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I beni immateriali tra regole privatistiche e pubblicistiche - Atti Convegno Assisi (25-27 ottobre 2012)

Strumenti giuridici per la valorizzazione dei beni culturali immateriali

di Marco Dugato

Legal Instruments for the Valorization of Intangible Cultural Heritage
Intangible cultural heritage refers to a network of goods - both tangible and intangible - linked together by a common geographical, material or identitarian dimension. The legal status of intangible cultural heritage generates complex questions about the formal attribution of powers and functions. The essay analyzes the so called administrative agreements as the best legal instruments to manage the valorization of intangible cultural heritage within the Italian legal system.

Keywords: Intangible Cultural Heritage; Valorization of Cultural Heritage; Administrative Agreements.

Il tema della valorizzazione dei beni culturali immateriali pone in evidenza, prima di tutto, il problema della valorizzazione dei beni culturali materiali. A proposito, confesso, sconto due perplessità di base.

La prima perplessità, avvicinandomi al tema della valorizzazione dei beni culturali dall'ambito contiguo dei servizi pubblici, riguarda proprio la qualificazione dell'attività. Partendo da una concezione classica di servizio pubblico di rilevanza economica, che ha primariamente una valenza organizzativa e che poggia su una definizione di base che pur con altalenanti fortune rappresenta il terreno di confronto tra concezioni differenti, ho immediatamente avvertito un certo smarrimento di fronte alla distinzione fra tre concetti del Codice: la tutela, la valorizzazione e la fruizione.

Salvo scoprire che si tratta di una sensazione inevitabile perché l'origine della tripartizione, più che nell'ontologia dei tre concetti, va ricercata nell'esigenza di mantenere solido il riparto di competenze legislative dettate dall'art. 117 della Costituzione.

Il problema della valorizzazione e della sua distinzione dalla tutela, con riferimento ai beni culturali immateriali, mi sia consentito di anticipare, è particolarmente evidente e merita il tentativo di una soluzione esegetica che nel contributo del Consigliere Fantini è brillantemente avanzato. Mi permetterò quindi di interpretarlo, sperando di farlo correttamente.

Un secondo dato di rilievo è invece collegato ad un'affermazione del Presidente Severini e alla necessità di regolazione che, almeno a mio avviso, c'è nell'ambito che stiamo trattando. Occorre tuttavia chiedersi se il bisogno di regolazione debba necessariamente essere soddisfatto da norme giuridico. Ed è il caso che la riflessione sia seria, perché l'intervento della norma, se talvolta aiuta, altre volte devasta, soprattutto se non è capace di fotografare una realtà per ciò che è nella sua sostanza e non per quelle che sono le funzioni che si muovono intorno alla realtà.

Da quanto ho capito e per quel che ho imparato leggendo la relazione del Consigliere Fantini, i beni culturali immateriali esistono nella realtà, ma non sono la proiezione immateriale di un bene culturale materiale. In altri termini, ciascun bene immateriale non è affatto un modo d'atteggiarsi di un corrispondente bene materiale. I beni culturali immateriali sono, invece, una sorta di proiezione ologrammatica tridimensionale, così che il singolo bene culturale immateriale è la risultante di molti beni culturali materiali, che si caratterizzano per avere un contesto comune, a volte geografico, a volte per materia, a volte identitario.

In Assisi, il dato appare in tutta la sua chiarezza. Ma è evidente anche nell'esperienza di Venezia. Venezia è sicuramente un bene culturale immateriale, che indica non una realtà geografica, bensì una realtà composita; una entità artistica e culturale. Un complesso vivo di virtù e problemi non viventi.

E' il contesto culturale in cui si sta svolgendo la vicenda della costruzione a Marghera del grattacielo di Pierre Cardin, in cui si sta cioè dibattendo se la costruzione di un'opera affidata a una delle più famose archistar del mondo, in un'area considerata da tutti come da recuperare, non ponga problemi all'ambiente o al contesto paesaggistico-culturale tradizionale.

Si potrebbe facilmente affermare che solo un folle può pensare che la costruzione di un grattacielo, progettato da un eccellente architetto, in un posto degradato come quello di Marghera, possa danneggiare l'ambiente. Il problema è invece più complesso e lo si comprende appieno solo alla luce di quel che si è detto poco fa.

