Analisi
Le erogazioni liberali delle fondazioni bancarie: definizione, tipologia e regime giuridico
Sommario: 1. Pubblico e privato nella valorizzazione dei beni culturali: il ruolo delle fondazioni bancarie. - 2. Gli strumenti principali di intervento delle fondazioni bancarie: le erogazioni liberali. - 3. Le erogazioni liberali delle fondazioni bancarie alla prova del federalismo demaniale culturale (e della crisi economico-finanziaria).
The "erogazioni liberali" of banking institutions:
definition, types and legal regime
The so-called "erogazioni liberali" are the main instrument used by banking
foundations in the performance of their liberal activity through which you
realized the pursuit of statutory purposes of solidarity and social assistance.
The "cause of solidarity", typical of all contract in which a public or private
entity follows its own beneficial and super individual interest, offering
services to individuals, is used to configure in an autonomous way the different
types of "erogazioni liberali" that we can identify in practice, regardless
to the liberality patterns typical of the modal donation and also regardless
the cause of exchange typical of bilateral contracts.
1. Pubblico e privato nella valorizzazione dei beni culturali: il ruolo delle fondazioni bancarie
Le ragioni per le quali nel nostro ordinamento la dialettica pubblico-privato e gli strumenti attraverso i quali la stessa si realizza svolgono un ruolo determinante nella valorizzazione del patrimonio culturale sono da ricercarsi nelle caratteristiche proprie del sistema dei beni culturali e nella profonda evoluzione che, più in generale, ha riguardato il rapporto tra interesse pubblico e interessi privati nel settore culturale.
Il riferimento è anzitutto alla natura "complessa" del sistema di gestione dei beni culturali.
Complessità che, come autorevolmente osservato [1], attiene non solo alla pluralità degli interessi e delle funzioni che, insistendo su uno stesso bene, non di rado determinano un conflitto tra esigenze diverse (di conservazione piuttosto che di fruizione) richiedendo un notevole sforzo di coordinamento anche tra diversi livelli di governo, ma anche alla pluralità di contenuti, di soggetti e di forme della cultura intesa come espressione della democraticità e del pluralismo che caratterizza il nostro sistema costituzionale (art. 1, commi 1 e 2, Cost.), che da un lato richiede la necessaria presenza del pubblico per il soddisfacimento delle fondamentali esigenze di tutela e promozione del patrimonio culturale (art. 9 Cost.) e dall'altro impedisce un accentramento dei relativi poteri, pena la violazione dei principi costituzionali del decentramento amministrativo (artt. 5, 118 Cost.) e delle prerogative riconosciute ai privati in un ottica di sussidiarietà orizzontale (art. 118, ult. comma, Cost.).
Con riferimento poi alla evoluzione del rapporto tra pubblico e privato nel settore culturale, il superamento del dualismo tra "interesse pubblico" quale interprete e garante esclusivo degli interessi generali e "interesse privato" quale portatore (solo ed esclusivamente) di interessi legati al mero profitto [2] ha inevitabilmente favorito l'emergere di soggetti intermedi "privati", cui il pubblico ha progressivamente riconosciuto importanti poteri di intervento "diretto" nel settore culturale e che talvolta assumono il ruolo di veri e propri "operatori culturali".
Si tratta, con tutta evidenza, di una realtà fortemente articolata.
In primo luogo, per la diversità sul piano giuridico dei soggetti coinvolti.
Da un lato abbiamo infatti il settore del profit che, nel limiti delineati dall'articolo 41 della Costituzione, si relaziona con l'amministrazione pubblica nel rispetto della disciplina sui contratti pubblici e più in generale dei principi comunitari in tema di tutela della concorrenza e dall'altro la "composita" galassia del no profit, che va dalle Onlus [3], alle associazioni culturali o di volontariato, sino alle fondazioni di origine bancaria [4], chiamate in un ottica sussidiaria a supplire all'inadeguatezza e ai limiti di un pubblico sempre più schiacciato dal necessario rispetto dei vincoli (im)posti dalle politiche economiche e di stabilità delle finanze pubbliche [5].
Con possibili e (persino) pericolose sovrapposizioni. Si pensi al fenomeno delle società strumentali delle fondazioni bancarie [6] che, essendo spesso costituite non tanto (o non solo) per dare una risposta a problemi propri quanto per cercare di risolvere problemi che nascono dal contesto in cui operano, rischiano di snaturare il ruolo delle fondazioni avvicinandole a quell'area a regime pubblicistico da cui dovrebbero rimanere estranee [7].
Il riferimento ovviamente non è a quelle società che si limitano a produrre beni e servizi esclusivamente per la fondazione (società strumentali in senso proprio) ma a quelle che, essendo strumentali a fondazioni operative (e non solo grant-making) [8] che "pongono in essere direttamente interventi in favore della comunità, incidono direttamente anche su altri soggetti o comunque vi si correlano direttamente" [9], aggirando talvolta le regole della concorrenza [10].
In secondo luogo, per la distribuzione territoriale di questi soggetti, tutt'altro che omogenea. A partire proprio dalle fondazioni di origine bancaria, concentrate come noto prevalentemente nel centro nord, che nel legame con il territorio [11] e nell'attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale trovano uno dei propri elementi caratterizzanti [12].
Come si legge nel XVI Rapporto dell'ACRI, relativo al 2010, "nell'agire delle Fondazioni nel settore ÔArte, attività e beni culturali' il legame con il territorio è centrale... l'obiettivo è di mettere in funzione un sistema di rete che possa promuovere l'attivazione e la moltiplicazione di sinergie e risorse economiche, garantendo azioni stabili nel tempo, che al contempo siano in grado di assicurare il soddisfacimento di bisogni culturali della comunità e di cogliere potenzialità di sviluppo più generale da portare a vantaggio del territorio" [13].
In ragione del ruolo assunto dalle fondazioni di origine bancaria nel settore delle attività e dei beni culturali, per il quale nel 2010 sono stati erogati 413 milioni di euro pari al 30,2% del totale delle risorse disponibili, è sembrato utile indagare e delineare, almeno nei suoi tratti essenziali, il regime giuridico dei principali strumenti utilizzati dalle fondazioni nello svolgimento dell'attività erogativa in cui si sostanzia il perseguimento delle finalità statutarie di solidarietà e utilità sociale.
