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La disciplina giuridica delle attività culturali

La legge in materia di manifestazioni di rievocazione storica e delega al Governo per l'adozione di norme per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale: una prima riflessione

di Annalisa Gualdani [*]

Sommario: 1. Premessa. - 2. Le disposizioni in materia di manifestazioni di rievocazione storica. - a) Principi e definizioni. - b) Salvaguardia e valorizzazione. - c) Finanziamento. - d) Elenco nazionale degli enti e delle manifestazioni di rievocazione storica. - e) Comitato tecnico-scientifico. - 3. Le disposizioni in materia di salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. - 4. Considerazioni conclusive.

Questo contributo offre un'analisi e una prima riflessione sulla legge che disciplina gli eventi di rievocazione storica e delega al Governo l'adozione di norme per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. La legge n. 152/2024 si allinea ai principi stabiliti dalle Convenzioni Unesco di Parigi (2003) e di Faro (2005), sia per quanto riguarda la definizione di patrimonio culturale immateriale sia per quanto riguarda i processi di identificazione, salvaguardia e valorizzazione. Si tratta della necessità di preservare e trasmettere la memoria collettiva delle comunità e dei gruppi in relazione al loro ambiente, alle loro tradizioni e ai loro territori, garantendo al contempo il coinvolgimento attivo delle comunità del patrimonio in questi processi. Inoltre, viene evidenziato il potenziale economico del patrimonio immateriale. Se efficacemente salvaguardato e promosso, può favorire il turismo e guidare lo sviluppo economico locale.

Parole chiave: Intangibile; valorizzazione; tradizione; sviluppo sostenibile; attività d’impresa.

The law on historical reenactment events and delegation of authority to the government to adopt regulations for the preservation of intangible cultural heritage: an initial reflection
This contribution offers an analysis and an initial reflection on the law regulating historical re-enactment events and delegating to the Government the adoption of rules for safeguarding intangible cultural heritage. Law no. 152/2024 aligns with the principles established by the Unesco Conventions of Paris (2003) and Faro (2005), both in terms of the definition of intangible cultural heritage and the processes of identification, safeguarding, and enhancement. It addresses the need to preserve and transmit the collective memory of communities and groups in relation to their environment, traditions, and territories, while ensuring the active involvement of heritage communities in these processes. Furthermore, the economic potential of intangible heritage is highlighted. When effectively safeguarded and promoted, it can foster tourism and drive local economic development.

Keywords: Intangible; valorization; tradition; sustainable development; business activity.

1. Premessa

Il 7 ottobre scorso il Senato ha definitivamente approvato la legge 7 ottobre 2024, n. 152, “Disposizioni in materia di manifestazioni di rievocazione storica e delega al Governo per l’adozione di norme per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale”.

Da tempo si auspicava un intervento del legislatore che fornisse una disciplina organica della materia, anche al fine di dare attuazione a quanto richiesto dalle Convenzioni internazionali, adottate a Parigi il 3 dicembre 2003 [1] e il 20 ottobre 2005 [2], poi ratificate in Italia con la legge 27 settembre 2007, n. 167 e legge 19 febbraio 2007, n. 19.

A più riprese, infatti, gli Stati firmatari sono stati sollecitati a predisporre misure di salvaguardia per la protezione e la valorizzazione del patrimonio culturale immateriale. Ciò in considerazione del fatto che ogni Stato contraente, nell’ambito delle misure di salvaguardia (art. 2, par. 3, della Convenzione del 2003), è tenuto ad individuare, promuovere e valorizzare i vari elementi del patrimonio culturale immateriale presenti sul proprio territorio con la partecipazione di comunità, gruppi e organizzazioni non governative rilevanti (art. 11).

Le ragioni dell’assenza di una normativa concernente i beni immateriali sono state già affrontate in precedenti numeri di questa rivista [3]. Preme tuttavia puntualizzare che il nostro ordinamento non ha mai rinnegato l’esistenza della categoria dei beni immateriali o l’idea di una loro tutela giuridica - invero esso conosce tipologie di beni culturali “extra Codice” [4] - ma semmai evidenziare che la materialità che connota la disciplina del Codice ha, senz’altro, influito sulla mancanza di una positivizzazione organica del settore, nella convinzione che la protezione dei beni culturali non potesse comunque prescindere dalla loro “realità” [5].

Non è un caso, infatti, che l’unica disposizione attraverso la quale il nostro ordinamento ha ottemperato alle richieste del diritto sovranazionale, id est l’art. 7-bis, del d.lg. n. 42/2004, preveda la sottoposizione alla disciplina del Codice dei beni culturali“delle espressioni di identità culturale collettiva contemplate nelle Convenzioni Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e per la protezione e la promozione delle diversità” solo qualora esse “siano rappresentate da testimonianze materiali e sussistano i presupposti e le condizioni per l’applicabilità dell’art. 10” [6].

Ne consegue pertanto che l’art. 7-bis, e quindi il Codice nel suo complesso, si occupano dei beni immateriali solo con riferimento alle loro testimonianze materiali.

2. Le disposizioni in materia di manifestazioni di rievocazione storica

Il capo I, della legge n. 152/2024 cit., detta una disciplina analitica delle manifestazioni di rievocazione storica. Ciò che subito balza all’occhio è la scelta compiuta dal legislatore di aver voluto normare separatamente la species “manifestazioni di rievocazione storica”, rispetto al genus patrimonio culturale immateriale.

È noto, infatti, che le prime sono componenti del secondo [7]; dunque le manifestazioni di rievocazione storica avrebbero ben potuto rinvenire la loro disciplina in uno dei decreti legislativi attuativi della delega, di cui all’art. 11.

Occorre tuttavia rammentare che anche in una delle precedenti legislature (nello specifico la XVII) le rievocazioni storiche sono state oggetto di specifici disegni legge (C. 66, C. 3804 e C. 4085) che sono poi confluiti in un testo unificato, presentato alla Camera, il 26 luglio 2017 “Disposizioni per la promozione e la valorizzazione delle manifestazioni, delle rievocazioni e dei giochi storici”.