Se il bene culturale immateriale è quel bene, astratto eppur pratico, che risulta dalla proiezione delle differenti identità di un composito di più beni materiali, allora la questione è se quel grattacielo possa danneggiare l'identità culturale di Venezia, che non è Venezia laguna, ma è Venezia laguna con di fronte la terraferma di Marghera. Un bene culturale immateriale, dunque, che assomma valori in sé assoluti e in sé relativi. L'assolutezza del valore culturale di Venezia laguna e la relatività del valore culturale di Venezia inteso come skyline di un'esperienza industriale pianificatoria, per alcuni assurda, per altri assolutamente esaltante, di fronte alla Venezia lagunare.

Il che, ovviamente, non vale solo per la città. Vale anche per altri contesti territoriali. La Toscana, per restare ad un esempio eclatante. Non è forse la Toscana un bene culturale immateriale multidimensionale poiché non rappresenta la proiezione di un bene culturale materiale ma è invece l'espressione sublimata (e concreta) di un insieme, di una rete di beni culturali materiali? Lo stesso vale per le ville venete, che addirittura nascono da un'idea geografica particolare, reticolare e diffusa, non si sa bene come confinata. Il dato è poi particolarmente evidente con riferimento ad eventi come l'Expo o come la candidatura di Assisi per Capitale della Cultura 2019.

Senza dimenticare poi un altro aspetto giuridico di tutta evidenza, ossia il fatto che la proiezione immateriale di beni culturali materiali eterogenei, che ne costituiscono il punto di partenza e la scaturigine, non rappresentata da un unico ente esponenziale, non è imputabile a un unico ente di riferimento. E' in questo sta certamente una delle criticità della tutela e ben rappresenta a mio avviso la grande difficoltà di pensare la norma giuridica come strumento di regolazione della valorizzazione di questi beni. Assisi è il complesso monumentale civile, ma è anche il complesso monumentale ecclesiastico; è la rappresentazione di beni culturali che sono lo spirito civile, l'architettura, la cultura, la storia medievale, ma anche lo spirito religioso, il messaggio ed il rapporto col trascendente.

In alcune contesti è particolarmente evidente anche la parte privata che costituisce uno degli elementi costitutivi di quel bene immateriale composito. In quante città della Toscana il commercio è, allo stesso tempo, storia e cultura e identifica l'origine del bene culturale immateriale che chiamiamo città?

Lo stesso vale per le reti museali della città. Nella mia città la rete museale, che mette insieme le strutture del Comune, quelle dell'Università e alcuni musei privati (di fondazioni o di singoli privati), pone un difficile problema perché la rete museale è un bene culturale immateriale unico e unitario, che riproduce più beni materiali che hanno un'espressione e una derivazione di più collettività di riferimento che ne sono proprietari. Il bene culturale immateriale è, dunque, non solo composito ed eterogeneo, ma anche in sé irriconducibile al normale assetto delle funzioni pubbliche o dei diritti dei privati.

Il Consigliere Fantini descrive ed imposta temi e vicende nel modo più corretto. Attenzione, però: un conto è il problema della tutela del bene culturale immateriale, altro conto è quello della sua valorizzazione. Comprendo perfettamente l'esigenza di individuare un interesse unico per la tutela. Non è solo per comodità, è soprattutto dogmaticamente necessario. Tuttavia, poiché la valorizzazione è costituita da una serie coordinata di azioni positive (non negative, come invece accade per la tutela), l'impossibilità di trovare un unico centro di imputazione di quelle azioni e l'impossibilità di ricondurre il bene immateriale ad un solo soggetto esponenziale preoccupano non poco sotto il profilo dell'agire pratico.

Un esempio: quello di San Petronio a Bologna. Non della basilica di San Petronio o della storia del Santo, bensì dell'emblema di San Petronio. Giuridicamente ho dei dubbi che quell'emblema sia spendibile, non come rappresentazione grafica, ma come marchio, come nome e come entità culturale immateriale da parte dell'ente esponenziale. A chi appartiene, dunque, uno dei più evocativi simboli culturali della città? Alla chiesa? Al Comune? E a chi spetta la sua valorizzazione, nobile e prosaica?

A proposito della valorizzazione, pongo due domande. La prima: se esiste un'azione che ha una valenza di servizio o di funzione, che è quella della valorizzazione, qual è l'interesse generale, l'interesse pubblico alla base? La seconda: quale è il modo migliore per tutelarlo e per realizzare l'interesse pubblico, vale a dire per valorizzazione il bene culturale immateriale?

