testata
 
numerocorrentehome../indice../risorse%20web

Il valore del patrimonio culturale fra Italia e Europa

La Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società

di Cinzia Carmosino

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Origine, natura e scopi della Convenzione di Faro. - 3. Verso una nuova concezione di patrimonio culturale? - 4. L'innovativo concetto di "comunità patrimoniale". - 5. Il patrimonio comune dell'Europa. - 6. L'affermazione del diritto al patrimonio culturale. - 7. Il sistema di monitoraggio della Convenzione. - 8. Questioni aperte.

The Council of Europe Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society
Unlike the other international legal instruments about cultural heritage, the Council of Europe Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society, better known as Faro Convention, recognizes the need to put people and human values at the centre of an enlarged and cross-cutting concept of cultural heritage. Indeed, the Faro Convention is at the crossroads of a newly emerging tendency to consider heritage not just for its own sake, namely for its artistic, historical or scientific value, but also as a driver for sustainable development of the whole society, at environmental, economic and social level, as well as for the promotion of cultural diversity, mutual understanding and peace. Consequently, the Convention focuses not on how the heritage should be protected, but on why it should be accorded value and for whom. After having recalled the origins, the nature and the objectives of the Convention, the paper analyzes some of the main concepts that have been introduced, such as the definitions of cultural heritage and common heritage of Europe, the notion of heritage communities, the right to cultural heritage as component of the wider right to participate in the cultural life of the community as well as the monitoring mechanism, seeking conclusively to highlight opportunities, threats and challenges that could be faced by the States Parties in the implementation of the Convention.

1. Introduzione

Il 27 febbraio 2013 l'Italia ha sottoscritto la Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, meglio nota come Convenzione di Faro, dal nome della località portoghese in cui il 27 ottobre 2005 si tenne il primo incontro di apertura alla firma dei 47 Stati membri del Consiglio d'Europa e all'adesione dell'Unione Europea e degli Stati non membri [1]. Con la sua firma, l'Italia ha portato a 21 il numero degli Stati Parti della Convenzione, che è stata ratificata da 14 paesi, entrando in vigore nel giugno 2011 [2].

A differenza degli altri strumenti giuridici internazionali esistenti in materia [3], la Convenzione di Faro sposta l'attenzione dal patrimonio culturale in sé considerato alle persone, al loro rapporto con l'ambiente circostante e alla loro partecipazione attiva al processo di riconoscimento dei valori culturali, ponendo il patrimonio come risorsa al centro di una visione di sviluppo sostenibile e di promozione della diversità culturale per la costruzione di una società pacifica e democratica [4].

Per la prima volta, il diritto al patrimonio culturale è espressamente riconosciuto parte del diritto a partecipare alla vita culturale, quale definito nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948, e conseguentemente come fonte di corrispondenti diritti e responsabilità, individuali o collettivi [5].

Dopo avere richiamato le origini, la natura e gli scopi della Convenzione, il presente articolo si soffermerà su alcune delle innovazioni da essa introdotte, quali le definizioni di patrimonio culturale e di patrimonio comune dell'Europa, la nozione di "comunità culturale", il diritto al patrimonio culturale e il meccanismo di monitoraggio. Infine, si metteranno in evidenza alcune delle questioni sollevate dalle sue disposizioni.

2. Origine, natura e scopi della Convenzione di Faro

La Convenzione di Faro affonda le sue radici nella guerra in ex Jugoslavia e nella relativa distruzione del patrimonio culturale, a seguito delle quali era sorta l'esigenza di rafforzare il ruolo del patrimonio come fattore di unificazione e di coesione sociale nell'avanzamento del processo di integrazione europea [6].

Sotto queste spinte, tra il 1996 e il 2001, in occasione della Quarta e Quinta Conferenza dei Ministri europei per i beni culturali, si propose di aggiungere un protocollo alle Convenzioni del Consiglio d'Europa sul patrimonio architetturale (Granada, 1985) e sul patrimonio archeologico (La Valletta, 1992) [7], che stabilisse "a universal principle for protecting and enhancing the representative heritage of the various forms of cultural expression which have emerged in the course of history in a single territory, irrespective of the current political context of that territory" [8].

Tuttavia, si capì ben presto che c'era bisogno di adottare un nuovo strumento del tutto autonomo, non incluso nelle due convenzioni, che apparivano troppo specialistiche e quindi inadatte a fornire un'ampia base di riflessione per la formulazione di nuovi principi in materia di gestione del patrimonio culturale e di cooperazione internazionale.

Fu a questo punto che si pose il problema della veste giuridica che dovesse ricoprire il futuro testo: la cosiddetta "vecchia Europa" era favorevole a uno strumento vincolante nella forma di una convenzione, che attribuisse alle autorità pubbliche un più incisivo strumento per affrontare i rischi ai quali era esposto il patrimonio soprattutto a causa della globalizzazione, mentre i restanti paesi sostenevano l'adozione di uno strumento di "soft law" nella forma di una raccomandazione [9].

Il mandato conferito nel 2003 dal Comitato dei Ministri allo Steering Committee for Cultural Heritage fu per la redazione di una Convenzione quadro [10]. Sulla natura di tale convenzione si è a lungo dibattuto: da un lato, infatti, essa presenta il linguaggio tipico di una convenzione, con l'assunzione di impegni da parte degli Stati; dall'altro, invece, contiene disposizioni in cui gli Stati si limitano a riconoscere specifiche situazioni, non comportando diritti o doveri (si veda, ad es., l'art. 4). Inoltre, anche quando si prevede un impegno per gli Stati membri, questo è talmente ampio che sarebbe molto difficile valutare se è stato effettivamente portato a termine o meno [11].