A ciò si aggiunge che alcune regioni, ritenendo indispensabile disciplinare la materia per garantire una forma di protezione a questi eventi identitari, hanno normato autonomamente il settore [8].

La scelta di disciplinare separatamente le manifestazioni di rievocazione storica all’interno di una “legge speciale” potrebbe rinvenirsi in due ordini di motivi. In primo luogo, si potrebbe ritenere che le pregresse esperienze normative (testo unificato e leggi regionali), fornendo al legislatore nazionale un modello di riferimento abbastanza strutturato, abbiano consentito un’accelerazione del processo di redazione e di approvazione. E se è pur vero che “il patrimonio culturale italiano è una somma di patrimoni regionali e locali” e che “la memoria che esso preserva è la memoria delle tante e diverse culture regionali e locali che il processo di omologazione tende a cancellare” [9], tuttavia le singole leggi regionali, se pur pregevoli, non sono sufficienti a garantire quell’uniformità di salvaguardia e di valorizzazione, proprie di una legislazione e di una politica culturale unitarie.

In secondo luogo, che - in considerazione della rilevanza che tali eventi hanno per la valorizzazione dei territori e per il circuito turistico - la necessità di rispondere alle istanze provenienti da quei contesti locali sprovvisti di una disciplina regionale sia stata percepita come non più procrastinabile.

a) Principi e definizioni

Le manifestazioni di rievocazione storica rappresentano un elemento connotante il nostro Paese, dove forte è il legame con le antiche tradizioni popolari. Queste componenti del patrimonio culturale immateriale assumono rilevanza quali elementi per la trasmissione intergenerazionale della memoria storica di un determinato territorio, ma al contempo costituiscono momento per promuovere lo studio, la ricerca e la diffusione della conoscenza delle pratiche del passato.

Non stupisce allora che la legge in commento, al Capo I, art. 1, affermi che “la Repubblica riconosce le revocazioni storiche quali componenti fondamentali del patrimonio culturale, nonché elemento qualificante per la formazione e per la crescita socio-culturale della comunità nazionale” e che rinvenga il fondamento di tale enunciazione negli artt. 9 e 33 della Cost., nei principi stabiliti dall’art. 167, del Tfue [10] e nella Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata a Parigi il 17 ottobre 2003 e ratificata, ai sensi della legge 27 settembre 2007, n. 167.

L’art. 2 si occupa di definire in primo luogo gli enti di rievocazione, fornendo di essi un’elencazione tipologica: “si definiscono enti di rievocazione storica le associazioni di promozione sociale, le organizzazioni non lucrative di utilità sociale e le fondazioni che hanno per fine statutario la tutela e la trasmissione della memoria storica del proprio territorio, attraverso la messa in scena di momenti del passato storico e di rappresentazioni caratterizzate dall’uso di costumi e di ricostruzioni di ambienti e di manufatti d’epoca (...)”.

Il fatto che il legislatore abbia individuato le realtà preposte alla salvaguardia e alla riproduzione di eventi storico-identitari di un territorio, conferendo loro un riconoscimento formale, va vista con favore. Queste realtà divengono così interlocutrici privilegiate per i soggetti istituzionali coinvolti nella salvaguardia, nella promozione e nel sostegno economico di tali eventi.

Sorprende, tuttavia, che, tra i soggetti riconducibili nell’ambito degli enti di rievocazione storica, compaiano (accanto alle associazioni di promozione sociale e alle fondazioni) le organizzazioni non lucrative di utilità sociale.

Si rammenta, infatti, che la riforma del Terzo settore (di cui al d.lg. n. 117/2017, c.d. Codice del Terzo settore) ha disposto che, con l’entrata in vigore delle nuove disposizioni fiscali, inserite nel Titolo X, del Codice, la disciplina sulle Onlus, contenuta nel d.lg. n. 460/1997, sarà definitivamente abrogata “a decorrere dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea di cui all’art. 101, comma 10, e, comunque, non prima del periodo di imposta successivo di operatività del Registro unico del Terzo settore” (art. 104, comma 2).

Nell’attesa dell’autorizzazione europea (non ancora intervenuta) e dell’istituzione del Registro unico del Terzo settore, il d.lg. n. 117/2017 ha previsto un regime transitorio per tutte le realtà iscritte all’anagrafe Onlus. Nel periodo transitorio e fino al termine di cui all’art. 104, comma 2, un ente iscritto all’anagrafe Onlus può continuare ad applicare le disposizioni fiscali contenute nel d.lg. n. 460 del 1997. Al verificarsi di tale termine, la qualifica di Onlus cesserà di avere efficacia e le disposizioni ad essa riferite risulteranno abrogate [11].

In considerazione del fatto che il Registro unico del Terzo settore è operativo dal 23 novembre del 2021 [12] e che la nuova disciplina fiscale (sempre che intervenga l’autorizzazione europea) potrebbe entrare in vigore a partire dal 1° gennaio 2025, sarebbe stato più opportuno che la legge n. 152/2024 avesse indicato nell’elenco degli enti di rievocazione storica la categoria degli Enti del Terzo settore e non l’ormai superata figura delle Onlus, oppure che avesse fatto un rinvio alla disciplina del d.lg. n. 117/2017.

Degna di nota e apprezzamento, oltre all’analitica specificazione delle finalità statutarie che devono perseguire gli enti di rievocazione storica (cioè “la tutela e la trasmissione della memoria storica del proprio territorio”), è l’attenzione filologica che viene riservata alla ricostruzione di attività ed eventi storici, all’utilizzo di vesti, armi, armature ed altri manufatti riconducibili al periodo in cui sono collocate le rievocazioni, nonché allo studio, alla ricerca e alla consultazione delle fonti storiche.

