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I beni culturali nel nuovo codice dei contratti pubblici

Il partenariato speciale pubblico-privato nel nuovo codice dei contratti pubblici

di Marco D’Isanto [*]

Sommario: 1. Premessa. - 2. Il partenariato speciale pubblico-privato: l’inquadramento nel Codice dei contratti pubblici (d.lg. n. 50/2016). - 3. La revisione dell’istituto nel nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lg. 31 marzo 2023, n. 36). Il concetto di gratuità. Il principio di autonomia contrattuale. L’estensione del partenariato speciale ai beni culturali mobili. - 4. La connessione tra sussidiarietà orizzontale e il partenariato speciale. - 5. Conclusioni.

The special public-private partnership in the new Public Contracts Code
The article analyzes the “special forms” of public-private partnerships on cultural heritage provided for by art. 134 of the new Code of public contracts. The author analyzes partnerships in the context of subsidiarity.

Keywords: public-private partnership; cultural heritage; code of public contracts; subsidiarity.

1. Premessa

Il partenariato speciale pubblico privato in campo culturale è una disciplina recente: introdotta nel Codice dei contratti pubblici (d.lg. 18 aprile 2016, n. 50) ha incontrato pochi ma significativi tentativi di applicazione [1]. A rallentare l’adozione di questa forma innovativa di gestione del patrimonio culturale è la difficile collocazione giuridica dell’istituto che ha prodotto non pochi problemi applicativi.

È da rilevare inoltre che le forme di gestione previste dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, legge 15 marzo 1997, n. 59) all’art. 115 conservano una impostazione che sembra essere ampiamente superata non solo dalla prassi ma dall’avvento di norme extra-codicistiche [2] a partire appunto da quella in commento iscritta nel Codice dei contratti pubblici [3].

Quello che qui interessa approfondire è in che forme e in che modo il partenariato speciale pubblico-privato possa concorrere a realizzare quel sistema integrato di tutela e valorizzazione partendo dalla considerazione che “forse il messaggio più significativo e internamente coerente che il Codice sembra voler dare è quello offerto dalla messa in rilievo (dalla valorizzazione se così è concesso dire) del metodo della cooperazione fra le istituzioni pubbliche e fra le istituzioni e i soggetti della società” [4].

2. Il partenariato speciale pubblico-privato: l’inquadramento nel Codice dei contratti pubblici (d.lg. n. 50/2016)

La disciplina del partenariato speciale è stata adottata originariamente in attuazione della legge delega gennaio 2016, n. 11 [5], in cui era previsto il riordino e semplificazione della normativa specifica in materia di contratti relativi a beni culturali, tenendo conto della particolare natura di quei beni e delle peculiarità delle tipologie degli interventi, prevedendo altresì modalità innovative per le procedure di appalto relative a lavori, servizi e forniture e di concessione di servizi, nel rispetto delle disposizioni di tutela previste dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lg. n. 42/2004, e garantendo la trasparenza e la pubblicità degli atti.

La norma contenuta nell’art. 151 comma 3 del Codice dei contratti pubblici (d’ora in avanti Ccp) recepiva l’intento del legislatore delegante e forniva una disciplina speciale per i beni culturali che consentiva di ricorrere a modi e forme innovative di partnership integrata pubblico-privata in funzione della valorizzazione del patrimonio culturale. Si individuava una forma speciale di partenariato che prevedeva procedure semplificate per l’individuazione di partner privati da parte delle amministrazioni pubbliche per le attività di recupero, restauro, manutenzione programmata, gestione, apertura alla pubblica fruizione e per la valorizzazione di beni culturali immobili.

Il procedimento amministrativo contenuto nell’art. 19 del Ccp, a cui rimandava in definitiva la norma, prevedeva una procedura semplificata attraverso la pubblicazione sul proprio sito internet, per almeno trenta giorni, di apposito avviso, con il quale si rendeva nota la ricerca di un partner privato per specifici interventi, ovvero si comunicava l’avvenuto ricevimento di una proposta di partenariato speciale, indicando sinteticamente il contenuto del contratto proposto. Trascorso il periodo di pubblicazione dell’avviso, il contratto poteva essere liberamente negoziato, purché nel rispetto dei principi di imparzialità e di parità di trattamento fra gli operatori, fermo restando il rispetto dell’articolo 80 del Ccp in ordine ai requisiti generali per contrarre con la pubblica amministrazione.

Con l’approvazione del nuovo Codice dei contratti pubblici, come vedremo nel corso di questo lavoro, l’art. 151 del Ccp viene sostituito dall’art. 134 del d.lg. n. 36/2023 e l’istituto del partenariato speciale sembra stabilizzarsi all’interno di una nuova cornice giuridica.

La difficile collocazione giuridica dell’istituto è confermata dalla nota del 9 giugno 2016 dell’ufficio legislativo del Mibact, la quale evidenzia che le previsioni dell’art. 151, comma 3 del Ccp, costituiscono una “norma aperta che potrà man mano riempirsi di contenuti applicativi specifici sulla base dell’esperienza e delle buone pratiche che potranno essere avviate e sperimentate” [6]. Una lettura dunque che da una parte conforta il carattere speciale dell’istituto e la sua estraneità al genus del partenariato pubblico-privato considerato dal Codice ma che dall’altra lascia alla prassi il compito di tipizzare la disciplina.

Il carattere speciale del partenariato in campo culturale ha suscitato in dottrina un dibattito che restituisce la complessità dell’analisi giuridica di fronte all’atipicità dell’istituto [7]. In particolare l’analisi si è soffermata sulla riconducibilità o meno del partenariato speciale alla disciplina generale comune del partenariato pubblico privato contenuta nel Ccp.

A parere di chi scrive, la norma si inquadra all’interno di un contesto storico in cui da una parte riemerge la necessità di ridefinire in modo nuovo la dialettica dei rapporti tra pubblico e privato ma dall’altro si evidenzia la necessità di superare l’alleggerimento dell’influenza pubblica sulla gestione del patrimonio culturale attuata proprio attraverso l’esternalizzazione dei servizi aggiuntivi che hanno spesso depauperato l’azione pubblica di competenze e capacità gestionali. Gli ultimi interventi normativi, a partire dalla Riforma del 2014 [8], hanno infatti “insistito sulla necessità che la parte pubblica recuperi centralità dal punto di vista della programmazione e della progettazione culturale dei servizi museali” [9].

Si intravede nel partenariato speciale l’elaborazione di un sistema di collaborazione tra amministrazione e soggetti privati che attua in forme decise il principio di sussidiarietà e che riconosce non solo la peculiarità del patrimonio culturale ma anche il principio che l’interesse generale possa essere opportunamente perseguito dal soggetto privato in concorso con la pubblica amministrazione [10].

Si tratta di un nuovo modello organizzativo, di tenore diverso dalle concessioni [11], in cui viene recepito il ruolo delle comunità nella valorizzazione del patrimonio culturale e alla pubblica amministrazione viene attribuito il compito di promuovere ed orientare attivamente, con il concorso di partner privati, i processi di cura e valorizzazione dei beni culturali pubblici.

