale. Tale strumento vincola i beneficiari a destinare almeno il 20% dell’importo deliberato ad azioni di valorizzazione, con l’obiettivo di incrementare la fruizione e la conoscenza del bene culturale a favore delle comunità. Questa azione ha generato diverse iniziative, dalle visite guidate ai laboratori didattici, da convegni scientifici alle pubblicazioni, dalla creazione di percorsi di fruizione turistica all’inserimento in circuiti esistenti, dalla realizzazione di materiale di comunicazione online e offline all’inserimento di contenuti divulgativi presso i siti e all’accessibilità con particolare attenzione alle categorie fragili e alla coprogettazione di strumenti di fruizione da remoto. Soprattutto nell’ambito dei beni religiosi di interesse culturale, i progetti sostenuti hanno consentito ai diversi pubblici di approfondire la comprensione del patrimonio, della sua storia e del valore che questa ricchezza può costituire per la comunità che li ospita.
Anche i beni mobili custoditi negli edifici di culto o e nei numerosi musei diocesani rappresentano un patrimonio in grado di trasmettere valori importanti alle comunità in divenire nei territori: sulla conservazione di questi beni ha lavorato Fondazione di Sicilia nella logica di conservare e valorizzare in chiave turistico-culturale i luoghi di culto siciliani che custodiscono numerosi tesori.
Tra i progetti di promozione di sistemi di beni culturali ecclesiastici è poi da richiamare l’esperienza in corso della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo in collaborazione con la Diocesi di Padova per il ripensamento e la riorganizzazione di un sistema di fruizione qualificata riguardante i beni culturali religiosi gravitanti intorno a Piazza Duomo (Battistero, Cattedrale, Palazzo Vescovile, Biblioteca Capitolare) in modo da confermare e potenziare la vocazione della città come meta di turismo religioso, già fortemente connotata in questo senso anche grazie al rilievo e alla notorietà della Basilica di Sant’Antonio.
Nell’ambito dei progetti di sistema i cammini religiosi sono emersi come un tema rilevante e ricorrente e intersecano numerosi settori legati a questo tipo di turismo: la Fondazione di Sardegna ha sostenuto diversi progetti in questo ambito attraverso i bandi finalizzati a promuovere il patrimonio storico, culturale, ambientale e naturalistico nonché etnoantropologico dell’isola. Caso emblematico è il Cammino di Santa Barbara che valorizza in un percorso di 350 km la presenza di siti e testimonianze di archeologia industriale unitamente ai luoghi di culto dedicati alla Santa Patrona dei minatori.
Queste forme di turismo, connesso a una mobilità lenta e sostenibile, sono promosse anche da Fondazione Monte dei Paschi di Siena, che ha sostenuto nel tempo importanti progetti dedicati alla valorizzazione dei cammini religiosi, a partire dalla Via Francigena.
Tra i progetti di recupero e riuso di luoghi legati a funzioni religiose, la Fondazione e Cassa di Risparmio di Lucca oltre a San Frediano e San Romano (proprietà del Comune), ha provveduto all’acquisto nel 2010 e all’importante e qualificato restauro della chiesa e dell’ex convento di San Francesco. Il complesso, gestito direttamente dalla Fondazione, è sede della Scuola di Alti Studi IMT e ospita tutti gli incontri cittadini di rilievo con una ampia capienza (650-700 posti). Anche il recupero dell’Oratorio degli Ex Artigianelli è da segnalare come intervento di restauro e adeguamento alle nuove funzioni e come modalità di gestione (comodato d’uso gratuito stipulato con la Diocesi) per accogliere eventi musicali e culturali e rendere il luogo nuovamente vissuto dalle comunità.
Sempre sul tema del riuso l’esperienza di Fondazione con il Sud vede la collaborazione con enti del Terzo settore che hanno in gestione in comodato d’uso gratuito beni di proprietà ecclesiastica per svolgere nuove funzioni e interventi sociali rivolti in particolare alle fasce più deboli della popolazione, attraverso la promozione di attività culturali, attività di ricezione turistica e visite guidate.