A differenza del Testo unificato del 2017 che distingueva, pur non delineandone gli esatti confini, tra manifestazioni, rievocazioni e giochi storici, il legislatore attuale ha scelto di utilizzare una formula onnicomprensiva, quella di “rievocazione storica”, intesa come “manifestazione finalizzata a salvaguardare la memoria storica di un territorio, comprensiva dei saperi, delle pratiche e delle prassi del periodo storico di riferimento” che consiste in una “rappresentazione scenica, attraverso le arti performative” che si svolge “con continuità da almeno cinque anni”(art. 2, comma 2).

b) Salvaguardia e valorizzazione

Rilevanza di primo piano, nell’intero impianto normativo, è assegnata alla salvaguardia e alla valorizzazione, le cui definizioni (stante il silenzio della legge n. 152/2024) si ricavano rispettivamente dal diritto sovranazionale e dal diritto interno.

L’art. 2, comma 3, della Convenzione Unesco di Parigi del 2003 afferma che per “salvaguardia” s’intendono le misure volte a garantire la vitalità del patrimonio culturale immateriale, ivi compresa l’identificazione, la documentazione, la ricerca, la preservazione, la protezione, la promozione, la valorizzazione, la trasmissione, in particolare attraverso un’educazione formale e informale, come pure il ravvivamento dei vari aspetti di tale patrimonio culturale (art. 2, comma 3).

La salvaguardia si connota dunque per l’ampiezza delle misure in cui essa prende forma, tra le quali si annoverano anche quelle attività che il diritto interno riconduce alla tutela (identificazione, preservazione, protezione) e alla valorizzazione. Ciò è confermato anche dal tenore dell’art. 3, comma 1, lett. g), della legge in esame, laddove si afferma che “lo Stato (...) promuove la tutela, la conservazione (...) e la trasmissione del patrimonio culturale, nonché della memoria, dei saperi e delle tradizioni legate alle rievocazioni storiche”, nonché dagli artt. 4 e 6 sugli elenchi.

La nozione di valorizzazione è stata introdotta nel nostro ordinamento con la legge n. 310 del 1964, istitutiva della Commissione Franceschini; tuttavia, la sua prima definizione è stata elaborata soltanto nel 1998, con il d.lg. n. 112, all’art. 148, lett. e), in base al quale per valorizzazione si intende: “ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali e ambientali e ad incrementarne la fruizione” [13].

Questa nozione è stata poi ulteriormente perfezionata all’interno del Codice dei beni culturali. L’art. 6, afferma infatti che la valorizzazione “consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione del patrimonio stesso” (comma 1); ed ancora, essa comprende anche “la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale” (comma 2).

Occorre tuttavia evidenziare che la valorizzazione, se pur pensata per i beni culturali materiali, ben si attaglia anche alle espressioni del patrimonio intangibile. Comune, infatti, è il fine che la valorizzazione persegue nei rispettivi ambiti: promuovere la conoscenza; migliorare le condizioni di utilizzazione, accesso e fruizione; difendere “le identità nazionali e locali, per contrastare gli effetti di omogeneizzazione culturale legati al fenomeno della globalizzazione” [14].

La legge n. 152/2024, all’art. 3, dopo aver affermato che lo Stato, nell’ambito delle proprie competenze riconosce, sostiene, valorizza e salvaguarda la specificità delle rievocazioni storiche e delle realtà socio - culturali regionali e locali”, elenca una serie di azioni che lo Stato è tenuto a promuovere, tra cui: la conoscenza della manifestazione a livello nazionale e internazionale (lett. b); la sensibilizzazione del pubblico e la valorizzazione del prodotto culturale delle rievocazione, anche attraverso l’editoria e gli strumenti di comunicazione di massa (lett. c); il sostegno finanziario agli enti di rievocazione e alle manifestazioni (lett. d); lo sviluppo del turismo culturale, attraverso l’utilizzo di siti archeologici, demoetnoantropologici, museali e monumentali nel rispetto della tutela dei siti e della loro regolare fruizione (lett. e); la collaborazione tra gli enti di rievocazione storica e altri soggetti pubblici e privati (lett. f) [15].

In relazione all’esplicito riferimento allo sviluppo del turismo culturale appare evidente la consapevolezza del legislatore delle potenzialità, anche di rilevanza economica, che tali manifestazioni possiedono, potendo esse costituire oggetto di “attività imprenditoriale” e di “offerta turistica”. Come è stato a suo tempo sostenuto la valorizzazione ha gradatamente acquisito contenuti più definiti, anche di carattere economico, “(...) nel senso che la produzione di reddito da parte dei beni culturali consente maggiori entrate; e che maggiori entrate possono assicurare miglior tutela e fruizione più ampia dei beni culturali” [16].

L’art. 3 pone tuttavia un interrogativo nella parte in cui afferma che lo Stato “valorizza (...) le specificità delle rievocazioni storiche e delle realtà socio-culturali regionali e locali a queste collegate”.

Si rammenta, infatti. che, ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost., sia la valorizzazione dei beni culturali, sia la promozione e l’organizzazione delle attività culturali (nell’ambito delle quali le manifestazioni di rievocazione storica vanno ricondotte) sono affidate alla potestà legislativa concorrente delle regioni. Orbene, la formulazione generica dell’art. 3, giusto il silenzio sul ruolo delle regioni, potrebbe dar luogo, in fase di applicazione, a possibili contrasti con quest’ultime.