2. Gli strumenti principali di intervento delle fondazioni bancarie: le erogazioni liberali
Una fondazione bancaria, sia nell'ipotesi in cui selezioni i soggetti cui affidare l'ideazione e la realizzazione di un progetto attraverso la pubblicazione di "bandi a progetto", che nella diversa ipotesi in cui disponga un finanziamento a fronte di una specifica richiesta presentata "a sportello", mette in concreto a disposizione le proprie risorse attraverso impegni ad erogare somme di denaro o a fornire altre utilità aventi forma scritta (non solenne) e risultanti dallo scambio di comunicazioni tra la fondazione erogante e il soggetto pubblico o privato no profit beneficiario: le c.d. erogazioni liberali.
Nella prassi è possibile individuare almeno tre diverse tipologie di erogazioni, dove per erogazione si intende il "trasferimento materiale della somma di denaro attraverso tutti gli atti che precedono il passaggio del contributo economico" e per contributo l'"assegnazione, ad esito della determinazione del consiglio di amministrazione della fondazione, di una somma di denaro a fondo perduto per lo svolgimento di un'attività o la realizzazione di un progetto o di un programma" [14].
La prima tipologia si riferisce all'ipotesi in cui la fondazione deliberi un contributo economico in ragione della riconosciuta meritorietà dell'attività in generale svolta dal richiedente [15], per il sostegno della quale il contributo è sempre comunque specificamente destinato (c.d. vincolo di destinazione), e quindi a prescindere dalla realizzazione di una specifica idea progettuale.
Si tratta, è bene dirlo, di un'ipotesi del tutto marginale in quanto le fondazioni bancarie tendono sempre più a caratterizzarsi come fondazioni "a progetto", in cui il contributo economico è subordinato alla realizzazione di un progetto o di un programma specifico ideato e sviluppato dal beneficiario (si pensi al restauro di un bene culturale; all'acquisto di un macchinario per una struttura museale; alla sovvenzione di un progetto di ricerca; al finanziamento della stagione teatrale o concertistica ecc.).
Questa seconda tipologia di erogazioni comporta di conseguenza l'instaurazione fra la fondazione ed il destinatario del contributo di un rapporto giudico di una qualche complessità e durata.
Residuano, infine, le ipotesi in cui le fondazioni stipulano una convenzione per atto pubblico con uno o più soggetti pubblici e/o privati per la realizzazione di un programma comune.
Per quanto l'erogazione della fondazione si traduca, di regola, nella erogazione di una somma di denaro che viene direttamente e personalmente spesa dal beneficiario nel rispetto del vincolo di destinazione e secondo il prospetto di spesa generalmente indicato nella modulistica di richiesta del contributo, non mancano casi in cui tale erogazione assume la forma di un accollo di addebito [16], per cui la fondazione provvede a pagare le fatture per prestazioni che sono state rese nei confronti del beneficiario per la realizzazione dell'attività cui era destinato il contributo.
Nelle tre ipotesi sopra individuate ed a prescindere dalle modalità attraverso le quali si realizza ciascuna fattispecie erogativa, quest'ultima si presenta, in linea di prima approssimazione, come una promessa ad erogare una somma di denaro a favore di un determinato soggetto.
In tale schema è possibile individuare alcuni tratti distintivi comuni: la struttura negoziale ha carattere bilaterale, in quanto alla comunicazione del contributo da parte della fondazione segue l'accettazione del beneficiario [17]; l'effetto traslativo viene meramente prospettato, in quanto non si produce con l'atto con il quale si riconosce il contributo; l'accettazione formale da parte del beneficiario è presupposto necessario (ma non sempre sufficiente) perché si producano gli effetti nei suoi confronti; la prestazione promessa (il pagamento di una somma di denaro; il rimborso delle spese) non ha natura corrispettiva.
Ciò che distingue viceversa le tipologie prese in esame è il tipo di "impegno" che viene richiesto al beneficiario a fronte e per l'erogazione materiale del contributo.
Nella prima ipotesi individuata il beneficiario è tenuto genericamente ad utilizzare il contributo erogato a sostegno della propria attività istituzionale o statutaria; nella seconda è obbligato ad utilizzare la somma per lo realizzazione di un progetto o di un programma specifico; nella terza, invece, dovrà utilizzare la somma per lo svolgimento di un'attività o progetto specifico che rientra, a sua volta, nell'ambito di una programma comune a più soggetti, pubblici o privati.
La dottrina [18] che si è occupata del tema della natura giuridica delle erogazioni liberali delle fondazioni bancarie le ha ricondotte al contratto di donazione attraverso il quale "per spirito di liberalità, una parte arricchisce l'altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un'obbligazione" (art. 769 c.c.).
Si consenta di ricordare che, ai sensi dell'art. 782 c.c., il contratto di donazione deve essere stipulato, a pena di nullità, per atto pubblico salva l'ipotesi di donazione manuale di beni mobili di modico valore, da valutarsi sia oggettivamente che in rapporto alle condizioni economiche del donante (art. 783 c.c.).
L'obbligo di destinare l'utilità oggetto di donazione ad uno specifico scopo, secondo tale ricostruzione, costituirebbe il contenuto del c.d. modus ovvero dell'onere che può gravare sul contratto di donazione se contenuto entro il limite del valore della cosa donata (art. 793 c.c.) [19].
Attraverso il modus il donante può infatti realizzare un proprio interesse, anche di natura patrimoniale, subordinando la sua liberalità all'adempimento da parte del donatario di una obbligazione, più o meno gravosa [20].
La ricostruzione prospettata non appare tuttavia del tutto condivisibile.
Anzitutto nelle erogazioni delle fondazioni bancarie manca la causa (animus donandi) che caratterizza la donazione ovvero "l'arricchimento del donatario a fronte del sacrificio del soggetto donante": in primis, perché il contributo erogato non determina un effettivo incremento del patrimonio del donatario, se non in via mediata e provvisoria, in quanto dovrà essere necessariamente destinato allo svolgimento di un attività o alla realizzazione di un progetto [21]; in secondo luogo, perché il contributo erogato risulta dalla ripartizione del reddito annuale della fondazione e quindi non può configurarsi come uno spossessamento in senso proprio [22] ed infine perché la fondazione non effettua le erogazioni "spontaneamente" ma in attuazione delle proprie finalità statutarie (e degli artt. 2 e 3 e 3 del d.lg. 153/1999) [23].