Ancorché la necessità di garantire che il processo di valorizzazione sia sostenibile economicamente non si esclude che anche nel partenariato speciale il partner privato possa trarre delle utilità economiche direttamente dalle attività di valorizzazione o da attività economiche indirettamente collegate alla gestione degli immobili culturali. È anzi auspicabile che questo avvenga, in relazione soprattutto ai beni attualmente dismessi o non fruiti dal pubblico, senza che questo comprometta il perseguimento dell’obiettivo principale che consiste nel reimmettere nel circuito culturale beni sottoutilizzati o inutilizzati affinché possano diventare una leva dello sviluppo culturale delle comunità e dei territori.

Il partenariato speciale se da una parte si differenzia dalla pura esternalizzazione dei servizi aggiuntivi di cui all’art. 117 del Codice dei beni culturali e del paesaggio dall’altra non ha come presupposto la valorizzazione economica. Tale processo è meramente strumentale agli obiettivi di valorizzazione culturale e di cura del patrimonio pubblico, all’interno di un progetto che coinvolge attivamente soggetti pubblici e privati interessati.

In questa prospettiva, il partenariato speciale può essere incluso nell’ambito di quelle forme di coinvolgimento dei privati ispirate al principio di sussidiarietà e destinato ad alimentare forme di innovazione nell’agire della pubblica amministrazione. Principio, quello della sussidiarietà, che si salda con un altro valore costituzionale, espresso nell’art. 9 della Costituzione, che attribuisce alla Repubblica il compito di promuovere lo sviluppo della cultura, della ricerca scientifica e tecnica e di tutelare il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

L’obiettivo del presente scritto è valutare, alla luce dell’adozione del d.lg. n. 36/2023 (d’ora in poi nuovo Codice), se il carattere speciale del partenariato culturale ne esca rafforzato e in che direzione.

3. La revisione dell’istituto nel nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lg. 31 marzo 2023, n. 36). Il concetto di gratuità. Il principio di autonomia contrattuale. L’estensione del partenariato speciale ai beni culturali mobili

Il partenariato speciale è contenuto nel nuovo Codice all’articolo 134 rubricato: Contratti gratuiti e forme speciali di partenariato. Esso recita: “Per assicurare la fruizione del patrimonio culturale della nazione e favorire altresì la ricerca scientifica applicata alla sua tutela o alla sua valorizzazione, lo Stato, le regioni e gli enti territoriali possono, con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, attivare forme speciali di partenariato con enti e organismi pubblici e con soggetti privati, dirette a consentire il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l’apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali, attraverso procedure semplificate di individuazione del partner privato analoghe o ulteriori rispetto a quelle previste dall’articolo 8”.

Il rimando all’articolo 8 introduce una importante innovazione: cessa il legame che aveva contraddistinto il partenariato speciale dell’art. 151 del Ccp con le sponsorizzazioni culturali e con le procedure semplificate di individuazione del partner privato disciplinate dall’articolo 19 del medesimo Ccp.

Il comma 4 dell’articolo 134 del nuovo Codice, dedicato alle sponsorizzazioni, conserva la vecchia disciplina secondo la quale l’affidamento dei servizi di sponsorizzazione è soggetto esclusivamente alla previa pubblicazione sul sito internet della stazione appaltante, per almeno trenta giorni, di apposito avviso, trascorso il quale, il contratto può essere liberamente negoziato, purché nel rispetto dei principi di imparzialità e di parità di trattamento fra gli operatori che abbiano manifestato interesse.

Il principio di autonomia contrattuale, di cui al comma 1 dell’art. 8, riconosce alla pubblica amministrazione una generale capacità negoziale, salvo i divieti previsti dalla legge. Nella relazione illustrativa al nuovo Codice viene evidenziato “che si sancisce il principio di autonomia contrattuale, recependo una costante giurisprudenza (cfr. Cass. Sez. Un. 12 maggio 2008, n. 11656), che riconosce alla pubblica amministrazione una generale capacità negoziale, salvo i divieti previsi dalla legge. È ormai pacifico, infatti, che il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi non si estende ai contratti, per i quali vige l’opposto principio di atipicità (art. 1322 c.c.). Si ribadisce, in tal modo, il principio di tassatività della limitazione della capacità negoziale, richiedendosi una esplicita previsione di legge”. Si sancisce un principio che la dottrina aveva già ampiamente riconosciuto sulla base della disposizione dell’art. 1, comma 1-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, per il quale la pubblica amministrazione dispone di autonomia contrattuale ed è dunque legittimata all’uso della veste privatistica, e può quindi stipulare contratti, anche atipici, con gli stessi limiti finalistici previsti per i contraenti privati [12].

Il comma 3 introduce una disciplina relativa alle donazioni, cioè i contratti caratterizzati da animus donandi nei confronti della pubblica amministrazione, per i quali si stabilisce nessun obbligo di gara.

La norma del partenariato speciale va interpretata alla luce anche del comma 1 dell’art. 134 che prevede che per tutte le attività finalizzate alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali l’amministrazione può stipulare contratti gratuiti, ai sensi dell’articolo 8, comma 1 del nuovo Codice, ferme restando le prescrizioni dell’amministrazione preposta alla loro tutela in ordine alla progettazione e all’esecuzione delle opere e delle forniture, alla direzione dei lavori e al loro collaudo.

Il generale riferimento all’art. 8, in particolare al primo e al terzo comma, fa ricomprendere i partenariati speciali nell’ambito delle procedure previste per i contratti gratuiti, definiti dall’art. 2 dell’Allegato I1 come i contratti in cui l’obbligo di prestazione o i sacrifici economici direttamente previsti nel contratto gravano solo su una o alcune delle parti contraenti.

Il rinvio a questa particolare tipologia contrattuale pone, in una cornice nuova, il problema del contenuto giuridico di questo istituto atipico. La relazione illustrativa, nel commentare l’articolo 134, sembra includere i partenariati speciali nell’ambito del genus dei contratti gratuiti: “La disposizione, corrispondente all’attuale art. 151, si occupa della collaborazione tra pubblico e privato nello svolgimento di attività finalizzate alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali, di regola svolte nelle forme della sponsorizzazione e del partenariato. Il riferimento alla “valorizzazione” dei beni culturali, oltre che alla loro tutela, contenuto nel comma 1, risponde ad una sollecitazione in tal senso della dottrina. Nella formulazione proposta, queste forme di collaborazione vengono ricondotte dal comma 1, tramite rinvio alla disciplina comune, all’ampia categoria dei contratti gratuiti recepita nel Codice (v. art. 8, comma 1)”.

Ne deriva che il partenariato speciale rappresenta una delle possibili forme che possono assumere i contratti gratuiti nell’ambito delle attività finalizzate alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali.

La riconducibilità del partenariato speciale al genus dei contratti gratuiti merita di essere approfondita. Il d.lg. 50/2016, nell’operare un rimando alle procedure semplificate di individuazione del contraente privato previste nell’ambito delle sponsorizzazioni, si era limitato a dettare una disciplina speciale che accomunasse queste due peculiari forme di partenariato pubblico-privato, quella delle sponsorizzazioni e quella del partenariato speciale. Diversa è la connotazione che assume il partenariato speciale nell’ambito del nuovo Codice.

