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L'altro decentramento:
il trasferimento della biblioteca universitaria di Bologna

di Angela Serra


Sommario: 1. Premessa. - 2. L’art. 151 del d.lg. 112/1998. - 3. L’oggetto del trasferimento: le biblioteche pubbliche statali. - 4. Il regime giuridico dei "beni librari" e delle biblioteche pubbliche. - 5. La convenzione come strumento dell’organizzazione. - 6. La convenzione e le modalità di disposizione dei beni appartenenti alla biblioteca. - 7. La continuità: le risorse e il personale. - 8. L’inserimento della Bub nell’organizzazione universitaria. - 9. Considerazioni conclusive: il "quantum" del decentramento autonomistico attuato dalla prima delle convenzioni previste dall’art. 151.



1. Premessa

L’art. 151 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 ha avuto la sua prima attuazione con la convenzione stipulata l’8 giugno 2000 tra ministero per i Beni e le Attività culturali e università degli studi di Bologna.

La rilevanza che tale prima esperienza di applicazione assume nel panorama attuativo del d.lg. 112/1998 è da leggere in relazione alla singolarità del modello di trasferimento proposto dall’art. 151 rispetto alle altre e generalizzate figure di decentramento disegnate dallo stesso decreto. Il passaggio delle biblioteche pubbliche statali universitarie dal ministero alle università trova infatti il proprio fondamento nella proposta dell’ente decentrato e nella negoziazione con l’ente trasferente. Inoltre, nell’ambito del processo di redistribuzione delle funzioni e dei compiti amministrativi al "giusto" livello, il principio di sussidiarietà viene qui articolato in via differenziata rispetto alle devoluzioni rispondenti alla logica del decentramento fra enti territoriali: "nei casi espressamente previsti", infatti, il legislatore indicava la strada del conferimento di funzioni e compiti alle "autonomie funzionali" (art. 1, comma 1, d.lg. 112/1998).

Questo lavoro vuole fornire una prima lettura della convenzione sulla biblioteca universitaria di Bologna, esperienza pilota di attuazione di una norma che si limita a proporre alle parti l’obiettivo del "trasferimento", lasciando allo strumento convenzionale la determinazione di modalità di attuazione che, proprio perché senza indicazioni neppure di principio, possono variare tra formule giuridiche con portata devolutiva e quindi autonomistica assai differenziata. Punto di arrivo sarà una valutazione della convenzione sotto il profilo applicativo del dettato dell’art. 151, se essa realizzi il massimo del decentramento autonomistico possibile o sia invece rimasta, per così dire, a metà strada tra quello che la norma promette e permette e un riordino delle funzioni e dei compiti coinvolti che risulti il meno dissimile rispetto all’assetto da cui muoveva.

 

2. L’art. 151 del d.lg. 112/1998

La norma stabilisce che "le università possono richiedere il trasferimento delle biblioteche pubbliche statali ad esse collegate. Ai fini del trasferimento, il ministro per i Beni culturali e Ambientali stipula con le università apposita convenzione, sentito il parere del Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali e del ministro dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica. Nell’ambito della convenzione sono anche individuati i beni del patrimonio bibliografico da riservare al demanio dello Stato".

L’indeterminatezza dei contorni del "trasferimento", come tratteggiato dall’art. 151, ne consente una duplice impostazione interpretativa. Occorre al proposito dire, preliminarmente, che nel concetto giuridico di "biblioteca" si evidenziano e distinguono due componenti: l’attività, ossia il servizio reso dalla biblioteca agli utenti, nonché i beni funzionalmente connessi ad essa, ovvero principalmente il patrimonio librario attraverso cui il servizio si svolge. Così, da un lato, è possibile intendere il trasferimento previsto dall’articolo in esame come concessione del servizio oppure come vera attribuzione della sua titolarità all’università. Altrettanto per i beni che costituiscono la biblioteca: la norma ne prospetta la concessione in uso o il trasferimento della proprietà?

 

3. L’oggetto del trasferimento: le biblioteche pubbliche statali

Il regolamento sulle biblioteche pubbliche statali (d.p.r. 5 luglio 1995, n. 417) ne annovera, all’art. 1, quarantasette. Di queste, undici sono biblioteche universitarie: la biblioteca nazionale universitaria di Torino, le biblioteche universitarie di Pavia, Genova, Padova e Bologna, la biblioteca estense universitaria di Modena, la biblioteca universitaria alessandrina di Roma e le biblioteche universitarie di Pisa, Napoli, Cagliari e Sassari. Esse derivano per lo più dalle biblioteche istituite dagli Stati preunitari nelle città in cui avevano sede le loro università. Quella di Bologna, in particolare, nasce come biblioteca dell’Accademia delle scienze sotto lo Stato pontificio, tra la fine del seicento e l’inizio del settecento, con sede in palazzo Poggi. Padri di tale istituzione furono Luigi Ferdinando Marsili, nobile bolognese, e papa Lambertini, che donò alla biblioteca la propria ricca raccolta di libri. Da biblioteca annessa ad un istituto scientifico autonomo, dunque, passò all’università sotto Napoleone, per confluire poi sotto il controllo dell’amministrazione della Pubblica Istruzione insieme alle altre biblioteche universitarie. E’ quindi acquisizione relativamente recente l’appartenenza all’amministrazione statale.