Confesso, di essere un semplice amministrativista e, tendenzialmente, un positivista del diritto. Quindi, dico subito che accetto la teoria secondo la quale l'ente pubblico è un ente esponenziale di interessi giuridicamente propri, i quali, tuttavia, non sono altro che interessi istituzionali attribuitigli da un atto e da una volontà formale e contingente (la legge). Non credo affatto che siano interessi sostanzialmente suoi gli interessi pubblici e gli interessi collettivi che, trasformati in istituzionali, gli appartengono soltanto giuridicamente. Credo che essi appartengano alla collettività o alle collettività, non all'ente. Per il nostro discorso si tratta di un dato importante.

Mi permetto anch'io un esempio, anche se assai meno colto di quelli proposti dal Presidente Severini: il Festival dei Buskers di Ferrara, il festival dei musicisti ambulanti. E' un festival nato qualche anno fa ma in realtà riproduttivo delle vecchie tradizioni musicali irlandesi. Viene pubblicizzato, con la capacità che Ferrara ha di presentare gli eventi culturali, come un patrimonio della città. Ma la città non c'entra nulla. Il Comune di Ferrara con il Festival dei Buskers non c'entra. C'entra la città, che è una cosa diversa dal Comune di Ferrara. La titolarità è una titolarità di collettività, che compone, costituisce e valorizza quel bene molto di più di quanto non lo faccia il Comune, o, perlomeno, di quanto non l'abbia fatto. L'imputazione della valorizzazione di quel bene culturale identificato con la città di Ferrara può, allora, essere attribuita, imputata e giuridicamente legata all'ente esponenziale? Ho più di un dubbio.

La soluzione al problema di quale sia l'interesse pubblico oggetto della valorizzazione, dunque, non può nascere da un equivoco (o peggio ancora, da una mistificazione): non si tratta dell'interesse istituzionale di un ente, bensì di un interesse della collettività, di cui l'ente è sì parte importante, ma che non si esaurisce nell'ente.

Qual è il modo migliore per valorizzare? Mi pare di dover essere neutro perché imputare la titolarità della valorizzazione del bene culturale immateriale all'ente pubblico può essere la risposta al dato, puramente oggettivo, rappresentato dal fatto che quando le azioni di valorizzazioni sono compiute dai privati hanno delle benemerenze e hanno, per converso, degli effetti negativi. E' un problema che spesso si pone con riferimento ai rave party nei quali vengono chiamati dj di particolare rilevanza o di particolare rinomanza. Per lo più fatichiamo a considerarlo un evento culturale, ma per un'intera generazione quello è un evento culturale a tutti gli effetti. E' evidente, invece, l'incapacità dell'ente pubblico di porre in essere le azioni di valorizzazioni adeguate, agendo spesso sotto i soli profili dell'ordine pubblico e del traffico. E' ovviamente un'ottica sbagliata e le armi sono spuntate a tal punto che, se quel bene non viene imputato al Comune come bene culturale immateriale, calato nella rappresentazione generale della città, il rischio è di comunicarne l'aspetto più negativo e quindi di determinare un'incidenza diminutiva del valore culturale della città. Un bene culturale immateriale che da valore diviene disvalore. Per pura scelta amministrativa, dunque, da vanto a vergogna.

Gli esempi sono infiniti. Il problema si è posto, ad esempio, per il Gay Pride, che spesso è stato associato ad un depauperamento del valore e dell'immagine culturale che, proprio in ragione della risposta amministrativa, da ipotetico è stato trasformato in reale; oppure per la sponsorizzazione di una società di calcio da parte di un ente territoriale che dando evidenzia al proprio nome o a simboli propri del territorio sulle maglie (trasformandoli così in un marchio) corre il rischio di assistere alla trasformazione del valore culturale in disvalore tutte quelle volte in cui i tifosi, magari ripresi dalle televisioni, bruciano quelle stesse maglie. Non vi è dubbio che quel veicolo ha prodotto, per come è stato utilizzato e per vicende non dipendenti dall'ente, un evento negativo con riferimento alla valorizzazione di quel bene culturale.

Se l'esposizione fin qui condotta è sembrata confusa è perché io stesso sono confuso, perché sebbene percepisca, mi si perdoni il termine, "la materialità" delle considerazioni svolte e del loro oggetto, fatico non poco a sistemarle.

Ho però chiari tre dati che mi aiuteranno a dare una soluzione in merito alle regole della valorizzazione.

Il primo è che il bene culturale immateriale è in realtà una rete, consistente nella proiezione a rete di una molteplicità di beni culturali, a loro volta materiali e immateriali. Tuttavia, è un bene unico in sé, così che il danno che si produce in capo a quella proiezione immateriale dei beni è un danno che incide su tutti i beni materiali e la valorizzazione di una delle sue componenti valorizza l'intero bene culturale immateriale. E, si badi, che sia un'entità unica nel suo molteplice, non è dubbio.