Da questa pur limitata sintesi emergono tra le Fondazioni esperienze significative ma anche elementi di difficoltà comuni tra le Fondazioni che sono stati raccolti e discussi con gli esperti per mettere a fuoco strumenti e soluzioni adeguate. In particolare sia la carenza di dati sulla localizzazione e lo stato dei beni che la mancanza di una sede in grado di coordinare effettivamente, almeno per questi aspetti, i numerosi enti ecclesiastici operanti nel territorio agevolano la frammentarietà e dispersione delle risorse rendendo più difficili progetti di ampio respiro. Altrettanto dicasi per il riparto delle competenze in tema di conservazione che in sé e per i profili più strettamente tecnici non agevola l’uso di linguaggi comuni e dunque la chiarezza tra i diversi soggetti coinvolti.
Venendo ai caratteri dell’azione svolta, la maggior parte degli interventi delle Fondazioni sui Bce riguardano immobili e in particolare chiese, anche se non mancano altre tipologie (cappelle, conventi, monasteri, oratori). I destinatari sono per lo più parrocchie e anche (in misura minore) diocesi, mentre gli obbiettivi perseguiti consistono sia nella protezione e relativa corretta gestione dell’immobile (restauro, risanamento, conservazione programmata) che nella funzionalizzazione alle esigenze del riuso e della valorizzazione.
Si tratta di una esperienza con importanti aspetti positivi, oltre naturalmente a quello (innegabile) di esserci e di contribuire in modo non marginale al recupero di questa parte del patrimonio culturale del Paese, le cui ricadute più importanti riguardano il supporto di buone pratiche nella progettazione e gestione del bene, lo sviluppo di reti e forme di cooperazione con altri soggetti, la valorizzazione culturale e turistica di luoghi e contesti (dai centri storici a itinerari e percorsi), il rafforzamento delle relazioni tra bene culturale e corrispondente comunità.
Ma proprio queste linee hanno messo in luce anche significativi aspetti critici. Per un verso questi sono intrinseci al singolo progetto, come lacune e discontinuità di conoscenze, difficoltà e asimmetrie nelle relazioni tra proprietario del bene e soggetto gestore, carenze nella progettazione (nella quale mancano o sono insufficienti i riferimenti alla conservazione programmata e alle prospettive e modalità di valorizzazione, mentre si registrano limiti significativi alla fruizione e riuso del bene al termine del progetto) con inevitabili ricadute negative sull’andamento (e sui tempi) dei lavori e sulla valutazione dei risultati e relativi controlli. Inutile aggiungere quanto la mancanza nelle parrocchie di competenze specifiche sia tecniche (restauro e conservazione programmata) che finanziarie e gestionali o l’impossibilità di assicurarsene la disponibilità, finiscano per condizionare l’andamento e l’esito.
Per altro verso le difficoltà riguardano invece le relazioni con altri soggetti e autorità: raramente gli enti ecclesiastici sono in grado di stabilire priorità tra le proprie richieste e mancano, a differenza di quanto avviene da tempo a livello nazionale (Cei-Mic) e regionale (Cer-Regioni), forme di relazione e di coordinamento con le amministrazioni locali, le Soprintendenze e le singole Diocesi, il che rende incerte e imprevedibili tanto la progettazione che l’esecuzione dell’intervento specie quando, come nel caso degli itinerari o dei cammini, l’ambito territoriale coinvolto interessa più Enti.
Alcuni di questi problemi possono essere risolti o ridotti con l’adozione di buone pratiche all’interno delle Fondazioni., ma la maggior parte richiede invece uno sforzo congiunto (e, prima ancora, una visione altrettanto condivisa) dell’intera problematica a livello superiore: regionale e nazionale.
Sono esattamente questi gli obbiettivi che il progetto si è dato e i risultati che si sono raggiunti.
2.3. Suggerimenti degli esperti
Anche in questo caso, come del resto per gli elaborati del gruppo giuridico, è d’obbligo il rinvio ai testi qui raccolti che offrono un ventaglio di dati e di indicazioni assai più approfondito e molto utili. Qui ci limitiamo a richiamare il taglio dei singoli contributi e gli elementi da segnalare con particolare attenzione.
Al tema della conoscenza del contesto, per tutti necessario presupposto delle scelte e delle azioni in materia, sono dedicati in particolare i saggi di Carlo Mambriani [18] e di Andrea Longhi [19]. Il primo, grazie all’indagine promossa da Fondazione Cariparma e Università e svolta sull’intera provincia di Parma (Catalogo delle vulnerabilità del patrimonio culturale 2010-12, già richiamato), sottolinea la centralità da accordare alla rilevazione e valutazione dei dati e invita a considerare, oltre alla distinzione di base tra beni architettonici (normalmente oggetto di maggiore conoscenza e controlli) e gli altri beni storico-artistici, la differenza tra le zone cui corrispondono comunità vitali (montagna, alcune aree cittadine) e quelle che più facilmente ne sono prive o che con i beni culturali hanno relazioni più problematiche, come di frequente avviene per le zone più prossime alle città.