Le biblioteche pubbliche statali si possono osservare da un duplice punto di vista. Funzionale, anzitutto: esse costituiscono un servizio pubblico. I loro compiti concernono in primo luogo la raccolta e la conservazione della produzione editoriale italiana e - in misura meno generalizzata - straniera, la valorizzazione delle proprie raccolte storiche, la cura della catalogazione e della conoscibilità del patrimonio librario posseduto. Esse dunque svolgono funzioni di tutela e valorizzazione delle raccolte e degli altri beni librari di proprietà dello Stato. Le biblioteche universitarie, in particolare, operano in coordinamento con le università e svolgono funzioni di supporto alle attività di ricerca e di studio. In secondo luogo esse sono destinate all’uso da parte della collettività: il servizio svolto dalle biblioteche si articola nella lettura dei volumi in sede, nel prestito librario e nell’offerta di informazioni bibliografiche.

Verrebbe qui spontaneo fare qualche considerazione sul significato che le biblioteche conservano all’alba del terzo millennio, era di scontro fra tecnologia informatica, velocità delle immagini e di reperimento delle informazioni, da un lato, e staticità del libro, ... polverosità degli scaffali dall’altro. Non sembra questa, però - e purtroppo -, la sede per prendere le difese del libro, insostituibile strumento di riflessione e custode della memoria; si possono invece, più pertinentemente, richiamare i numerosi progetti in corso per tradurre in rete le biblioteche e per rendere possibile a livello nazionale e internazionale lo scambio di informazioni bibliografiche. Il confronto tra libro e nuove tecnologie, dunque, può anche articolarsi non come rapporto di surrogazione del vecchio da parte del nuovo, ma come approccio servente, che valorizzi e renda accessibile a livello planetario i più rari e nascosti tesori bibliografici.

Più in generale, si può dire che le biblioteche pubbliche, organizzate secondo modalità strumentali alle finalità di conservazione e valorizzazione sopra richiamate e destinate alla fruizione da parte della collettività, sono uno strumento educativo e di crescita culturale e sociale e, pertanto, contribuiscono a realizzare quello "sviluppo della cultura e (del)la ricerca scientifica e tecnica" che l’art. 9 della Costituzione pone tra i principi fondamentali dell’ordinamento.

Di esse si può poi considerare l’aspetto strutturale: le biblioteche pubbliche statali sono infatti organi del ministero per i Beni e le Attività culturali. Originariamente comprese nell’ambito di competenza del ministero della Pubblica Istruzione, passarono al ministero per i Beni culturali e ambientali nel 1975. Il decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, all’art. 6, comma 2, ultimo periodo, ne conferma la natura di organi del ministero; altrettanto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, all’art. 54, comma 2, enuncia che "l’organizzazione periferica del ministero si articola" ... "nelle biblioteche pubbliche statali". Il regolamento di organizzazione del ministero (in corso di pubblicazione), all’art. 23, comma 1, lett. g), le annovera tra gli organi periferici del ministero. Da un punto di vista organizzativo, detto regolamento prevede che all’interno del ministero l’articolazione competente nel settore sia la direzione generale per i beni librari e gli istituti culturali, centro di responsabilità amministrativa, che svolge le funzioni e i compiti in materia di biblioteche pubbliche statali, di servizi bibliografici e bibliotecari nazionali. Tali biblioteche ne dipendono.

 

4. Il regime giuridico dei "beni librari" e delle biblioteche pubbliche

4.1. Le raccolte librarie come beni culturali

Nell’uso comune il termine biblioteca può assumere due significati: il luogo in cui i libri sono custoditi e vengono resi consultabili e la raccolta di libri ordinata e conservata secondo modalità che la preordinano a finalità di studio, ricerca e lettura. Biblioteca, quindi, come contenitore e come contenuto. Da un punto di vista giuridico, però, la prima accezione, etimologica, non presenta rilevanza se non nel suo significato di strumento finalizzato alla realizzazione della funzione, costituzionalmente protetta, propria del "contenuto", i libri. Sono infatti solo essi a custodire e veicolare il sapere che vi è riposto e quindi a essere funzionali allo sviluppo culturale della collettività; il "contenitore" deve semplicemente essere adeguato a permetterne conservazione, fruizione, catalogazione ... in ultima analisi conoscenza di quel bene culturale immateriale, di gianniniana memoria, che è racchiuso tra le pagine dell’oggetto libro.