La riconosciuta discrezionalità [24] delle fondazioni nella scelta dei destinatari dei contributi [25] o delle iniziative da finanziare (nell'ambito dei settori ammessi), che deve essere esercitata in modo da assicurare "la trasparenza dell'attività, la motivazione delle scelte... nonché la migliore utilizzazione delle risorse e l'efficacia degli interventi" (art. 3, 2° comma, decreto legislativo 17 maggio 1999, n.153) [26], non può infatti far passare in secondo piano la circostanza che l'erogazione del contributo è comunque un atto dovuto (atto solvendi causa), in quanto tale del tutto incompatibile con l'animus donandi [27].
Per quanto riguarda inoltre la qualificazione quale modus del vincolo di destinazione del contributo erogato dalla fondazione occorre evidenziare come il ruolo attribuito al modus assuma un peso tale, nell'attività erogativa in esame, da capovolgere completamente il rapporto tra elemento costitutivo (animus donandi) ed elemento accessorio (modus), nel senso che quest'ultimo (obbligo per il beneficiario del contributo di realizzare una determinata attività) prevale nettamente sul secondo (erogazione del contributo) [28].
Detto altrimenti l'importanza del modus priva l'atto erogativo della causa donandi.
E' pertanto al contenuto del rapporto giuridico che si instaura tra la fondazione ed il destinatario del contributo che occorre guardare con maggiore attenzione per ricostruire in termini diversi dallo schema donativo la natura giuridica delle erogazioni ed individuare la disciplina ad esse applicabili, in assenza peraltro di puntuali indicazioni nella legislazione di settore.
Dall'analisi delle tre tipologie di erogazioni indicate emerge chiaramente come il rapporto tra la fondazione e il soggetto destinatario del contributo non si esaurisca, sic et simpliciter, nella dazione dell'erogazione e nella riscossione del contributo bensì si fondi su una "prestazione di dare" della fondazione ed una "prestazione di fare" del beneficiario che è tenuto a destinare la somma di denaro o le altre utilità ricevute a sostegno dell'attività per la quale la fondazione ha riconosciuto il contributo (prima tipologia) piuttosto che a realizzare uno specifico progetto/programma/attività comune (seconda e terza tipologia).
Tra la "prestazione di dare" della fondazione e la "prestazione di fare" del destinatario del contributo sussiste un'indubbia relazione in quanto la prima si impegna ad erogare un determinato contributo a fronte dell'adempimento di una prestazione principale (la realizzazione di un progetto/programma/attività comune) e di una serie di prestazioni accessorie, come la rendicontazione dell'attività svolta, la realizzazione dell'intervento o dell'opera entro un determinato termine, la comunicazione di eventuali contributi economici da parte di altri soggetti pubblici o privati, la segnalazione al pubblico del contributo della fondazione per la realizzazione dell'intervento o dell'opera.
Senza che, con riferimento a quest'ultimo aspetto, si integrino necessariamente gli estremi di un contratto di "sponsorizzazione" [29].
In ragione di quanto detto il comportamento cui si obbliga il destinatario del contributo non sembra quindi qualificarsi come mero "onere", la cui attuazione è necessaria perché il contratto possa produrre i suoi effetti, ma rappresenta il contenuto di una vera e propria "obbligazione contrattuale", il cui eventuale inadempimento determina l'attivazione dei rimedi disciplinati dal codice civile a tutela del contraente adempiente.
E soprattutto non sussiste un credito esigibile da parte del soggetto destinatario del contributo nei confronti della fondazione nel caso di un mancato o non corretto adempimento della suddetta obbligazione.
Si ritiene infatti che tra la "prestazione di dare" della fondazione e la "prestazione di fare" del beneficiario non sussista un nesso di corrispettività e interdipendenza, tale per cui ciascuna delle parti non è tenuta alla propria prestazione senza che sia dovuta quella dell'altra, in quanto l'una prestazione è il presupposto indeclinabile dell'altra.
Detto altrimenti, la prestazione del beneficiario del contributo non si può qualificare in termini di "controprestazione", ossia di prestazione contrattuale casualmente giustificata dalla prestazione di dare della fondazione, in quanto le due serie di prestazioni nascono in momenti diversi e per ragioni diverse, mancando quel nesso di interdipendenza che è proprio dei contratti bilaterali a prestazioni corrispettive.
Quanto osservato sembra trovare conferma nel dato che il sostegno finanziario riconosciuto dalla fondazione è spesso inferiore ai costi complessivi del progetto, per cui difficilmente si può sostenere che tale contributo (rectius prestazione) sia la causa originante dell'opera o dell'intervento cui è tenuto l'altra parte.
Ciò detto, tornando alla classificazione proposta ed abbozzando una ricostruzione in termini giuridici dello schema negoziale delle prime due fattispecie erogative considerate, si può concludere che siamo dinnanzi ad un contratto bilaterale imperfetto, a titolo gratuito, che trova nel fine di utilità sociale e nel vincolo di destinazione dei contributi riconosciuti dalla fondazione la sua giustificazione causale.
Secondo attenta dottrina [30], la configurazione di una "causa di solidarietà" presente in "tutti i contratti in cui un ente pubblico, un'associazione, una fondazione, un comitato od altra istituzione perseguono il proprio interesse benefico ed ultraindividuale, offrendo prestazioni ai singoli" consente di configurare in maniera del tutto autonoma le erogazioni delle fondazioni bancarie, prescindendo dagli schemi di liberalità propri della donazione modale e dalla causa di scambio tipica dei contratti sinallagmatici.
E ciò, secondo la dottrina citata, anche nell'ipotesi in cui non sia immediatamente comprensibile la consequenzialità del singolo atto agli scopi dell'ente, ovvero "quando la promessa o l'atto immediatamente dispositivo, anziché essere ricompresi nell'attività ordinamentale volta a realizzare i fini istituzionali, si connettano ad essi secondo un nesso indiretto, attribuendo ad esempio a soggetti beni che questi dovranno a loro volta utilizzare secondo scopi condivisi e perseguiti dall'ente" in quanto non cambia la natura del controllo causale sull'atto, che consisterà pur sempre nel verificare la congruità allo scopo e l'ineludibilità giuridica della destinazione allo scopo del diritto trasferito" [31].
