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Sulla digitalizzazione del patrimonio culturale

‘Pubblico dominio’ e ‘Dominio pubblico’ in tema di immagine dei beni culturali: note sul recepimento delle Direttive (UE) 2019/790 e 2019/1024

di Girolamo Sciullo

Sommario: 1. Generalità. - 2. La portata dell’art. 14 della Direttiva 2019/790. - 3. Riflessi sugli artt. 107 ss. del Codice. – 4. La Direttiva 2019/1024 e i beni culturali pubblici. - 5. Conclusioni: spunti per un nuovo scenario.

‘Pubblico dominio’ and ‘Dominio pubblico’ with regard to the immage of cultural heritage: notes on the implementation of Directives (EU) 2019/790 and 2019/1024
The article discusses the Directive (EU) 2019/790 (on copyright and related rights in the Digital Single Market) and the Directive (EU) 2019/1024 (on open data and the re-use of public sector information) with reference to the reproduction of cultural heritage held by public cultural establishments (libraries, museums and archives) and to the circulation of resulting material on the web. The implementation in Italy of the two directives with regard to the provisions of the Code of Cultural Heritage and Landscape is also considered.

Keywords: Digital Single Market Copyright Directive; Open data and re-use of public sector information Directive; Reproduction of cultural goods; Circulation of the images on the web.

1. Generalità

“La messa a disposizione costituisce nel mondo digitale l’equivalente dell’atto di comunicazione nel mondo analogico” [1]. “Le nuove tecnologie permettono la fruizione di contenuti attraverso forme (a distanza), modalità (digitale) e orizzonti geografici (transnazionali) non contemplati dal sistema esistente” [2].

Queste due affermazioni paiono ben compendiare i caratteri dello scenario in cui si collocano le Direttive (UE) 2019/790 e 2019/1024, l’una “sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale”, l’altra relativa “all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione nel settore pubblico”. Pur occupandosi di temi diversi (ma come si avrà occasione di notare collegati), esse presentano il comune obiettivo di aggiornare a vantaggio della società e dell’economia europee il quadro giuridico dell’Unione alla luce degli sviluppi intervenuti nelle nuove tecnologie. Con l’approssimazione imprecisa, ma efficace, della sintesi può dirsi che ambedue cercano di disciplinare questioni presenti già nella realtà analogica, ma che nella dimensione digitale assumono contorni peculiari e talora inediti.

Le due Direttive, il cui termine di recepimento scade rispettivamente il 7 giugno e il 17 luglio 2021, toccano temi che concernono i beni (come pure gli istituti) culturali e in questa chiave vengono qui considerate.

Ambedue sono oggetto della “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2019-2020” (S. 1721-B e prima C. 2757 e S. 1721, XVIII Legislatura), nel momento in cui si scrive all’attenzione del Senato. Dal relativo articolato non emergono elementi meritevoli di specifico esame. L’art. 9 detta principi e criteri direttivi per il recepimento della Direttiva 2019/790 che scontano il presupposto, dichiarato nella relazione di accompagnamento, secondo cui “la direttiva, per il grado di completezza dei suoi elementi, può considerarsi “self-executing”, avendo previsto in maniera sufficientemente dettagliata la disciplina cui si indirizza” [3]. Essi, perciò, almeno per quanto qui interessa, presentano scarso rilievo [4].

A sua volta la Direttiva 2019/1024 manca di una disposizione ‘dedicata’ che stabilisca specifici criteri e principi per il recepimento: essa figura solo nell’Allegato A contenente l’elenco degli atti oggetto del disegno di legge di delegazione. L’assenza di una specifica disposizione è forse dovuta alla circostanza che la Direttiva costituisce una “rifusione” della Direttiva 2003/98/CE modificata sostanzialmente dalla 2013/37/UE. Il che peraltro non avrebbe precluso l’indicazione di criteri e principi direttivi, anche sulla scorta dell’esperienza applicativa offerta dal recepimento delle due precedenti direttive.