L’ordinamento, così, disciplina le raccolte di libri organicamente costituite e destinate alla consultazione ben al di là della loro qualificazione civilistica come universalità di beni mobili. La loro funzione di veicolo di cultura ne giustifica la sottoposizione al regime pubblicistico di tutela: esse sono - ed è conquista recente dell’ordinamento - "bene culturale", protetto secondo le regole proprie dei beni che sono "testimonianza materiale avente valore di civiltà", secondo la nota espressione utilizzata dalla commissione Franceschini.

Infatti, già lo stesso d.lg. 112/1998, all’art. 148, comma 1, includeva nel novero dei beni culturali i beni che compongono il "patrimonio ... librario ... così individuati in base alla legge". Poiché però una legge che li individuasse positivamente ancora mancava, era lecito chiedersi quali fossero i beni che costituivano tale patrimonio: i soli libri che in sé presentano qualità storico-artistiche oppure anche da quelli privi di detta caratteristica e pur ugualmente capaci di svolgere una funzione culturale per il loro contenuto immateriale, avulso dal pregio del supporto fisico? Inoltre, la portata di questa prima ricomprensione del patrimonio librario nella famiglia dei beni culturali aveva un valore limitato ai soli fini delle definizioni adottate dal d.lg. 112/1998 stesso, quindi nell’ambito della redistribuzione dei compiti e delle funzioni amministrative tra Stato, regioni ed enti locali, e non certo ai fini della definizione dell’ambito applicativo delle norme di tutela sui beni culturali.

Il grande passo viene invece compiuto dal Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali, approvato con decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490. L’art. 2, infatti, al comma 1 afferma che "sono beni culturali disciplinati a norma di questo Titolo: ... e) beni librari" e al comma 5 specifica che "sono beni librari le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato e degli enti pubblici, quelle indicate nel comma 3 - ovvero le raccolte librarie appartenenti a privati, se di eccezionale interesse culturale - e, qualunque sia il loro supporto, i beni indicati al comma 2, lettere c) e d)" - ossia i manoscritti, gli autografi, i carteggi, i documenti notevoli, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe, le incisioni aventi carattere di rarità e pregio (lett. c) e le carte geografiche e gli spartiti musicali aventi carattere di rarità e di pregio artistico o storico (lett. d).

La lettura combinata dei commi 1 e 5 dell’art. 2 segna dunque l’importante innovazione: le raccolte delle biblioteche dello Stato - argomento del nostro lavoro - sono beni culturali a prescindere da qualsiasi valutazione inerente il pregio storico o artistico dei volumi che le compongono. Sono quindi tutelate in sé, per la funzione culturale che è loro connaturata. Da rilevare è la differenza con le raccolte delle biblioteche appartenenti a soggetti privati: esse sono tutelate solamente "se di eccezionale interesse culturale" (comma 3).

La lettera e) del comma 1 dell’art. 2 ("beni librari"), non presente nel primo schema di Testo Unico, fu introdotta a seguito del parere della VII commissione della Camera, reso il 26 maggio 1999, che lamentava la scarsa attenzione ai beni librari e proponeva di includerli nel novero dei beni da tutelare in quanto tali, con particolare riferimento alle raccolte delle biblioteche dello Stato e degli enti locali.

Da notare, in ultimo, che oggetto della tutela sono le raccolte delle biblioteche solo in quanto raccolte, ovvero insieme organicamente costituito di libri; non invece i singoli libri che le compongono, a differenza dei beni librari costituiti da manoscritti, carteggi, stampe ecc. di cui alla lett. c) e d) del comma 2. Questi ultimi, infatti, sono protetti come bene culturale individualmente, al pari di un quadro, per i caratteri di rarità e di pregio che presentano.

4.2. Le raccolte librarie statali come beni demaniali

Le raccolte delle biblioteche pubbliche, però, non rilevano solo perché oggi sottoposte al regime di tutela dei beni culturali. Esse, infatti, già dai tempi in cui fu emanato il codice civile sono state assoggettate al regime demaniale: "fanno parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato" "le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche" (art. 822, comma 2, cod. civ.). Nella classificazione codicistica, dunque, le raccolte delle biblioteche statali fanno parte del c.d. demanio accidentale o artificiale; quei beni, cioè, che possono anche appartenere ad altri soggetti, ma qualora il proprietario ne sia lo Stato, o gli altri enti territoriali, vengono ricompresi nel demanio, con la consequenziale incommerciabilità. Ai sensi dell’art. 823, comma 1, cod. civ., infatti, i beni demaniali "sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano".

L’inalienabilità dei beni appartenenti al demanio accidentale è da sempre oggetto di interpretazioni tutt’altro che univoche. Da un lato, infatti, un indirizzo giurisprudenziale e dottrinale consolidato ritiene che l’ultima parte dell’articolo appena visto, ossia la possibile deroga ad opera di una legge speciale, si riferisca esclusivamente alla costituzione di diritti a favore di terzi sui beni demaniali, non invece al carattere dell’inalienabilità, che, dunque, resterebbe assoluta (in particolare cfr. Consiglio di Stato, ad. gen., 13 luglio 1989, n. 59, in C. Stato, 1991, I, 1072 ss.).

