Pubblico e privato nella valorizzazione del patrimonio culturale. Due esperienze a confronto
Economia e gestione delle partnership nei Beni culturali. Riflessioni sull'esperienza di Ercolano
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Le PPP nel dibattito sulla conservazione del patrimonio. - 3. Natura e problemi di governance nei processi di conservazione del patrimonio culturale. La conservazione del patrimonio come responsabilità del governo centrale. - 3.1. I problemi della governance pubblica nei processi di conservazione del patrimonio. - 3.2. La valutazione dell'efficacia della governance nella conservazione del patrimonio. - 4. Disegno dello studio e fonti. - 5. Il progetto di conservazione di Ercolano (HCP). - 5.1. Uno schema di sponsorship tradizionale (2001-2004). - 5.2. Il "periodo eroico" (2004-2009). - 5.3. Strategia d'uscita (2009-in corso). - 6. Modelli di governance a confronto: Ercolano vs Pompei. - 6.1. La gestione della carenza di fondi. - 6.2. La gestione di personale specializzato. - 6.3. La gestione dell'esternalizzazione in condizioni di incertezza. - 7. Riflessioni conclusive.
Understanding the Impacts of Public-Private Partnerships in Heritage Conservation: Evidences from the Archeological Site of Herculaneum
In this paper we investigate if and
how public-private partnerships (PPPs) can contribute to the preservation of
cultural heritage as it is (i.e. without involving adaptive reuse). Because of
its intrinsic unprofitability, heritage conservation has historically fallen
under the responsibility of central governments. However, central
administrations might fall short in providing enough resources to conservation, selecting high skilled
personnel and outsourcing projects under uncertainty and contract
incompleteness conditions. Can partnerships help in dealing with these three interrelated
challenges? To answer this question, we present empirical evidences from the
archaeological site of Herculaneum, where heritage conservation has improved
dramatically since the launch of a partnership scheme in 2001. Then we compare
Herculaneum with the nearby archaeological site of Pompeii. We observe that the
main merit of the partnership was not (only) the provision of additional
resources, but better human resource management and more effective outsourcing
practices.
Keywords: Public-Private Partnership; Preservation of Cultural Heritage; Non-Profit.
L'interesse per la collaborazione del privato in forme adeguate e rispettose della natura dei beni culturali è testimoniato dalle recenti innovazioni legislative nel nostro paese. Al di là della sponsorizzazione [1], l'intervento del privato in forme più sistematiche come il partenariato [2] diventa più importante, tanto nel breve periodo - per la difficile situazione delle finanze pubbliche e della crisi economica - quanto nel lungo termine - per questioni più complesse legate all'agire della nostra pubblica amministrazione.
Del resto anche sul piano empirico non mancano gli esempi, dalla sponsorizzazione del Colosseo alla meno discussa (almeno a livello di quotidiani) esperienza di Ercolano, nata essa stessa come forma di sponsorizzazione ma venendosi poi a configurare come qualcosa di più coinvolgente.
Le ragioni economiche, organizzative e gestionali che caratterizzano l'intervento di partenariato non sono così semplici da analizzare, e anche le applicazioni si dimostrano nella pratica più complesse di quanto non appaia a prima vista. In questo articolo proponiamo una riflessione su questi aspetti, con un'analisi della letteratura internazionale sul tema relativamente a paesi e contesti in cui questi interventi sono più diffusi. Successivamente analizzeremo proprio l'esperienza di Ercolano, iniziata nel 2001 senza troppo rumore (con una scelta esplicita di una comunicazione low profile), e ora citata frequentemente come buona pratica non solo in Italia, pur mancando una comprensione dettagliata della sua natura e del suo evolversi nel tempo.
Per finire, proporremo un paragone con la dinamica di segno opposto di Pompei, che in altra sede [3] abbiamo definito una sorta di "lutto amministrativo" nazionale che è necessario elaborare a fondo per evitare futuri dolori. La stessa comparazione Ercolano/Pompei, al di là dell'interesse immediato su quanto è successo nel sito di Ercolano, è così un altro contributo per "elaborare il lutto" di Pompei.
Il nostro contributo, come il lettore vedrà subito, non proviene da una prospettiva giuridica, sia per nostre competenze e prospettiva disciplinare, sia perché riteniamo necessaria l'analisi delle logiche sottostanti per comprendere meglio le condizioni economiche, organizzative e gestionali sul piano generale (e tendenzialmente in molti contesti nazionali) di simili processi. Aspetti su cui poi interviene la norma, spesso "alla cieca", con effetti e impatti non sempre anticipati.
2. Le PPP nel dibattito sulla conservazione del patrimonio
Negli ultimi dieci anni, gli accordi di partneriato tra attori pubblici e privati (public private partnership o PPP) sono stati presentati come un approccio innovativo per la conservazione di monumenti, siti archeologici o centri strorici. Il Consiglio d'Europa (2005) ha sottolineato ad esempio la necessità di sviluppare delle linee guida sulle buone pratiche delle PPP nell'ambito della conservazione del patrimonio [4]. Più recentemente, l'Unesco (2013) ha affermato che "le partnership nel settore della cultura possono colmare i gap finanziari degli enti pubblici e offrire interessanti opportunità di investimento per il settore privato" [5].
Le PPP sono state definite come "accordi basati sull'impegno reciproco tra un'organizzazione pubblica ed un'organizzazione esterna all'amministrazione pubblica" [6]. Il loro scopo è di migliorare l'erogazione dei servizi pubblici promuovendo sinergie tra le competenze e le risorse dei partner e offrendo, allo stesso tempo, incentivi per tutti gli attori coinvolti. Due sono gli elementi costitutivi delle partnership: mutualità e identità [7]. La prima dimensione si riferisce alla condivisione di obiettivi, controllo e responsabilità tra i partner [8]. La seconda riguarda invece l'importanza delle distinte competenze e capacità che ogni partner porta in dote [9].
Nonostante l'interesse espresso da istituzioni quali il Consiglio d'Europa e l'Unesco per le partnership nei processi di conservazione del patrimonio, la comprensione delle opportunità e delle sfide che questi accordi implicano è ancora limitata. Nonostante il termine venga frequentemente citato nella letteratura che si occupa a vario titolo di politiche culturali, il concetto è raramente problematizzato o approfondito [10]. Vi sono, tuttavia, alcune eccezioni.
Macdonald e Cheong (2014) hanno recentemente pubblicato un rapporto su alcune esperienze di partnership finalizzate alla rigenerazione e alla ri-funzionalizzazione di monumenti storici [11]. Il progetto di ristrutturazione del Brooke Army Medical Center analizzato dalle autrici è un ottimo punto di partenza per capire la logica delle partnership nel settore culturale finora documentate. Costruito nel 1929, l'ospedale cessò le sue attività nel 1996. L'edificio rimase quindi inutilizzato per almeno dieci anni. Ciò costituiva un problema per il proprietario pubblico (l'esercito): poiché la demolizione era troppo costosa (e di difficile approvazione), l'edificio generava costi crescenti di manutenzione senza peraltro offrire alcun beneficio ai cittadini. Il coinvolgimento di un investitore privato in un modello di PPP rappresentò il primo passo per la soluzione del problema. Attraverso un contratto di leasing, il partner pubblico affidò l'edificio a due investitori nel ramo immobiliare. Questi ultimi, attratti dalla possibilità di profitto, rinnovarono l'edificio trasformando gli spazi ospledalieri in abitazioni ed uffici privati. La soluzione si rivelò vantaggiosa per tutti i partner coivolti: da un lato, l'attore pubblico potè conservare l'edificio storico e risparmiare sui costi di manutenzione; dall'altro, gli investitori poterono beneficiare delle entrate legate agli affitti degli spazi.
Su scala più ampia, ma seguendo una logica simile, accordi di partnership sono stati utilizzati per finanziare e gestire i processi di rigenerazione di interi centri storici in America centrale e meridionale [12]. Sempre nel campo della rigenerazione urbana, altri studi fanno riferimento all'utilizzo di schemi di partnership nell'ambito della rifunzionalizzazione del patrimonio industriale [13]. In questi casi fabbriche abbandonate, magazzini o aree portuali dismesse vengono trasformati in ristoranti, residenze private, teatri, sale concerti, gallerie d'arte.
A ben guardare, la fattibilità di esperienze quali il Brooke Army Medical Center o la rigenerazione dei centri storici in America Latina dipende da una condizione fondamentale: il riadattamento funzionale del patrimonio. In altre parole, nei casi descritti la conservazione delle caratteristiche esterne degli edifici viene ottenuta al prezzo di un cambiamento nelle funzioni e nel design interno, che deve essere rimodulato al fine di ottenere spazi per attività commerciali o residenze private. Tuttavia, il riadattamento funzionale del patrimonio culturale può risultare spesso infattibile per motivi di natura strutturale, finanziaria o giuridica. Innanzitutto, la struttura fisica dei monumenti può rendere impossibile il riadattamento: l'intervento potrebbe danneggiare il patrimonio esistente e/o le caratteristiche strutturali potrebbero impedire usi diversi da quelli originali. Inoltre, non tutti gli edifici storici che necessitano interventi di conservazione costituiscono un'altrettanto allettante opportunitá di investimento per gli attori privati. In questo senso il valore immobiliare, la collocazione geografica o la disponibilità di infrastrutture sono tutti elementi che possono influenzare le scelte degli investitori. Infine, anche nel caso in cui un progetto di riadattamento fosse strutturalmente fattibile e finanziariamente ragionevole, bisogna sempre tenere in considerazione che la legislazione sul patrimonio potrebbe vincolare le funzioni degli edifici per ragioni di conservazione o di accessibilità dei visitatori, anche se verosimilmente in modo diverso da paese a paese. La somma di questi tre elementi fa sì che modelli di partnership come quelli descritti da Macdonald e Cheong (2014) siano, ad esempio, difficilmente realizzabili nei siti archeologici.