Come nel caso, abbastanza diffuso nella prassi, in cui la fondazione acquisti un bene per trasferirlo successivamente al terzo beneficiario [32].
Purché, è necessario precisarlo, il contributo erogato sia in linea con lo scopo e con le finalità che la legge e lo statuto attribuiscono all'attività erogativa della fondazione.
Ciò significa, in linea puramente teorica, che nel caso in cui la fondazione decida di erogare un contributo per un sostenere un'iniziativa che non rientri nei "settori rilevanti" saremmo di fronte ad una vera e propria donazione con tutte le conseguenze in ordine agli aggravi formali (salvo si tratti di un contributo di modico valore) e fiscali previsti dalla legge [33].
Partendo da analoghe premesse, con riferimento alle fattispecie erogative ascrivibili alla terza tipologia individuata, sembrano ravvisarsi gli estremi di un contratto (almeno) bilaterale imperfetto, a titolo gratuito, con comunione di scopo (ex art. 1420 c.c.) [34], avente ad oggetto cioè la creazione di un rapporto collaborativo tra la fondazione erogante ed il soggetto percipiente volta al raggiungimento di un obiettivo comune di rilevanza sociale e culturale.
Con la conseguenza che le prestazioni in capo alla fondazione e ai soggetti che operano per la realizzazione del progetto comune non sono in un rapporto di corrispettività in quanto il loro adempimento è preordinato al raggiungimento del comune scopo delle parti.
Nei contatti con comunione di scopo il rapporto di sinallagmaticità non intercorre tra le singole prestazioni dei vari contraenti ma tra la prestazione di ciascun contraente e la realizzazione, mediante l'associazione delle singole prestazioni, dello scopo comune [35].
In conclusione, si consenta di sottolineare il rapporto esistente tra la natura e il contenuto dell'obbligazione in capo al destinatario del contributo ed il momento in cui sorge la prestazione della fondazione.
Per quanto riguarda le erogazioni che rientrano nella prima tipologia, pur escludendosi il nesso di corrispettività, si ritiene che la prestazione di dare della fondazione sorga nel momento in cui, data comunicazione al beneficiario dell'avvenuta assegnazione del contributo, si perfezioni la relativa accettazione.
In tale ipotesi l'unica obbligazione in capo al destinatario del contributo consiste infatti nell'obbligo di destinare o utilizzare [36] (nel caso di anticipo), entro un determinato e congruo lasso di tempo, la somma di denaro (o la diversa utilità riconosciuta/ricevuta) a sostegno dell'attività in ragione della quale il contributo è stato riconosciuto, cui si aggiunge ovviamente la rendicontazione consuntiva dell'attività svolta.
In riferimento invece alle fattispecie erogative ascrivibili alla seconda e terza tipologia, in ragione del fatto che la prestazione di dare della fondazione nasce per effetto e in conseguenza dell'adempimento altrui, il diritto di credito del beneficiario sorge solo e per effetto della corretta esecuzione della prestazione (di fare) dedotta; ne consegue che nell'ipotesi di mancato o non corretto adempimento della stessa la fondazione potrà revocare in tutto o in parte la propria disponibilità, sospendendo l'erogazione del contributo e agendo per la riscossione delle somme eventualmente corrisposte.
L'eventuale presenza di una tale previsione nell'atto con il quale si riconosce il contributo, integrando gli estremi di una clausola risolutiva espressa (ex art. 1456 c.c.), comporta lo scioglimento automatico del rapporto contrattuale nel momento in cui la parte non inadempiente manifesta la volontà di avvalersene, senza che sia necessario valutare l'importanza dell'inadempimento il quale, avendo le parti considerato la clausola essenziale al momento della stipulazione del contratto, risulta in re ipsa.
Nessun problema, infine, in ordine alla presenza di una clausola risolutiva espressa nella terza tipologia di erogazioni considerata, in quanto la maggiore dottrina, preso atto della mancanza nel nostro ordinamento di una disciplina comune ai "contratti con comunione di scopo", ha osservato come la circostanza che i contraenti intendano perseguire un medesimo scopo anziché scopi contrapposti non giustifica ex se una disparità di trattamento giuridico sul piano dei rimedi azionabili in caso di inadempimento delle prestazioni dedotte nel contratto [37].
3. Le erogazioni liberali delle fondazioni bancarie alla prova del federalismo demaniale culturale (e della crisi economico-finanziaria)
Dall'analisi dei rapporti redatti nel corso degli anni dall'ACRI risulta del tutto evidente che le fondazioni bancarie hanno svolto appieno il ruolo di soggetti no profit dediti al sostegno dei bisogni delle comunità di riferimento.
Suscitano quindi non poche preoccupazioni alcuni recenti interventi normativi che, almeno indirettamente, potrebbero condizionare le scelte delle fondazioni in merito ai progetti da finanziare.
Ci si riferisce in particolare al decreto legislativo di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale (legge 5 maggio 2009, n. 42) in materia di federalismo demaniale (decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85) [38] che rinviando "confusamente" [39] a "criteri di territorialità, sussidiarietà, adeguatezza, semplificazione, capacità finanziaria, correlazione con competenze e funzioni, nonché valorizzazione ambientale", ha previsto un complesso meccanismo di devoluzione dei beni demaniali e del patrimonio indisponibile dello Stato al patrimonio disponibile degli enti locali, pur facendo salve alcune tipologie di beni tra cui rientrano "i beni appartenenti al patrimonio culturale salvo quanto previsto dalla normativa vigente e dal comma 7 del presente articolo"(art. 5, 2° comma).
L'eccezione, apparentemente "ampia", soffre di una significativa deroga.
Il 5° comma dell'art. 5, come modificato dall'art. 27, comma 8, della legge 214/2011, prevede infatti che "Nell'ambito di specifici accordi di valorizzazione [40] e dei conseguenti programmi e piani strategici di sviluppo culturale, definiti ai sensi e con i contenuti di cui all'articolo 112, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, lo Stato provvede, entro un anno dalla data di presentazione della domanda di trasferimento, al trasferimento alle regioni e agli altri enti territoriali, ai sensi dell'articolo 54, comma 3, del citato codice, dei beni e delle cose indicati nei suddetti accordi di valorizzazione", sempreché non rientrino tra i "beni costituenti la dotazione della Presidenza della Repubblica, nonché [tra] i beni in uso a qualsiasi titolo al Senato della Repubblica, alla Camera dei Deputati, alla Corte costituzionale, nonché agli organi di rilevanza costituzionale", comunque esclusi dal trasferimento dal 7° comma dell'art. 5.