D’altro canto, convincenti appaiono le motivazioni di alcuni autori che vedono nella norma codicistica la disciplina generale del demanio pubblico, suscettibile di essere derogata da norme speciali riguardanti le singole categorie di beni demaniali, sancendone la trasferibilità. Relativamente inalienabili, ad esempio, risultano essere gli immobili storico-artistici demaniali: l’art. 32 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 prevede proprio l’ipotesi dell’alienazione a privati degli immobili storico-artistici dello Stato e degli altri enti territoriali, norma attuata di recente dal regolamento emanato con il d.p.r. 7 settembre 2000, n. 283. Altrettanto plausibile, dunque, può risultare una lettura dell’art. 151 come norma speciale capace di consentire il trasferimento della proprietà dei beni appartenenti alle biblioteche universitarie in deroga al regime demaniale.

 

5. La convenzione come strumento dell’organizzazione

Il trasferimento delle biblioteche universitarie presenta un aspetto che strutturalmente lo differenzia dagli altri conferimenti di funzioni e compiti e dalla relativa attribuzione di beni e risorse contemplati dal d.lg. 112/1998: lo strumento utilizzato, infatti, è un accordo amministrativo.

Per cogliere la singolarità dello strumento giuridico indicato dall’art. 151, basterà richiamare ad esempio la diversità tra il caso in esame e quello contenutisticamente contiguo del trasferimento della gestione dei musei ed altri beni culturali di cui all’art. 150 dello stesso d.lg. 112/1998. La gestione dei musei, si legge al comma 5, è trasferita con decreto del presidente del Consiglio dei ministri (d.p.c.m.), adottato ai sensi dell’art. 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59. Lo stesso d.p.c.m. individua "puntualmente" i beni e le risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni, province e comuni, secondo la generale previsione dell’art. 7 sopra richiamato. Il secondo comma di tale art. 7 prevede un meccanismo di concertazione sugli schemi dei d.p.c.m., ampio quanto ai soggetti consultati ma prescindibile se non espletato nel breve termine di trenta giorni dalla richiesta. L’art. 7 del d.lg. 112/1998, poi, introduce al comma 8 il compito per la Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali di promuovere accordi tra governo, regioni ed enti locali ai fini dell’elaborazione degli schemi degli stessi d.p.c.m. Il contenuto, dunque, dei d.p.c.m. che individuano beni e risorse da trasferire è determinato anche sulla base di strumenti di consultazione tra governo ed enti decentrati.

Il caso delle biblioteche universitarie, però, va ben oltre, nella forma ancor prima che nella sostanza. Qui il trasferimento stesso delle funzioni e compiti è prodotto direttamente dall’accordo, stipulato sul presupposto della richiesta da parte dell’università. Ugualmente, è esso a stabilire modalità e procedure per il "trasferimento" dei beni e delle risorse, anche umane, in parte liberamente, in parte aderendo alle previsioni di specifiche norme riguardanti il caso del passaggio delle biblioteche universitarie - così ad esempio per il trasferimento del personale e per la concessione in uso dell’immobile sede della biblioteca, se di proprietà dello Stato; cfr. infra, oltre -. Lo strumento scelto dal legislatore delegato per la riorganizzazione del settore delle biblioteche statali universitarie non è, dunque, un d.p.c.m., bensì un accordo frutto della negoziazione con l’ente trasferente, in armonia e nel rispetto e nella più ampia valorizzazione della sfera di autonomia garantita costituzionalmente alle università.

La qualificazione giuridica della convenzione in parola, poi, resta piuttosto incerta data l’indeterminatezza dei contorni delle diverse fattispecie risalenti al genus "accordi amministrativi". Di certo essa può contenere la concessione in uso da parte del ministero per i Beni e le Attività culturali dei beni che appartengono alla biblioteca: in questo caso si potrebbe ritenere che essa faccia parte della categoria classica delle concessioni-contratto, ma altrettanto vengono in rilievo i modelli di accordo disciplinati dagli artt. 11 e 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

 

6. La convenzione e le modalità di disposizione dei beni appartenenti alla biblioteca

6.1. Il patrimonio bibliografico

L’art. 1 della convenzione dispone il trasferimento all’università degli studi di Bologna della biblioteca universitaria, con i relativi compiti e funzioni, e la conseguente attribuzione all’università degli uffici, dei beni, del personale e delle relative risorse finanziarie assegnati alla Bub (si indicherà così, d’ora in avanti, la biblioteca universitaria di Bologna), secondo le condizioni stabilite dalla convenzione stessa. I termini usati sono "trasferimento" e "attribuzione": quali, nello specifico, l’oggetto e la natura giuridica dei "trasferimenti" disposti dalla convenzione, al di là del "nomen juris" utilizzato dall’estensore del testo?