Nonostante sia chiamata Convenzione, questo strumento si avvicina di più a una raccomandazione. La stessa Relazione Esplicativa precisa che le convenzioni quadro definiscono obiettivi generali e identificano aree di azione, non creando alcun obbligo di un'azione specifica e perciò lasciando allo Stato membro la competenza in merito alla forma e ai mezzi per raggiungere gli obiettivi fissati [12].

Il testo finale della Convenzione si compone di un preambolo e di 23 articoli raggruppati in 5 sezioni, ciascuna delle quali si sofferma rispettivamente su: gli obiettivi, le definizioni e i principi (artt. 1-6); il contributo del patrimonio culturale alla società e allo sviluppo umano (artt. 7-10); la responsabilità condivisa nei confronti del patrimonio culturale e la partecipazione pubblica (artt. 11-14); il sistema di monitoraggio e la cooperazione (artt. 15-17); le clausole finali (artt. 18-23).

Lo scopo ultimo della conservazione e gestione del patrimonio culturale, quale emerge dalla Convenzione di Faro (in particolare dall'art. 1), è lo sviluppo di una società umana più democratica, pacifica e sostenibile. La peculiarità della Convenzione sta, infatti, nel superare la visione del patrimonio culturale, materiale o immateriale, visto come un bene che necessita di essere protetto soltanto per il suo valore intrinseco o scientifico, per promuovere la concezione di un patrimonio il cui valore è misurato anche attraverso l'efficacia del suo contributo allo sviluppo umano e al miglioramento della qualità della vita [13].

Le conseguenze di un tale mutamento di prospettiva si riflettono nella rivalutazione delle politiche di protezione del patrimonio al fine di consentire lo sviluppo sostenibile della società e nella necessità di una loro integrazione nell'ambito di più ampie politiche ambientali, economiche e sociali, come verrà messo in luce anche in seguito.

3. Verso una nuova concezione di patrimonio culturale?

L'articolo 2.a) definisce il patrimonio culturale "un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente dalla loro appartenenza, come riflesso ed espressione dei propri valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione. Esso comprende tutti gli aspetti dell'ambiente che sono il risultato dell'interazione tra l'uomo e i luoghi nel corso del tempo".

Appare evidente fin da subito l'ampiezza di una tale definizione, giustificata dallo scopo perseguito dalla Convenzione, che è quello di evidenziare il contributo del patrimonio culturale alla costruzione di una società democratica e pacifica, al suo sviluppo sostenibile e alla promozione della diversità culturale. Questo carattere strumentale è sottolineato dal riferimento al patrimonio come risorsa, la cui protezione non deve essere considerata un obiettivo finale e a sé stante, ma essere inquadrata in una visione più ampia quale mezzo per concorrere allo sviluppo sostenibile della società [14].

La definizione pertanto non richiede requisiti di forma o di manifestazione, includendo elementi materiali e immateriali, mobili e immobili, e inglobando altresì la dimensione paesaggistica, sotto l'influenza della Convenzione europea sul paesaggio (Firenze, 2000) [15]. Essa, inoltre, non prevede specifici limiti temporali, come invece fa il nostro Codice dei beni culturali e del paesaggio, aprendo il patrimonio anche all'ingresso di beni di recente realizzazione [16].

Attraverso la considerazione di "tutti gli aspetti dell'ambiente che sono il risultato dell'interazione tra l'uomo e i luoghi nel corso del tempo", si introduce un concetto di patrimonio che va al di là del singolo monumento per includere i "luoghi intorno ai quali si aggregano le persone", luoghi che "hanno una determinata valenza e intorno ai quali si formano dei gruppi che li intendono tutelare" [17]. E così possono entrare a far parte del patrimonio una piazza, un caffè, una fabbrica e così via, e dunque luoghi che potrebbero non includere alcun monumento nel senso tradizionale del termine.

È una definizione talmente ampia che prescinde anche dal regime proprietario del patrimonio, con un evidente richiamo alla Convenzione per la Protezione del Patrimonio Culturale in Caso di Conflitto Armato (UNESCO, 1954), aprendo la strada alla considerazione del patrimonio culturale come bene pubblico o comune e al riconoscimento di diritti al patrimonio culturale, la cui esistenza è ribadita più volte nel testo della Convenzione (preambolo, artt. 1 e 4).

In questo approccio onnicomprensivo, si recupera il patrimonio "ordinario", vernacolare, locale, discostandosi, ad esempio, dalla visione della Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Mondiale Culturale e Naturale (UNESCO, 1972), basata sui beni di "eccezionale valore universale" per l'umanità.

Al centro della nozione introdotta dalla Convenzione di Faro viene collocata la persona, che assume un ruolo essenziale nel processo di identificazione del patrimonio culturale.

Nell'approccio tradizionale al patrimonio, gli esperti, generalmente nominati dalle autorità pubbliche, identificano cosa è patrimonio, e quindi cosa è meritevole di tutela, sulla base di criteri scientifici misurati su scala nazionale, mentre le autorità pubbliche adottano i necessari strumenti di protezione e di finanziamento delle relative politiche. Si è di fronte a un approccio top-down, in cui la cultura è "fornita" dall'alto e le autorità pubbliche devono preoccuparsi di garantirne l'accesso a un pubblico che ne fruisce in modo, per così dire, "passivo".

La Convenzione di Faro, invece, spinge verso una maggiore democratizzazione del processo decisionale: in questo nuovo sistema di accesso al patrimonio, che potremmo definire bottom-up, sono le popolazioni stesse, quelle che la Convenzione all'articolo 2.b) chiama "comunità patrimoniali", a concorrere al riconoscimento degli elementi del patrimonio ritenuti più rappresentativi, e ciò secondo una pluralità di valori che non necessariamente coincidono con i criteri scientifici elaborati dagli esperti [18]. La partecipazione popolare può essere gerarchizzata e andare dalla semplice informazione alla consultazione, alla partecipazione al processo decisionale, e allo sviluppo di iniziative autonome [19].