Per esaminarne la portata è necessario fare riferimento all’articolo 13 in cui si legge al comma 2 che le disposizioni del Codice non si applicano ai contratti esclusi, ai contratti attivi e ai contratti a titolo gratuito, anche qualora essi offrano opportunità di guadagno economico, anche indiretto.

Dall’esame congiunto delle disposizioni sembra prevalere la tendenza di considerare i contratti gratuiti propriamente intesi e le forme speciali di partenariato, comprese le sponsorizzazioni, escluse dalla disciplina dei contratti pubblici e attratte nelle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 e, per la fase negoziale ed esecutiva, nelle disposizioni del Codice civile.

Prospettiva confermata nella relazione illustrativa: “L’art. 2 dell’allegato ribadisce, inoltre, la distinzione, ben nota alla letteratura civilistica, tra onerosità, gratuità economicamente interessata e liberalità, rilevante ai fini delle diverse conseguenze che ne derivano in punto di applicazione della procedura di gara, sia sul piano nell’an (non si applica alle donazioni: cfr. art. 3, comma 3, del progetto di codice), sia sul piano del livello di dettaglio della disciplina che regola la procedura applicabile (i contratti gratuiti economicamente interessati soggiacciono ai c.d. principi generali e non all’intera disciplina del codice: cfr. art. 16)”.

Qui il legislatore sancisce l’esclusione del principio della gara pubblica per le donazioni ma non per la generalità dei contratti gratuiti, i quali, in quanto suscettibili di attribuire utilità economicamente significative ai contraenti, pur essendo esclusi dall’intera disciplina del Codice, soggiacciono ai c.d. principi generali.

A sancire la differenza tra l’atto di liberalità, per il quale si esclude ogni procedura pubblica, e i contratti gratuiti, è la presenza, nei secondi, di un interesse economico esplicito o latente che impone infatti il rispetto dei principi di trasparenza e imparzialità e dunque la par condicio competitorum tra i contraenti.

Questa lettura era già presente nella giurisprudenza amministrativa. In particolare nella sentenza del 3 ottobre 2017, n. 4614 il Consiglio di Stato, nel rendere ammissibile l’espletamento di una procedura di gara per l’affidamento di un contratto di servizi privo di corrispettivo, fa riferimento proprio ai contratti di sponsorizzazione che insieme al partenariato speciale costituiscono due tipologie di contratti gratuiti nel nuovo Codice: “Del resto, non è inconferente rilevare che assume ormai particolare pregnanza nell’ordinamento, evidenziando il rilievo dell’economia dell’immateriale, la pratica dei contratti di sponsorizzazione, che ha per gli stessi contratti pubblici la disciplina generale nell’art. 19 del d.lg. n. 50/2016 (cfr. art. 199-bis, d.lg. n. 163 del 2006), e una particolare applicazione nel settore dei beni culturali (art. 120, d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42). La sponsorizzazione non è un contratto a titolo gratuito, in quanto alla prestazione dello sponsor in termini di dazione del denaro o di accollo del debito corrisponde l’acquisizione, in favore dello stesso sponsor, del diritto all’uso promozionale dell’immagine della cosa di titolarità pubblica: il motivo che muove quest’ultimo è l’utilità costituita ex novo dall’opportunità di spendita dell’immagine, cioè la creazione di un nuovo bene immateriale. Per l’Amministrazione è finanziariamente non onerosa - cioè passiva: non comporta un’uscita finanziaria - ma comunque genera un interesse economico attivo per lo sponsor, insito in un prodotto immateriale dal valore aggiunto che va a suo vantaggio. In altri termini: la circostanza che vi sia verso lo sponsor una traslazione meramente simbolica, cioè di immagine, della cosa di titolarità pubblica non può essere considerata come vicenda gratuita, ma va posta in stretta relazione, nei termini propri dell’equilibrio sinallagmatico, con il valore della controprestazione, vale a dire della dazione dello sponsor. Con la sponsorizzazione si ha dunque lo scambio di denaro contro un’utilità immateriale, costituita dal ritorno di immagine”.

Dunque il concetto di onerosità viene qui esteso a quei contratti, che il nuovo Codice definisce gratuiti, in cui pur in assenza di un corrispettivo l’operatore economico ottiene un beneficio esplicito economicamente rilevante. Nella sostanza, così come la giurisprudenza ha inteso attribuire alla locuzione “a titolo oneroso” un contenuto attenuato riferibile a vantaggi non finanziari conseguibili da un operatore privato e suscettibili di valutazione economica, il nuovo Codice ha descritto i contratti gratuiti come quei contratti in cui l’obbligo di prestazione (tipica dei partenariati) o i sacrifici economici direttamente previsti nel contratto (tipica delle sponsorizzazioni) gravano solo su una o alcune delle parti contraenti.

C’è dunque perfetta continuità tra il concetto di onerosità debole evidenziato in sede giurisprudenziale e il concetto di gratuità così come declinato nel nuovo Codice. In questa prospettiva sia i contratti di partenariato speciale che quelli di sponsorizzazioni rientrano nel genus dei contratti gratuiti intesi come quei contratti per i quali si esclude ogni sacrificio economico da parte della pubblica amministrazione. Circostanza questa che infatti proietta i contratti gratuiti all’esterno della disciplina del nuovo Codice e differenzia in maniera significativa tali contratti dal partenariato ordinario disciplinato dagli artt. 174 e ss. in cui è previsto l’intervento pubblico di sostegno che incontra come unico limite l’annullamento di qualsiasi perdita potenziale dell’operatore economico.

Le innovazioni operate dal nuovo Codice conducono tendenzialmente a qualificare il partenariato ordinario come una fattispecie contrattuale destinata a regolare una forma di promozione pubblica degli investimenti in opere o servizi, fermo restando l’allocazione del rischio operativo in capo al privato.

Nella prassi dei partenariati peraltro siamo oltre il concetto di “economia dell’immateriale” in quanto il partner privato, nell’esecuzione delle attività, ottiene non un ritorno di immagine ma delle utilità economiche derivanti dalla vendita dei servizi di valorizzazione, indispensabili per garantire la sostenibilità economica delle iniziative.

La sentenza citata, sebbene analizzi i contratti ad “onerosità debole” nel quadro normativo antecedente, è rilevante per analizzare un altro tema: il rapporto tra il procedimento pubblicistico e la vicenda contrattuale affidata all’autonomia contrattuale di stampo privatistico.

Il ragionamento qui offerto dalla giurisprudenza amministrativa si pone in continuità con quanto disciplinato nel nuovo Codice in ordine ai principi generali dell’azione pubblica nella scelta dei contraenti, facendo salvo il principio della par condicio che va assicurata attraverso le procedure di evidenza pubblica ed escludendo dunque che l’amministrazione procedente possa scegliere il contraente a proprio piacimento: si realizzerebbe in quel caso infatti una lesione non solo della trasparenza e della parità di trattamento ma anche dei principi di derivazione eurounitaria del mercato concorrenziale che sono alla base delle commesse pubbliche. Concetti richiamati dall’art. 13, comma 5, nella parte in cui prevede che gli affidamenti dei contratti gratuiti debbano avvenire tenendo conto dei principi di cui agli articoli 1, 2 e 3 dello stesso Codice e cioè il principio di risultato, il principio di fiducia e di accesso al mercato.