Se dunque l’articolato del d.d.l. S. 1721-B non offre particolari motivi di interesse per il settore dei beni (e degli istituti) culturali, non altrettanto però può dirsi a proposito per quanto emerge ‘fuori campo’ rispetto al testo. Ci si riferisce all’ordine del giorno G/1721/53/14 approvato dal Senato [5] e a un’osservazione contenuta nella Relazione (favorevole) della VII Commissione permanente della Camera [6], ambedue rivolti alla “implementazione più ampia possibile” dell’art. 14 della Direttiva. Tale disposizione, che detta il regime giuridico dei materiali derivanti da riproduzioni di opere delle arti visive in ‘pubblico dominio’ (ossia non più oggetto di tutela autoriale), ha richiamato attenzione di stakeholder [7] e studiosi [8] già nel corso dell’iter di approvazione del disegno di legge. A venire in gioco e a essere riproposto all’attenzione è stato il più ampio tema della fruizione dei beni culturali presenti nei luoghi della cultura (musei, biblioteche e archivi) di ‘dominio pubblico’ [9], ovvero di proprietà pubblica.

Senza entrare nel dibattito che il tema continuamente alimenta specie quando lo si consideri nella dimensione virtuale [10], il presente scritto intende esaminare la novità dell’art. 14 inquadrandola nella cornice giuridica in cui essa si inserisce, cornice nella quale la disciplina della proprietà intellettuale rappresenta un elemento essenziale [11], ma non unico. È sempre più chiaro, infatti, che in materia di assetto dei beni culturali pubblici si intersecano, come riflesso dei molteplici interessi implicati, più discipline settoriali [12], quali in particolare, accanto a quella autoriale, le discipline della proprietà pubblica (e della proprietà in generale) e del riutilizzo delle informazioni del comparto pubblico [13]. L’obiettivo ultimo dell’analisi che si condurrà è in definitiva quello di fornire per l’essenziale [14] il quadro giuridico, di matrice europea, che presiede al tema della fruizione dei beni culturali negli istituti della cultura pubblici, quadro che è costituito non tanto dalla sommatoria delle discipline di settore che vengono in rilievo, isolatamente considerate, quanto piuttosto dai collegamenti e dalle intersezioni che fra esse si instaurano. Al riguardo, per non appesantire lo svolgimento dell’analisi, taluni elementi disciplinari si daranno per conosciuti oppure per il loro approfondimento si rinvierà ai dati normativi o alla letteratura che li concerne. L’esame, pertanto, prenderà le mosse dalla disposizione dell’art. 14, cercando di chiarire anche i riflessi della sua implementazione sull’art. 108 del Codice, ma, si soffermerà altresì sulle previsioni della Direttiva 2019/1024, onde delineare il complessivo ‘formante’ dell’Unione.

2. La portata dell’art. 14 della Direttiva 2019/790

L’art. 14 della Direttiva 2019/790, rubricato “Opere delle arti visive di dominio pubblico” recita: “Gli Stati membri provvedono a che, alla scadenza della durata di protezione di un’opera delle arte visive, il materiale derivante da un atto di riproduzione di tale opera non sia soggetto al diritto d’autore o a diritti connessi, a meno che il materiale risultante da tale atto di riproduzione sia originale nel senso che costituisce una creazione intellettuale propria dell’autore”.

Come indica il Considerando n. 53, la sua previsione - che realizza una delle raccomandazioni avanzate nel report Il nuovo rinascimento presentato alla Commissione nel 2011 [15] -, è motivata dall’idea che nel settore delle arti visive la “circolazione di riproduzioni fedeli di opere di pubblico dominio favorisce l’accesso alla cultura e (...) al patrimonio culturale” e che le differenze esistenti fra le legislazioni nazionali a proposito di dette riproduzioni “causano incertezze giuridiche e incidono sulla diffusione transfrontaliera delle opere di arte visive di dominio pubblico”.

Per illustrare la portata della disposizione sono opportune alcune indicazioni preliminari. Anzitutto non viene precisato il significato della locuzione “opere delle arti visive”, formula che compare già al n. 3 dell’Allegato della Direttiva 2012/28/UE, ma solo in termini esemplificativi, ricomprendendo: “gli oggetti d’arte, la fotografia, le illustrazioni, il design, l’architettura, le bozze di tali opere, o di altro materiale riprodotto in libri, riviste, quotidiani e rotocalchi o altre opere” [16]. Come si sostiene, la nozione dovrebbe annoverare ogni opera d’arte che può essere fruita visivamente [17]. In realtà si è di fronte ad un concetto giuridico indeterminato [18], che si riflette sulla precisa perimetrazione dell’ambito della norma.

