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La gestione dei beni culturali

La gestione dei servizi culturali tra Codice Urbani e Codice dei contratti pubblici

di Girolamo Sciullo

Sommario: 1. La prospettazione del tema: il rapporto fra il Codice Urbani e il Codice dei contratti a proposito dei servizi culturali. - 2. Le possibili soluzioni: a) la 'non interferenza' fra le due discipline. - 3. (segue) b) la loro 'integrazione'. - 4. Il "principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche". - 5. Le forme di gestione: a) la gestione "con proprie risorse". - 6. (segue) b) la gestione "in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici". - 7. (segue) c) la gestione tramite conferimento "ad operatori economici esterni". - 8. Questioni poste dall'art. 112 anche in connessione con l'art. 115 del Codice Urbani.

The management of cultural services between the Urban Code and the Code of Public Contracts
The management of cultural services between the Urban Code and the Code of Public Contracts. The work discusses the regulation of cultural services according to the rules of the Urban Code and of the Code of Public Contracts providing for an integrated reading of them.

Keywords: Cultural Services, Code of Cultural Goods; Code of Public Contracts.

1. La prospettazione del tema: il rapporto fra il Codice Urbani e il Codice dei contratti a proposito dei servizi culturali

In uno saggio recentemente pubblicato [1] Fiorenzo Liguori prende in esame "I servizi culturali come servizi pubblici". Lo scritto si segnala all'attenzione perché rappresenta una ripresa di un tema, la gestione di detti servizi (artt. 115 e 117 d.lg. n. 42/2004), fatto oggetto di ampia indagine all'indomani dell'emanazione del Codice Urbani e poi alla luce della riscrittura dell'art. 115 operata dal d.lg. 24 marzo 2006, n. 156 [2], ma che in seguito, salvo che in interventi sporadici [3], non aveva costituito materia di ulteriori riflessioni.

In questa sede non mette conto valutare la tesi di fondo espressa dall'A. (peraltro da condividersi in considerazione di quanto disposto dagli artt. 2, comma 4, 101, comma 3, e 113, comma 3, del d.lg. n. 42/2004 e dal d.l. n. 149/2015), secondo la quale tali servizi, e più ampiamente la valorizzazione, quando riferiti a beni culturali di appartenenza pubblica, costituiscono servizi pubblici [4]. Merita piuttosto di essere richiamata una delle 'ricadute' della tesi, ossia il rapporto fra autoproduzione e mercato nella gestione di detti servizi.

Si tratta di un profilo tipico di ogni attività qualificabile come servizio pubblico e sul quale l'A. si sofferma, giungendo alla conclusione che la gestione "diretta" e quella "indiretta" come disciplinate dall'art. 115 del Codice Urbani non escludono la possibilità del ricorso a entità (società e fondazioni) miste (ossia pubblico-private), se costituite mediante procedura ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato, e a società in house "aperte alla partecipazione privata, alle condizioni e nei limiti previsti dalla disciplina generale" [5]. Affermazioni queste non nuove in assoluto [6], ma riprospettate anche sulla base di dati normativi recentemente intervenuti (art. 5 del d.lg. 18 aprile 2016, n. 50 e succ. mod. recante Codice dei contratti pubblici).

Indipendentemente da una loro valutazione nel merito, esse fanno emergere con chiarezza una questione di sicuro rilievo, formulabile nei seguenti termini: la disciplina dettata in tema di forme di gestione dei servizi culturali rappresenta un'area 'oggetto di riserva' dello stesso Codice, come tale non esposta alla regolamentazione generale in tema di servizi pubblici se non per gli aspetti non disciplinati da tale Codice, oppure costituisce un'area 'aperta', per la quale la normativa di riferimento è anzitutto (sul piano logico e giuridico) la regolamentazione (di fonte europea europea o di sua attuazione nazionale) in tema di servizi di interesse generale? Il quesito è sicuramente estensibile alla disciplina di altri ambiti della valorizzazione (ad esempio a quelli che compongono il c.d. partenariato pubblico o privato di cui agli artt. 180 ss. del Codice dei contratti [7]), ma lo si considera solo nei termini appena prospettati, e che possono essere formulati anche nel seguente modo: quale relazione intercorre fra il Codice Urbani e il Codice dei contratti pubblici a proposito della disciplina delle forme di gestione dei servizi culturali (oggetto nel primo degli artt. 115 e 117)?

2. Le possibili soluzioni: a) la 'non interferenza' fra le due discipline

Per la verità il quesito, che appare 'inedito' nella sua formulazione, si sarebbe potuto porre anche con il Codice dei contratti De Lise (d.lg. n. 163/2006). Avrebbe però presentato minore rilievo. Invero l'art. 30, comma 4, di tale Codice faceva "salve le discipline specifiche che prevedono forme più ampie di tutela della concorrenza [8] e l'art. 115 del Codice Urbani, a seguito del correttivo del 2006 (d.lg. n. 156) e di quello del 2008 (d.lg. n. 62), detta "disposizioni pro-concorrenziali ... molto rigorose" [9]. Pertanto l'interrogativo avrebbe trovato una pronta risposta nel criterio indicato dallo stesso legislatore. Il che però non sarebbe stato di impedimento, come in effetti è avvenuto [10], che le previsioni del Codice Urbani venissero 'completate' in via interpretativa con le indicazioni del diritto dei contratti di fonte europea.

