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Giornata di studio su "L'istituzione del ministero per i Beni e le Attività culturali" nel quadro delle riforme amministrative

 

Le funzioni del ministero per i Beni e le Attività culturali nella più recente legislazione

di Carla Barbati


Sommario: 1. Aree di attribuzione e funzioni. Lo stato delle indicazioni disponibili. - 2. La tutela, la gestione e la valorizzazione dei beni: la conferma di un ruolo - 3. La promozione delle attività culturali e le "altre funzioni": verso un nuovo ruolo del ministero? - 4. Gli sviluppi possibili e gli interrogativi aperti.


 

1. Aree di attribuzione e funzioni. Lo stato delle indicazioni disponibili

Per individuare quali siano le funzioni che, allo stato attuale della legislazione, competono al ministero per i Beni e le Attività culturali non è sufficiente fare riferimento alle disposizioni del d.lg. 20 ottobre 1998, n. 368. Il decreto istitutivo, benché ne determini le aree di attribuzione, proponendo anche una elencazione esemplificativa di quali siano, in relazione ad ognuna di esse, le funzioni del ministero, procura indicazioni che devono essere integrate con quelle che si ricavano dal complesso delle norme che hanno definito, e stanno definendo, contenuti e modalità dell'intervento pubblico, non solo dell'amministrazione centrale, per l'insieme delle materie che il legislatore delegato è venuto ad attribuire alla competenza dell'apparato ministeriale.

Anche ai fini dell'analisi delle funzioni, assunte qui nell'accezione più lata del termine, è dunque necessario tenere conto del fatto che l'istituzione del ministero si colloca nell'ambito del più ampio disegno di riordino, delineato dalla l. 59/1997, volto a razionalizzare l'organizzazione amministrativa statale, accorpando in capo ad un unico apparato le attribuzioni fra loro omogenee o complementari. Una esigenza che, nel caso in esame, si è affiancata a quella di liberare la Presidenza del Consiglio dalle funzioni concernenti compiti operativi e gestionali, come quelli che, a seguito della soppressione del ministero per il (Turismo), lo Spettacolo e lo Sport, erano stati imputati ad appositi dipartimenti ed uffici, presso la Presidenza [1].

La necessità di perseguire questi obiettivi, in quanto può annoverarsi tra le "cause" del provvedimento istitutivo del ministero, ha indubbiamente concorso ad orientare le scelte fatte in merito alla riallocazione delle funzioni. Tuttavia, un ruolo altrettanto centrale lo hanno avuto le valutazioni di merito cui è stato chiamato il governo, nel momento in cui ha dovuto operare giudicando le omogeneità e le complementarità riscontrabili tra le differenti materie. In sostanza, al governo è spettato riallocare le funzioni valutando la loro comune afferenza ad un ambito omogeneo, quale può essere quello corrispondente a ciò che un determinato ordinamento considera espressione di cultura.

E' evidente che già il riferimento ad una nozione, come è quella di cultura, che mal si presta ad essere definita, soprattutto giuridicamente, in quelli che ne sono i contenuti e le manifestazioni, comporta che ogni operazione volta ad individuare quali materie siano ad essa riconducibili possieda una valenza che non è meramente ricognitiva, ma che diventa anche, ed in misura talvolta significativa, costitutiva ed innovativa, in quanto tale capace di tradursi nell'affermazione di omogeneità soltanto esterne, perché frutto di soluzioni suggerite primariamente dalla volontà di riordinare l'organizzazione amministrativa statale.

Che tale sia la portata delle scelte operate dal legislatore delegato è particolarmente evidente quando si consideri come tale omogeneità sia stata riconosciuta per talune funzioni in materia di sport e di impiantistica sportiva e non per quelle in materia di turismo, sebbene le connessioni di questo ambito con la cultura, specie per quanto concerne la realtà del nostro ordinamento, siano non soltanto evidenti, ma siano anche assunte come dato del quale tenere conto nella definizione delle politiche di entrambi i settori.

A ciò si aggiungano, poi, gli altri esempi rappresentati dalla mancata, almeno per ora, riconduzione in capo al ministero dei Beni e delle Attività culturali delle competenze in materia di diritto d'autore, mantenute presso il Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio, nonostante i diversi auspici della Commissione parlamentare per le riforme, e quell'altra scelta, rimasta incerta quanto ad assetti, relativa alla collocazione degli istituti italiani di cultura all'estero [2].

Le ragioni e le vicende del riordino spiegano, pertanto, lo stato delle indicazioni disponibili in merito alle funzioni. Nel caso in esame, infatti, non si tratta soltanto di misurarsi con la mutevolezza dei dati, che ad esse hanno riguardo, notoriamente esposti alle differenti scelte che possono essere espresse in sede legislativa.

Per quanto concerne il ministero per i Beni e le Attività culturali, la rappresentazione di quali ne siano le funzioni è ulteriormente condizionata e, per certi profili, resa incerta dalla circostanza che le aree sulle quali si esercitano le competenze del ministero, in quanto sono state interessate da precedenti, proprie sistemazioni istituzionali e legislative, hanno anche conosciuto un differente grado di definizione delle funzioni spettanti alle rispettive Autorità di governo. A ciò si aggiunga che, per molte di esse, prive anteriormente di un riconoscimento espresso come materie di interesse pubblico, non sono neppure disponibili dati di esperienza significativi circa i contenuti delle funzioni esercitate in proposito dalle amministrazioni.

Pertanto, se per talune aree è possibile, sin da ora, identificare le funzioni che leggi risalenti nel tempo o anche leggi di recente adozione assegnano all'amministrazione centrale; per altre, occorre attendere le leggi con le quali si procederà alla disciplina dei settori interessati e di cui, in talune ipotesi, sono stati elaborati progetti che ancora attendono di essere approvati definitivamente; per altre ancora, quelle la cui rilevanza agli effetti dell'intervento ministeriale è stata riconosciuta con il d.lg. 368/1998, è solo facendo riferimento al complesso delle norme che concorrono a qualificare il ruolo del centro, in materia di beni e di attività culturali, che è possibile disporre di talune prime indicazioni circa le funzioni spettanti al neo - istituito apparato ministeriale.