Viceversa, appare indubbio il significato della locuzione opere di “dominio pubblico”. Dal contesto della disposizione e dal Considerando n. 53 risulta che si fa riferimento alla condizione dell’opera d’arte “alla scadenza della durata di protezione” e perciò non più soggetta “al diritto d’autore o ai diritti connessi”. Si allude perciò all’opera che nel lessico della dottrina del settore è indicata come ‘in pubblico dominio’ [19].

Pertanto, la disposizione, quale che sia il suo oggetto preciso, ha un portato normativo evidente: il materiale derivante dalla riproduzione di un’opera delle arti visive ‘in pubblico dominio’ è anch’esso ‘in pubblico dominio’. In breve, come anche sembra emergere dal Considerando n. 49 della Direttiva 2019/1024 [20], il principio affermato è che i materiali ‘in pubblico dominio’ rimangono tali una volta digitalizzati, senza cioè che l’atto di riproduzione dia luogo sull’opera riprodotta ad una tutela autoriale non più esistente sull’originale [21].

Una esemplificazione efficace della portata innovativa dell’art. 14 può essere condotta a proposito della riproduzione fotografica digitale di un’opera d’arte, che oltretutto rappresenta il caso di maggiore frequenza e interesse in tema di opere d’arte/beni culturali ‘in pubblico dominio’ presenti nei musei pubblici.

La l.d.a. annovera tre tipi diversi di fotografie: le ‘opere fotografiche’, le ‘semplici fotografie’ e le ‘fotografie documentali’. Le prime, in quanto opere dell’ingegno di carattere creativo, godono della protezione accordata al diritto d’autore dal Capo III della legge. Le seconde, annoveranti anche “le riproduzioni di opere dell’arte figurativa” (art. 1, comma 1 e art. 2, comma 7), sono protette solo da un diritto connesso (art. 87, comma 1), in quanto contraddistinte da un minore (e insufficiente) carattere creativo. Le terze, infine, concernenti scritti, documenti, carte di affari e similia, sono escluse da ogni protezione autoriale perché prive qualunque capacità espressiva (art. 87, comma 2). La protezione accordata varia dunque in ragione del tipo di fotografia. In particolare, nel caso delle ‘semplici fotografie’, è riconosciuto il “diritto esclusivo di riproduzione, diffusione e spaccio della fotografia” [22] a favore in genere del fotografo (ma a seconda dei casi del datore di lavoro e del committente, art. 88, commi 1-3), della durata di vent’anni dalla produzione della fotografia (art. 92) [23]. Tale disciplina è stata dettata dal legislatore italiano nel rispetto dell’art. 6 della Direttiva 2006/116/CE, che, nel disciplinare la protezione del diritto d’autore per le fotografie costituenti “opere originali, ossia il risultato della creazione intellettuale” del fotografo, lasciava liberi gli Stati membri di “prevedere la protezione di altre fotografie”.

Orbene l’art. 14 della Direttiva 2019/790, impegnando gli Stati membri a escludere che il materiale derivante da un atto di riproduzione di un’opera delle arti visive ‘in pubblico dominio’ sia “soggetto al diritto d’autore o a diritti connessi”, salvo che tale materiale “sia originale nel senso che costituisce una creazione intellettuale propria dell’autore”, elimina la possibilità di una disciplina statale fondata su tre tipi di fotografie. In altri termini, la riproduzione (specie) fotografica di un’opera “delle arti visive”, in “pubblico dominio” d’ora in avanti, se originale (nel senso di essere creazione intellettuale propria dell’autore) godrà della protezione piena accordata dalla l.d.a., se invece non originale, non sarà assistita da nessuna protezione di tipo autoriale, neppure nei termini di diritti connessi [24]. Come dire: l’immagine riprodotta a soli fini di documentazione/condivisione (e quindi non espressione creativa di chi riproduce) di un’opera dell’arte visiva/bene culturale priva di tutela autoriale (perché ‘in pubblico dominio’) avrà lo stesso regime dell’originale sotto il profilo della disciplina della proprietà intellettuale, ossia mancherà anch’essa di tutela [25].

