C'è in tutti noi una certa soddisfazione, credo legittima, a presentare questo volume, perché come sappiamo il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 - di approvazione del Testo Unico sui beni culturali - è stato pubblicato nel dicembre 1999, ed è entrato in vigore nel gennaio del 2000: siamo a maggio e il volume è in libreria da qualche settimana: dei contenuti saranno i lettori a giudicare, ma sulla tempestività mi pare non ci si possa lamentare.
Ovviamente per rispettare questi tempi è stato necessario impostare e iniziare il lavoro prima dell'emanazione formale del decreto, seguendo poi nelle sue varie fasi l'articolato processo di elaborazione del Testo Unico.
Un processo, peraltro, che indica come le virtù di un prodotto, innegabili come anche gli aspetti problematici posti in luce, possono derivare anche da procedure apparentemente pesanti - l'acquisizione di una pluralità di pareri, o le navette con le commissioni parlamentari - che però alla fine sono in grado di assicurare buoni risultati. Infatti, il Testo Unico si è affinato strada facendo, a partire da uno schema originario già di buona fattura ma che certo presentava problemi e asimmetrie, proprio grazie alla collaborazione di molte sedi istituzionali, che hanno contribuito ad un esito complessivamente positivo.
Ancora una breve menzione del libro che oggi presentiamo, e che in realtà vuole essere soprattutto lo spunto per parlare del suo oggetto, ossia del Testo Unico. E' stato redatto da alcuni degli studiosi più qualificati del settore, sicché credo che vi si possano trovare spunti di riflessione utili che ne fanno, io credo, non una prima lettura ma un commento pensato e approfondito, a prescindere dal fatto che le soluzioni proposte possano essere talora improntate a ipotesi ricostruttive diverse, il che del resto è il prezzo da pagare all'estrema complessità della materia. Gli interventi di oggi seguiranno le varie parti del volume, cioè del Testo Unico e quindi, andando per ordine, riguarderanno l'oggetto, le forme di intervento, le azioni, il regime.
Vorrei a questo punto dire alcune parole sui temi che trovate svolti nell'introduzione che precede il commento ai singoli articoli. Nello scrivere l'introduzione, ho cercato di dar conto del quadro d'insieme, posto che invece il commentario è per sua natura uno strumento analitico. Quali sono i punti di fondo che meritano di essere sottolineati? Comincerei da una valutazione generale: il Testo Unico sui beni culturali rappresenta di per sé, già per il solo fatto della sua emanazione, un intervento di notevole importanza.
Non dimentichiamo che dopo la legge 1° giugno 1939, n. 1089, ormai vecchia di molti decenni, la normazione di settore si è andata accumulando, con una serie di interventi che hanno creato una specie di tessuto, pieno di strappi e di frettolose cuciture, da cui sono sorti problemi interpretativi e operativi spesso insuperabili.
A ben vedere, il d.lg. 490/1999 segna il punto di arrivo di una tendenza maturata nel corso degli anni, e che ha visto l'introduzione di significative novità in tema di beni culturali. Raramente la materia ha conosciuto un processo di riforma - legislativa, regolamentare, e anche strettamente amministrativa - così intenso come quello avutosi nel decennio scorso. Un processo di riforma tutt'altro che completato, ma che indubbiamente dimostra un importante sforzo di aggiornamento del sistema.
Mi sembra che questo sia il primo riconoscimento da fare. Ciò detto, anche dal punto di vista tecnico i risultati paiono decisamente apprezzabili. Per questo motivo, devo dire, ho trovato fuori luogo qualche critica particolarmente accesa, qualche affermazione un po' sopra le righe: non che manchino, come si vedrà, motivi di riserva o di dubbio, ma ho avuto l'impressione che alcune letture del Testo Unico rivelassero più pathos che consapevolezza delle difficoltà poste dall'oggetto specifico di cui stiamo parlando.
Certamente i temi che ci troviamo ad affrontare sono complessi, e come tali si prestano a valutazioni complesse. Dal canto mio ho cercato di sviluppare tre diverse angolazioni, nello studiare la nuova disciplina.
Un primo profilo è rappresentato dall'esame del Testo Unico come policy, cioè come politica istituzionale e come politica di settore. Qual è la sequenza che ha portato all'emanazione del decreto, per quali ragioni è intervenuta adesso, e con questo taglio: sono i "perché" posti a monte delle leggi, senza la cui valutazione le leggi, anche sul piano più strettamente tecnico, sono difficilmente valutabili.