Nella nozione introdotta dalla Convenzione, il patrimonio culturale si definisce quindi attraverso il suo legame con la collettività [20] e tramite un capovolgimento dei ruoli per cui le comunità passano da mere consumatrici a produttrici del patrimonio stesso [21].

Confrontando i due approcci, si rilevano dunque varie differenze: il sistema tradizionale è incentrato sulle cose, l'altro sulle persone; l'uno è basato sul necessario intervento pubblico, l'altro può prescinderne; il primo considera il patrimonio come un fine in sé e per sé, il secondo come un mezzo per perseguire uno sviluppo sostenibile a lungo termine [22].

Se si guarda alla realtà, si nota che l'ampliamento delle categorie dei beni culturali, da costruzioni recenti al patrimonio rurale vernacolare a rovine militari a componenti paesaggistiche a sobborghi urbani o a elementi immateriali, è avvenuto spesso proprio sotto la spinta delle varie comunità locali [23].

In tal modo, la nozione di patrimonio nazionale si diluisce, potendo esistere a livello infra-nazionale (regionale, locale, o, secondo alcuni, addirittura individuale) e sovranazionale (europeo o a livello delle comunità etniche) [24].

4. L'innovativo concetto di "comunità patrimoniale"

Un concetto fondamentale introdotto dalla Convenzione di Faro è quello di "comunità patrimoniale", identificata all'articolo 2.b) come un "insieme di persone che attribuiscono valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale che esse desiderano sostenere e trasmettere alle generazioni future, nel quadro di un'azione pubblica" [25].

Si tratta di gruppi flessibili, trasversali e aperti, più o meno spontanei, non necessariamente accomunati dai classici parametri quali la cittadinanza, l'etnia, la professione, la classe sociale, la religione, ma piuttosto uniti dagli stessi interessi e obiettivi. Possono avere un'estensione territoriale più o meno ampia (locale, regionale, nazionale, sovranazionale); essere temporanei o permanenti; essere formati da individui che appartengono allo stesso tempo a più gruppi; e così via, senza alcuno schema predefinito [26].

Numerose sono le organizzazioni o associazioni che, alla luce della Convenzione di Faro, si possono definire comunità patrimoniali [27]. Due significativi esempi di comunità impegnate nell'applicazione e diffusione dei principi della Convenzione si ritrovano a Marsiglia e a Venezia. A Marsiglia i cittadini si sono mobilitati in una cooperativa, Hôtel du Nord, costituita con l'obiettivo di valorizzare economicamente il patrimonio culturale nei quartieri industriali a nord della città e che, operando insieme ad altre comunità, rappresenta l'interfaccia tra le istituzioni e i finanziatori [28]. Sull'esempio di Marsiglia, alcuni anni fa i cittadini veneziani hanno fondato l'associazione "Faro Venezia" allo scopo di promuovere la valorizzazione del patrimonio culturale veneziano, la consapevolezza del suo valore tra la collettività e ridurre altresì l'impatto del turismo sulla città [29].

Altri rilevanti casi studio mostrano l'importanza della partecipazione attiva delle comunità, locali e non, ai fini della ricostruzione del patrimonio culturale andato distrutto. Sono quelle che vengono chiamate "lost heritage communities" [30]. Un esempio interessante ha riguardato la Frauenkirche di Dresda, edificio di culto luterano costruito nel XVIII secolo, distrutto a seguito dei bombardamenti britannici nel 1945 e ricostruito grazie alla mobilitazione di migliaia di cittadini di più di venti paesi a partire dal 1991. Rilevante è anche il caso del ponte di Mostar in Bosnia-Erzegovina, costruito nel XVI secolo e distrutto dalle forze croato-bosniache nel 1993: dopo la sua distruzione, è sorta una nuova comunità patrimoniale, caratterizzata da un'ampia partecipazione di soggetti e istituzioni a livello internazionale, tra cui l'UNESCO, l'ICOMOS e la Banca Mondiale, uniti dalla volontà di ricostruire il ponte in modo esattamente identico all'originale. I lavori sono terminati nel 2004 e l'anno successivo il nuovo ponte è stato iscritto sulla Lista del Patrimonio mondiale in quanto "eccezionale esempio di insediamento urbano multiculturale" e "simbolo di riconciliazione, cooperazione internazionale e coesistenza di diverse comunità culturali, etniche e religiose" [31].

La formula per cui tali comunità devono operare "nel quadro di un'azione pubblica" si presta ad alcune riflessioni quanto all'individuazione delle istituzioni pubbliche coinvolte e al ruolo da esse ricoperto [32]. In primo luogo, l'articolo non si riferisce soltanto allo stato centrale, ma a tutte le istituzioni pubbliche, siano esse di livello regionale, locale o anche sovranazionale.

Quanto all'organizzazione delle responsabilità pubbliche in materia di patrimonio culturale, l'articolo 11 prevede che gli Stati si impegnino a promuovere un approccio integrato da parte delle istituzioni pubbliche, coinvolgendo diversi livelli e settori [33]; sviluppare un quadro giuridico, finanziario e professionale che consenta l'azione congiunta di autorità pubbliche, esperti, proprietari, investitori, imprese, organizzazioni non governative e società civile; concepire nuove forme di partnership pubblico-private caratterizzate da una responsabilità condivisa [34]; rispettare e incoraggiare iniziative volontarie a integrazione del ruolo delle autorità pubbliche; infine, incoraggiare organizzazioni non governative che promuovono la conservazione del patrimonio ad agire nell'interesse pubblico.