In sintesi, nelle attuali esperienze di PPP di cui siamo a conoscenza, la conservazione del patrimonio è strumentale alla rigenerazione urbana. Inoltre, la possibilità di riadattare gli edifici costituisce la conditio sine qua non per il coinvolgimento di partner "for profit". Date queste premesse, vi è spazio per iniziative di partnership al di fuori di progetti che richiedano il riadattamento funzionale del patrimonio culturale ma che siano tuttavia orientate alla sua conservazione? E, in caso di risposta affermativa, quali attori dovrebbero essere coinvolti e con quali ruoli? Per rispondere a queste domande, è necessaria una breve digressione sulle caratteristiche costitutive dei processi di conservazione del patrimonio in prospettiva economica e organizzo-gestionale.
3. Natura e problemi di governance nei processi di conservazione del patrimonio culturale. La conservazione del patrimonio come responsabilità del governo centrale
Chi dovrebbe occuparsi della conservazione del patrimonio culturale? Come noto, la teoria economica suggerisce che se questa attività fosse lasciata ad attori for profit vi sarebbe una "sottoproduzione" di conservazione. Oltre ad essere scarsamente redditizia, la conservazione del patrimonio produce, infatti, esternalità positive che un meccanismo di mercato non sarebbe in grado di riconoscere - come ad esempio, il turismo culturale o l'identità delle piccole comunità. E' per questo motivo che la conservazione è spesso finanziata tramite fiscalità generale, salvo una parte minore coperta dalle entrate derivate dalla vendita di biglietti. In altre parole, la natura meritoria dei processi di conservazione del patrimonio fornisce la giustificazione teorica per il coinvolgimento dell'attore pubblico in questi processi.
Se la teoria economica può aiutarci a capire i motivi del sostegno pubblico alla conservazione del patrimonio, poco ci dice sul perché gli interventi di conservazione ricadano solitamente sotto la responsabilità dei governi centrali (ministero della Cultura, o sedi locali del ministero della Cultura), almeno nella maggior parte del mondo occidentale. Come già affermato altrove [14], la ragione principale è che la centralizzazione costituisce un efficace strumento per controllare l'attività professionale. La centralizzazione risponde cioè al bisogno di assicurare che gli esperti nel campo della conservazione abbiano le stesse competenze, seguano le stesse procedure, e, possibilmente, raggiungano gli stessi risultati in termini di qualità della conservazione su tutto il territorio nazionale [15]. Inoltre, la centralizzazione gioca a favore degli amministratori pubblici nel caso sorgano dispute con le lobby locali. E' interessante ad esempio comparare il sistema italiano di conservazione, altamente centralizzato, con quello cinese, estrememente decentralizzato. I pubblici ufficiali cinesi responsabili della conservazione sono assunti dall'amministrazione locale e non dal ministero centrale [16]: bloccare un progetto di sviluppo urbano proposto dal sindaco significa per l'equivalente cinese di un nostro Soprintendente osteggiare il proprio datore di lavoro, con possibili ripercussioni a livello di carriera. Al contrario, il fatto che i soprintendenti italiani rispondano direttamente al ministero gioca a favore della loro indipendenza professionale (almeno a livello teorico).
3.1. I problemi della governance pubblica nei processi di conservazione del patrimonio
Se il fallimento del mercato nel garantire la conservazione del patrimonio può essere generalizzato a diversi contesti e diversi paesi, il livello di efficacia della burocrazia pubblica nell'elaborare e nel mettere in atto le attività di conservazione varia invece da contesto a contesto.
Innanzitutto, la conservazione del patrimonio è un settore spesso caratterizzato da una carenza di finanziamenti pubblici. Ad esempio, la carenza di fondi degli enti culturali è un problema cronico in paesi come l'Italia: nonostante la quantità impressionante di momunenti e siti, l'Italia è in fondo alle classifiche per investimento culturale (1.1% del Pil, contro una media europea di 2.2% secondo Eurostat, senza però contare il contributo delle fondazioni bancarie); l'attuale crisi finanziaria ha inoltre peggiorato ulteriormente il problema della carenza di fondi.
Più precisamente, l'efficacia del sistema di governo pubblico nel campo della conservazione dipende dall'abilità dell'amministrazione di intervenire su strutture estremamente complesse. Ma cosa significa complessità nel contesto della conservazione del patrimonio?
Raramente si riconosce il ruolo delle scienze dure e della tecnologia nel cosiddetto dibattito di "management culturale". Ciò è sorprentente se si pensa che titoli come "Excimer laser removal of beeswax from Galician granite monuments" [17] o "First experiments for the use of microblasting technique with powdered cellulose as a new tool for dry cleaning artworks on paper" [18] appaiono spesso nelle riviste specializzate nella conservazione del patrimonio. Inoltre, a livello operativo, i lavori di conservazione richiedono il coinvolgimento di competenze diverse, dalla storia dell'arte alla chimica, dalla geologia all'ingegneria.
Di conseguenza, l'organizzazione dei processi di conservazione è un compito multidimensionale che affronta problemi non lontani da quelli sperimentati nei cosiddetti contesti knowledge-intensive (come ad esempio il settore bio-medicale, quello aerospaziale o informatico). In primo luogo allora vi è la necessità di gestire le competenze necessarie per comprendere i problemi di conservazione e pianificare soluzioni efficaci. In secondo luogo, i progetti che richiedono competenze tecniche complesse implicano tipicamente lo svolgimento di attività ad alto livello di incertezza [19]. Questo amplifica, in molti casi, le conseguenze negative dell'incompletezza dei contratti [20] durante la fase di attuazione (su questo tema si tornerà più avanti).
Gestire le competenze significa riuscrire ad acquisire risorse umane specializzate, selezionarle, motivarle, consentirne l'azione e premiarne i risultati. Come menzionato in precedenza, le amministrazioni pubbliche centrali possono essere più o meno efficaci nel gestire (in senso ampio, a partire dalla selezione) di personale specializzato. Certo il caso della nostra amministrazione centrale non è tra i più felici: ad esempio, nelle diramazioni locali del Mibac, "non solamente il ministero stila gli accordi sul personale per la soprintendenza e stabilisce i vari compiti e ruoli dei suoi impiegati (in un modo estremamente atomizzato e rigido); ma al contempo assume (attraverso concorso pubblico), amministra (paga salari e si occupa di contribuiti e pensioni) e gestisce direttamente (avanzamenti di carriera e premi di produzione) gli impiegati della soprintendenza, che di fatto è una mera appendice del ministero" [21].
In tempi di tagli alle spese pubbliche, non è raro che i professionisti non siano sostituiti quando vanno in pensione; provocando quindi carenza di architetti, storici dell'arte o archeologi, spesso in posizioni chiave [22]. Non è solo una questione di numeri. L'ambiente organizzativo è infatti stato descritto come capace di "rendere improduttivo anche il più motivato tra gli impiegati (ad esempio, mancanza o obsolescenza dei computer)" [23]. Si può quindi argomentare che un'amministrazione pubblica come quella italiana possa spesso risultare inefficace nella gestione delle competenze necesssarie per la conservazione del patrimonio culturale [24].
Ma la gestione del personale qualificato rappresenta solo una parte del problema. Una volta che i progetti di conservazione sono stati pianificati, qualcuno deve attuarli. A tal fine, due opzioni sono possibili nella pubblica amministrazione: affidamento in house o esternalizzazione [25]. Nel primo caso, l'amministrazione autoproduce i beni o i servizi di cui abbisogna. Se da un lato questa modalità garantisce una totale supervisione dei processi produttivi unitamente a costi contrattuali bassi, dall'altro può portare a soluzioni subottimali in termini di efficienza. Di conseguenza - e in particolare nell'ambito delle riforme ispirate al New Public Management (NPM) - è stato spesso promosso il ricorso all'esternalizzazione quale modo per ridurre i costi dell'amministrazione. E' tuttavia importante ricordare che esistono vari approcci all'esternalizzazione: più nello specifico le procedure di esternalizzazione possono essere idealmente posizionate all'interno di un continuum che spazia dagli approcci di tipo transactional a quelli di tipo relational [26]. I modelli di outsourcing di tipo transazionale sono caratterizzati da visione a breve termine e assenza di sinergie tra chi partecipa allo scambio [27]; in questi approcci il controllo dell'appaltatore sull'appaltante si realizza principalmente tramite l'implementazione di specifiche contrattuali [28]. Al contrario, un approccio all'outsourcing di tipo relazionale richiede alti livelli di cooperazione, fiducia reciproca e informalità [29]: ciò consente, tra l'altro, una riduzione considerevole dei costi di transazione [30]].
Diversi autori hanno sottolineato gli inconvenienti dell'approccio transazionale all'outsourcing [31]. L'approccio transazionale utilizza principalmente i contratti formali come meccanismo di governo e regolazione dello scambio. Tuttavia, può risultare difficile stilare contratti che includano tutte le contingenze che possono venire a verificarsi (i contratti saranno sempre "incompleti" in una certa misura). L'incompletezza dei contratti può dar vita a problemi di opportunismo: coloro che sono incaricati dell'attuazione di un progetto possono opportunisticamente affermare che lo scarto tra progetto e risultati sia dovuto a contingenze esterne piuttosto che a una loro mancanza. E' proprio per ridurre la possibilità di comportamenti opportunistici che i contratti si appesantiscono di clausole, condizioni ed incentivi, oltre a prevedere determinate procedure di ispezione.