Ora il quesito, in assenza di una disposizione corrispondente nel Codice del 2016, non trova più un'immediata soluzione. Al contempo, però, presenta un più ampio interesse, perché lo stesso Codice, sulla scia delle direttive del 2014/23-25, ha un impianto organico esteso anche alle concessioni e ai diversi istituti del partenariato pubblico-privato e pubblico-pubblico.

Una prima risposta al quesito potrebbe essere quella di delineare il rapporto fra il Codice Urbani e quello dei contratti in termini di 'non interferenza'. E ciò sulla base di due ordini di considerazioni:

- i servizi culturali di cui all'art. 115 del d.lg. n. 42/2004, in quanto (o comunque allorché) servizi non economici di interesse generale [11], sfuggono alla portata del Codice dei contratti che si occupa dei servizi di interesse generale (solo) di carattere economico;

- in ogni caso trova applicazione il criterio per il quale "lex posterior generalis non derogat priori speciali". Conseguentemente la materia della gestione dei servizi culturali è regolata dal Codice Urbani (lex specialis) e sulla disciplina da questo dettata non incide quella del Codice dei contratti (lex posterior generalis).

È chiaro che il primo argomento escluderebbe (almeno tendenzialmente) dalla portata del Codice dei contratti i servizi di cui all'art. 115, mentre (sempre tendenzialmente) non varrebbe per quelli considerati dall'art. 117, perché di massima presentanti un carattere economico.

È altresì da precisare che con l'utilizzo del secondo argomento (valido anche per i servizi ex art. 117) non si tratterebbe di una 'sottrazione' piena dalla disciplina del Codice dei contratti. Questa (lex generalis) sarebbe pur sempre da applicarsi per gli aspetti non disciplinati dal Codice Urbani (lex specialis), sia pure nei limiti di una coerenza con i principi in questo presenti.

3. (segue) b) la loro 'integrazione'

Ambedue gli argomenti non sarebbero però in grado di fornire una risposta adeguata al quesito prospettato. Anzitutto è da osservare che i servizi non economici non sfuggono alla portata del Codice dei contratti. Secondo l'art. 164, comma 3 (in attuazione dell'art. 4, comma 2, Direttiva 2014/23), tali servizi "non rientrano nell'applicazione della presente Parte [relativa ai contratti di concessione]". Il che significa non certo che essi non sono disciplinati tout-court dal Codice, ma solo che sono soggetti ad altra "Parte" del Codice: è da pensare a quella relativa ai contratti di appalto [12].

Per quanto concerne, poi, il principio della lex specialis, va ricordato che, secondo l'opinione prevalente e preferibile, esso non ha valore assoluto [13], giacché "i limiti di detto principio vanno, in effetti, di volta in volta, sempre verificati alla stregua dell'intenzione del legislatore. E non è escluso che in concreto l'interpretazione della voluntas legis ... evidenzi una latitudine della legge generale tale da non tollerare eccezioni" [14].

Orbene nel testo del Codice dei contratti si rinvengono vari elementi che inducono a ritenere che la sua portata includa senz'altro i servizi culturali:

- taluni servizi culturali vi trovano espressa menzione (art. 140 e All.to IX, ma v. anche 118° considerando, artt. 74 e 77, e All.to XIV Direttiva 2014/24);

- fra i contratti esplicitamente esclusi dall'ambito di applicazione del Codice (artt. 4 ss.) non compaiono quelli relativi a servizi culturali;

- l'art. 151, comma 3 permette l'attivazione di "forme speciali di partenariato ... dirette a consentire ... l'apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione dei beni culturali immobili".

Si può pertanto ritenere che la voluntas legis evidenzi una latitudine della portata della disciplina codicistica che include anche i servizi culturali (intesi nell'accezione di cui agli artt. 115 e 117 d.lg. n. 42/2004). Il che comporta il normale dispiegarsi del criterio cronologico nel rapporto fra Codice Urbani e Codice dei contratti: effetto abrogativo delle disposizioni incompatibili del Codice Urbani, perché anteriori nel tempo, e covigenza delle discipline da essi dettate nel caso opposto. In breve la risposta da preferirsi al quesito avanzato è che le norme del Codice Urbani integrano quanto dispone il Codice dei contratti in tema di affidamento dei servizi culturali.