5. Il patrimonio comune dell'Europa

Per la prima volta in un testo internazionale viene fornita la definizione di "patrimonio comune dell'Europa" [35]. Ai sensi dell'articolo 3, esso consiste in: "a) tutte le forme di patrimonio culturale che costituiscono, nel loro insieme, una fonte condivisa di ricordo, comprensione, identità, coesione e creatività; e b) gli ideali, i principi e i valori, derivati dall'esperienza ottenuta grazie al progresso e nei conflitti passati, che promuovono lo sviluppo di una società pacifica e stabile, fondata sul rispetto dei diritti dell'uomo, della democrazia e dello Stato di diritto".

Il patrimonio comune europeo si compone di due dimensioni: da un lato, quella più propriamente culturale, costituita da tutte le manifestazioni che ricordano gli avvenimenti che hanno segnato la storia europea; dall'altro, una dimensione intellettuale, costituita dall'insieme condiviso dei valori sociali e degli ideali europei, frutto della travagliata storia dell'Europa [36].

Il patrimonio a cui allude l'articolo 3 non è una mera sommatoria dei patrimoni culturali dei singoli stati membri: la nozione, infatti, è animata dall'idea di individuare un patrimonio che trascenda i singoli patrimoni nazionali e sia simbolo dell'identità europea tout court. Inoltre, una tale concezione contribuisce a rafforzare l'idea di cittadinanza europea, da cui discende il diritto, individuale o collettivo, di trarre beneficio dal patrimonio culturale e la corrispondente responsabilità di rispettare il patrimonio altrui al pari del proprio (art. 4).

A differenza della nozione di patrimonio culturale prevista all'articolo 2, qui non si fa riferimento alla partecipazione delle popolazioni al processo di individuazione del patrimonio di rilevanza europea e si rimane piuttosto sul piano di una dichiarazione di principio.

Lo sforzo del Consiglio d'Europa di dare vita a un patrimonio comune europeo non rappresenta un tentativo isolato, ma va letto insieme ad altri segnali provenienti dall'Unione Europea, tesi a dare rilievo ai luoghi simbolo della storia, dell'identità e degli ideali europei, come il "marchio per il patrimonio culturale europeo", la cui istituzione è stata proposta dalla Commissione europea nel 2010 [37].

6. L'affermazione del diritto al patrimonio culturale

Pur non creando diritti immediatamente suscettibili di una diretta applicazione (art. 6), la Convenzione di Faro riconosce a ognuno, da solo o collettivamente, il diritto al patrimonio culturale, che si traduce nel diritto, individuale o collettivo, di trarre beneficio dal patrimonio e di contribuire al suo arricchimento, con corrispondenti responsabilità (preambolo, artt. 1 e 4) [38].

Riconoscendo espressamente i diritti relativi al patrimonio culturale come parte integrante del diritto a partecipare alla vita culturale, quale definito nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948 e garantito dal Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali del 1966, la Convenzione di Faro si inserisce nella tendenza sempre più marcata del diritto internazionale ad ancorare la protezione del patrimonio culturale alla sfera dei diritti umani fondamentali, al di là delle mere questioni coinvolgenti il diritto di proprietà [39].

Tuttavia, il diritto al patrimonio culturale non è assoluto, ma può subire restrizioni in seguito al bilanciamento con ragioni di interesse pubblico o con diritti di proprietà individuale [40].

Tra le varie policies da attuare da parte degli Stati membri al fine di consentire l'esercizio del diritto al patrimonio, la Convenzione di Faro pone l'accento innanzitutto sulla necessità di delimitare l'interesse pubblico associato agli elementi del patrimonio culturale, consentendo così di individuare in modo preciso l'oggetto della protezione e giustificarne la regolamentazione giuridica e ogni altra attività pubblica a tutela di fronte all'esercizio di interessi privati (art. 5.a).

Il secondo intervento pubblico è orientato al rafforzamento dei molteplici valori ricollegabili al patrimonio (artistico, storico, ambientale, sociale, simbolico, economico, educativo, ricreativo, etc.) [41] e si esplica attraverso "l'identificazione, lo studio, l'interpretazione, la protezione, la conservazione e la presentazione" (art. 5.b).

Ulteriore strumento consiste nell'adozione di strategie di protezione e gestione del patrimonio culturale integrate con le altre politiche di sviluppo (art. 5.g) [42].

Gli stati firmatari della Convenzione si impegnano altresì ad adottare le misure per consentire una partecipazione democratica al patrimonio, indirizzate specialmente ai giovani e alle persone svantaggiate, affinché si accresca la consapevolezza del valore del patrimonio e dei diversi benefici che possono derivarne su un piano ambientale, economico e sociale (art. 12.d). Tra queste misure rilevanza è attribuita alla presa in considerazione del valore attribuito da ogni comunità patrimoniale al patrimonio culturale in cui essa si identifica (art. 12.b), all'educazione (art. 13) e al ricorso alle tecnologie digitali (art. 14).

7. Il sistema di monitoraggio della Convenzione

In questi ultimi anni, il Consiglio d'Europa ha cercato di migliorare il sistema di monitoraggio delle sue convenzioni in campo culturale. Con riferimento alla Convenzione di Faro, in particolare, esso ha previsto un processo dinamico, basato su indicatori preferibilmente qualitativi, che consenta di valutare lo stato di implementazione delle disposizioni in essa contenute.