La stessa locuzione "beni appartenenti al patrimonio culturale" ha invero suscitato non poche perplessità tra i primi interpreti del decreto legislativo se confrontata con l'espressione utilizzata nella legge delega che, all'art. 19, 1° comma, lett. d), esclude dal trasferimento "i beni appartenenti al patrimonio culturale nazionale".
Anche a voler aderire all'interpretazione secondo cui "l'attributo nazionale si riferisce al sostantivo patrimonio e non ai singoli beni che vi fanno parte" [41] cui consegue che tutti i beni culturali (senza ulteriori classificazioni) sarebbero esclusi dal trasferimento previsto dal d.lg. 85/2010 [42], è comunque fatto espresso rinvio all'art. 54, 3° comma del d.lg. 42/2004 secondo il quale tali beni possono "costituire oggetto di trasferimento tra lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali".
Trasferimento che in ogni caso, ai sensi dell'art. 4, 1° comma del d.lg. 85/2010, comporterebbe la sdemanializzazione del bene e quindi il suo ingresso nel patrimonio disponibile dell'ente locale [43].
Di qui il timore che il trasferimento agli enti locali di beni statali induca molti di questi, per esigenze di bilancio, ad avviare processi di dismissione e di alienazione dei beni, magari restaurati o recuperati con il contributo delle fondazioni, al solo (malcelato) fine di fare cassa.
Frustando con ciò la mission istituzionale delle fondazioni e gli scopi di promozione sociale del territorio e della comunità di riferimento che stanno alla base delle erogazione liberali.
Note
[1] M. Cammelli, Pluralismo e cooperazione, in Diritto e gestione dei beni culturali, a cura di C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Bologna, 2011, pp. 175 ss. ed in particolare 175-176.
[2] Sul tema M. Cammelli, Pluralismo e cooperazione cit., p. 180; come ricorda L. Casini, Pubblico e privato nella valorizzazione dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 2005, 7, pp. 785 ss., superata una prima fase in cui il rapporto tra le pubbliche amministrazioni preposte alla cura del patrimonio culturale e i privati si esauriva nella mera contrapposizione tra interesse pubblico alla conservazione del bene e interesse dominicale del privato ed una seconda nella quale, in ragione dell'affermazione della funzione sociale del patrimonio culturale espressa all'art. 9 della Costituzione, accanto all'interesse del privato proprietario e all'interesse pubblico dell'amministrazione è progressivamente emerso l'interesse della collettività alla piena fruizione del patrimonio culturale, si è aperta una fase (quella attuale) nella quale, per effetto della piena affermazione della dimensione economica della cultura, hanno trovato spazio anche altri interessi come quelli dei privati finanziatori (p. 788).
[3] Sebbene l'introduzione nella legislazione italiana di misure fiscali volte ad incentivare interventi di protezione e valorizzazione del patrimonio culturale risalga alla legge 2 agosto 1982, n. 512, le cui disposizioni, pur emendate da successivi interventi legislativi (tra cui l'art. 38 della legge 21 novembre 2000, n. 342) costituiscono ancora la cornice normativa di riferimento per quanto concerne le agevolazioni fiscali al mecenatismo culturale, è con la legge istitutiva delle ONLUS, d.lg. 4 dicembre 1997, n. 460, che è stata introdotta una disciplina specifica (art. 10-29) in merito al trattamento fiscale di "associazioni, comitati, fondazioni, società cooperative e altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica" che svolgono, tra le altre, attività di "tutela, promozione e valorizzazione delle cose d'interesse artistico e storico di cui alla legge 1 giugno 1939, n. 1089, ivi comprese le biblioteche e i beni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409" (art. 10, 1° comma, lett. a), n. 7) e di "promozione della cultura e dell'arte" (art. 10, 1° comma, lett. a), n. 9). Per una ricostruzione del quadro normativo interno ed una incursione sulle principali esperienze straniere si rinvia a L. Zanetti, Gli strumenti di sostegno alla cultura tra pubblico e privato: il nuovo assetto delle agevolazioni fiscali al mecenatismo culturale, in Aedon, 2/2001.
[4] Al solo fine di ripercorrere l'evoluzione del quadro normativo delle fondazioni di origine bancaria si consenta di rinviare a: A. Maltoni, Le fondazioni di origine bancaria secondo il ddl Ciampi-Visco: verso l'adozione di una status charitable, in Riv. trim. dir. pubbl., 1998, 2, pp. 295 ss.; M. Clarich, A. Pisaneschi, Le fondazioni bancarie. Dalla holding creditizia all'ente no profit, Bologna, 2001; F. Merusi, Dalla banca pubblica alla fondazione privata: cronache di una riforma decennale, Torino, 2000; Idem, La fine della storia: la legge 461/98 e il d.lg. 153/99 sulle fondazioni bancarie, in Banca impresa e società, 1999, 3, pp. 457 ss.; Idem, La privatizzazione per fondazioni tra pubblico e privato, in Dir. Amm., 2004, 3, pp. 447 ss.; G. Pagliari, Le fondazioni bancarie: profili giuridici, Milano, 2004; G. Ponzanelli (a cura di), Le fondazioni bancarie, Torino, 2005; G. Morbidelli, Le attività delle fondazioni tra diritto pubblico e diritto privato, in giustamm.it; F. Roversi Monaco, A. Maltoni, Fondazioni e interessi generali in Italia, relazione al XVIII Congresso italo-spagnolo dei professori di diritto amministrativo Forme private e interessi generali: quale ruolo per le Fondazioni?, Bologna, 27-29 maggio 2010; G. Pastori, G. Zagrebelsky (a cura di), Fondazioni bancarie: una grande riforma da consolidare, Bologna, 2011.
[5] Sull'efficienza allocativa delle fondazioni bancarie e più in generale degli enti senza scopo di lucro nel no profit sector si sofferma A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995, pp. 33 ss.
[6] Sul tema A. Police, Fondazioni bancarie, imprese strumentali e diritto amministrativo, in Aedon, 1/2009; M. A. Stefanelli (a cura di), Le imprese strumentali delle fondazioni di origine bancaria, Milano, 2005; G. Mucciarelli, Attività e impresa nelle fondazioni bancarie, Milano, 2005.