Tra i lavori pubblici, i progetti di conservazione del patrimonio sono particolarmente esposti al problema dell'incompletezza dei contratti. Si confronti, ad esempio, un progetto di costruzione di un nuovo sistema fognario in una zona recentemente urbanizzata con un progetto di conservazione per rimettere in funzione un antico sistema fognario in un sito archeologico. Nel secondo caso, le tecniche di costruzione utilizzate secoli fa saranno conosciute solo parzialmente; inoltre, sarà impossibile prevedere la totalità degli effetti dell'intervento: alcuni problemi si manifesteranno in corso d'opera, altri saranno causati dall'intervento stesso.
Di conseguenza, similmente ad altri contesti knowledge-intensive, l'attuazione dei progetti di conservazione presenta problemi di incertezza che amplificano a loro volta l'incompletezza dei contratti. In queste situazioni è difficile fornire una descrizione dettagliata di tutte le caratteristiche dell'intervento prima della sua effettiva realizzazione. I modelli di outsourcing transazionale rischiano quindi di moltiplicare esponenzialmente l'impatto negativo dell'incertezza: data l'impossibilità di prevedere in anticipo tutte le caratteristiche dell'intervento, ogni cambiamento richiederà una ri-negoziazione dei termini contrattuali, comportando un inevitabile ritardo nell'esecuzione dei lavori. D'altra parte, aggiustamenti in itinere tra le parti potrebbero altresì offrire risultati migliori rispetto al coordinamento tramite protocolli e contratti [32]. In altre parole si vuole suggerire che modelli di outsourcing più vicini all'approccio relazionale possono risultare più efficaci date le specificità dei processi di conservazione del patrimonio culturale.
Come nel caso della carenza di fondi e della selezione delle risorse umane, sarebbe errato ritenere le burocrazie centrali aprioristicamente incapaci di organizzare le proprie procedure di outsourcing in modo relazionale anziché transazionale: se questo sia possibile o no è questione empirica, da indagare caso per caso.
3.2. La valutazione dell'efficacia della governance nella conservazione del patrimonio
L'analisi presentata nei paragrafi precedenti suggerisce che la governance dei processi di conservazione deve far fronte a tre sfide interconnesse. Essa deve infatti:
• fornire fondi sufficienti per un'attività intrinsecamente non redditizia, sebbene cruciale per lo sviluppo culturale ed economico della comunità;
• rendere possibile la gestione di personale altamente qualificato (a partire dalla sua selezione), capace di diagnosticare problemi di conservazionie e di proporre soluzioni condivise dalla comunità professionale;
• garantire procedure di esternalizzazione efficaci, che minimizzino gli effetti dell'incertezza e dell'incompletezza dei contratti.
Si è sostenuto finora che se da un lato il modello "for profit" è destinato universalmente a fallire data la non redditività delle attività di tutela del patrimonio, dall'altro l'efficacia delle autorità centrali deve essere invece valutata empiricamente. La centralizzazione può favorire il mantenimento di elevati standard professionali e garantire l'indipendenza del personale delle Soprintendenze: al tempo stesso, tuttavia, essa rischia di essere poco efficace nel far fronte a problemi di carenza di fondi, di selezione del personale e gestione dei processi di esternalizzazione. Quest'ultimo elemento è particolarmente cruciale poiché anche un team di archeologi o architetti qualificati e dotati di fondi sufficienti fallirebbe se non fosse in grado di coordinare e orientare il lavoro di costruttori, restauratori o decoratori.
Nelle pagine successive proveremo a valutare se e come accordi di partnership pubblico privato possano rappresentare una soluzione concreta alle tre sfide dettagliate sopra focalizzandoci sull'esperienza di Ercolano.
4. Disegno dello studio e fonti
I risultati delle partnership - anche al di fuori del settore del patrimonio culturale - vengono solitamente valutati attraverso il cosiddetto approccio "prima/dopo": il livello di efficienza ed efficacia dei servizi pubblici viene valuatato prima e dopo il coinvolgimento dell'attore privato nello schema di partnerariato. Sebbene intuitivo, questo approccio ha una debolezza intrinseca. Remler e Ryzin suggeriscono infatti che, usando l'approccio "prima/dopo", "i ricercatori non hanno la capacità di controllare tutte le varibili di contesto - il mondo va avanti [...] l'economia, il clima, le tendenze sociali, le crisi politiche.... durante il trattamento può verificarsi ogni tipo di evento, e alcuni di questi posso influenzare i risultati" [33].
Un modo per superare questo problema è comparare il caso studiato con un controfattuale, vale a dire un caso simile dove la variabile principale - la partnership nel nostro caso - non sia presente. Così facendo, è possibile isolare gli effetti della variabile di interesse con maggiore precisione. In altre parole utilizzando un controfattuale si può rispondere con maggiore precisione alla domanda "quale sarebbe stato il livello di conservazione del patrimonio se la partnership non fosse stata messa in atto?".
Non è sempre possibile applicare una logica controfattuale quando si tratta di edifici o centri storici: in effeti, l'unicità storica, culturale e strutturale è una delle caratteristiche principali di edifici e siti culturali; inoltre, ogni bene culturale è esposto a problemi di conservazione specifici e, di conseguenza, il coinvolgimento di competenze e tecniche diverse può compromettere la comparabilità di due progetti. Ancora più determinanti sono il contesto amministrativo nazionale e l'assetto proprietario del patrimonio, elementi che possono far variare drammaticamente la quantità di risorse disponibili (umane e finanziarie), ciò che è permesso e ciò che non lo è in termini di interventi sulle strutture, nonché le procedure di outsourcing.
In questa ricerca riusciamo a superare in parte i limiti metodologici degli studi precedenti conducendo una sorta di studio "caso-controllo" basato sul confronto tra Ercolano ed il vicino sito archeologico di Pompei. Situate a circa 20 km di distanza, le due antiche città romane furono profondamente danneggiate durante l'eruzione del Vesuvio nel 79 DC. Nonostante la diversa dimensione (Pompei è circa dieci volte più grande di Ercolano), le due città presentano problemi di conservazione simili in termini di degrado nelle strutture murarie e nelle coperture, estrema fragilità delle decorazioni e dei mosaici, esposizione alle intemperie e ad altri fattori ambientali (pioggia, umidità, pressione turistica). Elemento ancora più rilevante per la nostra analisi, i due siti sono sotto la giurisdizione dello stesso ente pubblico, ovvero la allora Soprintendenza Autonoma di Napoli e Pompei. Nel complesso, la differenza principale risiede nel fatto che, negli ultimi dieci anni, i lavori di conservazione a Ercolano sono stati condotti attraverso una partnership che ha coinvolto la soprintendenza e due partner non-profit; a Pompei invece le medesime attività sono state condotte dalla sola soprintendenza.
I dati su Pompei provengono da lavori già pubblicati in precedenza [34] mentre i dati su Ercolano sono stati raccolti tra giugno e dicembre 2012 [35]. Durante questo periodo i due autori hanno partecipato ad un progetto di consulenza riguardante gli sviluppi futuri delle strategie di uno dei partner privati dell'iniziativa. Lavorare fianco a fianco con gli esperti dell'Herculaneum Conservation Project - questo il nome della partnership - ha permesso una sorta di immersione nel contesto organizzativo. Nel complesso, la ricerca si basa su varie fonti, tra cui interviste con attori chiave e la raccolta di documenti rilevanti. Più specificamente, abbiamo raccolto tutti i rapporti annuali prodotti dall'Herculaneum Conservation Project (HCP) tra il 2001 e il 2011; le tre versioni del contratto che regola la partnership, redatte rispettivamente nel 2001, 2005 e nel 2009; sette articoli scientifici e due presentazioni power point prodotti da membri del team. Abbiamo inoltre condotto un totale di sette interviste approfondite con il manager della partnership e sei consulenti coinvolti nel team di conservazione. Grazie ai dati raccolti, la ricerca copre l'evoluzione del progetto di conservazione di Ercolano dalla sua fondazione nel 2001 al 2012.
Da un punto di vista analitico, forniremo innanzitutto un resoconto approfondito dell'esperienza della partnership di Ercolano, delineando la sua evoluzione lungo dieci anni. In seguito, compareremo il modello di governance adottato ad Ercolano con quello di Pompei, con l'obiettivo di comprendere l'impatto che ogni modello di governance (partnership vs amministrazione pubblica) può avere sulle tre sfide che caratterizzano i processi di conservazione del patrimonio: la carenza di fondi, la selezione di personale qualificato e l'esternalizzazione in condizioni di incertezza e contratti incompleti.
5. Il progetto di conservazione di Ercolano (HCP)
Il progetto di conservazione di Ercolano è un modello che viene spesso citato nell'attuale dibattito sulla gestione del patrimonio [36]. Il suo funzionamento è, tuttavia, più complesso di quanto emerge dalla letteratura disponibile. In particolare, dal 2001 in poi gli obiettivi e le caratteristiche organizzative dell'iniziativa hanno vissuto una profonda evoluzione. Possiamo identificare tre fasi, ciascuna con caratteristiche e livelli di efficacia diversi:
• una prima fase tra il 2001 e il 2004, in cui il coinvolgimento del partner privato si limitava ad un rimborso dei lavori pianificati e attuati dalla Soprintendenza;
• una seconda fase, tra il 2004 e il 2009, in cui il partner privato ha assunto direttamente la responsabilità di pianificazione e attuazione dei lavori;
• una terza fase, iniziata nel 2009 ed ancora in corso, in cui il partner privato sta trasferendo gradualmente i lavori di manutenzione al partner pubblico.