Il nuovo Codice nella sostanza, come specificato nella relazione illustrativa sopra richiamata, prevede tre distinte fattispecie contrattuali: i contratti onerosi, le liberalità caratterizzate da un trasferimento di ricchezza dal soggetto privato alla pubblica amministrazione senza che al donante sia attribuita alcuna utilità, e i contratti gratuiti, che la giurisprudenza ha definito ad “onerosità debole”, in grado di generare un interesse economico attivo nell’operatore privato e in cui la pubblica amministrazione non sostiene alcun sacrificio finanziario.

Non possono qui essere ignorati due temi.

Il primo si riferisce al riferimento operato dal primo comma dell’art. 134 al principio dell’autonomia contrattuale. Aspetto questo che travalica i contratti gratuiti e le forme speciali di partenariato pubblico-privato e che investe il delicato e dibattuto tema del rapporto e dei limiti esistenti tra procedimento amministrativo e autonomia contrattuale della pubblica amministrazione.

Il secondo aspetto che qui ha rilievo, strettamente connesso al primo, è il rapporto con un altro corpo normativo relativo alla disciplina specifica dei beni culturali, che non può non incidere sull’autonomia negoziale della pubblica amministrazione. È evidente che l’intreccio tra disciplina pubblicistica e privatistica determini un perimetro entro il quale la pubblica amministrazione è chiamata ad esercitare la sua autonomia contrattuale: il contenuto negoziale, in special modo se attinente alla gestione e alla valorizzazione dei beni culturali, non potrà che essere condizionato dai limiti e dai contenuti posti nella procedura di evidenza pubblica a tutela anche della trasparenza e della parità di trattamento.

In ordine al ruolo del procedimento pubblicistico è stato evidenziato in dottrina che l’art. 1, c. 1-bis, legge n. 241/1990 è la riprova “chiara e inequivoca (del) l’assenza di qualsiasi preclusione di ‘sistema’ all’utilizzo del diritto privato per l’esercizio di funzioni pubbliche e per la cura dell’interesse pubblico” [13] ma che l’evidenza pubblica “- lungi dal costituire un mero ‘episodio’ pubblicistico completamente estraneo alla dinamica contrattuale e strumentale solo alle esigenze ‘funzionali’ - viene comunque a ricoprire (anche e soprattutto) una funzione materialmente negoziale” [14].

Cosicché l’attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni viene ricondotta “per una parte consistente della disciplina relativa, al diritto pubblico, restando in essa la disciplina negoziale confinata al momento ultimo della stipulazione negoziale e al regime dell’esecuzione (e anche qui con eccezione e deroghe)” [15].

Il procedimento negoziale che investe il partenariato speciale non si esaurisce però nella stipulazione del contratto: si determina infatti un continum di dialogo tra le parti e gli organismi di collaborazione previsti nella prassi mediante l’instaurazione di “tavoli tecnici” permanenti ne sono una testimonianza fattuale.

Siamo dunque di fronte ad un processo che testimonia che “dall’innesto della negoziazione pubblico-privata all’interno dell’iter regolativo classico gemmano infatti nuovi moduli consensuali, che consacrano definitivamente la compartecipazione dei portatori di interessi alla definizione delle regole giuridiche” [16].

In ordine al partenariato speciale siamo dunque di fronte a due aspetti che necessitano di essere valorizzati nell’ambito di questo lavoro: il combinato disposto dell’art. 8 e dell’art. 13 da una parte enfatizza la capacità della pubblica amministrazione di stipulare contratti gratuiti nell’ambito dell’autonomia contrattuale e dall’altra, nell’escludere l’applicazione delle norme del nuovo Codice ai contratti gratuiti, li assoggetta a procedure di evidenza pubblica.

La dottrina ha espresso condivisibili dubbi sulla coerenza tra la solennità dei principi di autonomia contrattuale e la disciplina dettata nel nuovo Codice la quale però, come sopra riferito, non trova specifica applicazione ai partenariati speciali [17].

Si ritiene pertanto che il principio di autonomia contrattuale richiamato dal nuovo Codice in ordine alla stipulazione dei contratti gratuiti attribuisca alla pubblica amministrazione una esplicita ed efficace capacità negoziale di diritto privato pur nella cornice sopra richiamata dell’evidenza pubblica, la quale inevitabilmente finisce con il comprimere tale capacità negoziale a partire dal fatto che “il contenuto del contratto corrisponde pressoché interamente a quello preannunciato dal bando e sul quale l’aggiudicazione è avvenuta” [18].

Tale autonomia negoziale dovrà inoltre tener conto dei vincoli in termini di tutela, di conservazione e di valorizzazione dei beni culturali dettati dal d.lg. n. 42/2004.

Basti pensare ai profili di specialità in ordine ai requisiti di qualificazione per gli esecutori dei lavori nel settore dei beni culturali [19], alla disciplina dell’uso delle immagini e delle riproduzioni, agli accordi di valorizzazione di cui all’art. 112 del Codice dei beni culturali, alla presenza di concessionari negli istituti e luoghi della cultura.

Dunque, dopo l’introduzione del nuovo Codice, il partenariato speciale e le sponsorizzazioni relativi ai beni culturali possono considerarsi contratti esclusi dalla disciplina dei contratti pubblici ma, dal raccordo sistematico operato nell’ambito dell’articolo 13 dal comma 2 e dal comma 5, i contratti gratuiti che offrono opportunità di guadagno economico, anche indiretto, dovranno essere stipulati tenendo conto dei principi di cui agli articoli 1, 2 e 3 dello stesso Codice.

In definitiva, al di fuori dei principi richiamati, per i contratti relativi ai beni culturali non possono trovare applicazione le disposizioni o le estensioni analogiche ad altre tipologie contrattuali (come ad esempio il partenariato ordinario) contenute nella disciplina dei contratti pubblici.

I principi richiamati sono quelli del risultato, della fiducia e il principio dell’accesso al mercato. Ne discende che per la generalità dei contratti gratuiti non debbano trovare applicazione le norme dettate dalla disciplina dei contratti pubblici, pur nel rispetto dei principi generali dell’azione amministrativa, che richiede comunque l’esperimento di procedure trasparenti e, quindi, il rispetto dei principi di legalità, buon andamento e trasparenza.

Per i contratti gratuiti per i quali è prevista opportunità di guadagno economico, categoria all’interno della quale sono tendenzialmente riconducibili i partenariati speciali, la selezione dei partner dovrà avvenire nel rispetto dei principi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità, di trasparenza e di proporzionalità. In questa prospettiva viene dunque sancita definitivamente l’estraneità dell’istituto al corpo normativo dei partenariati ordinari e alla disciplina dei contratti pubblici chiamata a regolare gli appalti e le concessioni.