Andrea Longhi in tema di riuso richiama l’attenzione sul rapporto tra nuova destinazione del luogo di culto e le delicate relazioni di appartenenza e memoria che permangono con la comunità circostante che vanno considerate anche con modalità specifiche (v. il suggestivo riferimento alla “liturgia del saluto”). Un profilo da inserire in elementi di metodo e operativi più generali e condivisi: scala territoriale adeguata, identificazione della pluralità di attori coinvolti e delle variegate tipologie di patrimonio religioso (v. figura 1 testo Longhi), fonti e dati affidabili, elementi chiave nella e della progettualità (scelte strategiche, sostenibilità, funzioni).
Anche Longhi come Mambriani dedica particolare attenzione al tema del contesto concentrandosi sullo stato dell’arte dei dati disponibili, ancora problematico, e alla relativa ricognizione. Sulla capacità cioè di muoversi sul terreno dei dati e in particolare nella vasta zona intermedia tra quelli disponibili e quelli che mancano (ma che possono essere ottenuti tramite incroci) insistendo come si è detto sulla necessità di tenere conto dei diversi soggetti (titolari dei beni, gestori, decisori) cui corrispondono ruoli e regimi regolativi diversi e determinanti per l’impostazione e la riuscita dell’intervento [20].
Il ruolo chiave (non perché esaustivo, ma per gli orizzonti che si schiudono) delle tecnologie digitali e delle reti è l’asse portante del testo di Roberto Canu [21] e del progetto fortemente innovativo (Chiese a porte aperte, APA) promosso dalla Consulta Regionale per i Beni Culturali ecclesiastici e dalla Fondazione CRT in Piemonte e Valle d’Aosta e in ora in via di estensione ad altre aree. Come il testo mette in luce infatti proprio questo salto tecnologico, che permette la valorizzazione di Bce di particolare valore culturale sparsi nel territorio (il c.d. patrimonio diffuso) e per questo isolati e sprovvisti di supporto continuativo, richiede che l’intervento sia accompagnato da particolari attenzioni tecnico-operative e da una adeguata preparazione e formazione culturale (testi, strumenti mediali, formazione del personale che vi opera).
Naturalmente oltre a questi processi, in alcuni casi (v. Apa) ancora sperimentali, resta centrale l’azione di conservazione programmata degli immobili cui si riferisce l’intervento di Stefano Della Torre il quale pone la questione delle scelte di fondo delle Fondazioni sia in termini dei criteri di individuazione del bene che delle finalità specifiche dell’intervento, stimolando le Fondazioni a considerare, oltre il risultato specifico perseguito, l’uso della leva finanziaria per superare le preesistenti (e spesso problematiche) condizioni conservative e gestionali.
Se infatti le ragioni dei limiti fin qui incontrati sono dovute a fattori ben individuati come interventi inadeguati rispetto alla pericolosità del contesto e carenza di adeguata istruttoria, o condizioni del bene lasciato privo di indicazioni sulla gestione post intervento o utilizzato in modo scorretto, rischioso e altro, allora la buona pratica consiste nel finanziare interventi che eliminano o almeno riducono queste lacune puntando su disponibilità di conoscenze, ottica della prevenzione, ricorso consapevole alle tecnologie, gestione del bene con sensibilità al contesto sociale e territoriale e dunque anche ai riflessi che ne conseguono in termini di impegno della comunità (volontariato).
Naturale presupposto e implicazione di tutto questo è la collaborazione tra soggetti e relativi presupposti, reti territoriali e strumenti alla quale è dedicato il contributo di Francesco Palumbo [22], che ne esamina in particolare due momenti. Il primo, legato alla fase operativa dell’intervento, sottolinea l’opportunità di individuare e risolvere in via preliminare i problemi più frequenti come le differenze nella gestione del bene culturale, da riferire per lo più alla diversa natura dei soggetti gestori, le incertezze legate a provvedimenti e autorizzazioni delle Soprintendenze, il frequente sottodimensionamento della quota di risorse dedicate alla valorizzazione. L’altro approfondisce invece la dimensione istituzionale (atti di regolazione, indirizzi, programmi) delle politiche di settore e relativa relazione con i piani, e verrà ripreso tra breve.