I diversi beni che compongono la biblioteca nonché quelli che vi sono funzionalmente connessi, e di cui quindi la convenzione si occupa, sono anzitutto la raccolta di libri che costituisce la biblioteca stessa, raccolta che si divide in libri destinati alla consultazione, privi di valore storico o artistico, e materiale librario "antico"; vi sono poi altri beni storico-artistici, non librari (collezione di quadri, oggetti antichi facenti parte della sezione museale); c’è, ovviamente, l’edificio sede della biblioteca ed infine altri beni mobili, strumentali all’attività che vi si svolge (computers, arredi moderni ecc.). Si tenterà qui di seguito, procedendo con ordine, di individuare la natura giuridica di ognuno di essi, per poi considerare le modalità con cui la convenzione ne dispone.

Il patrimonio bibliografico, composto dalla raccolta di libri destinati alla consultazione e dal patrimonio bibliografico antico, è, come si è visto nel paragrafo precedente, bene demaniale e come tale è inalienabile e non può formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che lo riguardano. Pertanto, se si accoglie l’interpretazione dell’art. 151 del d.lg. 112/1998 nel senso sopra prospettato di norma speciale che deroga alla regola dell’intrasferibilità, risulterebbe possibile per i beni in parola il trasferimento della proprietà in capo all’università. La convenzione aveva quindi due alternative: trasferirne la proprietà oppure mantenerne l’appartenenza in capo allo Stato, attribuendone l’uso all’università. Nel primo caso la raccolta avrebbe cessato, ovviamente, di far parte del demanio. Sarebbe infatti venuta meno una delle due condizioni che configurano la fattispecie tipica del bene demaniale: l’appartenenza allo Stato - condizione soggettiva -, pur permanendo la condizione oggettiva della destinazione al soddisfacimento dell’interesse pubblico cui detti beni sono preordinati. Essa sarebbe divenuta patrimonio indisponibile dell’università (art. 828 cod. civ.)

La convenzione ha però seguito la seconda strada. Il comma 1 dell’art. 3, infatti, stabilisce che "è trasferito all’università l’uso gratuito e perpetuo del patrimonio bibliografico e storico-artistico, che permane in ogni caso nel demanio dello Stato, in consegna alla Bub, quale risulta dagli inventari della Bub stessa alla data della presente convenzione". Il patrimonio bibliografico resta dunque di proprietà dello Stato e, quindi, bene demaniale; ne viene invece concesso l’uso gratuito e perpetuo.

Permane, naturalmente, la destinazione alla soddisfazione dell’interesse pubblico che è propria della raccolta di libri. Per garantirne l’effettività, la convenzione prevede che l’università si impegni a porre in essere, perpetuandole, tutte le attività che costituiscono il servizio pubblico trasferito. Così, oltre al richiamo ai compiti e alle funzioni già svolte dalla Bub e trasferite all’università insieme ad essa, la convenzione fa esplicito riferimento alla fruizione libera da parte della collettività, al prestito librario, alla catalogazione e ancora al ruolo centrale della Bub come biblioteca di cultura generale e di documentazione dell’attività editoriale del territorio e di struttura di supporto alla ricerca e alla didattica universitaria.

6.2. I locali

L’immobile che ospita la sede della Bub è di proprietà dello Stato. E’ però anche un bene che presenta qualità storico-artistiche e in quanto tale appartiene al demanio storico-artistico statale. Anche per esso la convenzione prevede il subentro dell’università nell’uso, tramite concessione da parte del ministro delle Finanze, soluzione indicata dallo stesso ministero nel parere reso il 17 giugno 1999 sulla bozza di convenzione. Così, l’art. 2 dispone che l’università subentri al ministero nell’uso del complesso immobiliare, di proprietà del demanio dello Stato, con i relativi impianti, pertinenze ed accessori. La concessione in uso, a titolo gratuito e perpetuo, è dunque formalizzata in un momento successivo alla conclusione della convenzione, ad opera del ministero delle Finanze, l’apparato deputato all’amministrazione degli immobili di proprietà statale. Le modalità per la concessione sono quelle stabilite dall’articolo 51, comma 8, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che ha modificato l’articolo 1, comma 93, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. La norma prevede che con decreto del ministro delle Finanze, di concerto con il ministro dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, sentiti eventualmente gli altri ministri competenti, possano essere concessi in uso perpetuo e gratuito alle università, con spese di manutenzione ordinaria e straordinaria a carico delle stesse, gli immobili dello Stato liberi.

Tra l’altro, nel caso dell’immobile sede della Bub, la parti della convenzione non avevano la scelta se attribuirne la proprietà oppure solo l’uso all’università. Si tratta infatti di un bene demaniale, che come tale non può formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano (sempre secondo l’art. 823, comma 1, cod. civ.), e l’art. 51 della l. 449/1997 sopra visto rende possibile la sola concessione in uso. All’immobile, infatti, non era possibile applicare l’art. 151 del d.lg. 112/1998, poiché detto articolo si riferisce al patrimonio bibliografico che compone la biblioteca, non certo anche all’edificio che la ospita.