Si delinea, dunque, una forma di gestione, in linea peraltro con quanto avvenuto prevalentemente nella prassi, quanto meno degli istituti statali, di coinvolgimento dei privati per attività orientate ad incrementare la fruizione e la valorizzazione dei beni culturali la cui sostenibilità economica non deriva da un trasferimento finanziario degli istituti a favore dei partner privati ma dalla possibilità di condurre attività in grado di garantire un equilibrio economico-gestionale al partner privato.

Coerentemente con l’estromissione del partenariato speciale dal Codice dei contratti pubblici, e in analogia con quanto previsto dall’art. 6 del nuovo Codice in relazione agli istituti disciplinati dal Titolo VII del Codice del terzo settore, il procedimento amministrativo seguirà la disciplina contenuta nella legge 241/1990, indirizzo questo già espresso nella circolare emessa dall’Ufficio Legislativo del Mic, n. 17461 del 9 giugno 2016.

Al fine di individuare le esigenze minime di evidenza pubblica è utile richiamare quanto previsto dalle linee guida emanate dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali per disciplinare le procedure di co-progettazione [20]: l’amministrazione pubblica individuato il responsabile del procedimento, ai sensi degli articoli 5 e 6 della legge n. 241/1990, e, quindi, avviato il procedimento, pubblica l’avviso in cui evidenzia la finalità del procedimento, l’oggetto del procedimento, la durata del partenariato, il quadro progettuale ed economico di riferimento, i requisiti di partecipazione e cause di esclusione, con particolare riguardo alla disciplina in materia di conflitti di interesse, le fasi del procedimento e modalità di svolgimento, i criteri di valutazione delle proposte, e la conclusione del procedimento. Terminata la fase comparativa, con la selezione di uno o più partner operativi, il contratto potrà essere liberamente negoziato in ossequio al già richiamato principio di autonomia contrattuale.

Trovando applicazione i principi del procedimento di cui alla legge n. 241/1990, l’iniziativa può essere anche di parte e, dunque attivata, da uno o più soggetti privati.

Degna di nota è l’estensione del partenariato speciale ai beni culturali mobili. Nella relazione illustrativa si fa espressa menzione a tale cambiamento: “Nell’ottica di una maggiore tutela e valorizzazione dei beni culturali, il comma 2 prevede la possibilità che l’attivazione di forme speciali di partenariato sia estesa anche ai beni culturali mobili, eliminando pertanto il precedente riferimento ai soli beni immobili, contenuto nel comma 3 del citato articolo 151, prevedendo altresì la possibilità di ricorrere a procedure semplificate di individuazione del partner privato analoghe o ulteriori rispetto a quelle previste dall’articolo 8”.

La portata dell’innovazione non è affatto trascurabile. L’articolo 10 del Codice dei beni culturali annovera tra i beni culturali anche i beni mobili e ricomprende nell’ampia nozione dei beni culturali le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi, gli archivi, le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico. La norma pertanto estende l’applicazione del partenariato speciale ai processi di valorizzazione degli archivi, delle biblioteche, delle raccolte dei musei, delle mostre senza che sia necessaria una stretta connessione tra il bene immobile e il suo contenuto. Questo consente di coinvolgere i privati per promuovere processi di riqualificazione e innovazione della fruizione culturale.

4. La connessione tra sussidiarietà orizzontale e il partenariato speciale

L’esame fin qui condotto non può che consolidare una suggestione che la dottrina non ha trascurato nell’analisi del partenariato speciale: la sua inclusione nell’ambito degli strumenti di sussidiarietà orizzontale che a partire dalla previsione costituzionale sono stati introdotti nel nostro ordinamento. Riflessione avvalorata anche dalla difficile coesistenza con il Codice dei contratti pubblici che pure ha contraddistinto la cooperazione pubblico-privato in ambito sussidiario [21].

Prospettiva rafforzata dall’inquadramento del partenariato speciale nell’ambito del nuovo Codice dei contratti pubblici nonché nelle pratiche operative realizzate dagli istituti pubblici.

A tal fine risulta necessario richiamare la norma contenuta nell’articolo 89 del Codice del terzo settore, (d.lg. 3 luglio 2017, d’ora in poi Cts), dedicata al partenariato speciale, che a parere di chi scrive conserva una autonoma configurazione rispetto agli istituti di co-programmazione e co-progettazione delineati dal Cts negli articoli 55-57.

Nell’ambito del Cts si realizza infatti un passaggio storico che può trovare applicazione nell’ambito del patrimonio culturale data la specificità rappresentata da questa particolare categoria di beni pubblici. Il passaggio è riferito innanzitutto all’esplicito riconoscimento della finalità di interesse generale perseguita da una particolare categoria di enti privati: gli enti di terzo settore.

“Si potrebbe dunque dire che oggi nella società italiana esistono tre grandi poli, composti ognuno da una pluralità di soggetti anche molto diversi fra loro per funzioni, dimensioni, organizzazione, risorse, etc. ma accomunati all’interno di ciascun polo dal perseguimento del medesimo interesse: il polo dell’interesse generale, rappresentato dagli enti del Ts così come definiti dall’art. 4, primo comma, Codice Ts; il polo degli interessi privati, rappresentato da tutti i soggetti che perseguono interessi liberamente individuati diversi da quelli perseguiti dagli enti del Ts e dai soggetti pubblici; ed infine il polo degli interessi pubblici, rappresentato dai soggetti di cui all’art. 1, secondo comma del d.lg. n. 165/2001, cioè le amministrazioni dello Stato (ivi comprese le scuole, le Università, gli Istituti autonomi case popolari, gli enti strumentali, le Camere di commercio, ecc.) le regioni ed i comuni” [22].

Alla prospettiva dell’azione sussidiaria non può certamente sottrarsi l’amministrazione culturale sempre più ispirata nell’esercizio dell’azione pubblica a costruire processi partecipativi finalizzati alla cura, alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio culturale. Diversi sono gli strumenti di cooperazione pubblico privato che il Cts ha previsto nell’ambito culturale.

In questa sede ci concentreremo sul partenariato speciale pubblico-privato. La norma è indicata nell’art. 89 comma 17: “In attuazione dell’articolo 115 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, le regioni, gli enti locali e gli altri enti pubblici possono attivare forme speciali di partenariato con enti del terzo settore che svolgono le attività indicate all’articolo 5, comma 1, lettere f), i), k) o z), individuati attraverso le procedure semplificate di cui all’articolo 151, comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, dirette alla prestazione di attività di valorizzazione di beni culturali immobili di appartenenza pubblica” [23].

In questa cornice gli enti del terzo settore rappresentano una categoria “elettiva” con cui le amministrazioni sono chiamate ad operare nell’ambito dei processi di valorizzazione dei beni pubblici in una prospettiva di partecipazione collettiva all’azione pubblica.

A differenza della disposizione contenuta nel Ccp e nel nuovo Codice che consente di attivare forme speciali di partenariato con enti e organismi pubblici e con soggetti privati, dirette a consentire il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l’apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali immobili, il Codice del terzo settore indica come oggetto del partenariato le attività di valorizzazione di beni culturali. Si escludono dunque dall’applicazione del partenariato le attività di restauro e manutenzione programmata che fuoriescono dalle attività di valorizzazione in senso stretto [24].