Ciò non toglie che esistano principi comuni alle diverse aree di attribuzione funzionale, alla cui stregua possono e devono essere letti ed interpretati i dati disponibili: sono quelli procurati dal d.lg. 112/1998 il quale, definendo le funzioni ed i compiti esclusi dal processo di conferimento alle regioni ed agli enti locali avviato con la l. 59/1997, serve ad identificare le attribuzioni proprie del centro, in quanto ad esso riservate [3].

Il supporto interpretativo procurato dalle soluzioni accolte nel d.lg. 112/1998, tuttavia, non è sempre sufficiente ad una compiuta identificazione dei contenuti e della estensione propria alle diverse funzioni. A parte gli interrogativi lasciati aperti, sul piano concettuale-terminologico, dalle locuzioni talvolta utilizzate allo scopo; agli effetti dell'impostazione da dare all'analisi, è soprattutto la circostanza che la definizione del contesto, entro il quale troveranno esplicazione le funzioni del centro statale, sia rinviata a futuri interventi normativi o a future sedi di concertazione che condiziona la possibilità di pervenire ad indicazioni risolutive circa il ruolo e le attribuzioni proprie del ministero.

E cioè, sebbene il disegno di riforma amministrativa, delineato dalla l. 59/1997 ed attuato dal d.lg. 112/1998, richieda, nella sua prima fase, l'identificazione delle sole funzioni riservate al centro, intendendosi che le altre siano perciò stesso conferite alle autonomie territoriali; tuttavia, l'identificazione di queste ultime può concorrere a quella delle prime specialmente quando, come avviene in materia di beni e di attività culturali, il disegno non sia di realizzare una separazione nelle sfere di competenza, ma, al contrario sia quello di avviare forme di cooperazione dalle quali potrà dipendere anche il contenuto e l'estensione delle funzioni proprie ai diversi livelli di governo, comprese quelle del centro.

Lo stato delle indicazioni disponibili e, soprattutto, l'intento di evidenziare, con riguardo ad ogni area considerata, se e quali altre indicazioni arricchiscano il quadro delle funzioni ministeriali, inducono pertanto ad assumere come criteri, in base ai quali ordinare le risultanze dell'analisi, i riferimenti operati dal d.lg. 368/1998 alle aree di attribuzione (o materie) e al contenuto delle attribuzioni (in questo senso funzioni, nell'accezione più lata ed atecnica del termine), nonostante quanto si è detto in merito alla loro inidoneità a configurare compiutamente i termini della questione.

Procedendo, dunque, dalla ricognizione delle materie (- aree) che, in base alle disposizioni del decreto, rientrano nella sfera di competenza del ministero è possibile distinguere: a) il settore dei beni culturali; b) il settore dei beni ambientali; c) le attività culturali, nel cui novero vengono fatte confluire espressioni di cultura anche profondamente eterogenee quanto ad esigenze connesse al loro sviluppo e, dunque, al ruolo che per esse viene demandato ai pubblici poteri. Vi rientrano, infatti, tanto le attività di spettacolo, in quelle che ne sono tutte le possibili e differenti forme; quanto la fotografia, le arti plastiche e figurative, il design industriale; d) il settore del libro, della lettura e delle attività editoriali di elevato valore culturale; e) i servizi bibliografici e bibliotecari nazionali; f) la cultura urbanistica ed architettonica; g) lo studio, la ricerca, l'innovazione e l'alta formazione nelle materie di competenza; g) la diffusione dell'arte e della cultura italiana all'estero, per le attribuzioni che non spettino al ministero degli Affari esteri; h) lo sport e l'impiantistica sportiva.

Se si raffronta la mappa di queste indicazioni con quelli che erano gli ambiti di intervento propri del precedente ministero per i Beni culturali ed ambientali, è agevole constatare come le novità più significative riguardino, appunto, la riconduzione al medesimo apparato delle attribuzioni in materia di sport e di spettacolo, sebbene di quest'ultimo già il d.l. 657/1974 prevedesse la futura imputazione in capo allo stesso ministero.

Nuove possono considerarsi anche le funzioni assegnate al ministero con riguardo alle "attività culturali"; ovvero, e più correttamente, nuova è l'accezione che si accoglie di tale nozione.

Infatti, benché le attività culturali fossero già state riconosciute come ambito complementare a quello dei beni culturali, e perciò attratte nelle competenze del medesimo ministero, da provvedimenti legislativi di poco anteriori al riordino, è solo con il d.lg. 368/1998 che si superano possibili dubbi circa l'estensione che, agli effetti degli interventi cui è chiamata l'amministrazione centrale, deve riconoscersi a questa area.

Per definire l'ambito assegnato alla competenza del precedente apparato ministeriale di settore, il dpr 805/1975 operava un riferimento generico a ciò che costituisce "bene del patrimonio culturale nazionale"; il d.lg. 368/1998 sceglie di superare le incertezze connesse all'utilizzo di tale locuzione, suscettibile di essere interpretata anche restrittivamente, per accogliere una nozione di "attività culturali" che deve essere interpretata estensivamente.

Dunque, ciò che è nuova, ad opera del decreto, che tra l'altro intitola alle "attività culturali" la stessa denominazione del neo-istituito ministero, è la configurazione di questa come categoria residuale, idonea a comprendere tutte quelle espressioni della cultura che non trovino, nello stesso provvedimento, un'apposita e separata menzione quali materie a sé stanti, in ragione di una specificità che, peraltro, non è sempre immediatamente riconoscibile. Basti pensare, ad esempio, alle difficoltà che si incontrano nel dire "in che cosa" le attività culturali, genericamente intese, differiscano, dal punto di vista ontologico - sostanziale, dal libro, dalla lettura, dalle attività editoriali, dalla cultura urbanistica ed architettonica così come anche dallo studio e della ricerca nelle materie dei beni e delle attività culturali.