Per entrambi resta ferma la centralità della collaborazione tra soggetti pubblici e privati in tutte le forme che può assumere, dalla attivazione di reti territoriali in grado di soddisfare le ragioni della complementarietà e garantire continuità di azione (ad oggi spesso assente) fino alla sperimentazione di strumenti di definizione e selezione del progetto (anche con modalità consensuali, come avviene nel dialogo competitivo del codice dei contratti o nei protocolli di intesa tra Fondazioni e MiC, art. 121 Codice Bc) e di relativa valutazione e controllo (di cui il piano strategico del Turismo 2017-22 offre esempi significativi), permettendo così alle Fondazioni di superare i limiti delle più tradizionali tipologie di bando.
3. Indicazioni per le Fondazioni
Se l’obbiettivo che ci eravamo proposti era la conferma del rilievo degli interventi in questo ambito e la necessità di superare le difficoltà riscontrate in materia dalle Fondazioni in modo da svolgere i propri compiti in modo più attrezzato, non pare dubbio che il cammino compiuto confermi l’assunto di partenza e la possibilità di una risposta adeguata.
Ma ci dice anche molto di più sull’importanza della posta in gioco e dei valori che vi sono implicati, sulla complessità e varietà dei temi che vi si intrecciano e le corrispondenti difficoltà da superare, sul ruolo che le fondazioni possono svolgere per contribuire ad affrontare la sfida della protezione e valorizzazione dei Bce negli anni che ci attendono. Un tema certo cruciale per la Chiesa e per le autorità ecclesiastiche e nello stesso tempo strategico per il Paese, date le caratteristiche storico-artistiche e paesaggistiche del patrimonio culturale italiano di cui i Bce sono parte determinante.
La prima conferma riguarda le difficoltà da affrontare, perché intervenire in materia in modo non estemporaneo è cosa impegnativa per le dimensioni e la particolare complessità di questo patrimonio culturale, la intensità dei processi che lo stanno investendo modificandone in profondità condizioni materiali, funzioni, presupposti. A tutto questo va aggiunta la pluralità e eterogeneità dei soggetti coinvolti (decisori, gestori: Longhi) con i quali le Fondazioni debbono rapportarsi: Chiesa (universale e Cei), istituzioni pubbliche (Stato ed enti territoriali decentrati), operatori professionali (tecnici, esperti, imprese), comunità e volontariato. Pluralità e soprattutto particolare sensibilità perché il punto chiave è che, come appena detto, sono in gioco sensibilità culturali e sociali altrettanto delicate e profonde [23] che indicano quanto sia complesso il riferimento alla “comunità” richiedendone una valutazione molto accurata e consapevole.
Sono queste le ragioni che mettono in gioco le Fondazioni, non solo perché hanno maturato in materia significative esperienze, ma perché queste problematiche le portano a muoversi su un terreno ben conosciuto e praticato - l’autonomia e la relazione del profilo storico, artistico e culturale con il proprio territorio - rispettando il significato spirituale e religioso del bene che ne è il tratto genetico.
È dunque il momento di passare a ciò che di più specifico le Fondazioni possono trarre da questo Rapporto. Per chiarezza di esposizione, le indicazioni raccolte saranno ordinate su due piani: all’interno delle Fondazioni, nella propria azione e organizzazione, e al loro esterno, nelle relazioni con i diversi attori che entrano in gioco a livello locale o al centro e in sede nazionale.
3.1. Al proprio interno
Un primo terreno di suggerimenti riguarda una maggiore consapevolezza degli obbiettivi che si perseguono e degli elementi che presuppongono, dato che il supporto alle scelte delle Fondazioni è innanzitutto in funzione della finalità che effettivamente si vuole perseguire (Della Torre). Tra gli obbiettivi principali, vanno annoverati il concorso alla conservazione del Bce e il sostegno alla valorizzazione (anche in termini di accessibilità materiale e culturale); l’azione di “supporto della comunità” (v. Faro), agevolandone forme e strumenti di conoscenza e partecipazione; la capacità di fare dell’intervento una occasione per incentivare il ricorso a pratiche virtuose mirando a rimuovere gli ostacoli che in precedenza ne impedivano l’adozione.