6.3. Gli altri beni mobili in consegna alla Bub: i beni di interesse storico-artistico

Più articolata risulta la ricostruzione del regime giuridico e delle modalità con cui la convenzione dispone dei beni mobili diversi da quelli librari in consegna alla Bub, ossia i beni culturali - oggetti antichi, quadri, stampe ecc. - e quelli strumentali all’esercizio dell’attività che costituisce il servizio svolto dalla biblioteca - computers, arredi moderni, attrezzature, materiali di inventariazione ecc.

Conviene procedere iniziando l’esame dai beni culturali, il cui regime è più complesso, per considerarne la natura giuridica, necessario punto di partenza per capirne il regime di disponibilità. Secondo un approccio che segua la classificazione codicistica, alcuni di essi si possono far rientrare nel demanio dello Stato, poiché fanno parte della sezione museale annessa alla biblioteca universitaria di Bologna - sono infatti demaniali le raccolte dei musei di proprietà dello Stato. Per il regime di disponibilità vale dunque quanto sopra detto a proposito del patrimonio bibliografico. Mentre però per quest’ultimo è possibile derogare all’intrasferibilità applicando l’art. 151, in quanto le biblioteche - oggetto della norma - sono costituite dal patrimonio bibliografico, decisamente forzato risulterebbe sostenere l’applicabilità dello stesso articolo ai beni museali, che, seppur all’interno della biblioteca, di certo non la costituiscono. La convenzione, pertanto, non potrebbe disporne il trasferimento della proprietà.

Vi sono poi altri beni culturali, come arredi o quadri di proprietà dello Stato, che ornano l’edificio. Essi, ai sensi dell’art. 822, comma 2, cod. civ., non sono demanio poiché non fanno parte di una raccolta museale statale. Si possono allora considerare "patrimonio indisponibile" per l’art. 826, comma 3? Tale patrimonio è formato dagli edifici destinati a sede di uffici pubblici con i relativi arredi. La risposta positiva non risulta scontata, poiché, nella fattispecie, l’edificio sede della biblioteca è un bene che presenta interesse storico-artistico e pertanto fa parte del demanio. Possono gli arredi di un bene non classificabile come patrimonio indisponibile, in quanto assoggettato al regime demaniale, essere considerati patrimonio indisponibile? A suggerire risposta positiva è la considerazione che gli arredi dell’immobile conservano la loro destinazione legata all’attività che si svolge nell’edificio, che continua ad essere "ufficio pubblico", a prescindere dall’ulteriore qualificazione data allo stesso come immobile storico-artistico, quindi demaniale.

Importanti sono le conseguenze della qualificazione dei beni in parola come patrimonio indisponibile sul piano del regime della circolazione giuridica. Infatti i beni indisponibili non sono inalienabili in sé - come invece lo sono i beni demaniali -: la limitazione che l’ente proprietario incontra nel disporne concerne specificamente la necessità di mantenere la destinazione al pubblico servizio cui sono preposti. La loro proprietà è pertanto intrasmissibile, in corso di destinazione, solamente se dal passaggio di titolarità derivi la sottrazione alla destinazione. Nella fattispecie in esame, però, qualora la convenzione stabilisse di trasferire la proprietà di siffatti beni all’università, la cessione avverrebbe tra due enti pubblici. Dalla lettura combinata dei commi 2 degli artt. 828 e 830 cod. civ. risulta chiaro come ai beni destinati a un pubblico servizio che appartengano agli enti territoriali come a qualsiasi altro ente pubblico si applichi comunque la norma che stabilisce l’insottraibilità alla destinazione (art. 828, comma 2). Ciò significa che il passaggio dal patrimonio indisponibile dello Stato a quello di un ente pubblico quale è l’università non comporta alcuna modificazione dello status di beni a destinazione pubblica: la convenzione, pertanto, potrebbe legittimamente disporre della proprietà dei beni in parola.

Passando dal piano delle possibilità offerte dalla legge a quello dell’attuazione, quale la soluzione adottata dall’accordo tra ministero e università? La convenzione dispone dei beni culturali mobili in consegna alla Bub all’art. 3, unitamente al patrimonio bibliografico: il ministero, quindi, ne concede l’uso all’università, mantenendone la proprietà, scelta peraltro obbligata per quanto riguarda la parte demaniale di tali beni. Il testo dell’articolo, peraltro, contiene un’inesattezza ove recita: "è trasferito ... l’uso del patrimonio bibliografico e storico-artistico, che permane in ogni caso nel demanio dello Stato". Come si è visto, infatti, solo una parte dei beni mobili storico-artistici rientra fra quelli demaniali, a fronte di un’altra parte che rientra nel patrimonio indisponibile.