E' vero che in questa distinta considerazione potrebbero trovarsi le tracce di quelle che sono le differenti imputazioni delle corrispondenti competenze, specie a livello di amministrazione centrale, se non fosse che ciò renderebbe di ancor più difficile comprensione la scelta che è stata, invece, compiuta con riguardo alle attività di spettacolo. Queste ultime, infatti, non sono state menzionate separatamente, rispetto alle "altre" attività culturali, nonostante le specificità che già le connotano, quanto a vicende e a disciplina della quale sono oggetto, anche per opera del d.lg. 112/1998.

Per quanto concerne, invece, i contenuti delle attribuzioni ministeriali è possibile, sulla base delle indicazioni, ed utilizzando la terminologia, del decreto, individuare funzioni amministrative di tutela, gestione e valorizzazione con riguardo ai beni culturali ed ambientali; funzioni di promozione per le attività culturali, il libro, la lettura, le attività editoriali di elevato valore culturale, la cultura urbanistica ed architettonica; funzioni di vigilanza sul Coni e sull'Istituto per il credito sportivo, cui si affiancano gli altri interventi cui il ministero è chiamato per le materie, già ricordate, dello "studio, ricerca, innovazione e alta formazione", "diffusione dell'arte e della cultura italiana", "sviluppo dei servizi bibliografici e bibliotecari nazionali".

Anche a questo proposito, è di immediata evidenza la maggiore latitudine che deriva alle attribuzioni ministeriali dal loro andare oltre quelli che sono i tipici ambiti della tutela e della valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, per estendersi alla vigilanza su di un settore peculiare, come è quello degli istituti operanti nel settore dello sport e, ancora di più, per configurarsi anche come promozione nei confronti di tutto ciò che può considerarsi espressione di cultura. Anzi, come si avrà modo di illustrare successivamente, è proprio questo, indicato da ultimo, l'ambito potenzialmente più ampio di intervento ministeriale, ma è anche quello maggiormente indefinito ed indefinibile sulla base delle sole indicazioni legislative.

Quando, infatti, si considerino le definizioni che delle funzioni e delle aree di attribuzione vengono offerte dal legislatore, principalmente dal d.lg. 112/1998 alle cui disposizioni rinvia lo stesso d.lg. 368/1998, è possibile anche verificare se ed in quali termini tali indicazioni contribuiscano a qualificare il ruolo che, in relazione ad ognuna di esse, spetta al ministero.

 

2. La tutela, la gestione e la valorizzazione dei beni: la conferma di un ruolo

Procedendo da quelli che appaiono i nuclei di funzioni maggiormente definiti o più agevolmente definibili, una posizione a sé deve essere fatta alla funzione che, tipicamente, connota l'azione ed anche gli assetti organizzativi dell'apparato ministeriale: la tutela dei beni culturali [4].

La tipicità di questa funzione, autoritativa, comporta che sia possibile identificarne i contenuti e perciò le attribuzioni che ne derivano in capo agli apparati legittimati ad esercitarla, sulla base delle indicazioni procurate in sede legislativa e che, allo stato attuale, sono ancora quelle che risalgono alla normativa cui si deve la disciplina fondamentale della "tutela delle cose di interesse artistico e storico", e cioè la l. 1089 del 1939.

E' noto come il complesso di questa normativa (unitamente a quella che ha per oggetto la tutela dei beni ambientali), sia al momento interessata da una nuova sistemazione nell'ambito della bozza di testo unico delle leggi sui beni culturali ed ambientali approvato dal Consiglio dei Ministri il 15 gennaio scorso.

Il provvedimento in questione, mentre intende ampliare la stessa categoria dei beni culturali che ne sono oggetto, si propone anche di pervenire ad una migliore definizione dei contenuti propri della tutela e lo fa riconducendo a categorie omogenee e tipizzate, in relazione ai fini che li accomunano, quelli che, in precedenza, erano configurati come una sommatoria di interventi previsti da una legislazione che si era formata in forza di aggiunte successive [5].

Il testo unico, inoltre, si propone di procedimentalizzare la comparazione fra gli interessi della tutela e gli "altri" interessi pubblici, dei quali possono essere oggetto i beni culturali, ed alla cui soddisfazione sono ordinate le "altre funzioni", quelle della gestione e della valorizzazione. Nel prevedere ciò, tuttavia, lascia agli apparati ministeriali, chiamati ad esercitare in via istituzionale ed esclusiva la funzione di tutela, anche la determinazione della estensione che potranno avere le esigenze ad essa sottese. In tal modo, si ribadisce l'idoneità della tutela ad operare come limite che definisce in negativo la capacità espansiva delle altre funzioni non riservate al centro, né alla parte pubblica, come si deve desumere dall'art. 10 del d.lg. 368/1998 e dagli indirizzi che si vanno definendo, per una presenza dei privati che non sia più e solo in chiave di sponsorizzazione-mecenatismo, ma di vera e propria partecipazione ad attività che riguardino direttamente la gestione e la valorizzazione dei beni.

Volendo, in questa sede, prescindere da ulteriori considerazioni circa le implicazioni che ne derivano sul piano dei rapporti pubblico-privato; con riguardo alla gestione si può rilevare che, pur essendo configurata come funzione che, in quanto abbia ad oggetto beni dello Stato, compete agli apparati ministeriali, è però ed anche funzione che, in base alle disposizioni della l. 127/1997 per come attuate dall'art. 150 del d.lg. 112/1998, può essere scorporata dal ministero e trasferita alle autonomie territoriali, almeno per quei musei e per quegli altri beni culturali statali che vengano a tale scopo individuati dall'apposita Commissione paritetica.