Ai sensi dell'articolo 15, agli Stati membri è richiesto di mantenere, sviluppare e contribuire a un sistema informativo comune, aperto al pubblico e gestito dal Consiglio d'Europa tramite un apposito comitato. Tramite tale sistema, piuttosto che trasmettere al Consiglio formali rapporti periodici, che cristallizzerebbero la situazione esistente in un determinato momento storico, gli Stati hanno la possibilità di inserire dati e di modificare e aggiornare le informazioni relative al proprio sistema nazionale in modo molto più flessibile [43].

Questo facilita sia la valutazione da parte del Consiglio d'Europa dell'implementazione dei principi della Convenzione sia la comparazione delle politiche, dei sistemi legislativi e amministrativi nazionali e la condivisione di informazioni e best practices tra i vari paesi.

Il monitoraggio della Convenzione è affidato allo Steering Committee for Cultural Heritage and Landscape, designato dal Consiglio dei Ministri nel 2008, il quale, solo su iniziativa di uno o più Stati membri, può valutare l'applicazione della Convenzione in ogni suo aspetto, con la possibilità di formulare raccomandazioni (art. 16) [44]. Oltre a occuparsi della gestione del sistema informativo comune, il Committee ha anche il compito di fornire, sempre su richiesta di una o più parti, pareri consultivi su "ogni questione relativa all'interpretazione della Convenzione prendendo in considerazione tutti gli strumenti giuridici messi a disposizione dal Consiglio d'Europa".

Lo strumento utilizzato per monitorare le convenzioni culturali del Consiglio d'Europa è l'European Heritage Network (HEREIN): creato nel 1999 con il contributo della Commissione Europea, e ora in fase di riprogettazione, HEREIN consiste in una piattaforma informativa permanente che consente di osservare lo sviluppo delle politiche relative al patrimonio culturale e lo scambio di informazioni tra le varie autorità pubbliche nazionali che ne sono responsabili [45].

Tuttavia, leggendo il testo degli articoli, un duplice limite sembra emergere dal sistema così come strutturato attualmente: da un lato, il fatto che il Committee possa intervenire solo su iniziativa di uno degli Stati membri; dall'altro, il fatto che le popolazioni, le comunità patrimoniali, che vengono poste al centro del processo di identificazione del patrimonio culturale, non abbiano un ruolo altrettanto attivo nella fase di monitoraggio.

8. Questioni aperte

Nonostante la Convenzione di Faro sia stata ratificata soltanto da 14 paesi tra i 21 Stati firmatari a fronte dei 47 membri del Consiglio d'Europa, ha il merito di avere messo in moto un processo di revisione del concetto di patrimonio culturale e di avere aperto nuove prospettive alla partecipazione pubblica al processo decisionale di identificazione dei valori culturali associati al patrimonio. Con essa si passa da un "diritto del patrimonio culturale" a un "diritto al patrimonio culturale" [46], da una visione estetica e accademica del patrimonio a un approccio funzionale [47], dal patrimonio visto semplicemente come prodotto al patrimonio inteso anche come processo [48].

Di conseguenza, la Convenzione solleva alcune interessanti questioni. In primo luogo, essa fornisce una definizione estremamente ampia di patrimonio culturale, tanto che sembra si vada verso il dissolvimento della linea di distinzione tra ciò che è patrimonio e ciò che non lo è, poiché sembra che tutto sia suscettibile di ricadere sotto l'ombrello del patrimonio così definito. Di fronte a una nozione così estesa, quali possono essere le sue implicazioni sulle funzioni di tutela e valorizzazione e sulla gestione del patrimonio culturale in seno agli Stati membri? Quella contenuta all'articolo 2.a) è, infatti, una nozione che rischia di rivelarsi inattuabile nella realtà, non consentendo a livello nazionale un effettivo ed efficace esercizio delle funzioni culturali [49].

In secondo luogo, il collocamento della persona e delle comunità patrimoniali al centro della nozione di patrimonio culturale pone il problema della ridistribuzione delle responsabilità e competenze tra le autorità pubbliche e le comunità nel processo di definizione del valore del patrimonio culturale, specialmente in quei paesi, tra i quali l'Italia, in cui tale processo è demandato esclusivamente allo Stato centrale. A ciò si aggiunge che le parti contraenti della Convenzione sono gli Stati. La Convenzione di Faro favorisce una decentralizzazione del processo decisionale, ma non è ancora chiara la ripartizione dei ruoli: i governi devono forse agire in qualità di "filtri" che controllano i valori attribuiti al patrimonio dalle comunità patrimoniali, intervenendo in presenza di valori antidemocratici? In tal caso, non c'è il rischio di una strumentalizzazione politico-nazionalistica del patrimonio? Prevedendo che gli Stati debbano prendere in considerazione il valore attribuito da ogni comunità patrimoniale al patrimonio culturale in cui essa si identifica (art. 12.b), si fa un passo in avanti quanto all'ampliamento degli attori che possono intervenire nel processo decisionale, ma non è indicato secondo quali forme e gradi tale partecipazione democratica possa avvenire.

In terzo luogo, sottolineando il contributo del patrimonio culturale allo sviluppo sostenibile della società, la Convenzione favorisce un'integrazione tra la protezione del patrimonio e le altre politiche ambientali, territoriali, urbanistiche, economiche e sociali [50]. Spesso, però, le esigenze legate alla tutela del patrimonio culturale si scontrano con quelle dello sviluppo sostenibile: fino a che punto si possono spingere le une e fin dove le altre? A quali meccanismi di bilanciamento si può ricorrere per cercare un equilibrio tra esse?