5.1. Uno schema di sponsorship tradizionale (2001-2004)
Alla fine degli anni '90 il degrado del sito archeologico di Ercolano cominciava ad attirare l'attenzione a livello internazionale. Per ragioni di sicurezza, le antiche domus venivano chiuse al pubblico in rapida successione e le "preziose decorazioni, le strutture, e le scarpate che circondano il sito cominciavano a sgretolarsi e a crollare" [37]. Le cause di un simile degrado erano varie: sicuramente non bisogna dimenticare le precarie condizioni strutturali delle rovine. Gli edifici, già danneggiati da vari terremoti precedenti al 79 DC, furono devastati dall'eruzione del 79 DC. Dopo 200 anni di relativa stabilità durante i quali i resti dell'antica Ercolano rimasero coperti dal materiale vulcanico, l'equilibrio fu rotto dai primi scavi effettuati tramite cunicoli dai Borboni nel 18° secolo e successivamente da campagne più sistematiche nella prima metà del 20° secolo. Inoltre, l'attività sismica (un forte terremoto ha colpito la zona nel 1980), l'inquinamento e il vandalismo hanno ulteriormente peggiorato le condizioni del sito [38]. Per comprendere la situazione di Ercolano sul finire degli anni '90 è tuttavia necessario considerare anche alcune questioni più strettamente organizzative. Dopo la campagna di scavi diretta da Amedeo Maiuri (1927-1961), il ministero non riuscì infatti a garantire fondi regolari per la manutenzione delle strutture portate alla luce. Il problema fu esacerbato dal fatto che tra il 1989 e il 1997 i fondi aggiuntivi vennero utilizzati per finanziare ulteriori scavi [39], aumentando così il bisogno complessivo di manutezione dell'area. Come se non bastasse, il ricorso sempre più diffuso all'esternalizzazione ha peggiorato negli anni i problemi anziché garantire qualità ad un costo inferiore: la supervisione delle ditte incaricate di condurre i lavori sul sito è stata spesso, infatti, inefficace a causa delle carenze di personale della soprintendenza, sia in termini di numeri che di competenze [40].
E' in questo scenario complesso che il Packard Humanities Institute (da qui PHI), una fondazione non-profit statunitense dedita al finanziamento di progetti del settore culturale, decise di contribuire alla conservazione di Ercolano. Nel giugno 2000, PHI e Soprintendenza concordarono un memorandum di intenti che portò alla creazione dell'Herculaneum Conservation Project(HCP). PHI sarebbe intervenuto ad Ercolano in due modi: rimborsando una serie di lavori di conservazione pianificati e attuati dalla Soprintendenza (725 mila euro), e conducendo attività di ricerca sulle modalità di conservazione di una sotto-sezione del sito, l'Insula Orientalis I (865mila euro) [41]. Per quanto riguarda questa seconda attività, l'idea di lungo termine era di investigare le problematiche dell'Insula Orientalis I per poi estendere i risultati del caso studio esplorativo a situazioni analoghe nel sito.
5.2. Il "periodo eroico" (2004-2009)
La seconda macro-fase della storia amministrativa di HCP fu innescata dalla parziale insoddisfazione dei partner nei confronti dello schema usato fino a quel momento. Come riconosciuto dal direttore di HCP, le azioni che potevano essere attuate sul sito attraverso la Soprintendenza erano limitate: "i suoi [della soprintendenza] lunghi tempi di esecuzione per preparare e commissionare i lavori implicavano semplicemente il rischio di arrivare in ritardo" [43]. Come affermato dal project manager, "il vero problema era che [la soprintendenza] non aveva la capacità operativa per utilizzare i fondi efficacemente" [44]. La stessa preoccupazione era espressa dal direttore del sito di Ercolano, un funzionario della soprintendenza, che riconosceva che il modello creato durante la prima fase "non accelerava di molto i progetti", e che c'era quindi il bisogno di trovare una soluzione in grado di aumentare l'efficacia delle operazioni sul sito. Non un problema di denaro quindi, ma una difficoltà a spendere in modo rapido e, soprattutto, efficace.
Nel 2004 il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 pensato per incoraggiare la sponsorizzazione nel settore culturale rese possibile un maggiore coinvolgimento del partner privato: un contratto di sponsorizzazione tra la soprintendenza e un partner privato avrebbe permesso all'ente esterno di intraprendere i lavori di conservazione sul sito, a sue spese e sotto la sua stessa gestione, riducendo così le lungaggini della legge sui lavori pubblici [45]. L'ente esterno era la British School at Rome (BSR) che firmò un contratto di cinque anni con la soprintendenza, secondo il quale la BSR avrebbe pianificato, esternalizzato e pagato le attività di conservazione all'interno del sito archeologico di Ercolano grazie ai fondi del PHI.
Come afferma Thompson [46], il contratto di partnership rappresentava un'innovazione radicale nello scenario italiano: "per la prima volta, un partner privato poteva intervenire direttamente su un sito pubblico per effetuare lavori di conservazione a proprie spese e sotto la propria gestione, usando contratti di tipo privato per assumere consulenti specializzati." (enfasi nell'originale).
Da un punto di vista organizzativo, il numero di consulenti coinvolti in HCP aumentò: un ingegnere strutturale, un ingegnere specializzato in gestione delle acque, un esperto di conservazione e uno specialista informatico integrarono la squadra inziale già composta da un architetto, un restauratore, un archeologo e un project manager [47].
Tra il 2004 e il 2009, gli sforzi degli specialisti di HCP si focalizzarono su tre aree di intervento: le strutture murarie, le decorazioni e la gestione delle acque. Per quanto riguarda i lavori sulle strutture murarie e le decorazioni, ad una "campagna di emergenza" iniziale (2005-2007) seguì una progressiva messa a punto di procedure di manutenzione standardizzate che avrebbero permesso il mantenimento dei risultati raggiunti anche nel lungo periodo. Il programma di gestione delle acque era invece orientato a risolvere i problemi legati allo smaltimento dell'acqua piovana e alla riduzione dei problemi causati dall'umidità su tutto il sito. Dopo una fase di ricerca e pianificazione, vennero svuotati e resi operativi 700 metri dell'antico sistema fognario romano. Dal 2008, i lavori si sono concentrati sull'Antica Spaggia, ovvero la zona più bassa del sito nella quale convergono le acque sotterranee, quelle piovane e quelle catturate dal sistema di drenaggio per poi essere pompate verso il mare.
Ad un livello più generale, nella seconda fase di HCP si assistette anche ad un cambiamento nell'approccio ai lavori di conservazione che venivano portati avanti nel sito di Ercolano. Nel passato, ed in parte ancora oggi, la soprintendenza implementava grandi progetti di conservazione "edificio per edificio". Questo comportava due problemi principali: i grandi progetti di conservazione richiedevano investimenti ingenti, che erano solitamente difficili da ottenere; inoltre, anche quando i fondi erano stanziati, la conservazione di singoli edifici condotta in assenza di una pianificazione su larga scala non era sufficiente a contrastare efficacemente il degrado. In assenza di misure adeguate, infatti, la copertura di un edificio recentemente restaurato può indirizzare l'acqua piovana sugli edifici circostanti, accelerando quindi il loro degrado. Gli interventi di HCP furono invece organizzati attorno a categorie di problemi: tetti, muri, sistema di gestione dell'acqua. Seguendo una scala di priorità, gli interventi venivano pianificati su tutto il sito e non su singoli edifici.
Inoltre, particolari sforzi furono fatti per individuare e eliminare le cause del degrado anziché tamponarne solo le conseguenze, come spesso veniva fatto utilizzando misure temporanee [48]. Grazie agli 8,7 milioni di euro donati dal PHI durante quella che alcuni consulenti di HCP hanno definito "la fase eroica", l'80% delle coperture danneggiate sono state sostituite e nuove coperture sono state create dove necessario; quasi l'intera totalità delle murature antiche sono state stabilizzate, così come le decorazioni (affreschi e mosaici); la riattivazione dell'antico sistema di drenaggio si è dimostrato efficace nel ridurre problemi causati dall'acqua. Uno dei più grandi successi dell'iniziativa è stata la riapertura dell'intero Decumano Massimo nel 2011, fino a quel momento aperto solo parzialmente perché a rischio di crollo.
5.3. Strategia d'uscita (2009-in corso)
Dopo il successo della campagna di emergenza, gli interventi di HCP dal 2009 sono stati rivolti soprattutto al completamento dei lavori in corso e alla consegna delle "buone pratiche" alla Soprintendenza.
Nell'agosto 2009, la soprintendenza ed i partner privati hanno concordato un rinnovo quinquennale dell'accordo di partnership che prevede tuttavia alcuni importanti cambiamenti. In aggiunta ai progetti già pianificati, appaltati e pagati dai partner privati, il nuovo contratto elenca infatti una serie di progetti che saranno pianificati dal partner privato ma appaltati e finanziati dalla soprintendenza. All'interno di questa "programmazione congiunta", la soprintendenza si impegna ad investire su Ercolano un milione di euro per il 2009 e quasi due nel 2010 e nel 2011 rispettivamente per finanziare progetti pianificati sia dagli specialisti di HCP che dalla soprintendenza stessa.
La strategia di uscita comporta quindi una complessiva riduzione del coinvolgimento dei partner privati nel sito. Ciò non rappresenta una sorpresa, ma un indirizzo che aveva già caratterizzato la fase precedente, durante la quale una parte degli sforzi degli specialisti HCP erano stati orientati a creare dei "pacchetti di manutenzione" standardizzati che la soprintendenza avrebbe poi potuto appaltare autonomamente in seguito.
Nell'ambito della exit strategy gli specialisti di HCP hanno già consegnato alla Soprintendenza tre progetti principali: la manutenzione o la sostituzione delle protezioni (640 mila euro), la costruzione di nuove protezioni nell'Insula Orientalis I e II (180 mila euro) e una campagna di interventi per garantire la sicurezza delle decorazioni (180 mila euro). Allo stesso tempo, HCP non ha interrotto totalmente le sue azioni dirette sul sito - vale a dire l'implementazione di progetti pianificati, finanziati e appaltati dai partner privati: questi progetti riguardano soprattutto il completamento di interventi già iniziati nelle fasi precedenti.