A ben vedere, però, si potrebbe ritenere (stante la precisazione effettuata nell’incipit dell’art. 3: “nell’ambito delle proprie competenze”) che la disposizione in esame debba essere intesa nel senso che lo Stato detta i princìpi generali in tema di valorizzazione e che poi spetterà alle regioni normare nel dettaglio. Dunque, sotto questo profilo, la legge n. 152/2024 assumerebbe valore di legge cornice che non incide sul criterio di riparto di competenze.

c) Finanziamento

L’art. 3, comma 1, lett. d), afferma che lo Stato promuove “il sostegno finanziario agli enti di rievocazione storica e alla realizzazione delle relative manifestazioni, nonché degli eventi spettacolari, culturali e divulgativi a esse connesse, attraverso idonee misure”. Affida poi ad un emanando decreto del ministro della Cultura (da adottarsi previa intesa in sede di Conferenza unificata) la disciplina concernente l’accesso, le modalità e i criteri di attribuzione e di erogazione delle risorse, a valere sul Fondo nazionale per la rievocazione storica (istituito dall’art. 1, comma 627, della legge 11 dicembre 2016, n. 232) da destinare alle rievocazioni stesse.

La previsione relativa al coinvolgimento della Conferenza unificata ottempera a quanto stabilito con la sentenza della Corte costituzionale n. 71/2018, chiamata a pronunciarsi, su ricorso promosso dalla regione Veneto, sulla legittimità costituzionale del comma 627, dell'art. 1, della legge n. 232/2016 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), istitutivo del Fondo nazionale per la rievocazione storica - finalizzato alla promozione di eventi, feste e attività, nonché alla valorizzazione dei beni culturali attraverso la rievocazione storica - nella parte in cui non prevedeva, in sede di adozione del decreto ministeriale di attuazione, alcuna intesa con le regioni, in violazione degli artt. 117, comma 3, e 119 Cost. e del principio di leale collaborazione ex artt. 5 e 120 della Costituzione.

La pronuncia, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale di tale disposizione, ha affermato che è necessario applicare il principio di leale collaborazione nei casi in cui lo Stato preveda un finanziamento, con vincolo di destinazione, che incide su materie di competenza regionale (residuale o concorrente). In tali casi, devono essere predisposti strumenti di coinvolgimento delle regioni, nella forma dell'intesa o del parere, quanto alle decisioni relative ai criteri e alle modalità del riparto (o della riduzione) del trasferimento destinato a enti territoriali o, anche, direttamente a soggetti privati. Ciò avviene, principalmente, sia nei casi in cui la disciplina legislativa del finanziamento si trovi all'incrocio di materie attribuite dalla Costituzione alla potestà legislativa statale e regionale (senza che sia individuabile un ambito materiale che possa considerarsi nettamente prevalente sugli altri), sia quando il finanziamento trovi giustificazione nella cosiddetta attrazione in sussidiarietà della stessa allo Stato, ai sensi dell'art. 118, primo comma, Cost. [17].

Rispetto al Testo unificato del 2017 nessun potere è riconosciuto dalla legge in esame al Comitato tecnico scientifico in merito all’individuazione dei criteri per l’assegnazione delle sovvenzioni, a valere sul Fondo nazionale per la rievocazione storica. Ciò va senz’altro apprezzato. Attribuire infatti ad una fonte normativa il compito di individuare i criteri di attribuzione e di erogazione delle risorse (anziché rimetterlo alle decisioni di un organo tecnico) costituisce elemento di garanzia e di oggettività per coloro che aspirano ad ottenere le risorse.

d) Elenco nazionale degli enti e delle manifestazioni di rievocazione storica

Nella consapevolezza dell’importanza dell’attività di individuazione dei beni culturali immateriali, il legislatore istituisce, con funzione ricognitiva, un elenco nazionale degli enti e delle manifestazioni di rievocazione storica, alla cui tenuta e pubblicazione (sul proprio sito internet) provvede il ministero della Cultura che ne cura anche l’aggiornamento (art. 4).

La disposizione, anziché disciplinare direttamente le condizioni richieste per l’iscrizione, affida ad un emanando decreto del ministro della Cultura [18], sentito il ministro del Turismo e previa intesa con la Conferenza unificata, la definizione: a) dei requisiti per l'iscrizione per l’iscrizione negli elenchi; b) delle modalità di gestione dell’elenco, di cui al comma 1.

La legge non contiene riferimento alcuno sul procedimento che conduce all’iscrizione. Sarebbe stato opportuno che il legislatore avesse descritto le singole fasi e, al pari di quanto stabilito dalle Convenzioni internazionali, avesse previsto un coinvolgimento attivo dei privati e delle comunità di riferimento.

Pur non disconoscendo il ruolo fondamentale dell’iscrizione negli elenchi non può sottacersi del fatto che un’azione più efficace di salvaguardia è possibile anche attraverso un’attenta attività di monitoraggio e di raccolta di informazioni provenienti dalle singole realtà regionali e locali. Si rammenta a tal riguardo che, durante l’emergenza pandemica, è stato istituito l’Osservatorio per il patrimonio immateriale Unesco, in seno al Segretariato generale del della Cultura [19]. Questo organismo consultivo “ha l’obiettivo di razionalizzare gli interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale immateriale attraverso il monitoraggio, la comprensione e la valutazione dello stato e l’orientamento delle azioni a vantaggio degli elementi iscritti nelle liste dei beni immateriali Unesco” [20]. Sarebbe stato dunque opportuno che la legge n. 152/2024 avesse fatto un richiamo a detto organo, magari affidandogli compiti di analisi, studio e ricerca, prevedendo altresì un coordinamento e un raccordo con istituendi osservatori regionali.

e) Comitato tecnico-scientifico

La legge n. 152/2024 prevede, all’art. 5, l’istituzione del Comitato tecnico scientifico per gli enti e le manifestazioni di rievocazione storica, formato da diverse professionalità (professori universitari esperti della materia nominati dalle regioni, due rappresentanti del ministero della Cultura, un rappresentante del ministero dell’Università e della Ricerca, un rappresentante del ministero del Turismo, un rappresentante del ministero dell’Istruzione e del Merito, un rappresentante del ministero dell’Economia e delle Finanze e un rappresentante del ministero dell’Interno) con mandato triennale, rinnovabile una sola volta. Non è previsto nessun compenso ad alcun titolo, né rimborsi spese per l’attività svolta.