Il perseguimento di questi obbiettivi va associato a scelte che se dotate di sufficiente continuità costituiscono vere e proprie linee strategiche di azione e (anche) di selezione degli interventi: quale bene (tra i vari possibili); quali funzioni (musei, sale concerti, centri di incontro, altro); quale sostenibilità (economica, ambientale, sociale, culturale) deve accompagnare e seguire l’intervento; quale apprezzamento dei fattori di rischio (vulnerabilità, pericolosità, esposizione, resilienza), come fare leva sul finanziamento per incentivare buone pratiche presso i destinatari (compreso il suggerimento dell’attivazione di reti di coordinamento tra diversi enti ecclesiastici).
Non meno rilevanti sono gli aspetti di metodo: il contesto e la relativa valutazione, oltre ad essere il presupposto per la continuità (almeno per aggiornare dati e dinamiche) di cui il settore necessita, è un elemento indispensabile in ogni intervento (Palumbo) e richiede anche la disponibilità di una scala territoriale adeguata di osservazione e di progettazione (Longhi), senza la quale è spesso sconsigliabile agire sul singolo bene e impossibile intervenire su insiemi complessi quali il patrimonio diffuso e le connesse attività di fruizione (itinerari, cammini, pellegrinaggi).
Al tema dei dati conoscitivi e alle relative difficoltà sono dedicate anche osservazioni e proposte specifiche (Mambriani, Longhi): ad esempio l’importanza del trasferimento di dati e saperi la cui circolazione va assicurata in particolare in occasione dei singoli interventi operativi, prescrivendo a gestori e tecnici impegnati nella progettazione e attuazione di rendere disponibili i relativi materiali conoscitivi, schede comprese (Longhi). Questi adempimenti apparentemente “minori”, e per questo spesso previsti ma non osservati dagli uni né richiesti dai beneficiari, non solo sono necessari per il “dopo intervento” e la gestione successiva, ma costituiscono per gli enti ecclesiastici e le fondazioni una via semplice e diretta per acquisire (e, nel tempo, accumulare) informazioni preziose per le future azioni in materia.
Cruciale è poi il tema della comunicazione verso l’esterno della Fondazione, per rendere riconoscibile ciò che si fa non solo ai possibili fruitori (i bandi sono anche questo), ma anche al proprio interno e sul piano operativo perché l’effettiva riuscita della conservazione programmata del Bce oggetto dell’intervento regge proprio sulla continuità del flusso di informazioni tra il beneficiario dell’intervento, il titolare del bene e la Fondazione stessa.
Per finire, merita riprendere il tema delle condizioni materiali del bene culturale e in particolare delle situazioni critiche in atto. Nessun dubbio sul rilievo che va accordato all’urgenza di intervenire e che dunque sia giusto che la selezione ne tenga conto, ma se questo rimanesse il criterio dominante o addirittura esclusivo a scapito di elementi di meritorietà come la qualità progettuale, il recepimento delle buone pratiche o la capacità di metterle concretamente in opera, il risultato paradossale sarebbe la conferma e anzi il premio dell’esistente così come è, vizi compresi (Della Torre).
Quanto al terreno più ravvicinato della operatività e relativi strumenti, esce confermata sotto ogni profilo la centralità della cooperazione che in queste fasi del procedimento potrebbe assumere utilmente forme partecipate (o addirittura negoziate, per i progetti più complessi) (Palumbo) superando le tradizionali discontinuità del singolo intervento.
L’esperienza suggerisce di considerare ingredienti della qualità del progetto anche elementi spesso assenti o insufficienti come le possibili complementarità e adeguate risorse destinate alla valorizzazione (spesso sottodimensionate, v. Canu e Palumbo), cura della sostenibilità e l’opzione della conservazione programmata (Della Torre) nonché l’attenzione alle relazioni con committenti e progettisti (Longhi). Va poi aggiunta la gestione post-intervento e i relativi strumenti di valutazione e controllo (Palumbo), con la conferma del ruolo centrale del ricorso alla incentivazione, cooperazione e digitalizzazione e il suggerimento, almeno per le fondazioni di maggiori dimensioni, di prevedere al proprio interno un riferimento stabile e tecnicamente attrezzato dedicato agli interventi che ricadono su questo terreno.