Infine, quanto al riconoscimento del diritto al patrimonio culturale, ci si chiede quale sia il suo contenuto preciso, anche in termini di responsabilità, e fino a che punto esso possa influenzare il quadro giuridico e amministrativo a livello nazionale, se e quando la Convenzione verrà ratificata e le sue disposizioni saranno pienamente recepite all'interno dell'ordinamento statale. Si arriverà a poter far valere in via giudiziale un diritto al patrimonio culturale?

 

Note

[1] Il testo della Convenzione è disponibile sul sito del Consiglio d'Europa http://conventions.coe.int/Treaty/EN/Treaties/Html/199.htm.

[2] L'elenco aggiornato delle firme e delle ratifiche può essere consultato sul sito http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/ChercheSig.asp?NT=199&CM=8&DF=&CL=ENG (ultimo accesso 10 maggio 2013). La notizia della firma da parte dell'Italia ha avuto ampia eco ed è stata riportata da vari mezzi stampa, tra cui si veda http://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/2013/3/115808.html.

[3] In particolare, sulla comparazione tra la Convenzione di Faro e la Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (2003), si veda M. Cornu, Safeguarding Heritage: From Legal Rights over Objects to Legal Rights for Individuals and Communities?, intervento al convegno The Future of the Past: Memory, History and Cultural Heritage in the 21st Century, Oxford, 27 aprile 2012, nonché P. Liévaux, The Faro Convention, an original tool for building and managing Europe's heritage, in Council of Europe, Heritage and Beyond, Strasbourg, Council of Europe Publishing, 2009, pag. 45, che prende in considerazione anche la Convenzione UNESCO sulla protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali (2005).

[4] Per un quadro sintetico della Convenzione di Faro, D. Thérond, Benefits and innovations of the Council of Europe Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society, in Council of Europe, Heritage and Beyond, cit., pagg. 9-11. Si veda anche l'art. 1 che enuncia gli obiettivi della Convenzione.

[5] L'articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo così recita: "Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici. Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore".

[6] Non è un caso che i paesi dell'area balcanica membri del Consiglio d'Europa siano stati fra i primi a firmare la Convenzione: usciti da un periodo di conflitti, guerre, intolleranze religiose ed etniche, e desiderosi di entrare a far parte della comunità internazionale, una volta diventati membri di organizzazioni internazionali e aver ratificato le varie convenzioni, si erano trovati a dover modificare il loro intero sistema, compreso quello di protezione del patrimonio culturale. Nel 2003, questi paesi decisero di prendere parte al Regional Programme for Cultural and Natural Heritage in South East Europe, promosso dal Consiglio d'Europa e dalla Commissione Europea, che anticipava molti dei contenuti della Convenzione di Faro. In tema, M. Filipovic, Why do countries ratify conventions? The case of Montenegro, in Council of Europe, Heritage and Beyond, cit., pagg. 47-52.

[7] Oltre alla Convenzione di Faro, le altre Convenzioni del Consiglio d'Europa in materia di patrimonio culturale sono: la Convenzione Culturale Europea (Parigi, 1954); la Convenzione per la protezione del patrimonio architetturale (Granada, 1985); la Convenzione europea sulla protezione del patrimonio archeologico (La Valletta, 1992); la Convenzione europea sul paesaggio (Firenze, 2000). Per un quadro sintetico delle politiche del Consiglio d'Europa relative al patrimonio culturale, R. Pickard, European Cultural Heritage. Volume II: A Review of policies and practice, Strasbourg, Council of Europe Publishing, 2003; M. Déjeant-Pons, Les travaux du Conseil de l'Europe concernant le patrimoine culturel, la civilisation et le paysage: pour une alliance de la nature, de la culture et du paysage, in Environnement, n. 7/2007, étude 9; J. de Jesus, Cultural Heritage, Impact Assessment and the Council of Europe Conventions, in IAIA08 Conference Proceedings, The Art and Science of Impact Assessment 28th Annual Conference of the International Association for Impact Assessment, 4-10 May 2008, Perth, Australia.

[8] Per maggiori approfondimenti sulle origini della Convenzione, si veda il relativo Explanatory Report, il cui testo è disponibile sul sito http://conventions.coe.int/Treaty/EN/Reports/Html/199.htm.

[9] In tema, J. Pirkovič, Unpacking the convention into challenging actions for member states, in Council of Europe, Heritage and Beyond, cit., pagg. 23-27.

[10] La Convenzione quadro "has been constructed so as to strike a balance between the relatively soft exhortation of a recommendation and the relatively strong, binding status of a convention", come affermato da J. Pirkovič, op. cit, pag. 24.

[11] Sulla natura della Convenzione di Faro, si legga il commentario in P.J. O'Keefe - L. Prott (edited by), Cultural Heritage Conventions and Other Instruments: A Compendium with Commentaries, Pentre Moel, Crickadarn, Builth Wells, Institute of Art and Law, 2011, pagg. 179-181.

[12] La decisione da parte degli Stati dei mezzi con cui raggiungere gli obiettivi fissati dalla Convenzione deve avvenire "taking into account the need to ensure that their own approaches are consistent with those of neighbouring States and other Parties". Sul punto, Explanatory Report, Preliminary note.

[13] Explanatory Report, Article 1 - Aims of the Convention. La Convenzione di Faro testimonia il processo di cambiamento di prospettiva relativo al concetto di patrimonio culturale, iniziato negli anni Settanta del XX secolo e richiamato da N. Fojut, The philosophical, political and pragmatic roots of the convention, in Council of Europe, Heritage and Beyond, cit., pagg. 13-21. Inoltre, con i suoi principi, la Convenzione si inserisce nella missione del Consiglio d'Europa, che consiste nel promuovere la democrazia, i diritti dell'uomo e l'identità culturale europea.