Il procedimento amministrativo prospettato, mediante il ricorso alle procedure semplificate contenute nel vecchio art. 151 comma 3 del Ccp e ora disciplinate dal comma 2 dell’art. 134 del nuovo Codice, consente dunque di delineare un complesso di norme dedicate specificamente agli enti di terzo settore per i processi di valorizzazione del patrimonio culturale.

L’assimilazione condotta finora tra il partenariato speciale e gli strumenti dell’amministrazione condivisa potrebbe condurre a ritenere la fattispecie di partenariato speciale contenuta nel Codice del terzo settore una semplice sovrapposizione della tipologia contrattuale contenuta nel Codice dei contratti pubblici.

In realtà il partenariato speciale del terzo settore non è un istituto che replica tout court il partenariato contenuto nella disciplina dei contratti pubblici sia sul piano oggettivo che sul piano soggettivo e allo stesso tempo non rientra nelle figure tipizzate dei rapporti di collaborazione pubblico-privato declinate nel titolo VII del Codice del terzo settore.

Le amministrazioni pubbliche, nell’ambito della loro attività discrezionale, in coerenza con gli obiettivi istituzionali da perseguire, potranno fare ricorso al partenariato speciale di cui all’art. 89 del Codice del terzo settore nella misura in cui gli obiettivi di valorizzazione siano particolarmente coerenti con il profilo soggettivo degli enti coinvolti che sono ontologicamente portatori di finalità di interesse generali e indirizzati teleologicamente al perseguimento del bene comune.

Vale la pena in chiusura accennare ad un tema altrettanto importante: le forme di collaborazione tra la pubblica amministrazione e la generalità degli enti del terzo settore sono contenute negli artt. 55-57 ed attengono alla co-programmazione e alla co-progettazione. Si tratta di istituti che hanno ricevuto un importante impulso applicativo a partire dall’adozione delle Linee guida del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali in precedenza citate. Non si può qui non richiamare in particolare l’istituto della co-progettazione la cui analogia con l’istituto del partenariato speciale è fin troppo evidente. Si tratta, come la Corte costituzionale ha dichiarato nella sentenza sopra richiamata, di un modello che non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico (sent. n. 131 del 2020).

Siamo dunque di fronte ad un progetto complessivo di amministrazione condivisa, testimoniato anche dalle recenti norme introdotte nel nuovo Codice, che supera la tradizionale dicotomia pubblico-privato che pure ha caratterizzato le relazioni tra queste due sfere nel mondo dei beni culturali.

L’istituto della concessione ha rappresentato proprio nel mondo dei beni culturali l’applicazione di un rapporto orientato più che ad unire risorse e progettualità a separare ruoli, funzioni e responsabilità. Il partenariato speciale e le altre forme di gestione condivisa del patrimonio culturale offrono un paradigma nuovo, aperto alle sperimentazioni, inclusivo delle comunità e restituiscono all’amministrazione un nuovo protagonismo nell’orientare e co-gestire con i soggetti privati lo straordinario e diffuso patrimonio di cui dispone l’Italia, buona parte del quale attende di essere curato e valorizzato [25].

Da non trascurare l’impatto sui modelli gestionali dei siti culturali di pertinenza delle autonomie locali da tempo al centro dell’attenzione per le inefficienze che spesso sono state riscontrate. L’indagine della Corte dei conti del 2005 [26] sulla gestione dei musei da parte degli enti locali, benché datata, ha messo in luce la generale arretratezza delle forme di gestione [27].

5. Conclusioni

La specialità del partenariato culturale andrebbe dunque indagata all’interno dell’azione pubblica di sussidiarietà orizzontale [28] che consente di ampliare il concorso dei privati al perseguimento delle finalità istituzionali di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale pubblico.

La co-progettazione e la co-gestione [29] come modalità di relazione per strutturare un progetto di valorizzazione condiviso tra pubblico e privato, che nelle prassi dei partenariati speciali acquisisce sempre maggiore importanza e diffusione, testimonia la prospettiva all’interno della quale queste collaborazioni andrebbero collocate. L’amministrazione condivisa, oltre alle procedure tipizzate nel Codice del terzo settore, è un modello di conduzione dell’azione pubblica che si arricchisce di strumenti atipici come potrebbero essere considerati i “patti di collaborazione” [30] piuttosto che tutte quelle iniziative pubbliche di progettazione partecipata che la stessa Convenzione di Faro richiama.

L’inclusione del partenariato speciale nell’ambito del genus dei contratti gratuiti rafforza questa visione con l’auspicio che l’adozione di Linee guida possano perimetrare e sostenerne l’applicazione, consentendo agli istituti pubblici di disegnare una nuova modalità di relazione con i soggetti privati in grado, con l’elasticità tipica del partenariato, di progettare gli interventi sulla base delle esigenze di ogni singolo istituto.

In questa prospettiva il partenariato speciale è chiamato a sviluppare una relazione organica e flessibile nell’ambito di un processo condiviso che consenta di co-progettare e riparametrare non solo i servizi ma le scelte strategiche e di gestione inerenti la valorizzazione dei beni culturali [31].

L’affidamento al privato di compiti operativi in un quadro condiviso di indirizzo pubblico-privato è destinato non solo a rafforzare il ruolo del pubblico nella gestione, senza che esso ne sia estromesso, ma consente al privato di migliorare la propria azione in un quadro di sostenibilità economica attraverso il perseguimento di una finalità di interesse generale.

Si tratta di un modello di co-gestione del bene nell’ambito di un progetto condiviso e aperto agli stimoli e agli apporti dei privati in un’ottica di rigenerazione culturale, materiale e sociale del patrimonio e delle comunità. La sua attuazione prevede come fase centrale la co-progettazione del processo di valorizzazione culturale all’interno di una logica di sostenibilità economica ed è un percorso a formazione progressiva suscettibile di adeguarsi anche nella fase realizzativa agli obiettivi e alle esigenze dei partner.

All’interno di questa prospettiva non sono centrali né i flussi di cassa né la redditività del patrimonio ma una ripartizione costante ed equa dei principi di responsabilità e di rischio progettuale attuata in forma condivisa tra le parti, quale è l’organizzazione, la programmazione, la progettazione, la promozione, l’attuazione, il controllo, delle finalità` culturali delle attività e quindi anche dei rischi operativi.

 

Note

[*] Marco D’Isanto, consulente Istituti del Ministero della cultura, esperto di cooperazione pubblico-privato, dottore commercialista, marco.disanto@email.it.

[1] Si veda sul punto G. Sciullo, Il partenariato pubblico-privato in tema di patrimonio culturale dopo il Codice dei contratti, in Aedon, 2021, 3.

[2] Il riferimento è alle concessioni degli immobili culturali per l’uso dei quali attualmente non è corrisposto alcun canone e che richiedono interventi di restauro di cui agli artt. 303, 304 e 305 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e del d.m. 6 ottobre 2005, alle “concessioni di valorizzazione” di cui all’articolo 3-bis del d.l. 25 settembre 2001, n. 351 (convertito in legge 23 novembre 2001, n. 410) e alle disposizioni di cui all’art. 71 del Codice del terzo settore (d.lg. n. 117/2017).