Il trasferimento della gestione comporta, perciò, che le regioni, le province ed i comuni siano legittimati ad esercitare autonomamente una serie di attività che trovano, comunque, un limite nel prioritario rispetto delle esigenze di tutela. In ciò si può, pertanto, ravvisare la premessa che, per le ipotesi in cui si proceda a tale trasferimento, conduce a riconoscere in capo al centro un ruolo e compiti diversi, quali sono quelli che consistono, per disposizione del medesimo legislatore, nella definizione di criteri tecnico - scientifici e di standard minimi da osservare nell'esercizio delle attività di gestione, in modo da garantire un adeguato livello di fruizione collettiva dei beni, la loro sicurezza e la prevenzione dei rischi. In sostanza, lo Stato e, per esso, l'apparato ministeriale di settore verrebbe ad esercitare una funzione che può definirsi di indirizzo, oltre che di vigilanza, la quale potrebbe anche indurre all'adozione di misure sostitutive nel caso si verificassero inerzie pregiudizievoli alle finalità che informano ogni intervento su, o in relazione a, beni culturali.

Per quanto concerne, invece, la valorizzazione dei beni culturali, si tratta di funzione ( - compito) il cui esercizio può essere condiviso dal centro e dalle amministrazioni locali, in relazione all'ambito proprio ad ogni livello di governo. Certo, quando si considerano le attività nelle quali essa si estrinseca, fra le quali rientrano "il miglioramento della conservazione fisica dei beni e della loro sicurezza, integrità e valore" o nella "fruizione agevolata dei beni" o, ancora, nella "organizzazione di mostre", si comprende quanto anche gli interventi di valorizzazione possano intersecare, non solo in via di principio, ma nella loro concreta esplicazione, le prioritarie esigenze della tutela e, perciò, trovare in esse un limite capace di conformare l'esercizio della relativa funzione da parte dei diversi soggetti legittimati. Eventualità che trova, poi, una definitiva sanzione anche nelle disposizioni del testo unico.

 

3. La promozione delle attività culturali e le "altre funzioni": verso un nuovo ruolo del ministero?

Considerazioni a sé merita il complesso delle funzioni volte alla "promozione delle attività culturali". Come si è anticipato, è questa l'area potenzialmente più ampia di intervento ministeriale, ma è anche quella maggiormente indefinita sia per le categorie alle quali fa riferimento, sia per lo stato della legislazione.

Per quanto riguarda l'ambito stesso delle attività culturali, già si è rilevato come il d.lg. 368/1998 lo intenda come una sorta di categoria residuale in cui fare confluire tutte le espressioni della cultura. Allo stesso modo, anche il riferimento alla finalità di promozione, che qualifica le attribuzioni del ministero, sconta un'analoga genericità che lo rende insufficiente a definire quali siano i contenuti e le modalità degli interventi cui è chiamata l'amministrazione centrale.

La conferma delle difficoltà ad identificare ciò in cui consistono tali "funzioni di promozione delle attività culturali" è, d'altro canto, offerta proprio dalle disposizioni del d.lg. 112/1998, alle quali il provvedimento istitutivo del ministero rinvia per la definizione di tali concetti: "attività culturali" sono considerate quelle "rivolte a formare e diffondere espressioni della cultura e dell'arte", mentre la "promozione" viene a comprendere "ogni attività diretta a suscitare e sostenere" le medesime attività.

A ciò si aggiunga quanto si è prima accennato, circa la scelta di sottoporre ad una disciplina differenziata quelle peculiari "espressioni della cultura e dell'arte" rappresentate dalle attività di spettacolo, con ciò rompendo l'apparente omogeneità del settore e delle funzioni connesse, senza che risulti immediatamente evidente dove si collochi la linea di confine che, nella sistematica del decreto, è venuta a separare le une dalle altre.

Il d.lg. 112/1998, infatti, mentre prevede che la "promozione" delle attività culturali, genericamente intese, sia oggetto di una competenza concorrente dello Stato e delle autonomie territoriali legittimati ad intervenire ognuno per il proprio ambito e ricorrendo, di norma, a forme di cooperazione strutturale e funzionale (art.153); per le attività di spettacolo procede, all'interno di un capo e di una disposizione apposita (l'art.156), ad identificare quali siano le funzioni ed i compiti riservati allo Stato per ognuna delle diverse forme nelle quali si esprimono tradizionalmente queste attività, in tal modo offrendo elementi diversi ed ulteriori alla cui stregua declinare il riferimento, operato dal d.lg. 368/1998, alle funzioni di promozione che, in proposito, spettano al ministero.

Per quanto concerne le attività culturali, diverse dallo spettacolo, prime indicazioni circa i contenuti, l'estensione e la forma degli interventi che il ministero può essere chiamato ad effettuare, nell'ambito della propria funzione di promozione, possono tuttavia rintracciarsi in talune disposizioni legislative, anch'esse di recente adozione, sebbene anteriori all'approvazione del d.lg. 112/1998.

In particolare, viene in considerazione quanto previsto nell'art.2 della l. 352/1997; norma della quale, occorre dire, è incerta la futura vigenza, essendo all'esame delle camere un disegno di legge (AC 5296) in cui se ne propone l'abrogazione.

Con questa disposizione, intitolata alla "programmazione delle attività culturali", si è disposto che spetti al ministero adottare ogni anno, anche sulla base di proposte formulate dalle regioni, dagli enti locali e da altre istituzioni interessate, il calendario delle iniziative culturali che si svolgeranno nel triennio successivo ed alle quali lo Stato concorrerà finanziariamente. Disposizione in cui è stata introdotta quella che potrebbe considerarsi una sorta di excusatio non petita, in quanto tale particolarmente eloquente, laddove ha aggiunto che, in ogni caso, manifestazioni, mostre ed altre attività culturali possono svolgersi anche se non inserite nel calendario.

L'accezione di attività culturale, accolta in tale norma, è estremamente ampia, essendovi compresa una vasta serie di interventi che vanno dalla manutenzione e dal restauro delle cose di interesse storico-artistico (quelle cui si riferisce la l. 1089 del 1939), alla organizzazione di mostre ed esposizioni di rilevante interesse scientifico-culturale, compresi studi, ricerche, pubblicazioni relative ai beni culturali. Un solo riferimento viene operato alla organizzazione di eventi musicali di rilevante interesse, uniche fra le attività espressamente menzionate che sia in qualche modo riconducibile al settore dello spettacolo.