La disposizione richiamata omette di disciplinare il numero complessivo dei componenti dell’organo. Non viene infatti specificata la quota dei professori universitari, esperti nella materia, nominati dalle regioni. La non chiarezza dell’art. 5 sul punto, induce ad interrogarsi se ogni regione debba nominare un solo professore universitario, oppure se la componente accademica, nel suo complesso, debba essere espressione di una decisione congiunta tra le regioni medesime.

Il comma 2 assegna al Comitato una pluralità di compiti di estrema rilevanza, in ciò discostandosi dal Testo unificato del 2017, dove questo organo aveva prevalentemente una funzione consultiva. Oltre a svolgere un ruolo promozionale e di supporto, il Comitato possiede poteri di accertamento (“riconosce la qualifica di ente o di manifestazione di rievocazione storica art. 5, comma 2, lett. a)”, di valutazione e di verifica (ogni tre anni) dell’attendibilità e della conformità storica delle manifestazioni e dell’attività degli enti di rievocazione, requisito indispensabile ai fini del mantenimento dell’iscrizione nell’elenco.

Infine, il Comitato, su richiesta degli organizzatori di manifestazioni storiche, svolge un ruolo propulsivo nei confronti del ministero della Cultura ai fini del rilascio del logo recante la dicitura Rievocazione storica Italiana”.

3. Le disposizioni in materia di salvaguardia del patrimonio culturale immateriale

Il capo II, della legge n. 152/2024, contiene la delega al Governo per l’adozione di misure di salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. “Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti la disciplina del patrimonio culturale immateriale, in conformità alle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata a Parigi il 17 ottobre 2003 dalla XXXII sessione della Conferenza generale dell'Unesco, ratificata ai sensi della legge 27 settembre 2007, n. 167, per assicurare una più efficace salvaguardia di detto patrimonio garantendo la più ampia partecipazione delle comunità praticanti, nonché al fine di promuovere la trasmissione delle conoscenze relative al medesimo patrimonio nei confronti delle più giovani generazioni, anche in considerazione di quanto espresso dalla Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, fatta a Faro il 27 ottobre 2005, ratificata ai sensi della legge 1° ottobre 2020, n. 133, e delle espressioni di identità culturale collettiva di cui all'articolo 7-bis del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42” (art. 11, comma 1) [21].

La delega costituisce la risposta a quella necessità, da più parti reclamata, di una normativa organica, volta a tutelare le diverse espressioni del patrimonio intangibile e a valorizzare il potenziale economico che da quest’ultimo può derivare.

L’art. 10 è rubricato “princìpi relativi al patrimonio culturale immateriale”. A ben vedere però detta disposizione non contiene riferimento alcuno ai princìpi a cui la disciplina intende ispirarsi, occupandosi, piuttosto, di fornire la nozione di patrimonio culturale immateriale. La disposizione richiamata riproduce in toto il dettato dell’art. 2.1, della Convenzione Unesco del 2003, intitolato “definizioni” [22]. Dopo aver affermato che “lo Stato riconosce il patrimonio culturale immateriale come componente del valore identitario e storico degli individui, le comunità locali e la comunità nazionale”, l’art. 10 recita, infatti, che “per patrimonio culturale immateriale” s’intendono “le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how, come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi - che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale”.

La legge n. 152/2024 non recepisce invece - salvo il riferimento alle espressioni linguistiche - il dettato dell’art. 2.2 della Convenzione, contenente un’ulteriore specificazione delle espressioni riconducibili nell’ambito dei beni intangibili e che, invece, sarebbe stato utile inserire: il patrimonio culturale immateriale (...) si manifesta tra l’altro nei seguenti settori: a) tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso il linguaggio, in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale; b) le arti dello spettacolo; c) le consuetudini sociali, gli eventi rituali e festivi; d) le cognizioni e le prassi relative alla natura e all’universo; e) l’artigianato tradizionale”.

I princìpi e i criteri direttivi, a cui l’esecutivo dovrà attenersi nel dare attuazione alla delega, sono invece contenuti nell’art. 11, comma 2. In particolare, tra essi spiccano i princìpi di partecipazione e di sussidiarietà orizzontale.

È noto che la partecipazione e il coinvolgimento della popolazione di un dato territorio siano una costante dei processi di identificazione e di salvaguardia del patrimonio immateriale, descritti dal diritto internazionale; basti pensare che il procedimento per la proposizione delle candidature per l’inserimento delle componenti intangibili nella lista dei beni immateriali Unesco richiede, agli Stati proponenti, di fornire la dimostrazione che le comunità e i gruppi siano intervenuti attivamente nell’elaborazione della proposta della candidatura in tutte le sue fasi e che abbiano prestato il loro consenso informato [23]. Allo stesso modo il legislatore della delega sottolinea l’indispensabilità del momento partecipativo nella perpetuazione delle pratiche culturali (lett. b), nel preservare e trasmettere le memorie (lett. c e h).

La delega individua poi con l’espressione “comunità dei praticanti” i gruppi depositari delle memorie identitarie, chiamati a svolgere, in un’ottica di chiamata in sussidiarietà orizzontale, un compito fondamentale nella salvaguardia del patrimonio immateriale. Il concetto di comunità dei praticanti evoca alla memoria quello omologo di comunità patrimoniale contenuto nella Convenzione di Faro: “la comunità patrimoniale è costituita dalle persone che attribuiscono valore a degli aspetti specifici del patrimonio culturale, che esse desiderano, nel quadro di un’azione pubblica, sostenere e trasmettere alle generazioni future” (art. 2, lett. b).

La legge n. 152/2024 accoglie inoltre il principio dello sviluppo sostenibile, a cui si correla il miglioramento della qualità della vita. Ancora una volta l’influenza della Convenzione di Faro è evidente nella parte in cui essa definisce il cultural heritage, “risorsa per lo sviluppo sostenibile e per la qualità della vita, in una società in costante evoluzione” (lett. f) [24].