Il secondo dato emerge dalla considerazione che quel bene non appartiene esclusivamente all'ente titolare della rappresentanza istituzionale della collettività stanziata sul territorio. Che il Comune di Siena pretenda di essere il valorizzatore del Palio di Siena, o anche solo della città di Siena, non nella sua proiezione non materiale ma in quella immateriale di bene culturale, è una forzatura e, per certi versi, un'espropriazione giuridica a danno di una collettività di riferimento; collettività che partecipa alla sua creazione, alla sua composizione e alla sua valorizzazione esattamente nello stesso modo in cui vi partecipa l'ente locale di riferimento e che potrebbe avere dei meccanismi di rappresentanza totalmente separati, estranei e perfino confliggenti con quelli dell'ente locale di riferimento.

Vi è poi il terzo dato. Se concordo sul fatto che il panorama giuridico di riferimento non è oggi adatto a regolare il fenomeno descritto, mi chiedo, tuttavia, se davvero sia necessario regolarlo e se siano le norme giuridiche a doverlo fare.

Alla prima domanda do una risposta incerta ma affermativa: a mio avviso è necessario regolarlo, se non altro per dare certezza in merito alla sua effettiva esistenza.

Al riguardo, soccorre una considerazione. E' certo che un conto è la tutela ed altro conto è la valorizzazione, ma è proprio l'unitarietà del bene a far sì che alcune regole debbano esistere per evitare effetti negativi paradossali. Certe azioni di valorizzazione di Palazzo Te, a Mantova, possono infatti essere un'ottima valorizzazione del bene materiale "Palazzo Te" ed al contempo deprimere il bene immateriale culturale "Città di Mantova". La fortuna di un bene materiale può essere la sfortuna del bene immateriale culturale, normalmente più vasto, di cui fa parte.

Di qui, però, la seconda domanda: è la norma giuridica quella a cui affidare la regolazione?

Sono convinto che non sia così. Sono convinto che nel campo che ci interessa la norma sia molto più adatta a tutelare, a porre argini negativi, di quanto non lo sia a produrre gli effetti propulsivi propri della valorizzazione. Innanzitutto, perché la norma giuridica si muove in questo ambito necessariamente per imposizione o per allocazione di funzioni amministrative presso un soggetto determinato. In tal senso, la risposta della norma giuridica non può che essere quella sua tipica: individuato il bisogno, stabilisce chi vi provvede e i poteri attraverso i quali agire.

Che accadrebbe al nostro bene culturale immateriale allora? A chi imputare funzione e poteri nella valorizzazione di San Petronio o della Madonna di San Luca di Bologna? La Madonna di San Luca, per chi conosce Bologna, è un simbolo religioso fortissimo ma è un simbolo laico altrettanto forte. E' la basilica che i bolognesi vedono tornando da Firenze ed è uno dei simboli forti della città. E' un'idea di appartenenza e come tale è laico, prima che religioso. La processione della Madonna, che ne accompagna la discesa e della risalita, ha molti spettatori laici. A chi spetta, dunque, quella valorizzazione? Al proprietario del bene materiale? Sarebbe corretta quella imputazione di un bene che immaterialmente incide sulla città e sul concetto culturale di quella città molto di più di quanto non incidano altri beni?

Che dire, poi, di San Petronio, che in primo luogo è simbolo e parte della facciata del Comune di Palazzo D'Accursio, e quindi del Comune, dal momento che è al contempo il patrono a cui è dedicata la basilica più importante della città di Bologna?

La norma giuridica entra dunque in crisi, perché alle ragioni della valorizzazione dei beni culturali immateriali non può che rispondere nel suo tipico modo l'imputazione formale della titolarità, delle funzioni e dei poteri. Per parte mia, credo che l'unico sistema che può regolare la valorizzazione di questa rete di beni culturali immateriali (dei beni culturali immateriali come rete, più propriamente) sia quella degli accordi spontanei, aperti, dinamici nel tempo e nello spazio, perché le identità cambiano. Infine, dinamici nell'esistenza, perché le identità litigano. Non dubito affatto che sia di gran lunga preferibile un accordo di tal genere ad una norma che decida, staticamente, di allocare la funzione presso un solo soggetto e che ritenga che quel soggetto sia in grado di valorizzare ciò che raramente percepisce nella sua dimensione complessiva.

 

 

 



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