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Editoriale

"Noli me tangere": i beni culturali tra materialità e immaterialità

di Lorenzo Casini

"Noli me tangere": Cultural Property between Tangibility and Intangibility
This editorial presents the articles collected in this issue, which focus on the intangibility of cultural heritage. The author, therefore, deals with the intangible dimension of cultural property and its legal implications: from copyright to the very legal definition of cultural heritage.

Keywords: Intangible Cultural Heritage; Copyright; Cultural Property; UNESCO.

All'inizio di marzo 2014, la foto del David di Michelangelo armato di fucile mitragliatore, "abusivamente" prodotta e diffusa dalla società statunitense ArmaLite.Inc, ha richiamato l'urgenza di regolare adeguatamente i diritti di riproducibilità delle immagini relative ai beni culturali [1], una questione cui si collega il nodo di quale tutela assicurare all'immenso valore "immateriale" di tali beni.

La vicenda - al netto della diatriba tra Comune e Stato sulla proprietà della statua [2], risoltasi a favore del secondo - ha dato vita ad accese polemiche, anche in considerazione della palese violazione della legislazione italiana in materia di riproduzione di beni culturali commessa dalla ditta statunitense. Come infatti sottolineato dall'Ufficio legislativo del Ministero nel parere formulato in risposta all'apposito quesito della Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il Polo museale della città di Firenze, la società ArmaLite.Inc ha usato l'immagine di David senza l'autorizzazione ministeriale richiesta per le riproduzioni di beni culturali dagli art. 107 e 108 del Codice dei beni culturali e del paesaggio [3]. D'altra parte, lo sviluppo tecnologico e la diffusione dei social network ha incrementato il numero e lo scambio di riproduzioni fotografiche più o meno modificate, rendendo molto difficile, se non impossibile, garantire un effettivo controllo. Di qui discende anche la necessità di riconsiderare tutta la disciplina, ad esempio favorendo ulteriori forme di liberalizzazione per l'uso personale e non commerciale o irrigidendo le sanzioni per eventuali violazioni.

Va poi osservato che non è stato l'accostamento in sé tra statua e mitragliatore a suscitare le giuste rimostranze di molti italiani, fiorentini e non - se la fotocomposizione fosse stata l'opera provocatoria di un grande artista contemporaneo a sostegno delle politiche di disarmo, secondo un c.d. "fair use", l'accoglienza sarebbe stata certamente diversa. Il problema nasce quindi dall'uso "improprio" del bene culturale, uso che, nel caso del "David armato", era esclusivamente commerciale. Ciò, anche se realizzato in modalità digitale senza "turbare" in alcun modo la statua originale, pone l'accento su importanti profili di tutela. Tutela, appunto, non del supporto materiale che racchiude il valore culturale di cui i beni sono portatori, bensì del valore stesso. Ecco, allora, che la vicenda del David mette in pieno risalto l'elemento caratterizzante dei beni culturali, così come identificato già negli anni Settanta da Massimo Severo Giannini, ossia la loro immaterialità: elemento che va riferito al valore culturale inscindibilmente connesso alla cosa che ne reca la testimonianza. A tale ricostruzione è stata ricondotta l'intera legislazione italiana di settore, dominata dalla "coseità", per cui i beni culturali sono un "sinolo" tra cosa e valore: sono le "cose di interesse culturale". Una volta riconosciuto l'interesse culturale di questo "sinolo", la "cosa" e il valore in essa custodito accedono al mondo giuridico dei beni culturali. Non a caso, la celebre definizione della Commissione Franceschini recitava "testimonianza materiale avente valore di civiltà" e solo nel 1998, quando la formula fu recepita in sede legislativa, venne espunto l'aggettivo "materiale" [4].

Proprio l'episodio del David mostra come questo assetto sia oggi messo a dura prova da diversi fattori, quali la diffusione di nuove tecnologie, la possibilità di riprodurre opere in modo sempre più fedele all'originale, la evoluzione delle modalità della loro fruizione (basti citare il Google Art Project, che offre una street view di oltre 300 musei del mondo, di cui 15 italiani, come i Musei Capitolini e gli Uffizi [5]), la crescita dell'importanza economica dei beni culturali e la sempre maggior richiesta di un uso anche commerciale del valore da questi racchiuso. Occorre poi aggiungere che la diversità culturale e la necessità di trovare forme di tutela di manifestazioni non necessariamente ancorate alla materialità - già emersa negli anni Settanta - ha acquisito sempre maggior rilievo, come confermano la Convenzione UNESCO 2003 per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e la recente Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società.

Materialità e immaterialità convivono perciò nella disciplina dei beni culturali e non è un caso che il decreto-legge n. 91 del 2013 (c.d. decreto "valore cultura"), conv. legge n. 112 del 2013, nell'intervenire sull'articolo 52 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, abbia inserito due nuovi commi, entrambi 1-bis (sic!), dedicati a tutelare proprio profili di immaterialità. Uno attiene alla tutela del "decoro" dei beni e al divieto di attività commerciali incompatibili con le esigenze di tutela e (si può aggiungere) di fruizione: basti citare il triste esempio dell'esercizio di attività commerciali nell'area archeologica del Colosseo e dei Fori imperiali. L'altro è l'identificazione di beni culturali-attività riconducibili alle espressioni di patrimonio immateriale ai sensi della relativa Convenzione UNESCO del 2003, richiamata dall'art. 7-bis del Codice.