Nell’ottica di quella dimensione sociologica che permea le convenzioni internazionali richiamate, gli emanandi decreti legislativi dovranno poi prevedere prescrizioni volte ad incoraggiare la coesione sociale, il dialogo tra le culture, nel rispetto delle differenze e dei diritti umani (comma 2, lett. c ed e). Ciò in ragione della riconducibilità della conoscenza e dell’uso del patrimonio culturale nell’ambito dei diritti umani e del diritto dell’individuo a prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, così come affermato dall’art. 27, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 [25] e dall’art. 15, del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966 (comma 2, lett. e) della delega) [26].

Il riferimento al dialogo interculturale richiama quanto contenuto nella Dichiarazione di Firenze del 30 marzo del 2017, formulata dai ministri della Cultura, in occasione del G7. Si rammenta, infatti, che in questo documento si è affermato che il patrimonio culturale, in tutte le sue forme, materiale e immateriale, mobile e immobile, contribuisce a preservare l’identità e la memoria dei popoli, favorisce il dialogo e lo scambio interculturale tra tutte le Nazioni, alimentando la tolleranza, la mutua comprensione, il riconoscimento e il rispetto delle diversità.

La legge prevede inoltre l’istituzione di tre elenchi nazionali: il primo sul patrimonio culturale, il secondo sul patrimonio culturale a salvaguardia urgente, il terzo di buone pratiche per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, attraverso il censimento, la catalogazione e l’inventariazione [27]. Evidente qui è l’analogia con l’art. 16, della Convenzione Unesco del 2003, in base al quale “al fine di garantire una migliore visibilità del patrimonio culturale immateriale, di acquisire la consapevolezza di ciò che esso significa e d’incoraggiare un dialogo che rispetti la diversità culturale, il Comitato, su proposta degli stati contraenti interessati, istituirà, aggiornerà e pubblicherà una lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità”.

Degna di apprezzamento è infine la rilevanza assegnata alle diversità delle espressioni culturali e linguistiche. Questa previsione - che recepisce l’art. 2, lett. a) della Convenzione Unesco del 2003, la quale definisce il linguaggio “manifestazione del patrimonio culturale immateriale in quanto suo vettore” - si pone in linea con quella strada, intrapresa da alcune regioni, che nel corso degli anni si sono dotate di proprie leggi a tutela dei loro dialetti [28].

La legge n. 152/2024, tuttavia, non si spinge, così come accade nell’ordinamento francese, a prevedere una specifica tutela e salvaguardia della lingua italiana. Si rammenta, infatti, che il legislatore d’Oltre Alpe, negli ultimi anni, ha ampliato la nozione di patrimoine, integrandola nel 2016 [29] con il riferimento al patrimonio intangibile e nel 2021 con “una peculiare forma di tutela della lingua francese” [30].

Le continue contaminazioni a cui è esposta la lingua italiana, a causa del processo di globalizzazione, avrebbero richiesto che il legislatore avesse riservato disposizioni ad hoc per la salvaguardia della nostra lingua.

Chiaro è stato infatti il monito del giudice delle leggi nella sentenza n. 42/2017, nella quale ha affermato che la lingua italiana è, nella sua ufficialità, e quindi primazia, vettore della cultura e della tradizione immanenti nella comunità nazionale, tutelate anche dall'art. 9 Cost. La progressiva integrazione sovranazionale degli ordinamenti e l'erosione dei confini nazionali determinati dalla globalizzazione non debbono costringerla in una posizione di marginalità: al contrario, e anzi proprio in virtù dell'emersione di tali fenomeni, il primato della lingua italiana non solo è costituzionalmente indefettibile, bensì - lungi dall'essere una formale difesa di un retaggio del passato, inidonea a cogliere i mutamenti della modernità - diventa ancor più decisivo per la perdurante trasmissione del patrimonio storico e dell’identità della Repubblica, oltreché garanzia di salvaguardia e di valorizzazione dell'italiano come bene culturale in sé [31].

L’auspicio è che in sede di redazione dei decreti legislativi questa lacuna possa essere colmata.

4. Considerazioni conclusive

Volendo tracciare un quadro di sintesi si può senz’altro affermare che la legge n. 152/2024 sembra rispondere a quelle aspettative formulate in passato da chi auspicava una legge sul patrimonio immateriale, autonoma dal Codice dei beni culturali.

Essa infatti delinea gli strumenti idonei a riconoscere e inventariare i beni immateriali; consente una partecipazione attiva delle comunità di riferimento ai processi di valorizzazione, individuazione e conoscenza del patrimonio immateriale latamente inteso; prevede un’attenta attività di inventariazione delle espressioni intangibili; favorisce il dialogo, la coesione sociale e lo scambio interculturale.

Il legislatore pone poi l’accento sul potenziale economico del patrimonio immateriale. Questo, infatti, se adeguatamente salvaguardato e valorizzato, può costituire un volano per il turismo e per l’economia dei singoli territori [32].

L’analisi effettuata ha poi evidenziato che il legislatore nazionale ha seguìto il percorso indicato dalle Convenzioni Unesco di Parigi del 2003 e di Faro del 2005, recependone princìpi, definizioni e contenuti. Un primo esempio di questa “influenza” si riscontra nel recepimento dei princìpi di partecipazione, sussidiarietà orizzontale, sviluppo sostenibile e nell’importanza del patrimonio culturale immateriale nel favorire la coesione sociale e il dialogo interculturale.

Anche la disciplina dell’individuazione ricalca quella dettata dal diritto internazionale. Se si comparano, infatti, le disposizioni sugli elenchi, di cui agli art. 4, 6 e 11, comma 2, lett. g), della legge n. 152/2024, appare evidente l’analogia con l’art. 12 della Convenzione Unesco del 2003 sugli inventari: “al fine di provvedere all’individuazione in vista della salvaguardia, ciascun stato contraente compilerà, conformemente alla sua situazione, uno o più inventari del patrimonio culturale immateriale presente sul suo territorio. Questi inventari saranno regolarmente aggiornati”.