Più recentemente però, sembrerebbe esserci un ripensamento sull'ipotesi di uscita, posto il rischio che nella situazione di crisi finanziaria attuale quanto fatto potrebbe degradare molto velocemente.
6. Modelli di governance a confronto: Ercolano vs Pompei
L'obiettivo di questo articolo è di analizzare le potenzialità delle public private partnership nella conservazione del patrimonio al di fuori dei progetti di rigenerazione urbana che richiedono un riadattamento funzionale delle strutture. A questo scopo, analizzando la natura dei processi di conservazione abbiamo evidenziato che uno schema di governance efficace in questa area dovrebbe risolvere tre problemi interrelati: la carenza di fondi, la gestione di personale qualificato, e l'esternalizzazione in condizione di incertezza.
Concentrandoci sul caso di Ercolano, abbiamo analizzato l'evoluzione dell'accordo di partnership e i principali cambiamenti avvenuti a livello di conservazione del sito. Tuttavia, per verificare con maggiore chiarezza la supposta relazione tra partnership e migliore conservazione del sito, in questa sezione mettiamo a confronto Ercolano con un sito archeologico simile, ma dove i lavori di conservazione non siano stati condotti attraverso una partnership, ovvero Pompei. Alla fine degli anni '90 Ercolano e Pompei condividevano una simile situazione di degrado. Ercolano era stato considerato "l'unico sito archeologico del mondo occidentale in uno stato di degrado così avanzato ma senza una guerra civile che potesse giustificarlo" [49]. Nello stesso periodo il World Monument Fund co-finanziava uno studio finalizzato ad invertire il lento decadimento di Pompei [50], che si accompagnava alla riforma della stessa autonomia di Pompei. Negli ultimi dieci anni, tuttavia, i due siti hanno avuto storie diverse. Come recentemente riconosciuto dall'Unesco [51], a Ercolano il livello di conservazione è aumentato in modo considerevole: al contrario, i crolli registrati a Pompei dal 2010 in poi - tra cui quello drammatico della Schola Armaturarum nel novembre 2010 - confermano la costante condizione di emergenza del sito. Più in generale, il fallimento della riforma dell'autonomia testimonia anche un degrado di tipo organizzativo, culminato con il commissariamento - tra l'altro dichiarato illegittimo dalla Corte dei Conti [52] (2010) e fortemente criticato da molti [53].
Come accenato, la cosa più intrigante da un punto di vista gestionale è che i due siti archeologici si trovano sotto la giurisdizione dello stesso ente: la Soprintendenza di Pompei (con tutte le varianti intervenute nel frattempo nel suo disegno). Negli ultimi dieci anni, tuttavia, i lavori di conservazione a Ercolano sono stati condotti tramite una partnership che coinvolge soprintendenza, PHI e BSR.
Il confronto tra Ercolano e Pompei verrà effettuato trattando ad una ad una le dimensioni critiche dei processi di conservazione, e analizzando quindi la situazione a livello della Soprintendenza, gli effetti sul sito di Pompeii, gli effetti sul sito di Ercolano e il ruolo della partnership.
6.1. La gestione della carenza di fondi
Fino alla fine degli anni '90, la Soprintendenza si trovava in una seria situazione di scarsità di risorse: il ministro della Cultura trasferiva all'ente l'equivalente di 3 milioni di euro all'anno per conservazione di un area che, considerando tutti i siti, si estende per più di 60 ettari. Questa situazione cambiò tuttavia nel 1997 quando, grazie a una riforma, il ministero consentì alla Soprintendenza di trattenere le entrate derivanti dalla vendita dei biglietti.
Poiché la sola Pompei attira quasi due milioni di visitatori all'anno, la possibilità di trattenere le entrate da biglietteria aumentò enormemente le risorse per la conservazione: da 3 milioni di euro pre-riforma ad una media di circa 25 milioni di euro l'anno tra il 2005 e il 2008. Altri finanziamenti arrivavano dall'Unione europea (19,8 milioni di euro tra il 2006 e il 2008).
Essendo il sito più esteso e famoso tra quelli controllati dalla Soprintendenza, Pompei beneficiò maggiormente dell'aumento di risorse. D'altro lato, ad Ercolano gli interventi erano sempre "rimandati all'anno dopo", come ammesso dal direttore del sito durante un'intervista, poiché la priorità della soprintendenza era fare fronte alla situazione di degrado di Pompei. In questo contesto, i fondi stanziati dal PHI per mezzo della partnership furono di importanza cruciale per migliorare le condizioni di Ercolano. Come già detto, durante la prima fase della partnership, PHI stanziò circa 725mil euro: la maggior parte delle risorse fu utilizzata per rimborsare i lavori della Soprintendenza, in linea con la logica del memorandum di intenti firmato nel 2001. Le donazioni elargite tra il 2004 e il 2009 riflettono la partecipazione crescente del PHI nella conservazione di Ercolano: in questo periodo, PHI ha donato infatti 8,6 milioni di euro per sostenere i lavori sul sito. Durante l'ultima fase, la cosiddettà "strategia di uscita", le donazioni sono ammontate invece a 7,4 milioni di euro.
In sintesi, l'analisi permette di osservare come sia a Pompei che a Ercolano sia stata trovata una soluzione al problema della mancanza di risorse, pur con meccanismi diversi: Pompei ha beneficiato principalmente della possibilità di trattenere le entrate della biglietteria, mentre Ercolano ha ottenuto importanti donazioni dal PHI durante l'ultimo decennio [54]. Tuttavia, come avremo modo di vedere, la disponibilità di risorse economiche è condizione necessaria ma non sufficiente per migliorare la conservazione: quello che fa la differenza è, infatti, la reale capacità di spendere in maniera efficace.
6.2. La gestione di personale specializzato
La gestione di personale specializzato è un elemento cruciale nei processi produttivi knowledge-intensive: nonostante la riforma del 1997 conferisse "autonomia" finanziaria ed amministrativa alla soprintendenza [55], nei dieci anni successivi non è stato introdotto alcun cambiamento nella gestione delle risorse umane che potesse favorire l'introduzione di personale specializzato. In effetti, la pianta organica della Soprintendenza è ancora definita da una legge del ministero dei Beni e delle Attività culturali e nessun cambiamento è stato introdotto né in termini numerici né di criteri di gestione del personale con l'unica differenza che, a causa dei pensionamenti, circa 100 posizioni non risultano coperte.
Come se non bastasse, la selezione del city manager - che, nelle speranze della riforma, avrebbe dovuto introdurre a Pompei competenze manageriali - ha rappresentato una delle questioni più controverse: prima che la posizione fosse abolita nel 2007 dal ministro Rutelli, i candidati sono stati spesso selezionati in base alla loro affiliazione politica piuttosto che alle loro competenze (la nomina a city manager di un ex generale dell'aviazione militare senza competenze in termini di gestione di organizzazioni culturali e' un esempio di questa logica).
La riduzione progressiva del personale della soprintendenza ha avuto un impatto rilevante sul sito di Pompei. Inoltre, la mancanza di competenze manageriali dei vari city manager e l'abolizione definitiva di questa posizione hanno reso ancora più complessa la pianificazione e la gestione dei processi di spesa.
Se a livello di soprintendenza, e quindi a Pompei, si osserva quindi una mancanza di cambiamento (assenza di politiche per l'assunzione di personale con competenze diverse a seconda delle necessità) oppure un cambiamento negativo (le vicende legate al city manager), ad Ercolano la partnership ha permesso al contrario la creazione di un team che comprendeva professionisti con competenze diverse (architetti, conservatori, archeologi, ingegneri) e adeguate rispetto agli effettivi bisogni del sito. In sintesi, ad Ercolano la carenza di personale specializzato che ha caratterizzato la Soprintendenza è stata compensata grazie alla possibilità di coinvolgere esperti nel quadro della partnership: la BSR poteva infatti contrattualizzare i professionisti necessari per assicurare la conservazione del sito. In particolare, la presenza di un project manager specializzato nel settore del patrimonio ha favorito un'organizzazione efficace dei processi di pianificazione, esternalizzazione e controllo della qualità dei lavori sul sito, seppure all'interno di una non-organizzazione (l'analisi della stessa gestione di quello che rimane un macro-progetto più che un'organizzazione meriterebbe uno studio a parte). Questi erano compiti che, in teoria, avrebbe dovuto svolgere il City Manager, ma la logica di lottizzazione politica che ha caratterizzato le nomine e la successiva abolizione della posizione hanno rispettivamente impedito che questo accadesse.
6.3. La gestione dell'esternalizzazione in condizioni di incertezza
Per appaltare i lavori di conservazione sul sito, la Soprintendenza deve come noto attenersi alle linee guida del Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture (Legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni). L'impostazione del Codice è pensata per limitare la discrezionalità burocratica: "la competizione è promossa quanto possibile come strumento di selezione del miglior offerente. [...] Inoltre, per assicurare la qualità nell'esecuzione dei lavori, l'accesso al mercato dei lavori pubblici è strettamente regolamentato: le imprese devono essere qualificate secondo un complesso sistema che fa principalmente riferimento a due criteri, il tipo di lavori condotti nel passato e la loro dimensione finanziaria. Un'autorità indipendente (Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture) supervisiona il funzionamento del mercato dei lavori pubblici, la corretta attuazione dei regolamenti da parte degli enti pubblici nonché il funzionamento del sistema di qualificazione per le imprese" [56].