6.4. I beni mobili strumentali

Quanto ai beni mobili funzionalmente connessi al servizio svolto dalla biblioteca - i tavoli, le sedie, gli scaffali ecc. - se ne può affermare la natura giuridica di beni patrimoniali indisponibili ai sensi dell’art. 826 cod. civ. - "fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato ... gli altri beni destinati a pubblico servizio". Il forte nesso di strumentalità con l’attività esercitata dalla biblioteca li rende, come sopra rilevato, non sottraibili dalla destinazione impressagli dall’ente proprietario. La destinazione, però, come rilevato nel paragrafo precedente, permane nel caso di trasferimento della proprietà in capo ad un altro ente pubblico, rendendo legittima l’ipotesi del passaggio di proprietà. Ed infatti la convenzione prevede, all’art. 4, il trasferimento della proprietà all’università di tutto il restante materiale mobile, di qualsiasi natura, ivi compresi gli arredi, le attrezzature, i materiali ed i mezzi informatici, di cui dispone la Bub, anche se detenuti da terzi, quali risultano dall’inventario della Bub stessa.

 

7. La continuità: le risorse e il personale

Il trasferimento della Bub non pregiudica la continuità dei rapporti giuridici instaurati precedentemente alla convenzione. Essa infatti stabilisce il subentro dell’università nei contratti stipulati per il funzionamento e la gestione della biblioteca, naturale e necessario corollario del trasferimento all’università della Bub e dei relativi compiti e funzioni disposto dal comma 1 dell’articolo 1 (art. 1, comma 3).

Per rendere effettivo il subentro dell’università nel ruolo di gestore del servizio svolto dalla biblioteca nonché di datore di lavoro per i dipendenti, la convenzione prevede innanzitutto il trasferimento a favore dell’università delle risorse corrispondenti a quelle utilizzate dal ministero per i Beni e le Attività culturali per la gestione della Bub stessa. Così l’art. 6 stabilisce che i trasferimenti di fondi per far fronte ad impegni pregressi e per quelli futuri, derivanti da ruoli di spesa fissa, siano disposti da appositi atti interministeriali. Gli stanziamenti saranno assegnati all’università dal ministero per l’Università e la Ricerca scientifica e tecnologica e devono considerarsi distinti ed aggiuntivi rispetto al fondo di finanziamento annuale, al fine di assicurare all’università almeno il livello attuale di risorse per la biblioteca.

Fra i contratti e gli impegni di spesa principali della Bub vi è senz’altro il rapporto di lavoro con i dipendenti. Nel garantire la continuità del loro rapporto di lavoro, la convenzione prospetta una duplice possibilità. I dipendenti possono scegliere se passare all’università, inquadrati nel corrispondente livello, qualifica e profilo, oppure rimanere nei ruoli del ministero (art. 5).

Nel primo caso, il personale della Bub verrà inquadrato, tenuto conto dei processi di riqualificazione previsti dall’art. 12 della l. 59/1997 e dal vigente contratto collettivo nazionale del comparto ministeri, nonché delle professionalità acquisite, nel livello, qualifica e profilo corrispondenti nell’ordinamento dell’università. Per il passaggio di personale nei ruoli dell’università, il comma 3 dello stesso art. 5 richiama la disciplina dettata dall'art. 9, comma 5, della legge 19 ottobre 1999, n. 370, prevista specificamente per la fattispecie conseguente al passaggio di cui all’art. 151 del d.lg.112/1998. Ai sensi di tale normativa, il trasferimento del personale - a seguito di specifica opzione - e delle risorse per il relativo trattamento economico è disposto da decreti del ministro dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, adottati di concerto con i ministri per i Beni e le Attività culturali, del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica e per la Funzione pubblica. Gli stessi decreti determinano altresì le modalità e i tempi del trasferimento dei dipendenti, i criteri per l’inquadramento e i termini per esercitare l’opzione.

La convenzione inoltre prevede che l’università proceda all’inquadramento sulla base di apposite tabelle comparative concordate con le organizzazione sindacali territoriali (art. 5, comma 4) e che al personale trasferito all’università viene assicurato il trattamento economico onnicomprensivo in godimento o, comunque, quello più favorevole (art. 5, comma 2).

L’altra possibilità a disposizione dei dipendenti è quella di esercitare l’opzione a permanere nei ruoli del ministero. Per il personale che esercita tale facoltà è previsto il collocamento anche in soprannumero negli uffici del ministero presenti nella città di Bologna (art. 5, comma 1).