Come è stato in precedenza evidenziato il legislatore ha optato per disciplinare separatamente le manifestazioni di rievocazione storica, rispetto al patrimonio culturale immateriale. Questa scelta richiederà tuttavia un’attenta opera di coordinamento da parte del Governo, in sede di redazione dei decreti legislativi, atteso che si riscontrano tracce di possibili sovrapposizioni tra la disciplina della delega e quella di settore [33].

Occorre inoltre chiedersi se la legge n. 152/2024 sarà idonea a fornire risposte a quei problemi riscontrati, nel corso degli anni, dalle autorità preposte alla tutela del patrimonio culturale.

Relativamente alla parte sulle disposizioni in materia di manifestazioni di rievocazione storica la risposta non può che essere positiva.

Grazie alle nuove disposizioni non si dovrà più ricorrere ad escamotages o forzature interpretative dell’art. 7-bis per attribuire la qualifica di “espressione di identità culturale collettiva” ad una manifestazione di rievocazione storica, grazie al ruolo che viene affidato all’attività di riconoscimento delle manifestazioni e all’istituzione degli elenchi.

Pregevole poi è la rilevanza assegnata alla valorizzazione e alla promozione, nonché all’analitica descrizione delle azioni in cui esse si sostanziano.

Con riguardo invece alla parte contenente la delega va vista con favore la decisione del legislatore di prevedere un autonomo corpus normativo, affrancandosi dal Codice dei beni culturali e dalla sua impostazione “materiale”.

Pur nella consapevolezza che un giudizio oggettivo a tal riguardo potrà essere formulato solo in seguito all’adozione dei decreti legislativi da parte del Governo, ciò che non si può negare è che i princìpi e i criteri che presidiano la delega sembrano essere in grado di fornire all’esecutivo efficaci strumenti per disciplinare in modo esaustivo la materia.

In particolare, i decreti legislativi dovranno lasciare ampio spazio al principio di sussidiarietà, sia nella sua declinazione orizzontale, prevedendo, sul modello della convenzione di Faro, un fattivo coinvolgimento delle comunità patrimoniali, sia nella sua declinazione verticale, assegnando un ruolo di primo piano alle regioni e agli enti locali, veri protagonisti nel settore. Sarebbe infatti singolare che a seguito dell’esercizio delle delega si delineasse un ruolo dello Stato pervasivo, così come accaduto per i beni materiali. Dovranno poi essere meglio specificate le guarentigie che conseguono al riconoscimento di un evento o di una pratica come bene culturale immateriale, sì da preservarne l’immutabilità.

 

Note

[*] Annalisa Gualdani, professore associato di Diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Siena, Via Mattioli 10, 53100 Siena, annalisa.gualdani@unisi.it.

[1] Approvata il 17 ottobre 2003 dalla Conferenza generale dell’Unesco.

[2] Convenzione sulla protezione e promozione delle diversità delle espressioni culturali, adottata a Parigi il 20 ottobre 2005, nella 33° sessione della Conferenza generale dell’Unesco (ratificata in Italia con la legge 19 febbraio 2007, n. 19), la quale si prefigge il fine di proteggere e promuovere l’interculturalità.

[3] Il riferimento è ai nn. 1/2014, 3/2017, 1/2019.

[4] In tal senso G. Sciullo, Patrimonio e beni, in C. Barbati-M. Cammelli-L. Casini-G. Piperata-G. Sciullo, Diritto del patrimonio culturale, Bologna, 2020, pag. 37.

[5] Sul punto cfr. L. Casini, Oltre la mitologia giuridica dei beni culturali, in Aedon, 2012, 1, par. 1. In argomento anche A. Bartolini, Beni culturali (diritto amministrativo), in Enc. dir. Annali, VI, Milano, 2013, pag. 110.

[6] Sul carattere della materialità del bene culturale cfr. T. Alibrandi-P.G. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001, pag. 47; M. Cantucci, La tutela giuridica delle cose di interesse storico-artistico, Padova, 1953, pag. 98.

[7] Molte sono le fattispecie riconducibili all’interno della categoria, tra cui: gli spettacoli, le musiche, il folklore, i canti, i giochi, le feste, le tradizioni, le manifestazioni e le rievocazioni storiche, i cibi, i proverbi, le mitologie, i riti, le abitudini, le credenze popolari e persino le consuetudini giuridiche. Sul punto cfr. P. Stella Richter-E. Scotti, Lo statuto dei beni culturali tra conservazione e valorizzazione, in I beni e le attività culturali, (a cura di) A. Catelani-S. Cattaneo, I beni e le attività culturali, Padova, 2002, pag. 396.

[8] Legge regionale Marche 23 luglio 2018, n. 29, “Valorizzazione e sostegno delle manifestazioni di rievocazione storica”; legge regionale Toscana 3 agosto 2021, n. 27, “Valorizzazione del patrimonio storico-culturale intangibile e della cultura popolare della Toscana. Disciplina delle rievocazioni storiche regionali”; legge regionale Umbria 31 luglio 2024, n. 11, “Valorizzazione del patrimonio storico, culturale e tradizionale della cultura popolare umbra. Disciplina sulle rievocazioni storiche e sulle manifestazioni di rievocazione storica”.

[9] G. Corso, Articolo 1 - I principi, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M. Cammelli, Bologna, Il Mulino, 2004, 71; nel medesimo senso M.C. Cavallaro, Patrimonio culturale e dinamiche economiche. I beni culturali: tra tutela e valorizzazione economica, in Aedon, 2018, 3.

[10] Che “attribuisce all'Unione il compito di contribuire al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune”.

[11] Per un approfondimento del tema cfr. P. Consorti-L. Gori-E. Rossi, Diritto del Terzo settore, Bologna, 2018. In argomento anche L. Gori, Terzo settore e Costituzione, Torino, pag. 20.