Talune puntualizzazioni meritano di essere effettuate. La novità introdotta dall’art. 14 - peraltro non definita quanto all’applicazione iniziale nel tempo [26] - non tocca i diritti d’autore e sui generis relativi alla banca dati di cui entri a far parte la riproduzione dell’opera. Si tratta di un elemento di cui tener conto ai fini della precisazione della portata (ma ancor prima della ‘percezione’) della novità. Per un verso la nuova disciplina facilita l’analisi computazionale automatizzata (c.d. Text and Data Mining) delle riproduzioni digitali (e dei dati che le accompagnano) di opere delle arti visive/beni culturali, dal momento che l’art. 14 le affranca dalla tutela autoriale quando relative ad originali in pubblico dominio. Per altro verso, però, restando impregiudicata dalla Direttiva 2019/790 la tutela autoriale accordata alle banche dati [27], rimane intatta la ‘interferenza’ che la prima esercita sulla condivisione e sull’utilizzo degli elementi che compongono le seconde [28]. Interferenza anche in linea di fatto significativa, poiché le riproduzioni digitali di opere delle arti visive/beni culturali in consegna di musei, in genere, entrano a far parte di data base in forma digitale realizzati da tali istituti.

In secondo luogo, il fatto che la riproduzione fotografica non originale (ovvero ‘documentaristica’) di un’opera d’arte visiva ‘in pubblico dominio’ non sia soggetta alla protezione autoriale non preclude al fotografo né la tutela che il diritto privato accorda al realizzatore di un bene [29] né la possibilità che gli venga attribuita in via pattizia una licenza di utilizzazione (in esclusiva o meno) della fotografia. Si tratta di aspetti di cui non si occupa la Direttiva 2019/790, ma che, come si dirà, sono interessati dalla disciplina delle Direttiva 2019/1024.

La circostanza poi che l’art. 14 sottragga alla disciplina autoriale i materiali riproduttivi privi di originalità delle opere dell’arte visiva ‘in pubblico dominio’ consente di richiamare due aspetti dell’assetto giuridico delle stesse derivanti da altro settore disciplinare. Per le opere sottratte alla pubblica vista e che si trovino ‘in pubblico dominio’ (caso questo più frequente per quelle facenti parte di raccolte museali pubbliche) la disponibilità dell’immagine, e quindi la scelta di riprodurre l’opera in forma fotografica digitale, è collegata alla disponibilità materiale dell’opera oppure (più spesso) è considerata come diretta manifestazione del diritto di proprietà sulla stessa [30]. Quindi, almeno di massima, spetta al museo che ha in consegna l’opera. In secondo luogo, non generandosi una tutela autoriale sul materiale fotografico derivato, la disponibilità di detto materiale - e quindi anche la scelta se condividerlo, e a quali condizioni, con terzi (in particolare immettendolo nella rete) - spetta al proprietario/detentore dell’opera originale [31], fatta salva una diversa pattuizione negoziale con il soggetto cui sia stata affidata l’attività riproduttiva. Si tratta di due precisazioni di carattere prettamente giuridico, ma di sicuro rilievo ai fini della definizione della policy museale.

3. Riflessi sugli artt. 107 ss. del Codice

L’art. 14 non opera distinzioni in rapporto alla proprietà privata o pubblica dell’opera delle arti visive. Quando questa appartenga a un ente pubblico territoriale e sia bene culturale ai sensi dell’art. 10 del Codice [32], la sua riproduzione ricade anche sotto le previsioni degli artt. 107 ss. C’è da chiedersi allora se la novità espressa dall’art. 14 si rifletta sulla disciplina codicistica. La risposta è da ritenersi senz’altro negativa.

Come avverte l’inciso dell’art. 107, comma 1 (“fatte salve le disposizioni in materia di diritto d’autore”), la disciplina codicistica è autonoma e ‘convive’ con quella autoriale. Detta le condizioni e i limiti della riproduzione dei beni culturali appartenenti allo Stato e agli altri enti territoriali, lasciando impregiudicata l’applicazione delle disposizioni in tema di proprietà intellettuale. In realtà si può dire che l’art. 14 ‘semplifichi’ l’operare degli artt. 107 s., dal momento che i materiali derivanti dalla riproduzione priva di originalità, di opere delle arti visive/beni culturali sono ormai sottratti alla disciplina autoriale.