[7] Così M. Cammelli, Le società strumentali nelle Fondazioni, in Aedon, 1/2009.
[8] Come ricorda A. Bartolini, Le fondazioni bancarie e gli interventi nei settori di pubblica utilità, in giustamm.it, dopo la riforma Dini del 1994 le fondazioni bancarie, anziché scegliere tra il modello della grant-making foundation o della operating foundation, hanno optato per una soluzione all'italiana "caratterizzando la propria struttura secondo quello della fondazione complessa funzionale [corsivo mio]: cioè una figura soggettiva che, da un lato, opera tramite programmi attuati direttamente o con la collaborazione di terzi e, dall'altro, finanzia progetti ed agisce anche mediante enti strumentali. Insomma una fondazione che sulla base di delibere programmatiche interviene nel territorio con una struttura polifunzionale, in cui si assommano le figure dell'operating, della grant making e della fondazione holding". Nel XVI Rapporto sulle Fondazioni di origine bancarie redatto dall'ACRI, l'attività erogativa delle fondazioni bancarie conferma la prevalenza dell'impostazione granting (83% degli importi erogati, in significativo calo però rispetto al 89% calcolato nel 2009) pur con alcune correzioni che riguardano la partecipazione alla definizione di elementi strategici e programmatici degli interventi.
[9] La distinzione è di M. Cammelli, Le società strumentali nelle Fondazioni cit.
[10] Come ben evidenzia A. Police, Fondazioni bancarie, imprese strumentali e diritto amministrativo cit., partendo dall'assunto che il finanziamento di un intervento di restauro rientra tra le attività tipiche delle fondazioni bancarie "costituire un soggetto nella forma della società a responsabilità limitata, che effettua interventi di restauro, e cioè attività d'impresa tipica, non appare come una necessità, o meglio, come una soluzione organizzativa appropriata rispetto a un'attività che risulta strumentale" in quanto "il soddisfacimento di quell'interesse si può raggiungere ragionevolmente attraverso il modello della erogazione", a meno di non volere con ciò aggirare le regole della concorrenza nell'affidamento della progettazione e dei lavori di restauro. Sull'applicazione delle regole dell'evidenza pubblica alle fondazioni bancarie si è espresso recentemente il Tar Lazio, sez. I, 31 luglio 2007, n. 7283, sentenza confermata da Cons. St., sez. V, 7 marzo 2008, n. 1008, entrambe in giustizia-amministrativa.it.
Dai dati del XVI Rapporto dell'ACRI risulta comunque un significativo calo nelle erogazioni dirette alle società strumentali, che passano dal 7,4% del 2009 al 3% degli importi nel 2010; viceversa risultano in deciso aumento le iniziative direttamente gestite dalle fondazioni, che passano dal 3,5% nel 2009 al 13,9% nel 2010.
[11] Secondo il modello della community foundation ben noto all'esperienza nordamericana e descritto, tra gli altri, da P. Ranci, G. P. Barbetta (a cura di), Le fondazioni bancarie verso l'attività grant making: le fondazioni grant making in Germania e negli Stati Uniti, Torino, 1996; M. Clarich, A. Pisaneschi, Le fondazioni bancarie. Dalla holding creditizia all'ente no profit cit., pp. 133 ss.; C. M. Tardivo, Le fondazioni bancarie: una storia infinita, in Riv. amm. rep. it., 2002, 9, pp. 965 ss.
[12] Sul rapporto tra sussidiarietà orizzontale e fondazioni bancarie: E. Balboni, Sussidiarietà, libertà sociali, coerenza della formazione e disciplina delle fondazioni di origine bancaria, in Giur. cost., 2003, pp. 3149 ss.; S. Foà, Le fondazioni di origine bancaria quali soggetti privati espressione delle "libertà sociali": "ordinamento civile" e sussidiarietà orizzontale, in Foro amm. - CDS, 2003, 10, pp. 2838 ss.
[13] Sul ruolo delle fondazioni bancarie nello sviluppo economico delle comunità locali, A. Crociata, P. Sacco, Fondazioni bancarie e sviluppo economico, in Aedon, 2/2008.
[14] L. Maruzzi, Natura giuridica delle erogazioni concesse dalle fondazioni bancarie, in Enti no profit, 2008, 5, 328 ss., pp. 328-329.
[15] Si tratta di erogazioni tramite le quali le fondazioni bancarie sostengono di fatto l'attività ordinaria di piccole associazioni, cooperative sociali e culturali e più in generale organizzazioni no profit che operano nel territorio di riferimento.
[16] Cons. St., sez. I, 25 agosto 1999, n. 1451, in Cons. St., 1999, I, 10, p. 1693.
[17] Di diverso avviso L. Maruzzi, Natura giuridica delle erogazioni concesse dalle fondazioni bancarie cit, per il quale la struttura negoziale è di carattere unilaterale e la causa è interpretabile in piena analogia con quella della "promessa unilaterale" (p. 329).
[18] R. Chieppa, Erogazioni liberali e sponsorizzazioni: quali modalità di intervento delle Fondazioni nel settore pubblico, in Aedon, 1/2010.
[19] Sulla donazione modale, per tutti: U. Carnevali, La donazione modale, Milano, 1969.
[20] A. Marini, Il modus come elemento accidentale del negozio gratuito, Milano, 1941; C. Scuto, Il modus nel diritto civile italiano, Palermo, p. 1909.
[21] In questi termini A. Gianola, Atto gratuito, atto liberale. Ai limiti della donazione, Milano, 2002, per il quale "la mancanza di un impoverimento del soggetto erogante rende inapplicabile lo schema della donazione, sintesi tra un impoverimento e un arricchimento" (219). Sulla necessaria coesistenza dei tre elementi della spirito di liberalità (e quindi dell'obbligatorietà dell'atto di disposizione), dell'arricchimento del donatario e dell'impoverimento del donante perché si configuri una donazione si è recentemente espressa la Corte Cass., sez. civ., 26 maggio 2000, n. 6994, in Giur. it., 2001, I, p. 243, con nota di C. Villani, Il depauperamento del donante è elemento necessario della donazione?.