[3] Giova segnalare che presso il Senato è stato depositato un disegno di legge (n. 637) recante la “disciplina delle imprese culturali e creative” che prevede modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio orientate a riconoscere il partenariato speciale come una delle forme di gestione del patrimonio culturale e che qui si riportano: 1. All’articolo 115 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 1 è sostituito dal seguente:

“1. Le attività di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica sono gestite in forma diretta o indiretta o mediante forme speciali di partenariato con enti e organismi pubblici e con soggetti privati”;

b) dopo il comma 3 è inserito il seguente:

“3-bis. La gestione mediante forme speciali di partenariato ai sensi dell’articolo 151, comma 3, del Codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, e dell’articolo 89, comma 17, del Codice del terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, è finalizzata a consentire il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l’apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali, anche mediante la realizzazione di un progetto di gestione del bene che ne assicuri la corretta conservazione”.

[4] G. Pastori, Tutela e valorizzazione dei beni culturali in Italia: situazione in atto e tendenze, in Aedon, 2004, 3.

[5] Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/Ue, 2014/24/Ue e 2014/25/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia dei trasporti e dei servizi postali, nonché il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.

[6] Sul punto cfr. Mibact-Ufficio legislativo, Circolare, n. 17461 del 09 giugno 2016, par. 9.

[7] Si veda G. Sciullo, Il partenariato pubblico-privato in tema di patrimonio culturale dopo il Codice dei contratti, cit.; A. Moliterni (a cura di), Patrimonio culturale e soggetti privati, Napoli 2019; A. Sau, La disciplina dei contratti pubblici relativi ai beni culturali tra esigenze di semplificazione e profili di specialità, in Aedon, 2017, 1; M. Croce, S. de Nitto, I partenariati per la valorizzazione del patrimonio dismesso, in disuso scarsamente fruito, in Patrimonio culturale e soggetti privati, cit.; M. Cammelli, Cooperazione, in Diritto del patrimonio culturale, (a cura di) C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, G. Sciullo, Bologna, 2020; S. Cavaliere, La valorizzazione/gestione del patrimonio culturale in funzione dello sviluppo economico: l’esperienza degli strumenti collaborativi, in Amministrazione in cammino, 2020; C. Napolitano, Il partenariato pubblico-privato nel diritto dei beni culturali: vedute per una sua funzione sociale, in Dir. fond., 2019, 2; P. Rossi, Partenariato pubblico-privato e valorizzazione economica dei beni culturali nella riforma del Codice degli appalti, in federalismi.it, 2018, F. Morollo Valorizzazione del patrimonio culturale: sussidiarietà orizzontale e prospettive di “democrazia diretta” per lo sviluppo dei territori, in DPCE online, 2019, 2; C. Vitale, Rigenerare per valorizzare. La rigenerazione urbana “gentile” e la riduzione delle diseguaglianze, in Aedon, 2021, 2; G. Mari, Concessione di valorizzazione e finanza di progetto: il difficile equilibrio tra conservazione, valorizzazione culturale e valorizzazione economica, in Aedon, 2019, 2, G. Sciullo, La gestione dei servizi culturali tra Codice Urbani e Codice dei contratti pubblici, in Aedon, 2018, 1; G. Profeta, La valorizzazione dei beni culturali quale terreno elettivo del partenariato pubblico-privato e, in particolare, pubblico-pubblico, in Rassegna Avvocatura dello Stato, 2019, 1.

[8] Riforma attuata con il d.p.c.m. n. 171 del 2014.

[9] L. Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, Bologna, 2016.

[10] Sul punto si veda D. de Petris, Terzo settore e pubblica amministrazione. La svolta della Corte Costituzionale, in Quaderni Euricse, (a cura di) S. Pellizzari e C. Borzaga, 2020, in cui si afferma che “la pubblica amministrazione non è dunque l’esclusiva riservataria della cura dell’interesse generale, ma è tenuta a promuovere e sostenere i cittadini che si assumano autonomamente i compiti della sua cura”.

[11] Sul punto si veda A.L. Tarasco, Diritto e gestione del patrimonio culturale, par. Concessioni di beni culturali pubblici e redditività, pag. 54 ss., Roma-Bari, 2019.

[12] Si veda M. Cammelli, Cooperazione, in Diritto del patrimonio culturale, (a cura di) C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, pag. 297, cit.; G. Fidone, Il ruolo dei privati nella valorizzazione dei beni culturali: dalle sponsorizzazioni alle forme di gestione, in Aedon, 2012, 2.

[13] A. Moliterni, Amministrazione consensuale e diritto privato, Napoli, 2016, pag. 384. Si veda anche G. Sciullo, Profili degli accordi fra amministrazioni pubbliche e privati, in Dir. amm., 2007, 4.

[14] C. Marzuoli, Alfredo Moliterni, Amministrazione consensuale e diritto privato, in Dir. pubbl., 2017, 1, pag. 302.

[15] V. Cerulli Irelli, Lineamenti del diritto amministrativo, 2021, pag. 250.

[16] M. De Donno, Nuove prospettive del principio di consensualità nell’azione amministrativa: gli accordi normativi tra pubblica amministrazione e privati, in federalismi.it, 2018, 6, pag. 6.

[17] Si veda sul punto G.C. di San Luca, L. De Fusco, Il principio di autonomia contrattuale nel nuovo Codice dei contratti pubblici, in Federalismi.it, 2023, 21.

[18] V. Cerulli Irelli, op. ult. cit., pag. 252.

[19] Sul punto di veda A. Sau, La disciplina dei contratti pubblici relativi ai beni culturali tra esigenze di semplificazione e profili di specialità, in Aedon, 2017, 1.

[20] Decreto 31 marzo 2021, n. 72, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

[21] Il tema centrale nell’attuazione di questi strumenti è stato fin da subito il rapporto esistente tra il Codice dei contratti pubblici che disciplina gli appalti pubblici e le concessioni in un’ottica di concorrenzialità e di competizione fra operatori ed il Codice del terzo settore che disciplina con modalità ispirate alla collaborazione il rapporto tra le pubblica amministrazione e gli enti di terzo settore nei settori di interesse generale. Il recepimento degli istituti di collaborazione è stato il frutto di un lungo percorso iniziato nel 2017 con l’approvazione del Codice del terzo settore. È noto che il Consiglio di Stato nel 2018 (parere n. 2052 del 20 agosto 2018) aveva rilevato una aperta disarmonia fra il Codice dei contratti pubblici ed il Codice del terzo settore in ordine alla disciplina dell’affidamento di servizi sociali e aveva concluso che, salve alcune particolari eccezioni caratterizzate dalla gratuità delle prestazioni, le procedure previste dal Codice del terzo settore configuravano, in ottica europea, appalti di servizi sociali e, pertanto, erano sottoposte anche alla disciplina del Codice dei contratti pubblici. A chiarire questi dubbi sulla compatibilità degli istituti disciplinati dal Codice del terzo settore e la normativa di origine euro-unitaria ha provveduto la Corte costituzionale con la sentenza n. 131/2020. Parere peraltro già superato dallo stesso Consiglio di Stato, in occasione del parere consultivo sullo schema di linee guida recanti “Indicazioni in materia di affidamenti di servizi sociali” richiesto dall’Anac, emesso il 12 aprile 2022. Il nuovo Codice dei contratti pubblici prevede all’art. 6 che “In attuazione dei principi di solidarietà sociale e di sussidiarietà orizzontale, la pubblica amministrazione può apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, modelli organizzativi di amministrazione condivisa, privi di rapporti sinallagmatici, fondati sulla condivisione della funzione amministrativa con gli enti del terzo settore di cui al Codice del terzo settore di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, sempre che gli stessi contribuiscano al perseguimento delle finalità sociali in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente e in base al principio del risultato. Non rientrano nel campo di applicazione del presente Codice gli istituti disciplinati dal Titolo VII del Codice del terzo settore, di cui al decreto legislativo n. 117 del 2017.