All'interno di questo quadro generale, va osservato che il Codice riconosce, seppur parzialmente, le specificità dei lavori di conservazione del patrimonio. Ad esempio vi è una più ampia possibilità di utilizzare procedure ristrette nella selezione delle imprese, così come margini più flessibili per la rinegoziazione dei contratti [57]. Tuttavia, le differenze tra l'esternalizzazione dei lavori di patrimonio e di altri lavori pubblici sono state ridotte da recenti modifiche del quadro legislativo: secondo Vitale (2006) [58], i cambiamenti recenti riflettono un "ritorno al passato", quando la specificità dei lavori di conservazione del patrimonio non era riconosciuta.
Le evidenze empiriche raccolte nel corso della nostra ricerca dimostrano come le procedure di outsourcing in uso a Pompei siano più vicine ad un approccio di tipo transazionale, ovvero caratterizzati da una visione a breve termine e coordinati attraverso accordi formali. La selezione delle imprese appaltatrici attraverso gara d'appalto ad evidenza pubblica richiede molto tempo. Un'analisi dei 78 avvisi di gara pubblicati dalla soprintendenza tra il 2001 e il 2007 rivela un intervallo medio di 491 giorni (un anno e tre mesi) tra il momento dell'approvazione del progetto e la selezione di un'impresa. Questo, oltre alla carenza di personale amministrativo nell'ufficio gare e contratti spiega perché, negli ultimi dieci anni, il processo di conservazione di Pompei è avanzato ad un ritmo estrememente lento.
Una situazione per certi versi opposta si è invece registrata nel sito archeologico di Ercolano: qui gli interventi di conservazione sono stati appaltati attraverso procedure di tipo privato. Secondo l'accordo firmato nel 2004, la BSR poteva infatti "condurre i lavori di conservazione a sue spese e sotto la sua gestione". Ciò ha reso possibile un approccio di tipo relazionaleall'outsourcing - ovvero la presenza di interazioni ripetute e lo sviluppo di fiducia reciproca tra gli attori coinvolti - con impatti positivi di due tipi.
In primo luogo, la flessibilità dei contratti di outsourcing di tipo privato ha permesso agli esperti di HCP di modulare gli accordi con le imprese a seconda delle contingenze che si verificano frequentemente quando l'oggetto dell'intervento non può essere completamente dettagliato a priori. Secondo uno degli specialisti di HCP, la ricerca di sinergie tra i contraenti è molto più difficile all'interno della contrattualistica pubblica utilizzata dalla Soprintendenza: in quest'ultimo contesto infatti "le procedure di outsourcing sono troppo rigide; cambiamenti imprevisti creano un inferno burocratico". E' proprio questo "inferno burocratico" che le procedure di outsourcing di tipo privato sono riuscite ad evitare ad Ercolano.
In secondo luogo, gli esperti del HCP hanno potuto sviluppare relazioni di lungo termine con le imprese che si dimostravano più efficienti ed efficaci. Piuttosto che scegliere automaticamente l'offerta più economicamente vantaggiosa - come le procedure ad evidenza pubblica obbligano a fare - dopo un'iniziale selezione gli specialisti di HCP hanno rinnovato i contratti con quelle ditte private che avevano ottenuto buoni risultati in modo da sfruttare le sinergie positive in termini di qualità e di economia di esperienza.
Va osservato che, dati i problemi della Soprindentenza nelle procedure di outsourcing, crescenti difficoltà sono state riscontrate dagli specialisti di HCP nell'attuale fase di "uscita". Nell'ambito della programmazione congiunta la Soprintendenza sta attualmente appaltando i progetti di conservazione elaborati dagli specialisti del HCP. Purtroppo sono già stati registrati ritardi dovuti, appunto, alle procedure ad evidenza pubblica che la Soprintendenza deve adottare: i progetti presentati dagli specialisti di HCP alla fine del 2011 sono stati appaltati dalla Soprintendenza solamente dieci mesi più tardi. Come ammesso da un esperto di HCP, "nel 2010 pensavamo che fosse possibile mettere in atto un percorso di uscita radicale... Avevamo sottostimato il bisogno di accompagnare la soprintendenza in tutte le fasi amministrative durante il passaggio di consegne."
L'impressione quindi è che il modello messo in piedi durante la "fase eroica" sia sotto pressione nella presente "fase di uscita". In altre parole, se da un lato proprio grazie alla programmazione congiunta nuovi finanziamenti pubblici possono affluire nel sito, dall'altro vi è il rischio che le debolezze che caratterizzano le procedure di outsourcing di Pompei tornino ad influenzare negativamente anche Ercolano.
Vi è spazio per iniziative di public private partnership che non prevedano il riadattamento funzionale di edifici storici e siti? Se si, quali sono le condizioni per il loro sviluppo e quali i ruoli per gli attori coinvolti? Concentrandoci sull'Herculaneum Conservation Project abbiamo tentato di mettere in luce l'evoluzione della partnership nel corso di dieci anni e come questa abbia risposto alle tre sfide che interessano le attività di conservazione del patrimonio: carenza di fondi, gestione di personale qualificato e gestione dei processi di esternalizzazione in condizione di incertezza. Per isolare gli effetti di questo modello di governance, abbiamo messo a confronto ciò che è successo a Ercolano con gli sviluppi nel vicino sito di Pompei (due siti con problemi di conservazione simili, posti sotto la giurisdizione dello stesso ente pubblico).
L'analisi della partnership di Ercolano ha permesso di individuare tre fasi principali, ognuna caratterizzata da obiettivi, relazioni tra partner pubblici e privati, e livelli di efficacia peculiari. Al di là della prima fase dell'iniziativa, è durante la seconda fase che la conservazione di Ercolano migliora profondamente, grazie alla possibilità per i partner privati di pianificare ed attuare a proprie spese i lavori di conservazione. La successiva "fase di uscita" si sta rivelando invece ben più problematica di quanto gli specialisti di HCP potessero prevedere: ritardi e lungaggini burocratiche stanno infatti interessando anche il sito di Ercolano.
Lo studio ha dimostrato che la partnership introdotta ad Ercolano ha avuto un ruolo fondamentale nell'aumentare le risorse disponibili per il sito: le donazioni di PHI (circa 20 milioni di euro negli ultimi dieci anni) probabilmente superano in proporzione la somma disponibile a Pompei (anche considerando i 105 milioni del Grande Progetto Pompei del 2012) [59]. Tuttavia, la differenza principale risiede nel modo in cui i fondi sono stati spesi ad Ercolano: un processo di spesa coerente con i principi professionali, ma svincolato dagli ostacoli normativi che affliggono il settore pubblico italiano in maniera patologica. Non solamente risorse economiche quindi, ma gradi di libertà nella gestione del personale e superamento dei limiti delle procedure di outsourcing di tipo transazionale. Questo scenario contrasta radicalmente con quello del sito di Pompei, dove, nonostante l'aumento delle risorse disponibili, problemi cruciali legati alle risorse umane e alle procedure di outsourcing restano ancora irrisolti [60].
Ciò che risulta particolarmente interessante quando si confrontano Ercolano e Pompei è la presenza di "buone" e "cattive" pratiche sotto il tetto della stessa organizzazione, cioè la soprintendenza. Ercolano e Pompei distano solamente 20 km: le"buone pratiche", tuttavia, non prendono autonomamente il treno. Durante gli ultimi dieci anni, la soprintendenza non è riuscita ad estendere il modus operandi di HCP da Ercolano a Pompei, né attuando nuove partnership né replicando gli approcci alla conservazione sperimentati con successo ad Ercolano, molti dei quali sono implementabili anche in un ente di diritto pubblico.
Non imparare dall'esperienza ha effetti evidenti, come ci ricordano i crolli registrati anche di recente a Pompei. Le cause di questa carenza meritano di essere approfondite maggiormente in futuro. Il sospetto è che un problema sia rappresentato dalla tendenza ad introdurre riforme ideate principalmente da esperti di diritto amministrativo, con il raro contributo di qualche economista e la totale esclusione di esperti di management e organizzazione [61]. Oltre ad affrontare questioni di governance e gestione che hanno effetti sulla conservazione del patrimonio in Italia, questo articolo ha implicazioni per il dibatto sulle partnership, sia nel settore culturale che a livello più generale.
a) Partendo dal dibattito sulle public private partnership nell'ambito del patrimonio culturale, è necessario sottolineare la diversità dell'esperienza di HCP rispetto ad altre partnership in questo setttore. In primo luogo, l'iniziativa di Ercolano non ha implicato il riadattamento funzionale delle strutture archeologiche come invece accade solitamente quando la conservazione del patrimonio è una delle componenti di un piano di rigenerazione urbana. In secondo luogo, l'esperienza di Ercolano riflette una distribuzione dei ruoli tra i partner che differisce rispetto a quanto osservato in precedenti iniziative di partnership, dove il coinvolgimento di partner privati "for profit" è indispensabile mentre la presenza delle organizzazioni non profit è ritenuta importante - per favorire, ad esempio, la partecipazione della comunità locale [62] - ma non necessaria. Al contrario ad Ercolano sono stati i partner non profit a rendere possibile il raggiungimento degli obiettivi di conservazione conferendo risorse, ma soprattutto spostando le procedure di outsourcing verso approcci di tipo relazionale e superando le rigidità nella gestione delle risorse umane.