Un secondo profilo riguarda il Testo Unico nella sua dimensione di atto normativo, di strumento tecnico-giuridico. Infine, un terzo aspetto concerne il Testo Unico nei suoi concreti contenuti. Naturalmente, vi farò grazia di gran parte di questi aspetti, perché sono evidenziati nel testo scritto della introduzione e perché richiederebbero oggi troppo tempo. Ma, mi sembra, già questa impostazione spiega come si possano - o si debbano - trovare più angolazioni: non solo i beni culturali, ma anche le normative che ad essi si riferiscono, hanno bisogno di una pluralità di prospettive; prospettive che, naturalmente, conducono a valutazioni e anche a risultati diversi.
Dal punto di vista del Testo Unico come policy, vi è innanzitutto un elemento che appare con chiarezza: ci troviamo nel contesto della semplificazione amministrativa, ed anzi siamo in presenza di uno degli esempi più significativi in tal senso. Si tratta di una delle tre direttrici delle politiche di riforma amministrativa degli anni '90, rappresentate dal decentramento, dal riordino degli apparati statali, nonché - appunto - dalla semplificazione. Quest'ultima a sua volta si divide in tre filoni, potendo essere normativa, organizzativa, procedimentale.
La redazione dei testi unici si colloca nel cuore della semplificazione normativa, e dunque costituisce uno dei passaggi cruciali delle riforme, importante non solo di per sé, ma anche perché i diversi profili sono reciprocamente collegati. Infatti, se è vero che non può esservi decentramento senza riordino degli apparati statali, è altrettanto vero che né il decentramento né il riordino possono avere luogo senza la semplificazione delle norme, poiché altrimenti rischieremmo di avere un sistema attrezzato per un lavoro su basi nuove, da un lato, ma ancora incentrato su regole di azione superate, dall'altro. Dunque, si tratta davvero di una delle politiche cruciali per l'evoluzione del sistema.
Detto questo, aggiungo che proprio su questi aspetti emerge qualche non trascurabile riserva. Il dubbio che più mi sento di esprimere riguarda la difficoltà del Testo Unico sui beni culturali di prendere in adeguata considerazione i fenomeni in atto sul terreno - per l'appunto - del decentramento e del riordino. In parte è un difetto inevitabile, perché ogni testo normativo ha una propria specificità, un proprio oggetto, ed è difficile che possa dare conto pienamente di tutte le tendenze generali dell'ordinamento. In parte però si tratta di un aspetto da evidenziare, perché comunque siamo in presenza di una disciplina facente parte di un più ampio processo di riforma, sicché ogni lacuna o interrogativo relativo a questo profilo diventa ancor più rilevante.
In particolare, qualche perplessità deriva dal fatto che il Testo Unico è "costretto" a muoversi scontando l'esito non del tutto definito di alcune politiche fondamentali. Il primo dato concerne il decentramento, non ancora a regime, a causa dei peculiari meccanismi previsti dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 e dal d.lg. 31 marzo 1998, n. 112, che come sappiamo subordinano la piena efficacia dei conferimenti alla individuazione delle risorse umane, strumentali e finanziarie. Sia chiaro: il Testo Unico non deve provvedere al decentramento, ma naturalmente risente del suo stato di attuazione.
Il secondo dato riguarda il riordino del ministero per i beni e le attività culturali: si è a lungo discusso, in questi mesi, del regolamento di organizzazione del ministero, in ordine al quale sono state avanzate numerose critiche molte delle quali, a mio parere, giustificate. Il terzo dato ha a che fare con il processo di esternalizzazione verso i privati e altre amministrazioni pubbliche, che è un elemento essenziale per stabilire cosa saranno le istituzioni dei beni culturali nei prossimi anni. La semplificazione operata mediante il ricorso al Testo Unico risente dunque della mancata (o insufficiente) definizione di tutti e tre questi aspetti, perché è evidente - ad esempio - che anche il decentramento è un modo per semplificare, in quanto elimina complessi passaggi dalla periferia al centro. Sicché un Testo Unico che si muove avendo questi interrogativi alle spalle sconta alcune condizioni di obiettiva incertezza.
Non si poteva fare altrimenti? Naturalmente, quando si lavora su fenomeni di una simile ampiezza, ci si muove nel campo del possibile, e non di astratte geometrie tracciate nelle aule universitarie. E tuttavia non c'è dubbio che il provvedimento mostra numerose ipotesi in cui queste incertezze hanno pesato fino al punto, almeno in alcuni casi (penso alla definizione di bene culturale), da scontare un arretramento rispetto a risultati cui provvedimenti precedenti erano già pervenuti Dunque, non si tratta di assegnare promozioni o bocciature, il che sarebbe comunque improprio, ma di registrare insieme ai merito anche i costi del provvedimento di cui siamo chiamati oggi a discutere.