Poiché come si è detto la maggior parte di questi aspetti si gioca nella fase di progettazione dell’intervento e dato che è consigliabile alleggerire gli adempimenti richiesti agli interessati senza mancare di coinvolgere (con le dovute modalità) le diocesi, sarebbe particolarmente opportuna l’articolazione della procedura di selezione in due fasi distinte: una prima selezione basata sulla presentazione di progetti preliminari, rispetto ai quali acquisire la valutazione della diocesi di riferimento e individuare le proposte ammesse mentre è solo nella seconda, riservata alla scelta dei progetti beneficiari del finanziamento, che andrà richiesta la versione definitiva e a scala di dettaglio del progetto.
3.2. All’esterno
Altrettanto preziose anche le indicazioni che riguardano il contesto e gli attori istituzionali e privati con cui le Fondazioni si rapportano.
Nella dimensione del sistema locale, si tratta in particolare di favorire forme di relazione più aperte, come l’acquisizione di suggerimenti o valutazioni (anche tecniche) di altri soggetti mediante la messa a punto dei protocolli Cer-Regioni, l’istituzione di tavoli con i vari attori coinvolti (decisori, gestori) + università, tecnici o lo scambio di informazioni con le Soprintendenze.
Ai profili funzionali vanno affiancati interventi organizzativi non meno rilevanti e auspicabili che spaziano da modalità di supporto non solo amministrativo ma anche tecnico all’Ufficio Diocesano a interventi di formazione e sostegno per il personale impegnato, specie volontario [24], o a strutture tecnico-scientifiche specializzate (ne è un esempio l’esperienza della Compagnia San Paolo con il Centro conservazione e restauro la Venaria reale) o di valorizzazione (Pce). Per quanto riguarda i dati invece, viste le difficoltà di cui si è detto, il suggerimento è di ricorrere all’incrocio tra cataloghi e banche dati (open access e georiferite) di volta in volta disponibili, cioè al modo attualmente più praticabile per definire il quadro territoriale e paesaggistico dell’intero patrimonio di interesse religioso di una determinata area (A. Longhi, par. 2.3).
Anche a livello nazionale, come abbiamo visto, vi sono esigenze ormai indifferibili di varia natura che investono la sfera delle autorità statali e ecclesiastiche rispetto alle quali proposte, iniziative, disponibilità e supporto da parte delle Fondazioni sarebbero utili.
Il discorso riguarda la Cei, per la circolazione delle buone pratiche, la definizione di un quadro più organico e completo del riuso e relative modalità compresa la cura del profilo riguardante la comunità, i successivi trasferimenti del bene e il tema del passaggio (e mantenimento) delle prescrizioni originarie. O, per quanto riguarda gli itinerari e la valorizzazione del patrimonio diffuso, gli accordi tra diocesi e le messe a punto necessarie all’operatività del ramo e patrimonio destinato per gli enti civilmente riconosciuti.
Altre iniziative riguardano invece congiuntamente Cei e MiC, scontandone la reciproca (e auspicata) collaborazione. Si va da aspetti operativi come il tema della interconnessione delle banche dati o della sistemazione degli archivi, in condizioni problematiche anche per gli effetti (su questo punto) della riforma delle soprintendenze uniche (Longhi), a orientamenti e linee di indirizzo la cui adozione è oggi già dotata di base giuridica (tra le più accurate, quella dedicata alle modalità di conservazione del bene culturale dall’art. 29 Codice Bc) e da estendere all’intero sistema in termini di conservazione programmata, standard di qualità e priorità al consolidamento con riguardo al rischio sismico (Della Torre).
Infine, due messe a punto concettuali e di principio e rilevanti anche sul piano concreto e operativo: la questione dei beni culturali immateriali, cui si è fatto più volte riferimento, e la necessità di un lessico in grado di indicare in modo chiaro e aggiornato ai tempi la definizione degli elementi che compongono il patrimonio culturale di interesse religioso. Si tratta di questioni importanti specialmente per l’ambito esaminato, ma che tali si confermano anche per l’intero sistema.
I risultati della ricerca consegnano alle Fondazioni nella loro autonomia indicazioni utili per considerare migliori modalità di impostazione e gestione dei propri interventi in materia confermando nello stesso tempo la disponibilità di uno spazio per un ruolo più ampio e di sistema.
Certo, il primo passo è quello di promuovere buone pratiche nel proprio specifico contesto, e dunque intervenire anche su singoli aspetti operativi, come si è più volte sottolineato. Ma vi sono molte ragioni e ampio spazio per stimolare e sostenere presso gli enti ecclesiastici e le istituzioni pubbliche aggiornamenti normativi ormai indispensabili e soprattutto indirizzi, modalità di cooperazione e tavoli integrati, linee guida, intese e convenzioni sia al centro (Cei/Mic) che nelle sedi decentrate (Cer/Regioni).