b) Va detto che in nessun caso vogliamo suggerire che accordi di partnership tra enti pubblici ed enti non-profit debbano essere applicati a qualunque progetto di conservazione. Il nostro obiettivo è piuttosto sottolineare l'eterogeneità delle soluzioni di governance possibili: laddove il riadattamento funzionale sia fattibile, bisognerebbe incoraggiare la ricerca di sinergie tra investitori privati e aministrazioni pubbliche; qualora questo non fosse possibile per condizioni strutturali o per vincoli legislativi, l'amministrazione pubblica dovrebbe farsi carico dei processi di conservazione. Allo stesso tempo, tuttavia, le burocrazie pubbliche dovrebbero essere consapevoli dei problemi che possono limitare l'efficacia del loro intervento. Quando l'attuazione di un progetto è bloccata dalla scarsità di personale e dalle rigidità nelle procedure di outsourcing nonostante la disponibilità di risorse (come nel caso di Pompei), è importante prendere in considerazione strade alternative. In questo articolo abbiamo dimostrato come i modelli di partnership con attori non-profit possano garantire la fattibilità operazionale dei progetti di conservazione garantendo al tempo stesso il rispetto degli standard professionali.
c) Il presente studio offre anche alcuni elementi di riflessione più generali riguardo al modo in cui le esperienze di partenerariato vengono create, si sviluppano e terminano. Prendendo spunto dal fatto che il Mibac non ha ancora promosso esperienze come HCP sul territorio nazionale, questo studio ricorda come le partnership non si diffondano sempre per merito di politiche specifiche e formalizzate. Studi sulle partnership condotti in Inghilterra, Australia o Nuova Zelanda includono spesso descrizioni dettagliate della legislazione nazionale o regionale che promuove l'adozione di schemi di partnership [63]. In altre parole, la diffusione delle PPP in questi paesi è fortemente sostenuta a livello governativo. Schemi di questo tipo vengono spesso introdotti in una logica di tipo top-down, nei confronti della quale i responsabili dei servizi pubblici devono adattarsi, non senza episodi di resistenza. Quello che emerge dall'esperienza di HCP è, invece, un approcio di tipo bottom-up altamente sperimentale. Anziché essere stimolata dai funzionari del ministero romano, la partnership di Ercolano è stata fortemente sostenuta da responsabili della soprintendenza come il funzionario responsabile di Ercolano o il soprintendente. Questi attori hanno incoraggiato non solo l'accordo iniziale con il PHI, ma anche la transizione dalla prima fase (in cui il partner privato rimborsava gli interventi della soprintendenza) alla seconda fase (dove pianificazione ed outsourcing erano interamente trasferite al partner privato) facendo proposte e pressioni in tal senso su BRS e PHI. La nostra ricerca sollecita quindi una maggiore attenzione ai fattori di contesto che possono influenzare la decisione di perseguire o meno accordi di partnership: piuttosto che partire dalle politiche, è necessario prestare maggiore attenzione all'esperienza e alle necessità di chi lavora quotidianamente nei siti archeologici. Come mostra questo caso, coloro che si occupano di patrimonio culturale non sono aprioristicamente contrari ai processi di modernizzazione del settore pubblico: anzi, a volte essi possono esserne addirittura il motore, indipendentemente dalle politiche e dalle linee guida imposte dai livelli superiori.
d) La nostra ultima osservazione riguarda le potenziali sfide che possono nascere al termine degli accordi di partnership. Come riconosciuto da Andon, "stanno emergendo esempi di modelli di PPP che hanno raggiunto la fine del loro periodo di concessione" [64]. Ciò rappresenta un'opportunità di ricerca rilevante per coloro che sono interessati ad analizzare l'impatto a lungo termine delle partnership. Dalla fase di passaggio delle consegne attualmente in corso ad Ercolano emerge un prima riflessione sulle difficoltà che si possono verificare quanto la partnership giunge al termine. Poiché negli ultimi dieci anni la soprintendenza ha seguito una parabola discendente, mantenere il livello di conservazione di Ercolano al livello attuale potrebbe rivelarsi complicato quando la transizione verso la governance pubblica sarà completata. Ricerche future dovranno quindi indagare più approfonditamente se e come questi processi di cambiamento siano reversibili. In altre parole, una volta che partner privati sostituiscono le amministrazioni pubbliche per dieci, venti o trent'anni, è possibile o desiderabile ritornare al modello originario? Dal canto nostro crediamo che Ercolano (e Pompei) possa costituire un interessante punto di partenza per continuare ad approfondire questa questione.
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L. Zan, Managerial transformation in Chinese museums in The Shaanxi History Museum in Xi'an, in Museum Management and Curatorship, 22(2), 2007, pagg. 151-182.
Note
[1] Su sponsorizzazioni si veda: A. Ferretti, Mecenatismo culturale e Sponsorizzazione, in Altalex, 2008; R. Chieppa, Il nuovo regime delle erogazioni liberali e delle sponsorizzazioni: il settore dei beni culturali e l'intervento delle fondazioni, in Aedon, 2013, 2; A. Musso, La sponsorizzazione come contratto commerciale, Aedon, 2013, 2; P.F. Ungari, La Sponsorizzazione dei Beni Culturali, in Aedon, 2014, 1.
[2] Sul tema: G. Fidone, Il ruolo dei privati nella valorizzazione dei beni culturali: dalle sponsorizzazioni alle forme di gestione, in Aedon, 2012, 1-2; S. Casciu, Il tema delle sponsorizzazioni/erogazioni liberali visto dalla parte delle Soprintendenze: difficoltà, equivoci, burocrazia, mentalità, in Aedon, 2013, 2.
[3] L. Zan, I Beni Culturali italiani tra innovazione amministrativa e decentralizzazione, Contributo per il volume, L'Italia e le sue regioni, a cura di M. Salvati e L. Sciolla, Istituto dell'Enciclopedia Treccani, 2013.
[4] Council of Europe, The private management of cultural property, 2005.
[5] Unesco, Unesco Background Note on Public Private Partnerships in the Culture Sector, 2013.
[6] T. Bovaird, Public-private partnerships: From contested concepts to prevalent practice in International Review of Administrative Sciences, 70(2), 2004, pagg. 199-215, in particolare pag. 200.
[7] D. W. Brinkerhoff, & J. M. Brinkerhoff, Public-private partnerships: Perspectives on purposes, publicness, and good governance, in Public Administration and Development, 31(1), 2011, pagg. 2-14.
[8] Ibidem.
[9] Ibidem.
[10] Vedi, per esempio: C. O'Callaghan & D. Linehan, Identity, politics and conflict in dockland development in Cork, Ireland: European Capital of Culture 2005, in Cities, 24(4), 2007, pagg. 311-323; Z. Gunay, & V. Dokmeci, Culture-led regeneration of Istanbul waterfront: Golden Horn Cultural Valley Project, in Cities, 29(4), 2012, pagg. 213-222; V. Guarneros-Meza, Local governance in Mexico: The cases of two historic-centre partnerships, in Urban Studies, 45(5-6), 2008, pagg. 1011-1035.
[11] S. Macdonald, C. Cheong, The role of public-private partnerships and the third sector in conserving heritage buildings, sites, and historic urban areas, Los Angeles, The Getty Conservation Institute, 2014.
[12] Si vedano i report a cura dell'International Development Bank sui centri storici di Città del Messico, Lima, Santiago e Quito: C. J. Fox, J. Brakarz, & A. C. Fano, Tripartite partnership. Recognizing the third sector: Five case studies of urban revitalization in Latin America, Washington DC, 2005. Sempre sui centri storici si veda anche: Guarneros-Meza, op. cit.; G. Licciardi, R. Amirtahmasebi (a cura di), The economics of uniqueness: Investing in historic city cores and heritage assets for sustainable development, Washington DC, World Bank, 2012; R. Radoslav, A. M. Branea, & M.S. Găman, Rehabilitation through a holistic revitalization strategy of historical city centres - Timisoara, Romania, in Journal of Cultural Heritage, 14(3), 2013, e1-e6; R. Vicente, T.M. Ferreira, & J.A.R. Mendes da Silva, Supporting urban regeneration and building refurbishment. Strategies for building appraisal and inspection of old building stock in city centres, in Journal of Cultural Heritage, 2014, Corrected Proofs.
[13] L. Andres & B. Grésillon, Cultural brownfields in European cities: a new mainstream object for cultural and urban policies, in International Journal of Cultural Policy, 19(1), 2011, pagg. 40-62; C. A. De Sousa, Turning brownfields into green space in the City of Toronto, in Landscape and Urban Planning, 62(4), 2003, pagg. 181-198; Z. Gunay, & V. Dokmeci, op. cit.; C. O'Callaghan & D. Linehan, op. cit.; S. Tiesdell, Tensions between revitalization and conservation Nottingham's Lace Market, in Cities, 12(4), 1995, pagg. 231-241.
[14] L. Zan, S. B. Baraldi, & C. Gordon, Cultural heritage between centralisation and decentralization, in International Journal of Cultural Policy, 13(1), 2007, pagg. 49-70.
[15] Ibidem, pag. 53.
[16] L. Zan, China: New approaches to heritage administration, Encyclopedia of global archaeology, (a cura di) C. Smith, SpringerReference, 2014 (www.springerreference.com).
[17] A. Pan, S. Chiussi, J. Serra, P. González, & B. León, Excimer laser removal of beeswax from galician granite monuments, in Journal of Cultural Heritage, 10(1), 2009, pagg. 48-52.
[18] M. A. Iglesias-Campos, C. Ruiz-Recasens, & E. Díaz-Gonzalez, First experiments for the use of microblasting technique with powdered cellulose as a new tool for dry cleaning artworks on paper, in Journal of Cultural Heritage, 15(4), 2014, pagg. 365-372.
[19] R. Gulati, & M. Sytch, Dependence asymmetry and joint dependence in interorganizational relationships: Effects of embeddedness on a manufacturer's performance in procurement relationships, in Administrative Science Quarterly, 52(1), 2007, pagg. 32-69; J. Thompson, Engagement in public-private partnerships for cultural heritage: The case of Herculaneum, Italy, Privatisation and cultural heritage, a cura di Iccrom, Rome, 2007; J.D. Thompson, Organizations in action, New York, 1967.