È appena il caso di ricordare che la ragione della reciproca autonomia fra la normazione della proprietà intellettuale e quella dettata dal Codice nella Sez. II “Uso dei beni culturali” - e perciò della clausola di salvezza contenuta nell’art. 107, comma 1 - va rintracciata nella diversa natura degli interessi tutelati: l’una è posta a garanzia di interessi privati (di autori ecc.), l’altra attiene allo statuto della proprietà pubblica dei beni culturali [33], concorrendo a definirla insieme ad altre previsioni del Codice, quali ad esempio quelle in tema di circolazione dei diritti (artt. 54 ss.), di destinazione d’uso (art. 2, comma 4), e di valorizzazione e gestione (artt. 112 e 115).

Peraltro, taluni riflessi, ma di carattere indiretto, l’art. 14 dispiega sulla disciplina codicistica in tema di riproduzioni, ma questi transitano per il tramite delle previsioni dell’altra Direttiva, la n. 2019/1024, che si passa a esaminare.

4. La Direttiva 2019/1024 e i beni culturali pubblici

Preliminarmente va ricordato che la Direttiva 2019/1024 ha per oggetto i “documenti esistenti in possesso degli enti pubblici degli Stati membri” (art. 1, par. 1, lett. a)). Dal successivo par. 2, lett. j), risulta che nel novero degli enti pubblici sono compresi le biblioteche (incluse quelle universitarie), i musei e gli archivi (ovviamente quando istituti pubblici). Per “documenti”, alla luce del Considerando n. 34 della Direttiva dovrebbe intendersi poi “qualsiasi rappresentazione di atti, fatti o informazioni - e qualsiasi raccolta dei medesimi - a prescindere dal supporto (cartaceo, in forma elettronica o sonora, visiva o audiovisiva)” [34].

Senza affrontare la questione se un’opera delle arti visive possa ritenersi inclusa nella nozione appena richiamata di documento (diverso sembra il caso delle raccolte archivistiche e bibliotecarie) [35], pare indiscutibile che vi rientri la riproduzione (in particolare fotografica in forma digitale) della stessa, trattandosi di una rappresentazione di un elemento del mondo reale (un dipinto, uno statua ecc.). Sicché si può affermare che le riproduzioni di opere raccolte in un museo pubblico, specie costituite da materiali visivi digitali, costituiscano documenti ai sensi della Direttiva 2019/1024.

Occorre peraltro aggiungere che, perché possa operare la disciplina dettata dalla Direttiva, occorre che tali riproduzioni siano ‘in dominio pubblico’, giacché ai sensi dell’art. 1, par. 1, lett. c), “la direttiva non si applica (...) ai documenti su cui terzi detengono diritti di proprietà intellettuale”.

Di qui il rilievo che l’art. 14 della Direttiva 2019/790 esercita sull’ambito di applicazione della Direttiva 2019/1024: la previsione, secondo la quale il materiale derivante dalla riproduzione di opere delle arti visive ‘in pubblico dominio’ d’ora in avanti è sottratto alla tutela autoriale, determina un effetto di ‘allargamento’ della sfera di azione della Direttiva 2019/1024: le sue disposizioni riguardano ora anche le riproduzioni di tali opere. Viene con ciò rimosso l’ostacolo che aveva finora impedito l’applicazione delle norme sull’apertura dei dati e sul riutilizzo delle informazioni del settore pubblico alle riproduzioni di beni delle arti visive/beni culturali nonostante la caduta ‘in pubblico dominio’ degli originali.

Prima di esaminare le disposizioni della Direttiva 2019/1024 di più diretto interesse per l’area dei beni culturali paiono opportuni alcuni cenni di carattere generale sul rilievo che l’atto annette alla digitalizzazione dei documenti. Nell’ottica del legislatore dell’Unione i contenuti digitali svolgono un ruolo importante per l’evoluzione verso una società basata sui dati (cfr. Considerando nn. 11 e 12). In particolare, i progetti di digitalizzazione realizzati da musei, archivi e biblioteche “hanno moltiplicato la quantità di materiali digitali di dominio pubblico”. Tali raccolte del patrimonio culturale con i relativi metadati possono rappresentare “una base per i prodotti e servizi a contenuto digitale e hanno un enorme potenziale per il riutilizzo innovativo in settori quali la formazione e il turismo” (Considerando n. 65).