Si tratta di prospettive la cui valutazione e concreta praticabilità non può che essere riservata alle sedi competenti. Ma la posta in gioco per il patrimonio culturale di interesse religioso e per il Paese è davvero alta e le Fondazioni, come si è visto, possono offrire un contributo importante per affrontare la sfida in modo positivo.
Note
[*] Marco Cammelli, emerito di Diritto amministrativo presso l’Università degli studi di Bologna, Via Zamboni 33, 40126 Bologna, marco.cammelli@gmail.com.
[1] Ci si riferisce al volume Fondazioni e beni ecclesiastici di interesse culturale, a cura di V. Dania e L. Gazzero, Il Mulino, 2023, del quale, nella sezione “Fondazioni e beni ecclesiastici di interesse culturale” del presente numero, si riproducono, con il consenso dell’Editore, alcuni saggi.
[2] I beni ecclesiastici di interesse culturale. Ordinamento, conservazione, valorizzazione, Acri Commissione per le attività e i beni culturali, Bologna, Il Mulino, 2021, pagg. 1-198.
[3] Conoscenza e dati del contesto territoriale e socio-economico; conservazione e valorizzazione degli immobili; cammini, itinerari, valorizzazione e fruizione del patrimonio diffuso.
[4] La cui entità, anche solo considerando i beni immobili di interesse culturale degli enti ecclesiastici e dunque senza i relativi beni mobili o i beni culturali di interesse religioso ma di altra titolarità (proprietà pubblica - Stato ed enti locali - o di privati), è di dimensioni imponenti e tuttora non del tutto definite anche per la diversità dei criteri utilizzati nella classificazione degli interventi (v. A. Longhi, Patrimonio di interesse religioso: scenari territoriali di conoscenza, interpretazione e pianificazione, in Aedon, 2023, 3).
[5] Vedi più avanti (2.2.) e un richiamo in Beni ecclesiastici di interesse culturale, cit., pag. 165 ss.
[6] Secondo dati recenti (ottobre 2022) riportati dalla stampa quotidiana e da verificare, le sedi di culto oggetto di sconsacrazione, dismissione o demolizione sarebbero: in Olanda, su 7000 1500 già sconsacrate e 1700 che lo saranno entro il 2030; Francia, il 10% dei Bce (quasi 10000) venduto o demolito entro il 2030, mentre in Germania, tra il 1996 e il 2016 è stato soppresso 1/3 delle parrocchie. In Italia non si hanno dati completi, ma le dimensioni sono comunque rilevanti e soprattutto il rilievo e l’impatto sul patrimonio culturale e paesaggistico è enormemente maggiore.
[7] Tra i più recenti, la sezione di Aedon 3/2021, dedicata alla tutela e valorizzazione dei beni culturali ecclesiastici (presentazione di Girolamo Sciullo ed esame della disciplina canonica e di diritto ecclesiastico italiano di Alberto Tomer e Antonio Chizzoniti-Anna Gianfreda); L. Diotallevi (a cura di), Secolarizzazione, dismissione e riutilizzo dei luoghi di culto, in Religioni e società. Rivista di scienze sociali della religione, n. 96, numero monografico, 2020; AA.VV, Guida alle chiese “chiuse” di Venezia, Milano, Franco Angeli, 2020; T. Montanari, Chiese chiuse, Torino, Einaudi, 2021; G. Mazzoni (a cura di), Il patrimonio culturale di interesse religioso in Italia. Religioni, diritto ed economia, S. Mannelli, Rubbettino, 2021.
[8] Dalle linee guida sulla Dismissione e il riuso ecclesiale di chiese del Pontificio Consiglio della cultura (2018) come risposta generale (e dunque da declinare a seconda del Paese interessato) ai problemi posti dalla “secolarizzazione avanzata” della condizione moderna, a iniziative Cei su ambiti più definiti come i parchi culturali ecclesiastici (Pce) per il turismo pastoralmente sostenibile, il rilievo accordato al patrimonio culturale immateriale (riti, pellegrinaggi, processioni), l’ampia esperienza delle forme di collaborazione avviate in sede Cei-Conferenza Regioni (2017) e successivi protocolli con singole regioni tra il 2018 e il 2022: v. rapporto gruppo giuridico.