La 'coesistenza' fra le due discipline codicistiche determina come significativo portato che le disposizioni degli artt. 115 e 117 vanno esaminate e interpretate all'interno del tessuto del Codice dei contratti e, a monte, della disciplina europea di riferimento. Detto in termini più chiari, va rovesciata la prospettiva di indagine in genere seguita nell'analisi degli artt. 115 e 117, che muove dalla distinzione fra forme di gestione diretta e indiretta e che poi opera un'integrazione (per quanto non previsto) con la disciplina europea o da questa derivata. Più corretto sul piano analitico è, viceversa, muovere dal quadro europeo e codicistico in tema di servizi di interesse generale per poi collocarvi in un rapporto di integrazione/specificazione (salvo i casi in cui emerga un'incompatibilità logica) le previsioni del Codice Urbani. A beneficio oltretutto - come risulterà dal prosieguo - di una lettura di tali previsioni resa più agevole dal contesto normativo in cui esse intervengono [15].

4. Il "principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche"

Dando seguito all'indicazione appena formulata, ritengo opportuno, prima di considerare le forme di gestione dei servizi culturali di cui agli artt. 115 e 117, fare cenno al "principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche" [16], principio espresso dalle direttive del 2014 e che regge la prestazione dei servizi di interesse generale [17]. Il principio si articola in due profili:

- libertà per le autorità nazionali e locali degli Stati membri di "decidere, in conformità ai principi del TFUE in materia di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e libera circolazione delle persone, di organizzare la prestazioni di servizi come servizi di interesse economico generale o come servizi non economici di interesse generale ovvero come una combinazione di tali servizi" (6° considerando Direttiva 2014/23, cfr. anche art. 2, par. 1, primo periodo e All.to IV nt. 1 della stessa). Libertà questa che implica quella di "definire, in conformità al diritto dell'Unione, quali essi ritengano essere servizi di interesse economico generale" (6° Considerando e art. 4, par. 1, Direttiva 2014/23, nonché art. 1, par. 4, Direttiva 2014/24);

- libertà per le autorità degli Stati membri di "decidere di espletare i loro compiti d'interesse pubblico avvalendosi delle proprie risorse o in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici o di conferirli ad operatori economici esterni" (art. 2, par. 1, terzo periodo, Direttiva 2014/23, ma v. anche il 5° Considerando della stessa Direttiva e il 7° della Direttiva 25). Libertà che nel 5° Considerando della Direttiva 2014/24 trova la seguente sottolineatura: "È opportuno rammentare che nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva" [18].

Ambedue i profili presentano interesse per i servizi culturali di cui agli artt. 115 e 117 d.lg. n. 42/2004.

Il primo sembra indicare quale elemento di distinzione fra servizi di interesse economico generale e servizi privi di tale interesse il dato organizzativo, ovvero il come l'amministrazione conforma l'erogazione del servizio, in particolare se la remunerazione dei fattori di produzione è assicurata o meno dal corrispettivo gravante sull'utenza. Ne consegue il superamento, nel caso dei servizi di interesse generale, del criterio utilizzato in genere per qualificare un'attività come economica o meno, costituito dalla presenza o dall'assenza di un mercato di riferimento [19]. Ben potranno esserci, invero, più operatori economici disposti a prestare un servizio di interesse generale, ma questo sarà da qualificarsi 'non economico' quando la remunerazione dei fattori di produzione è garantita dall'amministrazione.

Il profilo consente di sciogliere la questione della riconducibilità all'una o all'altra categoria dei servizi di cui all'art. 115 e 117, risultando decisiva la scelta organizzativa dell'amministrazione cui pertengono i beni culturali interessati dal singolo servizio. Per quello che si è detto in precedenza, la scelta non inciderà sulla soggezione alla disciplina del Codice dei contratti, ma solo sulla individuazione delle norme in cui essa si articola.

Con il secondo profilo (scelta della forma gestionale) non contrasta (perché si limita a precisarlo) la previsione contenuta nell'art. 115, comma 4, per la quale il ricorso alla gestione "indiretta" (ossia tramite la concessione a terzi, cfr. comma 3) è consentita al fine di assicurare un "miglior livello" di valorizzazione dei beni culturali. Il diritto europeo rimette alle autorità degli stati membri la scelta della forma di gestione. Il legislatore italiano ha posto come presupposto per la scelta della gestione "indiretta" da parte dell'amministrazione il requisito che essa garantisca un plus rispetto alla gestione "diretta".

5. Le forme di gestione: a) la gestione "con proprie risorse"

A utilizzare lo schema classificatorio presente nelle Direttive 2014/23 e 24 la prima forma di gestione a venire in rilievo è quella da parte dell'amministrazione "con proprie risorse", alla quale corrisponde nel linguaggio del Codice Urbani una delle ipotesi di gestione "diretta", ossia per mezzo di "strutture organizzative interne alle amministrazioni" (art. 115, comma 2). La disciplina nazionale aggiunge il requisito che tali strutture siano "dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico". Al riguardo c'è solo da ribadire che, nell'ottica del diritto europeo, la scelta non rappresenta una 'sottrazione al mercato' del servizio - e perciò da considerarsi in qualche misura 'd'eccezione' -, ma solo una delle alternative possibili per l'amministrazione interessata.