Tutto ciò però non si traduce in un vincolo cogente per gli Stati membri a digitalizzare le risorse informative presenti nel settore pubblico a fini del loro utilizzo libero per chiunque e per qualsiasi finalità. Il favor per una politica di digitalizzazione fa certamente parte dell’acquis comunitario [36], ma solo in termini di promozione e incoraggiamento. Gli enti pubblici invero sono impegnati dalla Direttiva a mettere “a disposizione i propri documenti in qualsiasi formato o lingua preesistente e, ove possibile e opportuno, per via elettronica, in formati aperti, leggibili meccanicamente, accessibili, reperibili e riutilizzabili, insieme ai rispettivi metadati” (art. 5, par. 1) [37], disposto questo che ribadisce e dettaglia quanto affermato dall’art. 4, par. 1 (“gli enti pubblici esaminano le richieste di riutilizzo e mettono i documenti a disposizione del richiedente, ove possibile e opportuno per via elettronica”) [38]. Per quanto riguarda gli istituti di tutela del patrimonio culturale [39] la politica di digitalizzazione viene favorita in entrambi gli atti in questa sede considerati. Nella Direttiva 2019/790 all’art. 6 si dispone un’eccezione al diritto di riproduzione (dalla normativa accordato al titolare del diritto d’autore) per consentire a tali istituti di “realizzare copie di qualunque opera o altri materiali presenti permanentemente nelle loro raccolte (...) ai fini di conservazione (...) e nella misura necessaria a tale conservazione” [40]. Mentre l’accesso alle banche dati realizzate da enti pubblici (compresi musei, biblioteche e archivi) è favorito dalla Direttiva 2019/1024 all’art. 1, par. 6, in cui si stabilisce che il diritto spettante al costitutore di una banca dati di vietare operazioni consistenti nell’estrazione e/o reimpiego della totalità o di una parte sostanziale dei dati in essa presenti non va esercitato “al fine di impedire il riutilizzo di documenti o di limitare il riutilizzo oltre i limiti stabiliti dalla presente direttiva”.

Venendo alle disposizioni della Direttiva 2019/1024 di più diretto interesse per i beni culturali, meritano di essere menzionate quelle concernenti le condizioni generali del riutilizzo dei documenti e quelle di carattere specifico relative alla tariffazione e agli accordi in esclusiva.

Il riutilizzo di documenti (inteso come “l’uso, da parte di persone fisiche o giuridiche, di documenti in possesso di (...) enti pubblici a fini commerciali o non commerciali diversi dallo scopo iniziale nell’ambito dei compiti di servizio pubblico per i quali i documenti sono stati prodotti”, art. 2, n. 11) non è soggetto a condizioni”, a meno che queste “non siano obiettive, proporzionate, non discriminatorie e giustificate sulla base di un obiettivo di interesse pubblico” e comunque non risultino tale da ridurre “indebitamente le possibilità di riutilizzo” o “limitare la concorrenza”. Così recita l’art. 8, par. 1 e 2 [41]. Il che lascia aperta la possibilità per gli enti di apporre condizioni che rispettino le caratteristiche di obiettività, proporzionalità e le altre appena richiamate. Dall’art. 8, par. 2, risulta poi ammesso il ricorso a licenze, anche differenziate (“per soddisfare particolari richieste”), tendenzialmente nella forma di licenze standard (da rendere disponibili in formato tipo ed elaborabili elettronicamente).

Quanto alla tariffazione, la regola generale della gratuità del riutilizzo di documenti (art. 6, par. 1) non vale nel caso di musei, biblioteche e archivi pubblici (art. 6, par. e lett. b)) [42]. Lo conferma il passo contenuto nel Considerando n. 53 della Direttiva 2019/790, secondo il quale “alcune riproduzioni di opere delle arti visive di dominio pubblico non dovrebbero pertanto essere protette dal diritto di autore o da diritti connessi. Tutto ciò non dovrebbe impedire agli istituti di tutela del patrimonio culturale di vendere riproduzioni, come ad esempio cartoline”. Alla luce di quanto dispone l’art. 14, il passo - che non trova un seguito nell’articolato della direttiva - può (o meglio, deve) invero interpretarsi nel senso che la non più riconosciuta tutela autoriale per le riproduzioni prive di originalità di opere delle arti visive ‘in pubblico dominio’ non impone agli istituti di tutela del patrimonio culturale la gratuità del riutilizzo (ossia dell’uso da parte di esterni) delle riproduzioni documentarie di siffatte opere in loro consegna.