Sempre per quanto concerne la legislazione più recente, può ricordarsi anche come, con una legge di poco successiva alla l. 352, la legge 1 dicembre 1997, n.420 si sia istituita, presso il ministero, la Consulta dei comitati nazionali e delle edizioni nazionali, con la finalità di individuare le celebrazioni o le manifestazioni culturali di particolare rilevanza, nonché le edizioni nazionali da realizzare. In particolare, alla Consulta, i cui membri sono nominati dal ministro, spetta deliberare la costituzione e l'organizzazione dei comitati nazionali per le celebrazioni o manifestazioni culturali, l'ammissione al contributo finanziario predisposto allo scopo e la sua entità.

E' evidente che questi sono soltanto esempi di disposizioni, che neppure operano un riferimento diretto alle funzioni di cui si tratta, ma che pur tuttavia contribuiscono a declinare la "promozione" come funzione che si esplica mediante interventi indiretti, volti al finanziamento delle iniziative che si tratta di "suscitare e sostenere". In questo senso, e per il loro tramite, il legislatore conferma ed in un certo qual modo sanziona quelle che sin qui, e sulla base della esperienza prima ancora che delle indicazioni normative, si sono affermate come modalità tipiche per le attività di promozione, non soltanto da parte dello Stato centrale, ma anche degli altri soggetti pubblici.

A tali previsioni, in particolare a quella della l. 352/1997, può tuttavia riconoscersi una portata innovativa nel momento in cui l'ambito interessato riguarda tutte le espressioni della cultura, tutti i soggetti che intendano operarvi ed, inoltre, si accoglie il metodo della programmazione che, benché rappresenti ormai il canone necessario per l'esercizio delle funzioni ministeriali, appare idoneo, con riferimento alle tipologie di intervento previste da tali norme, ad estendere nel tempo gli effetti prodotti dalle scelte che il centro si trovi ad operare.

In sostanza, la disciplina legislativa di tali fattispecie sembra porre le premesse perché le funzioni di promozione, quando assumono la forma propria dei cd. interventi indiretti, si trovino a possedere quella valenza conformativa dei settori, cui hanno riguardo, che, sino ad ora, era soltanto in via interpretativa - deduttiva che poteva riconoscersi quale possibile esito di ciò che costituiva una prassi, più che una pratica ed un metodo legislativamente definiti.

La conferma di questo stato di cose, ma anche la migliore rappresentazione dei caratteri tradizionalmente assunti dalla promozione pubblica, è offerta dalle vicende che hanno interessato il settore dello spettacolo. L'intento dell'analisi non è quello di ricostruire il passato. Tuttavia, con riferimento a questo settore, le riforme di cui è stato ed è oggetto, a seguito dell'abrogazione referendaria della legge istitutiva del corrispondente apparato ministeriale, servono alla stessa interpretazione delle indicazioni fornite dal più recente legislatore. Quanto previsto dall'art.156 del d.lg. 112/1998, in merito alle funzioni che spettano al centro, in quanto attinenti a quei "compiti di rilievo nazionale... per gli indirizzi, le funzioni ed i programmi nel settore dello spettacolo" che la l. 59/1997 ha riservato allo Stato, devono infatti essere lette ed interpretate tenendo conto di ciò che presuppongono, ma anche di ciò a cui rinviano, nel momento in cui alludono ad azioni il cui svolgimento richiama riforme che ancora attendono di essere attuate e talvolta ancora attendono di essere definite in sede legislativa [6].

Circa i presupposti, alla cui stregua devono essere lette tutte le previsioni in materia, una rilevanza centrale deve riconoscersi a quanto disposto con la l. 30 aprile 1985, n.163, per il cui tramite è stato istituito il Fondo Unico per lo Spettacolo, quale fonte per il sostegno finanziario "ad enti, istituzioni, associazioni, organismi ed imprese operanti" nei diversi settori dello spettacolo, sia dal vivo che registrato, e ne è stata assegnata la gestione ed il riparto all'apparato ministeriale di riferimento.

La gestione del Fus rappresenta il principale strumento che è attualmente a disposizione del ministero per i Beni e le attività culturali per esercitare le proprie funzioni di promozione delle attività di spettacolo. Sono proprio le vicende connesse all'utilizzo che è stato fatto di questo strumento a documentare come la portata di tali interventi indiretti, di finanziamento, sia stata diversa a seconda delle attività di spettacolo.

La principale distinzione è quella che, anche a tali effetti, ha opposto le forme di spettacolo dal vivo a quelle proprie dello spettacolo registrato o dallo schermo, delle quali sono tipica espressione le attività cinematografiche. Le differenti logiche ed esigenze che presiedono alla produzione e distribuzione delle une e delle altre ha, infatti, condotto ad assegnare all'intervento pubblico caratteri ed incidenza diversi, in quanto diverse sono le condizioni del mercato in relazione alle quali si definisce il ruolo di promozione spettante ai pubblici poteri ed, in particolare, al centro: se, per lo spettacolo dal vivo, l'incidenza dell'intervento finanziario pubblico è stato tanto elevata da assegnargli una capacità che si ritiene di poter giudicare conformativa delle attività del settore; per le attività cinematografiche, invece, esso ha mantenuto una valenza sussidiaria, di intervento volto a correggere le condizioni del mercato [7].

Sui caratteri che hanno sin qui contraddistinto l'azione di promozione pubblica dello spettacolo è recentemente intervenuto il d.lg. 492 del 21 dicembre 1998 che, tra le altre misure, ha posto anche nuovi criteri e fissato nuove modalità per la erogazione delle risorse confluenti nel Fus. Alcune di tali previsioni sono dirette a garantire a determinati soggetti operanti nel settore una maggiore certezza di risorse (fissando la soglia minima dei contributi ad essi destinati); altre, invece, intendono incidere sugli stessi termini dell'impegno finanziario, di ausilio e di sovvenzionamento, dello Stato, ponendo le premesse perché venga ad essere ridefinito lo stesso ruolo della parte pubblica. Queste modifiche riguardano, in prima battuta, il settore delle attività cinematografiche, nei cui confronti confermano e consolidano la valenza solo correttiva dell'intervento pubblico, ma, in prospettiva, dovrebbero interessare anche le altre forme di spettacolo, sebbene per queste ultime la ridefinizione del ruolo spettante al centro sia affidata anche alla riforma o alla stessa approvazione delle discipline di settore.