[9] Dalle questioni più generali, al coinvolgimento operativo (gestione, conservazione programmata) fino al rispetto delle sensibilità delle comunità non solo di fedeli, specie nei processi di riuso per i quali il solo requisito canonistico dell’uso profano “non indecoroso” non appare più sufficiente: cfr. note esperti, F. Canu, Chiese a porte aperte. Nuove tecnologie al servizio del Cultural Heritage, in Fondazioni e beni ecclesiastici di interesse culturale, cit., 259 ss.; A. Longhi, Patrimonio di interesse religioso: scenari territoriali di conoscenza, interpretazione e pianificazione, cit.
[10] Utilizzando ad esempio le intese “alte” ex art. 12 Concordato Italia-S. Sede per la definizione di standard, procedure, obbiettivi di valutazione e di fruizione concordati.
[11] L.M. Guzzo, Il patrimonio culturale, in particolare quello di rilevanza religiosa, e la Convenzione di Faro, in Aedon, 2022, 1.
[12] “Sono beni culturali le cose immobili e mobili....”, art. 2.2 d.lg. n. 42/2004.
[13] Il che rende ancora più incomprensibile la soppressione (2006) della commissione mista tra ex Ministero dei beni culturali (ora MiC) - Regione con compiti di reciproco coordinamento introdotta dal d.lg. n. 112/1998 (art. 154), al cui interno era previsto un componente designato dalla Conferenza Episcopale Regionale.
[14] Banca dati in rete aperta al pubblico con le opere di 60 fondazioni (14200 opere e 76 collezioni d’arte) avviata nel 2012 a fini di catalogazione, documentazione e valorizzazione.
[15] Prossimità, esperienza, terzietà rispetto agli interessi in gioco e dunque più favorevoli condizioni per cooperare con altri soggetti pubblici e privati, rapidità di attuazione e (non ultima) le possibilità di sperimentazione costituiscono per gli interventi nel settore strumenti di importanza almeno pari (se non superiore) alle risorse finanziarie disponibili.
[16] Richiamata in modo diffuso nel saggio di C Mambriani, Un’Emergency List per definire la priorità degli interventi in ambito culturale di Fondazione Cariparma (2010-2012), in Fondazioni e beni ecclesiastici di interesse culturale, cit., 219 ss.
[17] Sul portato di questa iniziativa, in forte crescita, si rinvia a R. Canu, Chiese a porte aperte. Nuove tecnologie al servizio del Cultural Heritage, cit.
[18] Cfr. nt. 16.
[19] Cfr. nt. 4.
[20] Sul punto si rinvia alla recente sezione dedicata alla digitalizzazione del patrimonio culturale, in Aedon, 2020, 3, introdotta da G. Sciullo e in particolare Catalogare nel 2020, di C. Birrozzi, B. Barbaro, M.L. Mancinelli, A. Negri, E. Plances, C. Veninata; Condivisione e interoperabilità dei dati nel settore del patrimonio culturale: il caso delle banche dati digitali, di M. Cristina Pangallozzi e Digitalizzazione, banche dati digitali e valorizzazione dei beni culturali, di P. Carpentieri.
[21] Cfr. nt. 9.
[22] F. Chiocci, R. Colaizzo e F. Palumbo, Istituzioni, territori, patrimonio ecclesiastico. Prospettive per l’azione delle fondazioni, in Fondazioni e beni ecclesiastici di interesse culturale, cit., 241 ss.
[23] Che possono assumere anche aperte forme conflittuali. Per un esempio recente, il caso della presentazione a Comacchio (inizio settembre 2022) del nuovo piano delle parrocchie voluto dalla Chiesa ferrarese: le vivaci reazioni dei presenti hanno costretto il Vescovo a uscire dalla sala scortato dai carabinieri.
[24] Intervento particolarmente necessario se consideriamo che negli Enti ecclesiastici il rapporto tra collaboratori stabili che si occupano del settore e volontari è fortemente sbilanciato, in qualche caso (Piemonte) nell’ordine di 1 (stabile) ogni 20 (volontari): dato riferito in occasione dell’incontro promosso dall’Ufficio Nazionale per i Bce della Cei (Torino, 10 ottobre 2022) da don Gianluca Popolla, incaricato regionale per i beni culturali ecclesiastici del Piemonte.