Qualora sia richiesto il pagamento di un corrispettivo, il totale delle entrate (è da pensare per singolo ente) ricavate dalla fornitura e dall’autorizzazione al riutilizzo non può superare nel corso di un periodo contabile adeguato i costi di raccolta, produzione e in genere di gestione (criterio del c.d. costo marginale), “maggiorati di un utile ragionevole sugli investimenti” (art. 6, par. 5 e Considerando n. 38). La relativa nozione è precisata dall’art. 2, n. 16 che parla di “percentuale della tariffa complessiva, in aggiunta a quella per recuperare i costi ammissibili, non superiore ai cinque punti oltre il tasso di interesse fisso della BCE”.

In sintesi, per il riutilizzo (sempre nell’accezione di uso da parte di terzi) di documenti presenti in musei, archivi e biblioteche pubbliche non vale la regola generale della gratuità. Il corrispettivo eventualmente previsto, oltre a comprendere la copertura dei costi inerenti alla produzione e gestione dei documenti, può annoverare una remunerazione dell’investimento a tali fini effettuato. Proprio perché si tratta di limiti massimi del corrispettivo richiedibile, resta impregiudicato il diritto degli Stati membri di “imporre costi inferiori o di non imporne affatto” (Considerando n. 39). Inoltre - e significativamente - non è impedita l’adozione di “tariffe differenziate per il riutilizzo a fini commerciali e non commerciali”, indicazione questa contenuta nel Considerando n. 46, non ripresa testualmente dall’articolato, ma sicuramente in linea con le previsioni dell’art. 6.

Quanto, infine, agli accordi di esclusiva, la direttiva muove dalla considerazione che esistono numerosi accordi di cooperazione tra biblioteche, musei, archivi (pubblici) e soggetti privati, che prevedono la digitalizzazione di risorse culturali e che assegnano al partner privato diritti di esclusiva sul materiale digitalizzato. Tali partenariati si sono rivelati utili per “agevolare un valido utilizzo delle opere culturali” e al contempo per “accelerare l’accesso ai cittadini al patrimonio culturale”. Pertanto, “potrebbe essere necessario un certo periodo di esclusiva per dare al partner privato la possibilità di recuperare il suo investimento”. Detto periodo sarebbe però da limitarsi nel tempo al fine di rispettare il principio secondo cui “i materiali di dominio pubblico [da intendersi ‘in pubblico dominio’ [43]], dovrebbero rimanere tali una volta digitalizzati” (Considerando n. 49).

Muovendo da tali premesse l’art. 12, in deroga al divieto sancito in via generale dal par. 1, ammette che nel caso di digitalizzazione di “risorse culturali” possano essere accordati diritti di esclusiva (nel riutilizzo del materiale digitalizzato). In tal caso però il relativo arco temporale non può superare di norma i dieci anni, e, quando sia prevista una durata superiore, questa va riesaminata con cadenza periodica (nel corso dell’undicesimo anno ed eventualmente ogni successivo settimo anno, art. 13, par. 3). Infine, l’accordo di esclusiva deve prevedere la fornitura a titolo gratuito di una copia del materiale digitalizzato, del cui riutilizzo l’ente disporrà al termine del periodo di esclusiva (art. 12, par. 3, comma 3).

Riepilogando, la Direttiva 2019/1024, nell’indirizzarsi a musei, biblioteche e archivi, dispone che i “documenti” in loro consegna (a seconda dei casi le stesse risorse culturali detenute o le loro riproduzioni):

i) siano disponibili e riutilizzabili nel quadro della apertura dei dati e del riutilizzo dell’informazione nel settore pubblico;

ii) il riutilizzo può essere sottoposto a condizioni, purché obiettive, proporzionate e rispondenti a un interesse pubblico, nonché a licenze anche differenziate;

iii) il riutilizzo può essere altresì soggetto a tariffa, determinata secondo il criterio del costo marginale e comprensiva anche di una maggiorazione per remunerare l’investimento occorso per la produzione e la gestione dei documenti;

iv) è ammessa inoltre una differenziazione tariffaria a seconda della finalità commerciale o non commerciale del riutilizzo;

v)  laddove la digitalizzazione delle risorse culturali sia oggetto di partenariato pubblico-privato, sono consentiti accordi di esclusiva di riutilizzo a favore del partner privato, ma dalla durata limitata nel tempo (di norma dieci anni) e, se superiore, soggetta a riesame periodico. Al termine del periodo di esclusiva la copia delle risorse culturali digitalizzate fornita all’istituto interessato per effetto dell’accordo è resa disponibile per il riutilizzo.