 

8. L’inserimento della Bub nell’organizzazione universitaria

L’art. 151 affida alla convenzione attuativa il ruolo di volano e strumento dell’organizzazione. Così, sul piano applicativo, l’accordo stipulato tra ministero e università di Bologna dispone che l’inserimento della Bub nell’organizzazione universitaria, quale struttura speciale di ateneo, debba attuarsi tramite modifica dello statuto universitario (art. 7, comma 1). Il regolamento di organizzazione dell’ateneo, poi, dovrà disciplinare in apposita sezione l’organizzazione interna, la direzione e il funzionamento della Bub. I principi che la convenzione detta per tale regolamento riguardano il coinvolgimento del ministero e della regione nella definizione degli indirizzi scientifici e culturali, l’attribuzione alla Bub dell’autonomia più elevata consentita dall’ordinamento universitario e la distinzione tra indirizzo e controllo da un lato e attuazione e gestione dall’altro (art. 7, commi 2 e 3). Inoltre è richiesto all’università l’impegno a confermare alla Bub la migliore visibilità scientifica nazionale ed internazionale (art. 8, comma 1).

 

9. Considerazioni conclusive: il "quantum" del decentramento autonomistico attuato dalla prima delle convenzioni previste dall’art. 151

Resta infine da considerare l’uso che le parti dell’accordo hanno fatto del margine "quantitativo" del trasferimento lasciato dal legislatore alle determinazioni dello strumento convenzionale.

La norma lasciava aperti due possibili sbocchi interpretativi e quindi applicativi. Anzitutto il "trasferimento delle biblioteche" poteva intendersi come vera e propria attribuzione della titolarità del servizio. La convenzione, conseguente alla richiesta da parte delle università, sarebbe così il presupposto che integra la fattispecie legale, operando la devoluzione della titolarità. La valenza traslativa è ad esempio suggerita dal confronto tra l’art. 151 e la diversa impostazione dell’articolo precedente, su beni culturali e musei, ove viene esplicitamente trasferita la sola gestione. D’altro canto, è più che plausibile un’interpretazione della norma come forma "minore" di decentramento, che preveda la sola concessione della gestione del pubblico servizio. A questo orientamento indurrebbe la presenza nella convenzione di elementi di tipo concessorio - la concessione anziché il trasferimento dei beni costituenti la biblioteca; inoltre la convenzione è la modalità ordinaria utilizzata per la concessione di servizi pubblici - nonché l’impianto decisamente centralistico assunto dal d.lg. 112/1998 quanto alla conservazione allo Stato della proprietà dei beni culturali pubblici.

A fronte, dunque, del "quantum" del decentramento piuttosto indefinito tratteggiato dalla norma, si ritiene che in sede applicativa la convenzione tra ministero e università di Bologna si collochi a metà strada tra le due impostazioni interpretative. Da un lato, infatti, la disposizione che stabilisce la concessione in uso all’università della raccolta che costituisce la biblioteca richiama certo più la fattispecie della concessione del servizio esercitato per mezzo di essa piuttosto che la vera attribuzione della titolarità del servizio stesso. D’altra parte l’assenza di controlli statali e la previsione della perpetuità della stessa concessione di beni ne avvicina la configurazione alla fattispecie del vero e proprio trasferimento del servizio, ancorché esercitato tramite beni concessi.

D’altronde la più o meno ampia lettura che la convenzione dà dell’art. 151 perde rilevanza ove si consideri che l’ottica complessiva che informa il d.lg. 112/1998 elude volontariamente la questione della qualificazione giuridica dei "conferimenti" delle funzioni e dei compiti amministrativi, in un’ottica che privilegia lo spostamento sostanziale del centro di responsabilità di funzioni e servizi in base al criterio della vicinanza agli utenti piuttosto che formalizzare la ripartizione sulla base della titolarità delle competenze e della proprietà dei beni gestiti.

L’importanza dell’art. 151 all’interno del d.lg. 112/1998 sta nell’avere il legislatore previsto una forma di devoluzione che non fosse la scontata esplicazione del principio di decentramento, quindi fra centro ed enti locali, ma che orientasse il processo in atto verso un più ampio perseguimento dello Stato "autonomista", che come tale è composto anche da altri soggetti dotati di autonomia pubblica oltre alle autonomie territoriali. Le università, infatti, si possono considerare "enti pubblici che esercitano compiti e funzioni pubbliche proprie nell’interesse della collettività e non dello Stato propriamente inteso. Enti pubblici che si caratterizzano per il riconoscimento di una specifica autonomia funzionale che riguarda l’esercizio di compiti e funzioni attribuite attinenti la elaborazione e la trasmissione del sapere" (W. Gasparri, voce Università degli studi, in Dig. disc. pubbl., aggiornamento 2000, 630).

Alle convenzioni attuative, dunque, differenziato strumento di decentramento, la scelta se cogliere l’occasione e valorizzare l’aspetto propriamente autonomistico della norma, con la devoluzione della titolarità del servizio svolto dalle biblioteche universitarie, oppure dare corso alla semplice concessione di un servizio pubblico che rimane pur sempre proprio dello Stato. In ogni caso l’applicazione della norma, come di tutto l’impianto attuativo del d.lg. 112/1998, va letta e salutata con soddisfazione sul piano della fattualità più che su quello della qualificazione giuridica degli istituti utilizzati ai fini della devoluzione.



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