È appena il caso di rilevare che gli atti di organizzazione del servizio culturale "con proprie risorse", in quanto atti unilaterali, si pongono al di fuori del diritto dei contratti pubblici (cfr. art. 1, comma 1, Codice dei contratti e art. 1, par. 1 Direttive 2014/24 e 23), ma sono da considerarsi, impiegando l'ordine concettuale dell'art. 1, par. 6, Direttiva 2014/24, "questioni di organizzazione interna dello Stato membro".

6. (segue) b) la gestione "in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici"

La seconda forma di gestione è quella "in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici". Si tratta di una novità per le direttive in tema di appalti e concessioni (art. 17, par. 1-5 Direttiva 2014/23 e art. 12, par. 1-5 Direttiva 2014/24), giacché in precedenza aveva le caratteristiche di un istituto solo pretorio. Il Codice dei contratti la disciplina all'art. 5, commi 1-8. In realtà tale forma si articola in due figure, tradizionalmente qualificate di partenariato pubblico-pubblico, rispettivamente verticale o orizzontale [20].

La prima è costituita dall'in house providing (art. 5, commi 1-5), soggetto a tre condizioni:

- l'amministrazione aggiudicatrice (o l'ente aggiudicatore) [21] esercita sulla persona giuridica controllata un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;

- oltre l'80 per cento delle attività della persona giuridica controllata è effettuato nello svolgimento di compiti ad essa affidati dall'entità controllante o da altre persone giuridiche da questa controllate;

- nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati "ad eccezione di forma di partecipazione di capitali privati le quali non comportano controllo o potere di veto previste [22] dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata" [23].

La seconda figura è rappresentata dall'"accordo", concluso esclusivamente fra amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori in presenza di tre condizioni:

- l'accordo dà luogo a una cooperazione tra i partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell'ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune;

- l'attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all'interesse pubblico;

- le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione [24].

In presenza dei requisiti indicati il contratto (prima figura) oppure l'accordo (seconda figura) "non rientra nell'ambito di applicazione del Codice" (art. 5, comma 1 alinea, e comma 6 alinea) e l'affidamento del contratto (e probabilmente anche la conclusione dell'accordo) è soggetto, ai sensi dell'art. 4, al solo rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, pubblicità [25], tutela dell'ambiente ed efficienza energetica.

Sulla base di quanto rilevato in precedenza le due figure trovano perciò senz'altro applicazione anche a proposito dei servizi culturali di cui agli artt. 115 e 117. Alcune precisazioni paiono peraltro opportune.

La figura dell'in house providing, sebbene non menzionata dall'art. 115, era peraltro in precedenza ritenuta senz'altro ammissibile [26] e Ales, società partecipata interamente dal Mibact, deputata anche allo svolgimento dei servizi museali, ne ha costituito l'attuazione più significativa [27]. La possibilità, ora prevista della presenza dei privati non va però sopravvalutata anche nel settore dei servizi culturali, dal momento che tale partecipazione, per non precludere l'in house, deve essere "prescritta" o quantomeno "prevista" dalla legislazione nazionale. Il che evidentemente riduce non poco la potenzialità applicativa dell'apertura operata [28].

Relativamente alla figura dell'accordo fra amministrazioni aggiudicatrici, ammessa dalla giurisprudenza comunitaria in particolare dalla sentenza 9 giugno 2009, C-480/06, Commissione c. Rep. federale di Germania [29], può osservarsi che l'art. 115, comma 2, nel consentire la "gestione diretta in forma consortile pubblica", in qualche misura abbia anticipato la previsione del Codice dei contratti. È però da osservare che l'accordo nella previsione dell'art. 5, comma 6, non necessariamente deve dare luogo alla creazione di un'entità distinta, come invece indurrebbe la lettera dell'art. 115, comma 2, potendo esso presentare solo una valenza funzionale [30]. Soprattutto ormai non una qualsivoglia "forma consortile pubblica" è idonea a superare il vincolo della gara. Quest'ultima non si rende necessaria solo se ricorrono le condizioni fissate dalle lett. a)-c), sopra richiamate [31], della disposizione.

7. (segue) c) la gestione tramite conferimento "ad operatori economici esterni"

La terza forma di gestione è quella attuata con il conferimento del servizio tramite evidenza pubblica, con le modalità richieste, a seconda dei casi, per la concessione o l'appalto. La platea dei possibili affidatari è ampia. Si può trattare di soggetti, sotto il profilo formale, privati o pubblici nelle differenti configurazioni previste dall'ordinamento. Più agevole è la loro indicazione 'in negativo': si tratta di soggetti terzi rispetto all'amministrazione titolare del servizio e che non rientrano nel novero delle entità ricadenti nelle previsioni dell'art. 5. Per esemplificare, un soggetto interamente partecipato dall'amministrazione affidataria ma che non soddisfi il requisito del "controllo analogo" oppure un'amministrazione, partecipe dell'"accordo", che svolga sul mercato aperto più del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione.