Tali modifiche confermano le difficoltà nel regolare le situazioni di confine tra elementi materiali ed elementi immateriali. Eppure il settore dei beni culturali deve fondarsi inevitabilmente su entrambi, come ben messo in luce dai contributi di questo numero. Lo sottolinea, d'altronde, la stessa definizione di museo fornita dall'International Council of Museums (ICOM), ossia "un'istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell'uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto". Una definizione "piana e innocua" che, tuttavia, nell'inerzia del legislatore italiano anche con riguardo ai beni immateriali, "rischia di suonare rivoluzionaria" [6].

* * *

La letteratura italiana sull'immaterialità dei beni culturali non è cospicua [7]. Anche per questa ragione, gli scritti pubblicati in questo numero meritano particolare attenzione. I primi dieci articoli, infatti, trattano l'argomento da diverse prospettive: dai problemi di ordine generale (Antonio Bartolini, Marco Dugato, Cesare Lamberti, Giuseppe Morbidelli, Giuseppe Severini) alle questioni riguardanti le sponsorizzazioni (Stefano Fantini, Giuseppe Manfredi, Pier Francesco Ungari) e la tutela di tipicità e di marchi delle pubbliche amministrazioni (Giuseppe Caforio) e dei toponimi (Cesare Galli). Lo scritto introduttivo di Antonio Bartolini, in particolare, pone criticamente in luce i limiti della impostazione tradizionale basata sulla distinzione tra beni culturali materiali e immateriali, auspicando quindi un superamento della "radicale contrapposizione tra beni culturali materiali ed immateriali, accettando una visione liminale che cerchi di trovare i tratti comuni, aperta a statuti pluralistici, fondata sulla sostenibile leggerezza del valore immateriale dei beni culturali (materiali ed immateriali)". Nelle conclusioni, Giuseppe Morbidelli ricostruisce tutte le diverse declinazioni della immaterialità che affiorano nei singoli contributi: non solo quella "gianniniana" già citata, ma anche quelle derivanti rispettivamente dalle sponsorizzazioni, dall'utilizzazione attraverso strumenti di riproduzione e mediatici in genere (come nel caso del David), dall'art. 19 del Codice della proprietà industriale, nonché dalla declinazione incardinata sulla percezione "sublimata" dei beni culturali (formula usata da Dugato) e da quella dei "veri" beni culturali immateriali di cui alla Convenzione UNESCO del 2003.

Il quadro che ne esce è di grande interesse ed è anche ricco di spunti per il legislatore che intenda davvero ripensare l'impostazione della disciplina di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e di tutela della sua immagine (su cui si veda lo scritto di Amedeo Tumicelli), nonché introdurre in modo più coraggioso forme di protezione dei beni culturali immateriali. Sotto questo aspetto, l'Italia potrebbe certamente offrire di più, come emerge dalle iniziative regionali in materia di botteghe storiche, ad esempio, o da quelle dirette a stabilire una disciplina generale sulla valorizzazione del patrimonio culturale immateriale (lo evidenzia il contributo di Annalisa Gualdani).

L'immaterialità, d'altronde, è connaturata ai beni culturali, anche perché immateriale e intangibile è, al fondo, il motivo più alto che spinge a proteggerli e a favorirne la conoscenza. D'altra parte, proprio le esigenze di tutela rendono spesso immateriale anche il godimento di beni che richiederebbero invece una fruizione "materiale": basti pensare ai libri antichi, necessariamente potetti ed esposti in teche di vetro senza che al visitatore sia consentito sfogliarli. In tale contesto, allora, diviene essenziale allargare lo sguardo anche ad altri Paesi e ad altri ordinamenti, soprattutto per quanto attiene ai profili della gestione del patrimonio culturale, come emerge dall'accurato studio di Luca Zan e Sara Bonini Baraldi dedicato alla Cina.

 

Note

[1] http://america24.com/news/il-david-di-michelangelo-usato-da-un-azienda-di-armi-usa-polemica.

[2] http://www.corriere.it/cronache/10_agosto_14/david-michelangelo-gasperetti_8237effe-a7a6-11df-9159-00144f02aabe.shtml.

[3] MBAC-UDCM Legislativo 0004840-11 marzo 2014.

[4] Su cui si veda il primo numero di questa rivista, il n. 1/1998.

[5] Si veda http://www.google.com/culturalinstitute/project/art-project.

[6] T. Montanari, Istruzioni per l'uso del futuro. Il patrimonio culturale e la democrazia che verrà, Roma, 2014, pag. 63.

[7] Si segnalano A.L. Tarasco, Diversità e immaterialità del patrimonio culturale nel diritto internazionale e comparato: analisi di una lacuna (sempre più solo) italiana, in Foro amm. CdS, 2008, pag. 2261 ss., nonché T. Scovazzi, B. Ubertazzi e L. Zagato (a cura di), Il patrimonio culturale intangibile nelle sue diverse dimensioni, Milano, 2012.

 

 

 

 



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