Diverso, in relazione alle due forme di spettacolo, è anche il grado di coinvolgimento dei livelli di governo: quanto le autonomie territoriali possono essere interessate dalla promozione di forme di spettacolo dal vivo, che si svolgono sul loro territorio, altrettanto può essere limitato il loro ruolo quando, come avviene per lo spettacolo dallo schermo, le condizioni che presiedono alle fasi principali della produzione e distribuzione di tali attività, in quanto rispondono a differenti logiche ed esigenze di impresa e di mercato, possono arrivare a prescindere da qualsiasi intervento degli enti locali.

Questo, perciò, è il contesto sotteso alle disposizioni del d.lg. 112/1998, quello che rende ragione delle difficoltà che ancora si incontrano ad identificare le funzioni spettanti al ministero, sulla base delle sole indicazioni procurate dall'art.156. In questo senso, si può dire che il caso delle "attività di spettacolo", specie di quelle cd. "dal vivo" offra l'esempio più eloquente di quanto si diceva, in merito alla difficoltà di rappresentare quali siano le funzioni ministeriali, quando esse siano riferite a settori ancora privi di una disciplina che concorra a definire il quadro compiuto entro il quale si collocano.

Emblematico è il caso delle attività teatrali di prosa. La circostanza che esse non siano mai state oggetto di alcuna legge che disciplinasse le modalità dell'intervento pubblico (tanto del centro, quanto delle autonomie territoriali) impone, a chi intenda rappresentare quelle che sono state sin qui le funzioni ministeriali in materia, di riferirsi ai provvedimenti amministrativi tramite i quali sono state definite le condizioni dei finanziamenti erogati dal centro. E' vero che, in proposito, sono intervenute le indicazioni procurate dal d.lg. 112/1998, ma neppure queste sono sufficienti allo scopo, essendo state formulate in termini generici e soprattutto avendo riguardo ai progetti di legge che, in quel momento ed ancora oggi, sono all'esame delle commissioni parlamentari.

Se lo strumento del "finanziamento" rappresenta il contenuto principale delle attività di promozione, sia l'esperienza che i dati legislativi appalesano, tuttavia, l'esistenza e la praticabilità di altre forme di intervento.

Per esempio, le attività di promozione possono esprimersi anche tramite interventi che hanno riguardo a singole fasi di quella che è la complessa realizzazione delle attività di spettacolo. A questo proposito, e per la loro diretta inerenza ad uno dei momenti che più condizionano lo sviluppo di queste attività, quello della distribuzione, possono ricordarsi due leggi recenti che hanno diversamente inciso sul ruolo assolto, in proposito, dal centro.

Con riguardo alle attività cinematografiche, si possono ricordare le modifiche che hanno interessato le attribuzioni del ministero, determinandone un alleggerimento, introdotte dal d.lg. 3/1998, per come attuato dal dpcm 29 settembre 1998, n.391. In base alla nuova disciplina introdotta per l'apertura di sale cinematografiche, all'Autorità di governo spetta oggi intervenire solo per l'apertura di quelle il cui numero di posti sia o divenga superiore a 1.300, non essendo richiesta alcuna autorizzazione per quelle di capienza inferiore. Una riforma che, peraltro, si configura ancora, a giudizio di taluni, come una liberalizzazione mancata, a fronte dei diversi pareri che erano stati dati tanto dall'Antitrust quanto dalla Commissione bicamerale per le riforme.

Di diversa natura, sebbene incidente sempre sulla fase della distribuzione, ma in questo caso dello spettacolo dal vivo, è la l. 15 dicembre 1998, n. 444, per il cui tramite si è assegnata all'Autorità di governo competente, e perciò al ministero, la determinazione dei criteri in base ai quali definire le priorità, nell'ambito ed agli effetti dei contributi da erogare per la ristrutturazione, l'adeguamento degli immobili, adibiti ad attività di teatro e di spettacolo, che siano di proprietà degli enti locali.

A questo punto, però, occorre anche ricordare come la promozione pubblica della cultura sia stata tradizionalmente attuata non solo nelle forme del cd. intervento indiretto, ma anche in quelle proprie al cd. intervento diretto, il quale presuppone la costituzione di organismi, enti per il cui tramite la parte pubblica agisce nel settore, facendosi essa stessa promotrice, a vario titolo ed in varia forma, di iniziative volte allo sviluppo delle attività culturali e di spettacolo.

Anche questa modalità di intervento è stata interessata da recenti misure di riordino. Il denominatore comune a queste riforme può farsi consistere nel conferimento della personalità giuridica di diritto privato ad enti per i quali la veste pubblica non si riveli più necessaria o adeguata, all'espletamento dei compiti loro affidati.

Il precedente più significativo è stato rappresentato dal primo d.lg. 367/1996, con il quale si è disposta la trasformazione in fondazioni degli enti che operano nel settore musicale, modificato dal d.lg. 134/1998 per il cui tramite si è disposta la trasformazione ope legis degli enti autonomi lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate in fondazioni, senza che allo scopo si renda più necessario attendere l'ingresso dei privati. Possibilità che, lo si ricorda incidentalmente, è stata estesa dal d.lg. 492/1998 (art. 7) anche ad altri enti operanti non solo nel settore della musica, ma anche del teatro e della danza, sia pure sulla base dei criteri che verranno definiti dal ministero.

Tali modifiche, peraltro, sebbene mantengano in capo all'Autorità di governo la competenza ad intervenire in momenti significativi della vita di questi soggetti, (spettando ad essa l'approvazione degli statuti e delle modifiche, l'approvazione dell'ingresso dei soci privati, la nomina del consiglio di amministrazione) preludono all'avvio di forme di cogestione pubblico - privato. Un esito, che vale a distinguere tali provvedimenti di riordino da quelli tramite i quali si è operata la trasformazione in persone giuridiche private di altri enti, operanti nel settore delle attività culturali/di spettacolo.