[22] Tanto più, come evidenzia L. Maruzzi, Natura giuridica delle erogazioni concesse dalle fondazioni bancarie cit., p. 330, che la legge attribuisce priorità al rispetto del principio di integrità del valore reale del patrimonio rispetto ad altre devoluzioni (cfr. art. 5, 1° comma, d.lg. 17 maggio 1999, n. 153).
[23] La maggiore dottrina, infatti, definisce lo spirito di liberalità come la consapevolezza di effettuare una attribuzione patrimoniale senza corrispettivo ed in assenza di obblighi di natura giuridica o anche solo di natura morale o sociale, per tutti: A. C. Jemolo, Lo spirito di liberalità, in Studi Vassalli, II, Torino, 1960, pp. 973 ss.; C. Giannattasio, Delle successioni, divisione, donazione, Torino, 1970, p. 197; G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, Milano, 1956, p. 845; U. Carnevali, Le donazioni, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, VI, Torino, 1982, pp. 439 ss.
[24] Definita dalla dottrina come "discrezionalità amministrativa di diritto privato", nel senso che "l'interesse pubblico primario deve essere doverosamente canonizzato e congruamente ponderato con tutti gli interessi secondari coinvolti, emergenti da quel giusto procedimento disciplinato nei regolamenti sull'attività istituzionale. Si tratta di una vera e propria discrezionalità che si differenzia da quella amministrativa solo per il diverso regime dei vizi dell'atto", così A. Bartolini, Le fondazioni bancarie e gli interventi nei settori di pubblica utilità cit.
[25] Se non ci fosse tale scelta per A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie cit., p. 197, si configurerebbe una vera e propria promessa al pubblico. Autorevole dottrina ha invece ritenuto che persino nell'ipotesi in cui sussista un potere discrezionale in ordine alla selezione dei beneficiari dell'attività dell'ente senza fine di lucro si potrebbe configurare una promessa al pubblico, la quale in tal caso avrebbe ad oggetto non l'erogazione della prestazione ma il compimento di tutta una serie di attività a tal fine preliminari, come pubblicare il bando con certe scadenze, effettuare le selezione nel rispetto di criteri predeterminati nell'atto costitutivo ecc. (cfr. F. Galgano, Delle persone giuridiche, in Commentario al codice civile, (a cura di) A. Scialoja, G. Branca, I, Bologna-Roma, 1969, 238).
[26] Il che legittima a configurare in capo ai potenziali beneficiari un interesse legittimo al rispetto della procedura di selezione, dei criteri e delle modalità stabilite dallo statuto per l'erogazione della prestazione, così A. Gianola, Atto gratuito, atto liberale. Ai limiti della donazione cit., 225.
[27] In questi termini R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, Torino, 1993, I, p. 652; O. Morozzo della Rocca, Gratuità, liberalità e solidarietà. Contributo allo studio della prestazione non onerosa, Milano, 1998, p. 158; U. Carnevali, Le donazioni cit., p. 455; A. Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, Torino, 2000, pp. 52-56 che con specifico riferimento alle attribuzioni deliberate dalle fondazioni bancarie parla di "prestazioni di solidarietà obbligatoria".
[28] Analogamente L. Maruzzi, Natura giuridica delle erogazioni concesse dalle fondazioni bancarie cit, p. 330.
[29] Pur atipico e libero nelle forme la sponsorizzazione è infatti un contratto oneroso a prestazioni corrispettive ed inoltre nelle erogazioni liberali la richiesta di dare evidenza al contributo della fondazione si spiega e si raccorda con lo scopo di promozione dell'attività fondazionale nel territorio che sta alla base del modello della community foundation. Distinguono il contratto di sponsorizzazione dalle erogazioni liberali sia M. Cammelli, La sponsorizzazione tra evidenza pubblica ed erogazione, in Aedon, 1/2010, che R. Chieppa, Erogazioni liberali e sponsorizzazioni: quali modalità di intervento delle Fondazioni nel settore pubblico cit.
In generale sulla sponsorizzazione: R. Chieppa, I contratti di sponsorizzazione, in Trattato sui contratti pubblici, I, Milano 2008, pp. 460 ss.; F. Mastragostino, Sponsorizzazioni e pubbliche amministrazioni: caratteri generali e fattori di specialità; F. Ventura, Le sponsorizzazioni "atipiche" tra Fondazioni bancarie e pubbliche amministrazioni; R. Rossotto, Contratti di sponsorizzazione: opportunità giuridiche, tutte in Aedon, 1/2010; S. Piccinini, Sponsorizzazione, tra onerosità e gratuità, in Rass. dir. civ., 1993, 4, pp. 794 ss. Con riferimento invece al settore dei beni e dei servizi culturali: G. Piperata, Sponsorizzazione ed interventi di restauro sui beni culturali, in Aedon, 1/2005; Idem, Servizi per il pubblico e sponsorizzazioni di beni culturali: gli artt. 117 e 120, in Aedon, 3/ 2008.
[30] O. Morozzo della Rocca, Gratuità, liberalità e solidarietà. Contributo allo studio della prestazione non onerosa cit., pp. 152 ss. Sulla rilevanza nel diritto civile dello "spirito di solidarietà" anche N. Lipari, "Spirito di liberalità" e "spirito di solidarietà", in Riv. trim. dir. civ., 1997, pp. 1 ss.
[31] O. Morozzo della Rocca, Gratuità, liberalità e solidarietà. Contributo allo studio della prestazione non onerosa cit., 158; analogamente A. D'Angelo, Le promesse unilaterali, Milano, 1996, p. 324.
[32] Il che potrebbe suggerire una vera e propria stipulazione a favore di terzo. La presenza di una tale clausola, che in linea astratta non pone problemi di coerenza con gli obiettivi dell'intervento della fondazione in materia sociale e culturale, ad un analisi più attenta non è tuttavia del tutto compatibile con la ricostruzione sin'ora prospettata delle erogazioni delle fondazioni. Il contratto a favore di terzo (ex artt. 1411 ss. c.c.) pur non costituendo un contratto a causa costante ma uno schema negoziale munito di una clausola accessoria che fa deviare gli effetti della contrattazione in capo ad un terzo (cfr. G. Gorla, Contratto a favore di terzi e nudo patto, in Riv. dir. civ., 1959, pp. 595 ss.; U. Carnevali, La donazione modale cit., pp. 18-20; T. Scozzafava, Contratto a favore di terzi, in Enc. giur. Trecc., IX, Ist. Enc. It., 1988, 1 ss.) e che quindi può sicuramente accedere ad un contratto a titolo gratuito, presuppone necessariamente l'esistenza di un contratto sinallagmatico. Solo in questa ipotesi, infatti, un soggetto che non è parte del contratto può in deroga al principio generale di cui all'art. 1372 c.c. recepire gli effetti favorevoli di una stipulazione intervenuta tra altri. Ma, come detto, nelle erogazioni delle fondazioni bancarie non è ravvisabile un nesso di corrispettività tra le prestazioni delle parti.