Sul punto si veda anche L. Gori La “saga” della sussidiarietà orizzontale. La tortuosa vicenda dei rapporti fra Terzo settore e P.A., in federalismi.it, 2020 e D. Donati, Il ruolo delle Regioni nell’attuazione della sussidiarietà orizzontale: fasi, interpretazioni e problemi, in Ist. fed., 2021, 1.

[22] G. Arena, Sussidiarietà orizzontale ed enti del terzo settore in I rapporti tra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore, Napoli, 2020, pag. 25.

[23] Le associazioni culturali, richiamate dallo stesso Codice dei beni culturali, non hanno uno specifico inquadramento nell’ordinamento giuridico se non attraverso il contenuto dell’atto costitutivo e dello statuto delle stesse organizzazioni non lucrative. Il Codice del terzo settore individua invece in modo puntuale le attività di interesse generale e costituisce dunque un riferimento importante per individuare le organizzazioni che effettivamente perseguono finalità culturali.

[24] Sul punto si veda la distinzione contenuta nella sentenza della Corte Costituzionale n. 9 del 13 Gennaio 2004 tra tutela e valorizzazione in cui si afferma: “Tuttavia le espressioni che, isolatamente considerate, non denotano nette differenze tra tutela e valorizzazione, riportate nei loro contesti normativi dimostrano che la prima è diretta principalmente ad impedire che il bene possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale; ed è significativo che la prima attività in cui si sostanzia la tutela è quella del riconoscere il bene culturale come tale. La valorizzazione è diretta soprattutto alla fruizione del bene culturale, sicché anche il miglioramento dello stato di conservazione attiene a quest’ultima nei luoghi in cui avviene la fruizione ed ai modi di questa”.

[25] S. Consiglio, M. D’Isanto, F. Pagano, Il Partenariato Pubblico Privato come obiettivo strategico: il caso del Parco Archeologico dei Campi Flegrei, in Rapporto Federculture, 2019, S. Consiglio, M. D’Isanto, F. Pagano, Partenariato Pubblico Privato e organizzazioni ibride di comunità per la gestione del patrimonio culturale, in Il Capitale Culturale, 2020.

[26] Corte dei conti, sez. autonomie, delib. n. 8/AUT/2005 del 30 novembre 2005, in www.corteconti.it.

[27] Si veda A.L. Tarasco, La gestione dei beni culturali degli enti locali: profili di diritto dell’economia, in Amministrazione in cammino, 2006.

[28] In questo senso, P. Rossi, Partenariato pubblico-privato e valorizzazione economica dei beni culturali nella riforma del Codice degli appalti, in federalismi.it, 2018, il quale osserva che “le opportunità offerte dalla novella sembrano, dunque, ispirarsi ad un serio tentativo del legislatore volto a dare maggior effettività al parametro costituzionale, richiamato nell’incipit di queste riflessioni, di sussidiarietà orizzontale nelle iniziative di valorizzazione, anche economica, dei beni culturali; principio ribadito, da oltre un decennio, nell’art. 6, u.c., del Codice Urbani, secondo il quale ‘la Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale’”.

[29] In ordine alla co-progettazione si veda in particolare; l’Avviso pubblico finalizzato all’individuazione di operatori economici attraverso le procedure semplificate di cui all’articolo 151, comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 per l’attivazione del partenariato speciale pubblico-privato avente ad oggetto la valorizzazione delle serre borboniche situate nel giardino inglese della Reggia di Caserta https://reggiadicaserta.cultura.gov.it/avcp/avviso-pubblico-finalizzato-allindividuazione-di-operatori-economici-attraverso-le-procedure-semplificate-di-cui-allarticolo-151-comma-3-del-decreto-legislativo-18-aprile-2016-n-50-per-l/; l’Avviso pubblico ai sensi dell’art. 89 comma 17 del d.lg. n. 117/2017, finalizzato all’acquisizione di manifestazioni di interesse da parte di enti del terzo settore individuati attraverso le procedure semplificate di cui all’articolo 151, comma 3, del d.lg. n. 50/2016 per promuovere e sviluppare la conoscenza del patrimonio culturale del Parco archeologico dei Campi Flegrei http://pafleg.authorityonline.eu/index.php? option=com_content&view=category&id=93&Itemid=260 e infine l’Avviso pubblico finalizzato, ai sensi dell’art. 89 comma 17 del d.lg. 117/2017, all’individuazione di enti del terzo settore attraverso le procedure semplificate di cui all’articolo 151, comma 3, d.lg. n. 50/2016 per l’attivazione del partenariato speciale pubblico-privato avente ad oggetto la valorizzazione culturale del Museo e Parco archeologico Nazionale di Capo Colonna https://musei.calabria.beniculturali.it/amministrazione-trasparente/avvisi.

[30] L’iniziativa per la redazione di tali regolamenti fu avviata nel gennaio 2012, in collaborazione con l’amministrazione comunale di Bologna, da Labsus, il Laboratorio per la sussidiarietà, rivista online (www.labsus.org) che dal 2005 promuove la cittadinanza attiva per la cura dei beni comuni. Si veda anche G. Arena, Cosa sono e come funzionano i patti per la cura dei beni comuni Prosegue la riflessione sul diritto dell’amministrazione condivisa, in Labsus, 6 febbraio 2016, G. Arena, Amministrazione e società. Il nuovo cittadino, in Riv. trim. dir. pubbl., 2017, G. Arena, I custodi della bellezza, Touring, 2020 e P. Michiara, I patti di collaborazione e il regolamento per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani. L’esperienza del Comune di Bologna, in Aedon, 2016, 2.

[31] In tal senso G. Mari, Concessione di valorizzazione e finanza di progetto: il difficile equilibrio tra conservazione, valorizzazione culturale e valorizzazione economica, in Aedon, 2019, 2, la quale osserva che “La ‘specialità’ della procedura e dell’oggetto del partenariato costituisce una risposta alla complessità della valorizzazione svolta secondo le forme tradizionali, impostate ex ante con una specificazione preventiva e rigida del contenuto e dell’oggetto dell’affidamento. Di contro, l’art. 151 può riferirsi a rapporti di collaborazione dinamica, caratterizzati da flessibilità operativa in itinere, aperti a vari possibili contenuti operativi: dalla pianificazione strategica della valorizzazione sino alla gestione del patrimonio culturale”.

 

 

 



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