Una considerazione a parte meritano le entità 'miste' (costituite dall'amministrazione titolare del servizio e soggetti privati). L'art. 5, comma 9 [32], recependo le indicazioni della giurisprudenza comunitaria (a partire dalla pronuncia Acoset [33]) accoglie la soluzione della gara per la scelta del socio privato (gara che al contempo, in linea con la posizione del giudice comunitario e come specificato dall'art. 17, comma 1, d.lg. n. 175/2016, ha oggetto anche l'affidamento del servizio) [34].

Nel caso di affidamenti con gara dei servizi culturali di cui agli artt. 115 e 117 dovrebbe trovare applicazione quanto disposto dall'art. 151, comma 3, del Codice dei contratti, secondo il quale "per assicurare la fruizione del patrimonio culturale della Nazione e favorire altresì la ricerca scientifica applicata alla tutela, il ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo può attivare forme speciali di partenariato con enti e organismi pubblici e con soggetti privati, dirette a consentire ... la gestione, l'apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali immobili, attraverso procedure semplificate di individuazione del partner privato analoghe o ulteriori rispetto a quelle previste dal comma 1.", che a sua volta richiama la disciplina dell'art. 19 dettata in tema di contratti di sponsorizzazione.

Il condizionale dipende dall'interpretazione del termine "partenariato", se cioè esso debba essere inteso secondo la nozione offerta dal Codice all'art. 3, comma 1, lett. eee), e al Titolo I, Parte IV, artt. 180 ss., incentrata sul meccanismo della c.d. finanza di progetto, oppure sia da interpretare in senso lato, come riferentesi a qualsivoglia forma collaborativa che intervenga fra Mibact e soggetti privati/pubblici. Nel primo caso, l'affidamento dei servizi di cui agli artt. 115 e 117 rientrerebbe nella previsione della disposizione solo presentando le caratteristiche proprie di questo partenariato (in particolare il finanziamento da parte dei partner del ministero). Nel secondo caso, qualsiasi affidamento dei servizi, purché per le finalità previste dalla disposizione, vi ricadrebbe senza la necessità di ulteriori requisiti.

Le peculiari finalità di tale partenariato e il riferimento come possibili partner anche a soggetti pubblici (che a seguire la prima interpretazione dovrebbero assumere il ruolo - inedito - di finanziatori a scopo remunerativo) fa propendere per la seconda interpretazione [35].

L'applicabilità dell'art. 151, comma 3, ai servizi di cui agli artt. 115 e 117 comporta la possibilità di utilizzare, come si è detto, "procedure semplificate di individuazione del partner privato [ma è da intendersi anche pubblico, considerato che la disposizione parla di partenariato anche "con enti e organismi pubblici"] analoghe o ulteriori rispetto a quelle previste" dall'art. 19, consistenti nella pubblicazione di un avviso pubblico e nella valutazione comparativa delle offerte pervenute. È difficile ipotizzare in che cosa possano tradursi le procedure semplificate "ulteriori", la cui definizione è rimessa al Mibact. È da pensare che esse non abbiano la possibilità di spingersi fino a escludere in radice il principio del previo avviso e della considerazione imparziale delle offerte ricevute (la semplificazione non può invero tradursi, pena il contrasto con il diritto europeo dei contratti pubblici, nella esclusione della gara). Pare certo, invece, che per i casi disciplinati dall'art. 5, che prescindono dalla gara, la previsione dell'art. 151, comma 3, non trovi spazio applicativo (una 'non gara' non può invero essere semplificata). Al più si può dire che il favor che ispira la disposizione verso la fruizione del patrimonio culturale rafforza la possibilità di applicare ai servizi di cui agli artt. 115 e 117 le previsioni dell'art. 5.

8. Questioni poste dall'art. 112 anche in connessione con l'art. 115 del Codice Urbani

La prospettiva di integrazione fra le discipline dei due Codici, qui seguita, consente anche di affrontare talune questioni poste dalla filiera 'programmazione strategica-programmazione operativa-gestione della valorizzazione' presente nella connessione fra l'art. 112 e l'art. 115 del Codice Urbani. Tali questioni concernono:

1. il regime dell'affidamento da parte dello Stato e degli altri enti territoriali ad "appositi soggetti giuridici" de "l'elaborazione e lo sviluppo" dei "piani strategici di sviluppo culturale e [dei] programmi, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica" (oppure anche "di proprietà privata, previo consenso degli interessati" (art. 112, commi 4 e 5);

2. la possibilità per tali "soggetti giuridici", allorché risultino conferitari di beni oggetto di valorizzazione (ai sensi dell'art. 115, comma 5), di gestire con proprie risorse i servizi relativi a detti beni.