La trasformazione in persone giuridiche di diritto privato è stata, infatti, disposta anche nei confronti della Biennale di Venezia, oggi Società di cultura di diritto privato, dell'Inda e di quella che, a seguito di tali misure, è oggi la Scuola nazionale di cinema [8]. Con tali misure, peraltro, si sono modificati i termini, ma non l'estensione della presenza pubblica e delle funzioni che il ministero è chiamato ad espletare, né si sono poste le premesse per l'avvio di forme di cogestione. Per queste ipotesi, effettivamente, la trasformazione in persone giuridiche di diritto privato ha realizzato quella che, con terminologia ormai diffusa e consueta, si definisce privatizzazione formale, cui non ha corrisposto una privatizzazione anche sostanziale, e cioè una ritrazione della parte pubblica dalla vita e dalla attività degli stessi.

A questo primo corpo di funzioni si aggiungono, poi, quelle che all'attuale ministero fanno capo per quanto concerne il settore dello sport. In proposito, il d.lg. 368/1998 conferma quanto già disposto dal d.lg. 112/1998, in merito alla vigilanza sul Coni e sull'Istituto per il credito sportivo. Funzioni, alle quali si affianca il potere di riparto dei fondi destinati agli interventi in materia di impiantistica sportiva secondo le determinazioni accolte, anche in tale caso, dall'art. 157 del d.lg. 112/1998 [9].

A quelle sino ad ora ricordate, e che possiedono comunque un grado di riconoscibilità che consente quantomeno di verificare quali ne siano i profili ancora incerti, si affiancano le altre attribuzioni che il d.lg. 368/1998 assegna al ministero, con riguardo ad interventi e compiti alla cui identificazione non sempre soccorrono altri dati legislativi o di esperienza. Così è per la "funzione di promozione della cultura urbanistica ed architettonica, inclusa l'ideazione e, d'intesa con le amministrazioni competenti, la progettazione di opere di rilevante interesse architettonico destinate ad attività culturali".

Diversi, e a loro modo peculiari, sono gli interrogativi che si pongono con riguardo alle funzioni assegnate al ministero in materia di "studio, ricerca, innovazione e alta formazione nelle materie di competenze". Un primo ordine di interrogativi concerne la stessa comprensione di quali siano gli ambiti o gli interventi ai quali si fa riferimento, tanto più che, soprattutto per quanto concerne "l'alta formazione nelle materie di competenza", questa formula è astrattamente riferibile a situazioni e ad interventi soggetti ad assetti fra loro molto differenziati. E cioè, al di là di quella che è la terminologia utilizzata, l'analisi non può essere condotta con riguardo all'insieme indistinto delle materie.

Tradizionalmente, infatti, molti istituti operanti per quella che astrattamente appare come alta formazione nei settori considerati, quali le Accademie di Belle Arti, l'Accademia nazionale di arte drammatica, da sempre rientrano nelle competenze del ministero della Pubblica istruzione ed anche il disegno di legge che è attualmente all'esame delle camere per la loro riforma (ddl S2881) ribadisce e, se possibile, ne sottolinea l'estraneità dagli ambiti di competenza del ministero per i Beni culturali, nel momento in cui prevede che essi, ed altri che andranno a costituirsi per la formazione nel settore delle arti, siano configurati come istituti di grado universitario.

In una posizione a sé si colloca, invece, e per le ragioni già viste, la Scuola nazionale di cinema per la quale permane il collegamento con le competenze del ministero. Il ministero per i Beni e le Attività culturali è, inoltre, configurato e confermato dal d.lg. 112/1998 come amministrazione di riferimento per le scuole e gli istituti nazionali di preparazione professionale nel settore dei beni culturali. Tra di essi, una peculiare rilevanza la possiedono gli Istituti per il restauro, dei quali, nell'ambito del d.d.l. AC 5296, si è proposta l'istituzione di sezioni apposite presso gli istituti dipendenti dal ministero.

 

4. Gli sviluppi possibili e gli interrogativi aperti

In conclusione, se il quadro delle funzioni, in quanto risulta ancora indefinito in molti dei suoi profili, non consente di trarre conclusioni in merito a quello che potrà essere il ruolo assolto dal ministero, tuttavia le indicazioni disponibili sono già sufficienti a documentarne la potenziale ampiezza, quando si consideri la latitudine degli ambiti sui quali potranno esercitarsi le sue competenze, essendo allo scopo sufficiente che anche in forza di determinazioni legislative successive si riconosca l'afferenza di singole, determinate materie a ciò che è "cultura", e quando, inoltre, si consideri la multifunzionalità degli interventi ai quali è chiamata l'amministrazione centrale.

Alle funzioni autoritative, tipiche, che hanno sin qui connotato l'azione del ministero, si affiancano infatti, con un rilievo prima sconosciuto, le funzioni incentivanti e di promozione che questo è chiamato ad esercitare nei confronti di tutte le possibili espressioni della cultura. Allo stato attuale, e sulla base delle sole indicazioni legislative, è ovviamente difficile prevedere quale estensione e quale configurazione assumeranno tali funzioni. Molto dipenderà anche dai caratteri e dalla incidenza che le azioni del centro verranno ad assumere nel rapporto che, nei fatti, si stabilirà con la promozione ad opera di altri soggetti, non solo pubblici, e con la stessa necessità di promozioni esterne, rispetto alle condizioni assicurate dal mercato. Da questo conseguirà se l'insieme di queste funzioni si caratterizzeranno per una valenza sussidiaria o, se invece, acquisiranno quella attitudine conformativa di cui si diceva e che, a parte gli effetti che ne possono derivare sulle espressioni della cultura, può comportare un ampliamento delle medesime funzioni, tale da modificarne la stessa configurazione sostanziale, al di là del nomen che ad esse si attribuisca nei diversi testi legislativi che le prevedono.