[14] Può sembrare che il riferimento al patrimonio come risorsa evochi l'idea di una sua "mercificazione" economica, legata, ad esempio, al turismo culturale. In realtà, oltre alla dimensione economica, bisogna tenere conto anche dei benefici in termini sociali e ambientali che possono derivare dal patrimonio culturale, quali, ad esempio, il rafforzamento del senso di appartenenza a una comunità, la costruzione della propria identità e l'uso più sostenibile delle risorse. Comunque, per un'analisi della dimensione economica della conservazione del patrimonio culturale, si rinvia a X. Greffe, Heritage conservation as a driving force for development, in Council of Europe, Heritage and Beyond, cit., pagg. 101-112, e D. Rypkema, Economics and the built cultural heritage, ibidem, pagg. 113-123.

[15] Questa dimensione unificatrice si ritrova anche nella nozione di patrimonio culturale introdotta dal nostro Codice dei beni culturali e del paesaggio. Il forte legame tra il patrimonio culturale e il paesaggio è dovuto al fatto che entrambi sono concetti che riuniscono in un unicum aspetti precedentemente separati, e si pongono entrambi come interfaccia tra la percezione del mondo da parte delle persone e il mondo stesso. "Landscape [...] is how we perceive the present world, heritage is how we perceive and understand the past and all that it has bequeathed to us". Così, G. Fairclough, New heritage frontiers, in Council of Europe, Heritage and Beyond, cit., pagg. 29-41, qui pag. 31.

[16] "Heritage can begin as recently as yesterday and there is even an emerging concept of future heritage, partly as a way to inject quality and historic durability and legibility into new developments whether they stand next to old on "new" sites". In tal senso, G. Fairclough, op. cit., pag. 39, ripreso anche da D. Thérond, A few words about Faro, intervento al Seminar on the Value of Cultural Heritage for Society - the Faro Convention and the Herein Tool, Yasnaya Polyana, Russia, 13-14 settembre 2010, accessibile all'indirizzo http://www.coe.int/t/dg4/cultureheritage/heritage/Identities/SpeechesYasana/Therond_en.pdf.

[17] Dall'intervento di C. Gregorin, Patrimonio e Comunità patrimoniali, al seminario Patrimonio e Comunità, Venezia, settembre 2011, che può essere seguito sul sito http://vimeo.com/29623402.

[18] J.-M. Leniaud si chiede quale sia il rapporto tra i parametri di selezione individuati dagli esperti nominati dalle autorità pubbliche e i criteri utilizzati dalle comunità patrimoniali. Sul punto, J.-M. Leniaud, Heritage, public authorities, societes, in Council of Europe, Heritage and Beyond, cit., pagg. 137-139, in particolare pag. 139.

[19] Come messo in evidenza da S. Goddard, Heritage partnerships - Promoting public involvement and understanding, in Council of Europe, Heritage and Beyond, cit., pagg. 141-148, qui pag. 142.

[20] M. Cornu, Safeguarding Heritage: From Legal Rights over Objects to Legal Rights for Individuals and Communities?, cit.

[21] "Culture is becoming less of a sphere that is professionally determined and expert-defined, with the public as a passive audience and more one where collaboration between experts and the public is the predominant characteristic". Così, J. Holden, Learning at the heart of culture: implications for the heritage sector, Journal of Education in Museums, GEM, No. 29/2008, pagg. 4-9, citato da S. Goddard, op. cit, pag. 143.

[22] Si rinvia a G. Fairclough, op. cit., in particolare pagg. 30-35.

[23] In tal senso, G. Fairclough, op. cit, pag. 30.

[24] Per queste e altre interessanti riflessioni, G. Fairclough, op. cit., pag. 34 ss.

[25] Durante la redazione del testo della Convenzione, un acceso dibattito ha riguardato l'uso del termine "comunità" nelle due versioni ufficiali, inglese e francese: il termine francese communauté, infatti, ha un significato giuridico più preciso dell'inglese community, che designa "a group of individuals who are naturally associated by some factor such as plce of residence, historic events or simply because they choose to associate in a common cause". Così, N. Fojut, op. cit., pag. 20.

[26] Explanatory Report, Article 2 - Definitions.

[27] L'European Archaeological Council e l'European Association of Archaeologists costituiscono esempi di comunità patrimoniali transnazionali, che riuniscono membri accomunati dall'obiettivo di sostenere e trasmettere il patrimonio archeologico alle generazioni future. In tema, D. Thérond, Heritage and beyond: prospects opened up by the Faro Convention, in http://www.coe.int/t/dg4/cultureheritage/heritage/identities/perspectivesFaro_en.pdf.

[28] Per maggiori informazioni, si rinvia al sito della cooperativa Hôtel du Nord http://hoteldunord.coop. È comunque interessante notare l'impegno attivo delle collettività locali nell'attuazione dei principi della Convenzione di Faro, nonostante la Francia non sia ancora tra i paesi firmatari.

[29] Più dettagliatamente, si rinvia a C. Gregorin, The example of Venice: applying and diffusing the principles of the Faro Convention in a Heritage Community, intervento al Seminario su The Value of Cultural Heritage for Society - the Faro Convention and the Herein Tool, Yasnaya Polyana (Russia), 13-14 settembre 2010, consultabile online su http://www.coe.int/t/dg4/cultureheritage/heritage/Identities/SpeechesYasana/Gregorin_en.pdf; S. Bassi - F. Gregori - C. Gregorin - P. Wanner, "40xVenezia", an example of a heritage community applying the principles of the Faro Convention, in Council of Europe, Heritage and Beyond, cit., pagg. 149-151. Sulla comunità patrimoniale veneziana esiste anche il sito www.unfaropervenezia.eu.