La seconda prospettiva riguarda il Testo Unico come atto normativo. Qui, devo dire, sono ben poche le responsabilità degli estensori, e anzi vanno loro riconosciuti molti meriti, perché il lavoro è stato davvero assai complesso, e l'esito si presenta di buon livello. Il problema è che la semplificazione richiede una serie di messe a punto ordinamentali, oggi tutt'altro che scontate; e che ciò vale, in specifico, anche per la semplificazione delle fonti normative. Il fatto è che il d.lg. 490/1999 nasce all'origine come Testo Unico autorizzato, cioè come strumento di mero coordinamento di norme vigenti, senza valore innovativo, e su queste premesse arriva in parlamento. Poi, per una serie di obiezioni che vengono sollevate in sede parlamentare, peraltro del tutto ragionevolmente, diviene una vera e propria delega al governo per l'adozione di un Testo Unico con valore e forza di legge.
I passaggi parlamentari in un sistema come il nostro non sono mai lineari, ed anzi assai spesso sono convulsi: anche qui niente di peggio che cercare geometrie in una realtà che è tutto tranne che geometrica. Ciò non toglie che finiscano col porsi alcuni problemi di prima grandezza poiché, una volta operata la trasformazione dalla prima alla seconda versione del Testo Unico (e cioè dall'autorizzazione alla vera e propria delega), è rimasta una sostanziale mancanza di principi direttivi non necessari nella prima ipotesi ma determinanti nella seconda.
Detto questo, dobbiamo poi aggiungere che i problemi che hanno scontato gli estensori di questo Testo Unico sono i problemi propri della semplificazione in generale. E in effetti il ricorso al Testo Unico è giustificato da molti fini: riordino, facilità di consultazione - vogliamo trascurarla? - armonizzazione di elementi introdotti in tempi diversi, recupero da parte del legislatore dello spazio decisionale altrimenti affidato all'interpretazione, inevitabilmente estemporanea, degli operatori e in particolare dei giudici. Quando i sistemi normativi sono poco compatti, fatalmente l'operatore si trova di fronte ad antinomie che egli stesso cercherà di risolvere in via di interpretazione. Può risolverle bene o male, ma è certo che si tratta di un moltiplicatore di disarmonie e di un costo secco costo per il sistema, a partire dal contenzioso che ne deriva. Dunque il ricorso al Testo Unico è anche un metodo con cui il legislatore si riappropria di decisioni che diversamente vanno al giudice e all'amministrazione, che essi lo vogliano o meno. Anche in questo risiede l'utilità e la forza dell'adozione di un Testo Unico.
Tuttavia, alcuni aspetti significativi rimangono irrisolti: in che misura lo strumento del Testo Unico garantisce un quadro normativo completo della disciplina vigente in un settore, quando molte disposizioni risultano ormai delegificate, e quindi contenute in fonti regolamentari o comunque non legislative? E' evidente che la piena soddisfazione delle esigenze conoscitive, in un periodo come quello attuale di forte delegificazione e di utilizzazione spinta dello strumento regolamentare, presupporrebbe il fatto di associare insieme norme legislative e norme regolamentari, perché se ci si limita alle prime e si trascurano le seconde si finisce per avere un quadro molto parziale in cui compaiono solo enunciazioni di principio o singoli istituti coperti da riserva di legge, ma non si dà conto del grosso della normativa vigente.
Dunque i testi unici, se vogliono svolgere la loro funzione conoscitiva, devono riunire norme legislative e norme regolamentari. E qui si pone un problema giuridico di notevole delicatezza, perché se è vero quanto appena si è detto, è altrettanto vero che non possiamo rischiare di "rilegificare", inserendole appunto in un atto con forza di legge, quelle normative che precedentemente erano state affidate a fonti di rango regolamentare. Si ricordi, tra l'altro, che su questa materia le norme generali sulla semplificazione sono intervenute solo successivamente, con l'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, quando dunque il processo di formazione del Testo Unico sui beni culturali si era già avviato. In questo senso, le difficoltà incontrate dagli estensori costituiscono il prezzo pagato alla mancanza di chiarimenti intervenuti successivamente e dunque, in definitiva, alla scelta di procedere (ancora una volta) in modo anticipato ed autonomo.
Poteva essere una ragione in più per suggerire prudenza, ed attendere che si definisse meglio il problema dei testi unici? E' sempre difficile dire cosa viene prima e cosa viene dopo, nei processi decisionali, e lo è ancora di più a cose fatte: in ogni caso, il risultato è che le norme regolamentari che sono state inserite nel testo del decreto vengono inevitabilmente riportate alla veste legislativa, con una evidente incongruenza sostanziale e con altrettanto evidente violazione della delega, che limitava espressamente il riordino alle disposizioni legislative.