Ambedue le questioni presentano la variante costituita dalla presenza di soggetti privati, presenza consentita dall'art. 112, comma 8.

Quanto alla questione sub 1), va osservato che l'art. 112, comma 5, non regolamenta le modalità di affidamento dell'incarico neppure quando si tratti di entità miste.

Alla luce della disciplina del Codice dei contratti la non previsione di una previa gara per l'affidamento dell'incarico appare corretta a condizione che detti soggetti soddisfino i requisiti dell'in house di cui all'art. 5, commi 1-5 oppure la pattuizione che intervenga fra gli enti territoriali risulti inquadrabile nello schema dell'accordo fra amministrazioni di cui all'art. 5, commi 6-8, del Codice dei contratti. In caso contrario l'affidamento necessita del previo espletamento della gara [36].

La partecipazione a tali soggetti di privati richiede talune precisazioni. Non sembra escludere la possibilità di inquadramento della fattispecie in termini di in house (se si richiede che la partecipazione sia, non "prescritta", ma "prevista" dalla legge) né preclude la figura dell'accordo fra amministrazioni se uno dei partner è un soggetto misto qualificabile come organismo di diritto pubblico [37] e perciò amministrazione aggiudicatrice. La scelta del privato deve però avvenire, ai sensi dell'art. 5 comma 9, con procedura di evidenza pubblica, sia pure nelle forme semplificate di cui all'art. 151, comma 3, Codice dei contratti.

Relativamente alla questione sub 2), la risposta affermativa circa la possibilità dei soggetti, quando conferitari dei beni, di gestire in proprio i servizi ad essi relativi, nel silenzio dell'art. 115, può ora basarsi fondamentalmente su due considerazioni [38]: se tali soggetti risultano qualificabili come amministrazioni aggiudicatrici [39], in forza del principio sopra richiamato di "libertà di amministrazione" essi ben possono decidere di esercitare con "proprie risorse" organizzative i servizi culturali relativi ai beni conferiti; se, invece, sono da qualificarsi come entità private (anche sul piano sostanziale), la loro autonomia, civilisticamente intesa, non può incontrare un limite non posto dalla norma.

 

Note

[1] In www.federalismi.it, n. 1/2018.

[2] Cfr. in particolare P. Carpentieri, Artt. 115-117, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, commento coordinato da R. Tamiozzo, Giuffrè, Milano 2005, pag. 504 ss.; Id., I decreti correttivi e integrativi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, in Urb e app., 2006, pag. 628 ss., il mio Valorizzazione, gestione e fondazioni nel settore dei beni culturali: una svolta dopo il d.lg. 156/2006?, in questa Rivista, 2006, 2 e C. Barbati, Le forme di gestione, in Il diritto dei beni culturali, (a cura di) C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Il Mulino, Bologna 2006, pag. 193 ss.

[3] Cfr. il mio Novità sul partenariato pubblico-privato nella valorizzazione dei beni culturali, in questa Rivista, 2009, 2; G. Piperata, Natura e funzione dei servizi aggiuntivi nei luoghi di cultura, ivi, 2010, 1; G. Manfredi, La "Fondazione La Grande Brera", il partenariato e la panacea di tutti i mali, ivi, 2014, 2, par. 2.

[4] Cfr. F. Liguori, I servizi culturali come servizi pubblici, cit., pag. 8. Sul tema resta di interesse M. Dugato, Fruizione e valorizzazione dei beni culturali come servizio pubblico e servizio privato di utilità pubblica, in questa Rivista, 2007, 2. Sul d.l. n. 149/2015 cfr. G. Piperata, Sciopero e musei: una prima lettura del d.l. n. 146/2015, ivi, 2015, 3 e ora L. Casini, Valorizzazione e gestione, in Diritto del patrimonio culturale, (a cura di) C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, G. Sciullo, Il Mulino, Bologna 2017, pag. 217 s.

[5] Cfr. F. Liguori, I servizi culturali come servizi pubblici, cit., rispettivamente pag. 14 e 18.

[6] Cfr. la dottrina citata alle nt. 2 e 3.

[7] Sul tema cfr. F. Lattanzi, Partenariato pubblico privato, in Codice dei contratti pubblici, (a cura di) R. Garofoli, G. Ferrari, Tomo I, Nel Diritto editore, Bari, 2017, pag. 2597 ss. e G. Santi, Il partenariato pubblico-privato ed il contratto di concessione. Il contraente generale, in Diritto dei contratti pubblici, (a cura di) F. Mastragostino, Giappichelli, Torino 2017, pag. 137 ss.

[8] Cfr. C. Iaione, La nozione codicistica di contratto pubblico, in www.giustamm.it, 2006, pag. 15.

[9] F. Liguori, I servizi culturali come servizi pubblici, cit., pag. 13, come pure il mio Valorizzazione, gestione e fondazioni nel settore dei beni culturali: una svolta dopo il d.lg. 156/2006?, cit., par. 4.