[30] G. Dolff-Bonekämper, The social and spatial frameworks of heritage - What is new in the Faro Convention?, in Council of Europe, Heritage and Beyond, cit., pagg. 69-74, in particolare pag. 73 s.

[31] Dal sito del World Heritage Centre http://whc.unesco.org/en/list/946/.

[32] Sul ruolo svolto dalle autorità pubbliche, si leggano le interessanti considerazioni di J.-M. Leniaud, op. cit., pagg. 137-139.

[33] Anche nel Codice italiano dei beni culturali e del paesaggio si sollecita un'azione concertata tra Stato, Regioni ed enti locali e la costituzione di un sistema integrato di valorizzazione.

[34] L'Explanatory Report, Article 11 - The organization of public responsibilities for cultural heritage, precisa che "public authorities do not have to assume all cultural heritage responsibilities on behalf of the public, but should see themselves as leaders in a partnership". Interessanti esempi di partnership tratti dall'esperienza inglese sono riportati da S. Goddard, op. cit., pagg. 141-148.

[35] Un accenno al "patrimonio culturale dell'Europa" è presente nella Convenzione culturale europea del Consiglio d'Europa, mentre un riferimento al "patrimonio culturale di importanza europea" è contenuto nell'articolo 128 del Trattato di Maastricht.

[36] Le due dimensioni del patrimonio comune europeo sono evidenziate dall'Explanatory Report, Article 3 - The common heritage of Europe.

[37] Sulle politiche culturali dell'Unione Europea, M. Fiorillo, Verso il patrimonio culturale dell'Europa Unita, in Rivista dell'Associazione Italiana Costituzionalisti, n. 4/2011, consultabile online su http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/articolorivista/verso-il-patrimonio-culturale-dell-europa-unita, e M. Cornu, Culture et Europe, in Juriclasseur Europe Traité, 2012.

[38] Secondo P. Meyer-Bisch, il diritto al patrimonio si configura come una sorta di diritto di proprietà, ma rimane comunque al di fuori dell'ambito della proprietà privata. Il diritto al patrimonio "ranges from a personal or family heirloom [...] to the common heritage of humankind, through community and national heritages". P. Meyer-Bisch, On the "right to heritage" - The innovative approach of Articles 1 and 2 of the Faro Convention, in Council of Europe, Heritage and Beyond, cit., pagg. 59-64, qui pag. 63.

[39] Sul tema, si rinvia a F. Francioni, The Human Dimension of International Cultural Heritage Law: An Introduction, in Symposium on "The Human Dimension of International Cultural Heritage Law", in European Journal of International Law, Vol. 22, n. 1, pagg. 9-16, e F. Lenzerini, Intangible Cultural Heritage: The Living Culture of Peoples, ibidem, pagg. 101-120. Si leggano, inoltre, P. Turner, What is Heritage Good For?Report on the Pocantico Conference for the International Journal of Cultural Property, October, 19-21, 2005, in 13 International Journal of Cultural Property (2006), pagg. 351-360. Sull'emersione del diritto umano al patrimonio culturale, K.L. Alderman, The Human Right to Cultural Property, in 20 Michigan State International Law Review (2011), pagg. 69-81, e U. Mifsud Bonnici, The human right to cultural heritage - The Faro Convention's contribution to the recognition and safeguarding of this human right, in Council of Europe, Heritage and Beyond, cit., pagg. 53-58.

[40] L'Explanatory Report, Article 4 - Rights and responsibilities relating to cultural heritage, sottolinea l'influenza esercitata dalla Convenzione europea per la protezione dei diritti umani e le libertà fondamentali (1950).

[41] Per i tipi di valori associati al patrimonio, N. Fojut, op. cit., in particolare pag. 17 s.

[42] A tal proposito, si vedano R. Pickard, op. cit, pag. 105 e M. Cornu, Culture et Europe, cit., in particolare par. 194.

[43] Explanatory Report, Article 15 - Undertakings of the Parties e Article 16 - Monitoring mechanism.

[44] Sul sistema di monitoraggio della Convenzione di Faro, si veda anche P.J. O'Keefe - L.V. Prott, op. cit, pag. 13 s.

[45] La Carta che regola il funzionamento dell'European Heritage Network è disponibile sul sito http://www.coe.int/t/dg4/cultureheritage/heritage/herein/HEREINCharte_en.pdf.

[46] Come messo in evidenza da M. Cornu, Culture et Europe, cit., par. 194.

[47] Explanatory Report, Article 1 - Aims of the Convention.

[48] Il patrimonio é "object and action, product and process". In tal senso, G. Fairclough, op. cit., pagg. 29-41, qui pag. 29, per il quale il termine heritage potrebbe un giorno diventare un verbo, proprio a sottolineare questo suo carattere dinamico.

[49] Perplessità in tal senso sono state sollevate anche da P.J. O'Keefe - L. Prott (edited by), op. cit, in particolare pag. 180.

[50] La Convenzione di Faro si inserisce nella tendenza internazionale caratterizzata da una sempre maggior presa di coscienza del rapporto esistente tra il patrimonio culturale e lo sviluppo sostenibile e del potenziale ruolo delle collettività nel rafforzamento di questo legame. Nel 2012, ad esempio, il quarantesimo anniversario della Convenzione UNESCO sul patrimonio mondiale, celebrato attraverso una serie di eventi, conferenze, workshops e seminari in tutto il mondo, è stato dedicato al tema "Patrimonio mondiale e Sviluppo Sostenibile. Il ruolo delle Comunità Locali". Per maggiori informazioni, si rinvia alla pagina web http://whc.unesco.org/en/40years/.

 

 



copyright 2013 by Società editrice il Mulino
Licenza d'uso


inizio pagina