L'ultima prospettiva, ovviamente solo in ordine logico, è quella dei contenuti. Vi sono sicuramente una serie di aspetti problematici, in particolare relativi alla definizione della materia e alla nozione di bene culturale, che si sono prestate a molte discussioni, nello stesso parere del consiglio di Stato e nel lungo dibattito intervenuto nel corso dell'iter decisionale. Il problema che si è posto in proposito è stato quello di come evitare che la razionalizzazione di certi profili (allargamento della nozione di bene culturale; unificazione delle forme di tutela) finisse per generare problemi che la delega non aveva previsto o risolto, come si verifica ad esempio per la corrispondente (ma, appunto, problematica) estensione della tutela penale.
E' questo che ha portato gli estensori a riutilizzare una accezione "stretta" di bene culturale in luogo di quella aggiornata, ma estesa, del decreto 112/1998, eppure credo che alcuni di questi problemi si sarebbero forse potuti evitare, distinguendo tra "oggetto" della delega ed "esercizio" della delega: l'oggetto può essere più ampio, l'esercizio più ristretto, come in parte è avvenuto.
Detto questo, non c'è dubbio che si registrano numerosi dati positivi. Anzitutto, dal punto di vista sostanziale: con il Testo Unico si ha l'estensione della tutela a nuovi ambiti, e penso agli archivi, ai beni librari, al materiale fotografico; si ha l'equiparazione agli enti pubblici del privato senza fini di lucro, aspetto assai importante, soprattutto in una prospettiva di crescita del terzo settore; si ha l'innesto della bilateralità nella regolamentazione dei beni di interesse religioso, elemento che prima mancava, come ci ha indicato nel suo commento Margiotta Broglio, che ce ne parlerà anche in questa sede; si ha l'aggiornamento di importanti concetti, come quello di restauro; si ha la messa a punto delle utilità e delle obbligazioni in capo ai privati.
Vi sono poi una serie di profili positivi di ordine propriamente tecnico-giuridico, su cui non mi dilungo: la semplificazione del regime di tutela dei beni, che viene unificato, senza risentire delle differenze connesse alla categoria di appartenenza del singolo bene, al contrario di quanto avveniva in passato; lo snellimento dei procedimenti di controllo e dei procedimenti di autorizzazione; l'innesto in questo settore degli istituti della legge 7 agosto 1990, n. 241; la previsione di procedure urbanistiche semplificate, quando vi sia l'autorizzazione del soprintendente; il riconoscimento di speciali forme di collaborazione preventiva tra regione ed enti locali, profilo di particolare rilievo soprattutto nell'ambito paesistico.
Questi sono dati oggettivi, a cui corrisponde un passo avanti del nostro sistema dei beni culturali. Naturalmente i problemi non sono finiti, e il sistema continua a conoscere problemi tutt'altro che risolti. Innanzitutto un'avvertenza, ovvia per i giuristi ma molto meno per gli operatori del settore: il diritto dei beni culturali sta tutto nel Testo Unico sui beni culturali? La risposta è no, questa drastica reductio ad unum non è avvenuta (e, in parte, non potrà mai avvenire) per diverse ragioni: rimangono al di fuori gli elementi di rango costituzionale, a partire dall'art. 9 della Costituzione e dall'interpretazione datane dalla Consulta; rimane fuori la disciplina codicistica dei beni pubblici; rimane fuori l'applicazione di alcune discipline generali.
Penso ad esempio al decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, anche in relazione al fatto che il Testo Unico non chiarisce il regime dei ricorsi gerarchici; ma non c'è dubbio che dal d.lg. 29/1993 derivano regole applicabili anche nell'ordinamento di settore, utili tra l'altro a definire il ruolo dei soprintendenti. Dunque il diritto dei beni culturali non è concentrato per intero nel Testo Unico dei beni culturali, per via di una serie di esclusioni inevitabili che dovranno invece essere tenute in debito conto dagli interpreti.
I colleghi che parleranno tra poco si occuperanno più puntualmente dei singoli oggetti, ma di certo chi si ponga in modo sereno davanti a questo quadro non può che apprezzarne lo sforzo compiuto e i risultati conseguiti, e può ben dirlo chi, come il sottoscritto, non ha risparmiato critiche alle politiche istituzionali in materia di beni culturali, e dunque di tutto può essere rimproverato salvo che di "servo encomio".
Il problema semmai è un altro, e cioè che il Testo Unico sia concepito non già come un'opera compiuta, ma come l'avvio di una attività che dovrà continuare nei prossimi anni: questo è vero sul piano giuridico, rappresentato dai "correttivi" che potranno essere apportati entro il triennio successivo (e che, come si potrà vedere dai singoli commenti, in numerosi casi sono necessari e urgenti), ma è vero anche sul piano metodologico e concettuale, perché la semplificazione o è un'opera di "manutenzione" continua o è destinata in breve tempo ad essere cancellata dalla microlegislazione successiva.
Mi auguro che chi dovrà provvedervi trovi nel commento che abbiamo scritto un valido aiuto.
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