Un'ultima considerazione. Sin qui si è fatto riferimento, come categoria di analisi, a quelle che sono le funzioni del ministero. E' noto che poteri, ovvero competenze, del ministero e del ministro non sempre coincidono: questo dato, di ordine istituzionale, qualora venisse assunto tra quelli in base ai quali ordinare i risultati dell'analisi, condurrebbe ad evidenziare una serie di attribuzioni a contenuto decisionale che leggi di recente adozione hanno assegnato all'Autorità di governo- ministro, contribuendo a qualificare il ruolo ad esso riconosciuto nell'assunzione di scelte capaci di definire le politiche del settore. Le indicazioni, in tal senso, sono numerose e sottendono interventi fra loro anche molto eterogenei. Qui si ricorda solo, in quanto particolarmente significativa, anche per la sua idoneità a porre le basi per l'attribuzione allo stesso ministero di un nuovo, più ampio ruolo, la previsione che vuole il ministro componente del Cipe (art. 3, d.lg. 368/1998).

Allo stesso modo, nell'analizzare le funzioni, non si è tenuto conto di quelle che ne sono le imputazioni interne all'apparato, nonostante ciò possa condizionarne contenuti e modalità di esercizio. Tuttavia, l'analisi delle funzioni, per la sua ineliminabile attitudine ad intersecare le soluzioni che vengano accolte in merito agli assetti degli apparati, introduce una questione centrale, alla quale ci si limita ad operare qui un breve cenno: è quella che concerne il se ed il quanto la struttura delineata per il ministero dal d.lg. 368/1998 sia adeguata al tipo ed alla natura delle "nuove funzioni" che potranno essere svolte, specie quanto alla promozione delle attività culturali. L'apparato ministeriale, nella sua attuale configurazione, possiede le condizioni minime per assicurare alla propria azione quella duttilità e flessibilità che paiono necessarie ai nuovi interventi o, invece, non sarebbe stata questa una ragione in più per verificare la possibilità di informarne il riordino a modelli diversi, peraltro già indicati dal legislatore delle riforme amministrative?

 



Note

[1] Su questi profili, si rinvia a G. D'Auria, Filosofia e pratica del capo II della l. 59/1997, in questo numero di Aedon.

[2] Certo, quando si valutino le soluzioni accolte dal d.lg. 368/1998, si deve constatare come esse siano omogenee a quelle proprie di altri paesi, membri dell'Unione Europea. In particolare, per quanto concerne le aree di attribuzione funzionale, si segnala l'analogia con le scelte operate nel Regno Unito dove al medesimo dipartimento fanno capo le competenze in materia di beni culturali (per utilizzare, qui, la dizione propria al nostro linguaggio più che a quello britannico), attività culturali e sport. Tuttavia, ogni raffronto con le soluzioni praticate in altri ordinamenti deve tenere conto anche delle peculiarità che caratterizzano i singoli paesi e che, per quanto concerne l'Italia, ben possono farsi consistere nella peculiare consistenza e diffusione territoriale del patrimonio storico - artistico, oltre che, ma su di un piano diverso, nelle scelte, anche costituzionalmente imposte, che essi accolgano circa la distribuzione territoriale del potere politico/amministrativo.

[3] Per l'analisi delle soluzioni accolte, sul punto, dal d.lg. 112/1998, v. G. Pitruzzella, Articolo 148, Articolo 149, Articolo 150, in G. Falcon ( a cura di), Lo Stato autonomista. Funzioni statali, regionali e locali nel decreto legislativo n.112 del 1998 di attuazione della legge Bassanini n.59 del 1997, Bologna 1998, 491 ss.; G. Corso, Articolo 152, Articolo 153, Articolo 154, Articolo 155, in G. Falcon (a cura di), op.ult.cit., 505 ss.; nonché i contributi di M.P. Chiti, G. Sciullo, L. Bobbio, M. Cammelli, M. Ainis, M. Meschino, in Aedon 1/1998.

[4] Come noto, le funzioni della tutela si estendono a quelli che vengono individuati come beni ambientali, sebbene in questo caso siano soggette ad una normativa che, allo stato attuale, si distingue anche in ragione del ruolo che si intende riconoscere alle autonomie territoriali.

[5] In base a questo disegno, la tutela si articola, e perciò comprende, l'individuazione del bene, volta alla dichiarazione dell'interesse che presenta la "cosa" ai fini della tutela, la catalogazione del patrimonio storico - artistico, (e cioè le attività volte a riconoscere i beni culturali, di cui parla il d.lg. 112), e la sua conservazione. Questa appare come il proprium della tutela, a cui sono ordinate una serie di misure di controllo (che si esercitano tramite autorizzazioni, approvazioni, ordini di sospensione dei lavori che abbiano ad oggetto tali beni), gli interventi di restauro, del quale si riconosce perciò e definitivamente l'inerenza alla tutela del bene, oltre a quelle che vengono definite "altre forme di protezione". Nel loro novero, se non dal punto di vista della sistematica del testo unico, quantomeno dal punto di vista del fine al quale sono orientate, rientrato poi una serie di previsioni che sottopongono a limiti e prescrizioni il commercio interno ed internazionale dei beni, la loro alienazione e gli altri possibili modi di loro trasmissione.

[6] Sul punto, sia consentito rinviare a C. Barbati, Articolo 156, in G. Falcon (a cura di), Lo Stato autonomista, cit. 515 ss.

[7] Questi almeno, ricordati nel testo, sono i caratteri che si è ritenuto di poter riconoscere nell'azione di promozione pubblica delle diverse forme di spettacolo, a seguito dell'analisi che se ne è effettuata in C. Barbati, Istituzioni e spettacolo. Pubblico e privato nelle prospettive di riforma, Padova, 1996; cui si rinvia solo per una più compiuta esposizione delle ragioni che hanno indotto a tali conclusioni.

[8] Sulla riforma di cui è stata oggetto la Biennale di Venezia, v. G. Sciullo, La Biennale di Venezia come società di cultura, in Aedon 1/998.

[9] Sul punto, v. L. Coen, Articolo 157, in G. Falcon, Lo Stato autonomista cit., 521 ss.


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