[10] Cfr. F. Liguori, I servizi culturali come servizi pubblici, cit., pag. 14 e 18, e in precedenza la dottrina citata alle note 3 e 4.

[11] Sul punto come pure sulla qualificazione di massima dei servizi di cui all'art. 117 come servizi con rilevanza economica sia consentito rinviare al mio Valorizzazione, gestione e fondazioni nel settore dei beni culturali: una svolta dopo il d.lg. 156/2006?, cit., par. 4 e nt. 9. Cfr. anche F.G. Pizzetti, I servizi culturali come servizi pubblici a rilevanza non economica: quale titolo competenziale per il legislatore regionale, in La valorizzazione dei beni culturali, (a cura di) P. Bilancia, F. Angeli, Milano 2006, pag. 104 e pag. 121 ss.

[12] La ragione della norma può probabilmente essere rintracciata nella circostanza che un servizio non economico, a seconda delle spiegazioni, o manca di un mercato oppure i proventi derivanti dall'utenza non sono in grado di remunerare i fattori di produzione (compreso il capitale), sicché è necessario per la sua prestazione l'apporto finanziario dell'amministrazione che affida il servizio. In ambedue i casi, sia pure per differenti motivi, mancherebbe quel "rischio operativo" che rappresenta il tratto caratterizzante della concessione (anche) di servizi (cfr. art. 3, comma 1, lett. vv), d.lg. n. 50/2016.

[13] Cfr. diffusamente A. Celotto, Fonti del diritto e antinomie, Giappichelli, Torino 2014, pag. 103 ss. V. altresì, ad esempio, R. Guastini, Le fonti del diritto, Giuffrè, Milano 2010, pag. 304.

[14] Così la pronuncia della Corte costituzionale, 19 febbraio 1976, 29, confermata dalla successiva giurisprudenza, in sintonia con la posizione già espressa da S. Pugliatti, voce Abrogazione, in Enc. Dir., vol. I, Giuffrè, Milano 1958, pag. 143.

[15] È da aggiungere che laddove vengano in rilievo società a partecipazione pubblica il quadro normativo di riferimento si arricchisce anche delle previsioni del d.lg. 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), alle quali però in questo scritto, salvo eccezioni, non si farà richiamo.

[16] Così la rubrica dell'art. 2 Direttiva 2014/23.

[17] Il principio è menzionato nel Codice dei contratti all'art. 166, ma in un'accezione assai ristretta rispetto a quella presente nelle Direttive del 2014, ossia come libertà per le amministrazioni aggiudicatrici e per gli enti aggiudicatori "di organizzare la procedura di scelta del concessionario, fatto salvo il rispetto delle norme di cui alla presente Parte [III, relativa ai contratti di concessione]".

[18] Sul tema cfr. G. Taccogna, I partenariati pubblico-pubblico orizzontali, in rapporto alla disciplina dell'aggiudicazione degli appalti, in www.federalismi.it, n. 18/2015, pag. 17 s.; C. Volpe, Le nuove direttive sui contratti pubblici e l'in house providing: problemi vecchi e nuovi, in Riv. dir. pubbl. com., 2015, pag. 1175 ss., e Cons. St., sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2515.

[19] Cfr., ad es., CGCE 22 gennaio 2002, in C-218/00, Cisal, punto 23; 2 settembre 2000, causa C-180/98 - C-184/98, Pavlov, punto 75; 16 giugno 1987, causa C-118/85, Commissione c. Italia, punto 7; 18 giugno 1998, causa C-35/96, Commissione c. Italia, punto 36. V. anche il Libro verde sui servizi di interesse generale del 21 marzo 2003, §2.3, punto 44, Corte cost., 3 novembre 2010, n. 325, punto 9.1, nonché la dottrina citata alla nt. 11.

[20] Cfr. G. Taccogna, I partenariati pubblico-pubblico orizzontali, in rapporto alla disciplina dell'aggiudicazione degli appalti, cit., pag. 13.

[21] Per le relative nozioni cfr. art. 3, comma 1, lett. a) ed e) del Codice.

[22] Nelle Direttive citate nel testo come pure nell'art. 16, comma 1, d.lg. n. 175/2016 il termine è "prescritte". Si diffonde al riguardo il 32° Considerando della Direttiva 2014/24.

[23] Sul tema cfr. A. Sinatra, Art. 5, in G. Ferrari, Codice dei contratti pubblici, cit., pag. 221 ss. e P. Novaro, L'in house providing, in Diritto dei contratti pubblici, cit., pag. 115 ss.

[24] In proposito cfr. A. Sinatra, Art. 5, cit., pag. 230 ss. e G. Taccogna, I partenariati pubblico-pubblico orizzontali, in rapporto alla disciplina dell'aggiudicazione degli appalti, cit., pag. 17 ss.