[12] Il Registro unico del Terzo settore è stato istituito con il Decreto del ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali del 15 settembre 2020, n. 106 (pubblicato in G.U. n. 261, del 21 ottobre 2020), ma è divenuto operativo il 23 novembre 2021 con Decreto direttoriale del ministero del Lavoro del 26 ottobre 2021, n. 561.

[13] Sul tema cfr. F. Caporale, La valorizzazione dei beni culturali, analisi giuridica delle trasformazioni in corso, Napoli, 2024.

[14] Così L. Casini, La valorizzazione dei beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, 3, pag. 651. In argomento C. Geertz. Mondo globale, mondi locali. Cultura e politica alla fine del ventesimo secolo (1995), trad. it. A Michler e M. Santoro, Bologna, 1999.

[15] Le istituzioni scolastiche, le università, gli istituti e i luoghi pubblici e privati, gli enti di promozione turistica e i soggetti gestori dei beni del patrimonio culturale, nonché il coinvolgimento delle comunità locali.

[16] S. Cassese, I beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione, in Giorn. dir. amm., 1998, 7, pag. 673 ss.

[17] Sul punto cfr. M. Picchi, A proposito del Fondo nazionale di rievocazione storica, in Aedon, 2019, 2, pag. 175 ss.

[18] Da adottarsi entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge n. 152/2024.

[19] Insediatosi a Roma il 17 gennaio 2022.

[20] G. Mancini Palamoni, Patrimonio culturale immateriale e funzioni amministrative, in Aedon, 2023, 3, par. 3.

[21] Per un’approfondita analisi della Convenzione di Faro cfr. P. Carpentieri, La Convenzione di Faro sul valore dell’eredità culturale per la società (da un punto di vista logico), in Federalismi n. 4/2017, e Id., La Convenzione di Faro sul valore del Cultural Heritage per la società. Un esame giuridico, in Riv. giur. urb., 2021, 2, pag. 274 ss.

[22] Per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono “le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how, come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi - che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale”.

[23] Sul punto sia consentito rinviare ad A. Gualdani, L’Italia ratifica la Convenzione di Faro, in Aedon, 2020, 3.

[24] In tal senso C. Carmosino, La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, in Aedon, 2013, 1, par. 3.

[25] Sul punto cfr. D. Manacorda, Il patrimonio culturale tra politica e società, in DigitCult|Scientific Journal on Digital Cultures, 2018, pag. 21 ss., il quale afferma che il testo della Convenzione di Faro “discende ‘per li rami’ dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 ed è fondato sul concetto del diritto dei cittadini al patrimonio culturale, e quindi sul dovere di farsene carico. In buona sostanza è una chiamata di corresponsabilità delle comunità alla gestione consapevole dell’eredità storica di cui sono in possesso pro tempore, e al godimento dei benefici che ne possono derivare per una migliore qualità della vita”.

[26] Così la Convenzione di Faro.

[27] Sulla catalogazione cfr. R. Tucci, Il patrimonio demoetnoantropologico immateriale fra territorio, documentazione e catalogazione, in http://iccd.beniculturali.it/getFile.php?id=3263.

[28] La Liguria, con la legge 2 maggio 1990, n. 32 (poi modificata dalla legge regionale 17 dicembre 1998, n. 37): Norme per lo studio, la tutela, la valorizzazione e l'uso sociale di alcune categorie di beni culturali ed in particolare dei dialetti e delle tradizioni popolari della Liguria; la regione Friuli-Venezia Giulia con la legge regionale 22 marzo 1996, n. 15, con la quale si tutela il dialetto friulano; il Molise, con le leggi regionali 11 aprile 1997, n. 9, e 5 maggio 2005, n. 19, aventi ad oggetto il patrimonio culturale immateriale, etnologico, sociale, antropologico e produttivo; la Sicilia, che con decreto assessoriale 26 luglio 2005, n. 77, ha istituito il registro delle eredità immateriali di Sicilia (Rei), con il fine di individuare, tutelare e valorizzare l'eredità orale e culturale immateriale della regione; la Lombardia, che con la legge regionale 23 ottobre 2008, n. 27, ha istituito il registro delle eredità immateriali lombarde. In argomento cfr. S. Cassese, Il futuro della disciplina dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 2012, 7, pag. 781.

[29] Con loi n. 2016-925, del 7 luglio 2016.

[30] Così M. Timo, L’intangibilità dei beni culturali, Torino, 2022, pag. 190.

[31] Il Consiglio di Stato, con ordinanza del 22 gennaio 2015, aveva rimesso alla Corte costituzionale il giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, lettera l), della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (“Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario”), “nella parte in cui consente l’attivazione generalizzata ed esclusiva (cioè con esclusione dell’italiano) di corsi [di studio universitari] in lingua straniera”. Era accaduto che il Senato accademico del Politecnico di Milano aveva adottato una delibera con la quale erano stati attivati corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca esclusivamente in lingua inglese. Il provvedimento fu poi impugnato da oltre cento docenti innanzi al Tar Lombardia che con la sentenza 23 maggio 2013, n. 1348, accolse il ricorso.

[32] In argomento cfr. G. Sciullo, I beni culturali quali risorsa collettiva da tutelare-una spesa, un investimento, in Aedon 2017, 3.

[33] Si pensi, a titolo esemplificativo, alla parte relativa agli elenchi o a quella relativa alla semplificazione delle norme nazionali sull’organizzazione di eventi connessi al patrimonio immateriale di cui fanno parte anche le rievocazioni storiche (comma 2, lett. h); e ancora alle modalità di coinvolgimento delle scuole e dell’università nei percorsi formativi, di cui all’art. 11, comma 2, lett. m), della delega, che dovranno essere armonizzate con l’art. 7, della legge n. 152/2024, in tema di iniziative didattiche nelle scuole.

 

 

 



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