[33] Di questa opinione è anche A. Palazzo, Atti gratuiti e donazioni cit., p. 55.
[34] Per tutti F. Galgano, Diritto civile e commerciale. Le obbligazioni e i contratti, Vol. II, Padova, 2009, pp. 278 ss.
[35] A. Graziani, Diritto delle società, Napoli, 1962, p. 33.
[36] Si consenta di precisare che la violazione del vincolo di destinazione, avendo natura convenzionale, si configura come illecito contrattuale legittimando la fondazione ad agire a tutela del proprio interesse anche attraverso la revoca della disponibilità economica inizialmente riconosciuta
[37] F. Galgano, Diritto civile e commerciale. Le obbligazioni e i contratti cit, pp. 280-282.
[38] Per un primo generale commento alla riforma sul federalismo demaniale si rinvia a: G. F. Ferrari (a cura di), Federalismo demaniale. Atti del seminario promosso da SSPAL e IFEL (Sala della Protomoteca, Campidoglio, Roma, 11 marzo 2010), Torino, 2010; F. Pizzetti, Il federalismo demaniale: un buon segnale verso un federalismo fiscale, in Le Regioni, 2010, pp. 1-2, 3 ss.; M. P. Vipiana, Federalismo demaniale: le vicende successive alla prima attuazione del d.lg. n. 85 del 2010, in Quaderni regionali, 2010, 2, pp. 463 ss.
Si consenta inoltre di ricordare che proprio "per riconoscere massima attuazione al federalismo demaniale" (oltre che per semplificare i procedimenti amministrativi relativi ad interventi edilizi nei comuni che adeguano gli strumenti urbanistici alle prescrizioni dei piani paesaggistici regionali) sono stati di recente esclusi dalla disciplina di tutela di cui al Titolo I del Codice dei beni culturali i beni immobili di proprietà pubblica la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni (così l'art. 10, 5° comma del Codice dei beni culturali come modificato dall'art. 16 legge 12 luglio 2011, n. 106).
[39] Secondo l'opinione di A. Police, Il federalismo demaniale: valorizzazione dei territorio o dismissioni locali?, in Giorn. dir. amm., 2010, 12, 1233 ss., p. 1233.
[40] Anche se l'accordo di valorizzazione ex art. 112 del Codice dei beni culturali appare come un presupposto necessario ma non sufficiente per il trasferimento. Per P. Carpentieri, Federalismo demaniale e beni culturali, in giustizia-amministrativa.it, "non basta un accordo di valorizzazione quale che sia, riguardante uno o più beni statali, perché questi beni siano ipso facto trasferiti all'ente territoriale. Occorre, invece, un'apposita, inequivoca ed esplicita manifestazione congiunta di volontà delle parti sullo specifico effetto di trasferimento, che costituisce un di più, un effetto ulteriore, solo eventuale e non naturale dell'accordo di valorizzazione, che in tanto si concreta in quanto su di esso si sia formata una chiara e distinta volontà congiunta (consenso) delle parti pascienti"; V. M. Sessa, Il federalismo demaniale e i suoi effetti sul patrimonio culturale, in Aedon, 1/2011, limitandosi a rilevare il silenzio sul punto del legislatore, auspica che le previsioni del 5° comma dell'art. 5 del d.lg. 85/2010 costituisca una occasione per dare nuovo slancio agli accordi di valorizzazione.
[41] P. Carpentieri, Federalismo demaniale e beni culturali cit.
[42] P. Carpentieri, Federalismo demaniale e beni culturali cit.; A. Police, Il federalismo demaniale: valorizzazione dei territorio o dismissioni locali? cit. Di diverso avviso V. M. Sessa, Il federalismo demaniale e i suoi effetti sul patrimonio culturale cit., secondo la quale il d.lg. 85/2010, con riferimento ai beni culturali, si applicherebbe a quelli "relativamente inalienabili". L'A. arriva a tale conclusione partendo dal presupposto che la dicitura contenuta nella legge delega "patrimonio culturale nazionale" si riferisca, in ragione anche dello stesso contesto in cui è inserita, ai beni di "importanza nazionale". Tale lettura, consentendo di sottoporre a trasferimento il patrimonio che tale non sia, si pone nella stessa direzione del Codice che, relativamente all'alienazione dei beni culturali, distingue tra demanio "assolutamente inalienabile" e "demanio relativamente inalienabile" (ossia alienabile previa autorizzazione) proprio in ragione della presenza o meno di un interesse nazionale o particolarmente importante del bene che può essere assimilato al medesimo interesse nazionale in virtù del quale la legge delega sottrae alcuni beni dall'applicazione delle disposizioni sul federalismo fiscale.
[43] Sul punto diffusamente V. M. Sessa, Il federalismo demaniale e i suoi effetti sul patrimonio culturale cit., Di opinione diversa P. Carpentieri, ult. op. cit., per il quale "sul piano fattuale, il tratto distintivo e speciale che differenzia il regime del federalismo demaniale culturale dal federalismo demaniale ordinario e comune alle altre tipologie di beni si rinviene nel fatto che il federalismo demaniale culturale opera un passaggio da demanio a demanio e non, come le altre tipologie di beni, da demanio a patrimonio disponibile. Il bene culturale trasferito in base allo specifico accordo di valorizzazione è dunque iscritto non già... nel patrimonio disponibile dell'ente territoriale destinatario, bensì nel demanio culturale (trattandosi di bene immobile) dell'ente medesimo". In questo senso le indicazioni contenute nell'Allegato A alla Circolare del Segretariato generale del Mibac, 18 maggio 2011, n. 18, ove viene precisato che "Una volta trasferiti in proprietà degli Enti locali, i beni conservano la natura di demanio pubblico - ramo storico, archeologico e artistico - e restano integralmente assoggettati alla disciplina di tutela e salvaguardia di cui al d.lg. 42/2004".