[20] Sul punto: O. Williamson, Markets and hierarchies: Analysis and antitrust implications, New York, 1975; J. Tirole, Incomplete contracts: Where do we stand?, in Econometrica, 67(4), 1999, pagg. 741-781.
[21] L. Zan, Renewing Pompeii, year zero. Promises and expectations from new approaches to museum management and accountability, in Critical Perspectives on Accounting, 13(1), 2002, pagg. 89-137, pag. 107.
[22] P. Ferri, L. Zan, Pompei dieci anni dopo. Ascesa e declino dell'autonomia gestionale, in Aedon, 2012, 1-2.
[23] L. Zan, Renewing Pompeii, year zero. Promises and expectations from new approaches to museum management and accountability, cit., pag. 109.
[24] Curiosamente le situazioni di emergenza sembrano più semplici da gestire dell'ordinario, come il caso dell'Opificio delle Pietre Dure insegna. Si veda, A. Narduzzo, L. Zan, Oltre la fruizione: l'Opificio delle Pietre Dure di Firenze tra conoscenze distintive e sopravvivenza, in Conservazione e innovazione nei musei italiani, (a cura di) L. Zan, Milano, 1999.
[25] Per una recente riflessione in termini di sussidiarietà nei beni culturali si veda D. Donati, Il paradigma sussidiario. Interpretazioni, estensione, garanzie, Bologna, 2013, pagg. 265-270.
[26] I. R. Macneil, Contracts: Adjustment of long-term economic relations under classical, neoclassical and relational contract law, in Northwestern University Law Review, 72, 1978, pagg. 854-905; I. R. Macneil, Relational contract: What we do and do not know, in Wisconsin Law Review, 4, 1985, pagg. 483-525.
[27] J. Darwin, J. Duberley & P. Johnson, Contracting in ten English local authorities: Preferences and practices, in International Journal of Public Sector Management, 13(1), 2000, pagg. 38-57.
[28] Ibidem.
[29] E. Reeves, The practice of contracting in public private partnerships: Transaction costs and relational contracting in the Irish schools sector, in Public Administration, 86(4), 2008, pagg. 969-986.
[30] Ibidem.
[31] H. Davis & B. Walker, Trust-based relationships in local government contracting. Public Money and Management, 17(4), 1997, pagg. 47-54.
[32] M. Sobrero, & E. B. Roberts, Strategic management of supplier-manufacturer relations in new product development, in Research Policy, 31(1), 2002, pagg. 159-182.
[33] D.K. Remler & G.G. Van Ryzin, Research Methods in Practice: Strategies for Description and Causation, Los Angeles, 2010, pag. 439.
[34] L. Zan, L'autonomia funziona, è il Ministero che non ce la fa, in Il Giornale dell'Arte, dicembre 2000 (194); L. Zan, L. Zan, Renewing Pompeii, year zero. Promises and expectations from new approaches to museum management and accountability, cit.; P. Ferri, L. Zan, Pompei dieci anni dopo. Ascesa e declino dell'autonomia gestionale, cit.
[35] La nostra ricerca è stata svolta prima del decreto legge 8 agosto 2013, n. 91 convertito con legge 7 ottobre 2013, n. 112 che ha scorporato la Soprintendenza archeologica di Napoli da quella di Pompei.
[36] J. Thompson, Engagement in public-private partnerships for cultural heritage: The case of Herculaneum, Italy, cit.; J. Thompson, Conservation and management challenges in a public-private partnership for a large archaeological site (Herculaneum, Italy), in Conservation and Management of Archaeological Sites, 8(4), 2007, pagg. 191-204; A. Wallace-Hadrill, The Herculaneum Conservation Project: An introduction, in Vesuviana: Archeologie a confronto, (a cura di) A. Coralini, Bologna, 2009, pagg. 203-207; P. Dubini, L. Leone & L. Forti, Role distribution in public-private partnerships: The case of heritage management in Italy, in International Studies of Management and Organization, 42(2), 2012, pagg. 57-75; Unesco, Managing cultural Heritage, Paris, 2013; Il Sole 24 Ore, Ercolano rinasce con gli americani, in Il Sole 24 Ore (online), 24 Agosto 2014; A. Tundo, Il modello Ercolano: Dove pubblico e privato insieme proteggono scavi e storia, in Il Fatto Quotidiano, 4 marzo 2014.
[37] J. Thompson, Engagement in public-private partnerships for cultural heritage: The case of Herculaneum, Italy, cit., pag. 3.
[38] J. Thompson, Conservation and management challenges in a public-private partnership for a large archaeological site (Herculaneum, Italy), cit.
[39] Ibidem.
[40] Ibidem; si veda anche L. Zan, Renewing Pompeii, year zero. Promises and expectations from new approaches to museum management and accountability, cit.
[41] Va dato atto al ruolo cruciale giocato dalla soprintendenza e dal ministero nel modificare le intenzioni originarie di Packard, dallo scavo della biblioteca nella villa dei papiri al restauro del sito, visto i seri problemi di conservazione.
[42] A. Wallace-Hadrill, The Herculaneum Conservation Project: An introduction, cit.
[43] Ibidem, pag. 204.
[44] J. Thompson, Engagement in public-private partnerships for cultural heritage: The case of Herculaneum, Italy, cit., pag. 4.
[45] A. Wallace-Hadrill, The Herculaneum Conservation Project: An introduction, cit., pag. 204.
[46] J. Thompson, Conservation and management challenges in a public-private partnership for a large archaeological site (Herculaneum, Italy), cit., pag. 196.
[47] A. Wallace-Hadrill, The Herculaneum Conservation Project: An introduction, cit.
[48] J. Thompson, Conservation and management challenges in a public-private partnership for a large archaeological site (Herculaneum, Italy), cit.
[49] Conferenza PisaMed 2002, come citata da Unesco, Managing cultural Heritage, Parigi, 2013, pag. 111.
[50] Mibac e World Monument Fund, Un piano per Pompei. Piano programma per la conservazione e la gestione del patrimonio storico-archeologico della città antica. Prima fase, Roma, Studio di Architettura, 1997.
[51] Unesco, Managing cultural Heritage, cit., pag. 111
[52] Corte dei Conti, Deliberazione n. 16/2010/P, pagg. 27-28.
[53] Per una ricostruzione si veda P. Ferri, L. Zan, op. cit., e P. Ferri, L'eccezione è la regola: ricerca esplorativa sul fenomeno del commissariamento nel settore culturale, Bologna, Università di Bologna - Tesi di dottorato, 2012.
[54] Vale la pena ricordare che durante la prima e la seconda fase la Soprintendenza non ha interrotto i suoi investimenti diretti su Ercolano. Tra il 2001 e il 2008 la Soprintendenza ha infatti stanziato un totale di 11,4 milioni di fondi europei per diversi progetti di conservazione e miglioramento delle infrastrutture del sito.
[55] P. Ferri, L. Zan, op. cit.
[56] C. Guccio, G. Pignataro, & I. Rizzo, I. Evaluating the efficiency of public procurement contracts for cultural heritage conservation works in Italy, in Journal of Cultural Economics, 38(1), 2012, pagg. 43-70; pagg. 45-46.
[57] Ibidem, pag. 46. Si veda anche M. Cammelli, Restauro dei beni culturali mobili e lavori pubblici: Principi comuni e necessaria diversità (a proposito del d.m. 3 agosto 2000, n. 294), in Aedon, 2001, 2; G. Santi, Attività di restauro di beni culturali e legge Merloni-quater: il recupero della specialità nella disciplina dell'evidenza pubblica, in Aedon, 2002, 2.
[58] C. Vitale, La disciplina dei contratti pubblici relativi ai beni culturali nel nuovo Codice degli appalti, in Aedon, 2006, 2.
[59] Commissione europea, Decisione n. C(2012) 2154 del 29 marzo 2012.
[60] Anche l'intervento sulle risorse umane qualificate, con l'introduzione di 21 professionisti, è avvenuto tardi (gennaio 2012), dopo decenni di sottodimensionamento, e con un processo di inserimento caratterizzato da improvvisazione, che meriterebbe un paper in sé. Più in generale gli interventi sulla struttura (post commissariamento, secondo il decreto legge 8 agosto 2013, n. 91, con l'inserimento della figura del "direttore generale di progetto", l'istituzione dell'unità "Grande Pompei") avvengono solo recentemente, e comunque esulano dal nostro periodo di osservazione sul campo. Per una prima riflessione si veda G. Sciullo, Il decreto "Valore cultura". La retorica dell'organizzazione: il "Grande Progetto Pompei", in Aedon, 2013, 3.
[61] Per una recensione del dibattito vedere: S. Bonini Baraldi, Management, beni culturali e pubblica amministrazione, Milano, 2007.
[62] S. Macdonald, C. Cheong, op. cit.; C. J. Fox, J. Brakarz, & A. C. Fano, op. cit.
[63] Si veda L. English & J. Guthrie, Driving privately financed projects in Australia: What makes them tick?, in Accounting Auditing and Accountability Journal, 16(3), 2003, pagg. 493-511; C. R. Baker, Investigating Enron as a public private partnership, in Accounting, Auditing and Accountability Journal, 16(3), 2003, pagg. 446-466; J. Broadbent & R. Laughlin, Public private partnerships: An introduction, in Accounting, Auditing and Accountability Journal, 16(3), 2003, pagg. 332-341.
[64] P. Andon, Accounting-related research in PPPs/PFIs: Present contributions and future opportunities, in Accounting, Auditing and Accountability Journal, 25(5), 2012, pagg. 876-924, a pag. 991.