[25] Sul principio di trasparenza e su quello connesso di pubblicità cfr. art. 29 del Codice.

[26] Cfr. P. Carpentieri, I decreti correttivi e integrativi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, in Urb e app., 2006, pag. 629.

[27] Su tale società cfr. L. Casini, Valorizzazione e gestione, cit., 224, e C. Barbati, Organizzazione e soggetti, in Diritto e gestione dei beni culturali, cit., pag. 133 ss.

[28] Non sembra tenerne conto peraltro F. Liguori, I servizi culturali come servizi pubblici, cit., pag. 17 s.

[29] Ma in precedenza cfr. anche sentenza 13 novembre 2008, C-324/07, Coditel Brabant SA, punto 49. Su tale giurisprudenza e sulle posizioni assunte dal giudice amministrativo italiano, anche per ulteriori riferimenti, cfr. A. De Michele, Modelli di collaborazione pubblico-pubblico, in La collaborazione pubblico privato e l'ordinamento amministrativo, (a cura di) F. Mastragostino, Giappichelli, Torino 2011, pag. 710 ss. e pag. 733 ss., R. Caranta, Accordi tra amministrazioni e contratti pubblici, in Urb. app., 2013, pag. 393 s., A. Bartolini, Accordi organizzativi e diritto europeo: la cooperazione pubblico-pubblico (CPP) e la disciplina degli appalti, in Urb. app., 2013, pag. 1260 ss., C.P. Santacroce, Osservazioni sul "partenariato pubblico-pubblico", tra elaborazioni ed applicazioni giurisprudenziali del modello e nuove direttive europee in materia di appalti e concessioni, in www.giustamm.it, n. 6/2014, pag. 1 ss., G. Taccogna, I partenariati pubblico-pubblico orizzontali, in rapporto alla disciplina dell'aggiudicazione degli appalti, cit., pag. 14 ss.

[30] Al riguardo già la pronuncia C-480/06, punti 46 e 47.

[31] La prima applicazione intervenuta (o almeno esaminata dalla giurisprudenza) dell'art. 5, comma 6 (unitamente all'art. 151, comma 3, sempre del Codice dei contratti - sul quale infra nel testo) è quella dell'accordo Mibact-Comune di Ravenna per la gestione dei servizi aggiuntivi in alcuni luoghi di cultura statale presenti nell'area ravennate, oggetto della pronuncia cautelare del Cons. St., 6 dicembre 2017, n. 5311.

[32]"Nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e gestione di un'opera pubblica o per l'organizzazione e la gestione di un servizio di interesse generale, la scelta del socio privato avviene con procedure di evidenza pubblica".

[33] CGCE 15 ottobre 2009, C-196/08, già richiamata a proposito dei servizi culturali cfr. il mio Novità sul partenariato pubblico-privato nella valorizzazione dei beni culturali, in questa Rivista, 2009, 2.

[34]È da pensare che, pena un'illogica assimilazione fra entità mista e entità in house con partecipazione privata (laddove ammissibile), la gara per la scelta del partner privato non sia a doppio oggetto quando si riferisca a un'entità in house, cfr. C. Volpe, Le nuove direttive, cit., pag. 1194.

[35] Per la distinzione fra il partenariato di cui all'art. 151, comma 3, e la figura generale disciplinata dal Codice cfr. L. Casini, Art. 151, in Codice dei contratti pubblici, cit., Tomo II, pag. 2280.

[36] F. Liguori, I servizi culturali come servizi pubblici, cit., pag. 15, ritiene che non trovino applicazione i meccanismi di evidenza pubblica, perché "siamo in presenza di attività giuridica, non di attività materiale ... che la rendono contigua più alla logica della funzione che a quella del servizio". Si può osservare che, come il conferimento dell'incarico a terzi di progettare uno strumento urbanistico è considerato affidamento di un servizio, così l'affidamento del compito di elaborare e sviluppare piani strategici e relativi programmi sembra estraneo alla logica della funzione, nella quale, invece, rientra l'approvazione di detti strumenti da parte delle autorità territoriali che hanno assegnato l'incarico (al pari dell'adozione e approvazione dei piani urbanistici da parte degli enti interessati).

[37] Secondo la nozione di cui all'art. 3, comma 1, lett. d).

[38] Per il passato cfr. il mio Valorizzazione, gestione e fondazioni nel settore dei beni culturali: una svolta dopo il d.lg. 156/2006?, cit., par. 3.

[39] Il Codice dei contratti non menziona esplicitamente tra le amministrazioni aggiudicatrici le entità in house, tuttavia proprio la configurazione organizzativa di dette entità porta a considerarle tali, con la conseguente soggezione alla disciplina del Codice. In tal senso del resto è l'art. 16, comma 7, d.lg. n. 175/2016, che, sebbene dettato in tema di società in house, può considerarsi esprimere un principio di carattere generale. Sul punto cfr. P. Novaro, L'in house providing, cit., 135.

 

 

 



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