5. Conclusioni: spunti per un nuovo scenario

È possibile tirare le fila dell’esame fin qui condotto. Le Direttive 2019/790 e 2019/1024 offrono sicuri motivi di interessi per la disciplina normativa e le politiche nazionali concernenti le immagini dei beni culturali quanto alla loro riproduzione, specie in forma digitale, e condivisione. L’art. 14 della Direttiva 2019/790 non comporta un’incidenza sulla disciplina del Codice, semmai ne facilita l’attuazione, mentre rispetto alle previsioni della Direttiva 2019/1024 non si ravvisa un contrasto da parte degli artt. 107 ss.

E tuttavia se dopo la lettura delle due direttive ci si accosta alle disposizioni codicistiche dedicate all’”Uso dei beni culturali” (Parte seconda, Titolo II, Sezione II), si avverte come la sensazione della patina del tempo. L’impressione di fondo è che esse riflettano l’idea di una fruizione prevalentemente ‘in presenza’, individuale, condotta dal visitatore ‘analogico’ del museo, biblioteca e archivio. Sembra mancare la dimensione dell’accesso ‘a distanza’, senza confini temporali e geografici, reso disponibile ai navigatori della rete. Si potrebbe anche dire che si tratta di una fruizione pensata nell’ottica della ‘domanda’ prevalentemente puntiforme piuttosto che dell’’offerta’ rivolta ad una platea generale.

Questo non significa la necessità di soluzioni alternative radicali. Il messaggio che proviene dalle due direttive è senz’altro quello di un’apertura delle risorse presenti nelle istituzioni della cultura, ma anche di flessibilità nelle misure attuative. Ciò in ragione della diversità degli interessi implicati (ad es., il pubblico dei fruitori è vario nelle motivazioni e nelle esigenze), della differente natura dei beni culturali coinvolti (le raccolte museali presentano problematiche differenti rispetto a quelle delle raccolte archivistiche e bibliotecarie), della specifica identità e missione delle singole istituzioni (le più importanti oggi dotate di autonomia operativa). Plurime sono anche le tecnicalità digitali disponibili per le riproduzioni e quindi per la condivisione dei risultati. Da ultimo potrebbe anche avere un qualche rilievo l’interrogativo se le esigenze di cui tiene conto la distinzione fra source nations e market nations [44], prospettata a proposito della circolazione fisica dei beni culturali, non abbia ragion d’essere anche per la loro circolazione digitale.

Ad ogni modo un recepimento su un piano ‘sostanziale’ delle due direttive sembra richiedere non solo o non tanto un por mano all’assetto giuridico del bene culturale quanto piuttosto una messa a disposizione di risorse finanziarie e organizzative, e soprattutto una riconsiderazione delle politiche da parte degli attori istituzionali coinvolti.

 

Note

[1] Corte Giust. UE, 7 agosto 2018, C-161/17, Conclusioni dell’avvocato generale M. Campos Sanchez-Bordon, par. 4.

[2] V. Falce, La spinta adeguatrice della direttiva copyright. Il caso dell’eccezione di insegnamento, in Riv. dir. ind., 2019, 6, pag. 379.

[3] Cfr. Atto S. 1721, 11.

[4] Ad esempio, il criterio indicato alla lett. b) (“disciplinare le eccezioni o limitazioni ai fini dell’estrazione di testo e dati di cui all’articolo 3 della direttiva (UE) 2019/790, garantendo adeguati livelli di sicurezza delle reti e delle banche dati nonché definire l’accesso legale e i requisiti dei soggetti coinvolti”), aggiunge, rispetto a quanto già previsto dal par. 1 della disposizione richiamata, solo l’impegno a precisare i tratti dell’”accesso legale”.

[5] “Il Senato (...) impegna il Governo a valutare l’opportunità di implementare, mediante atti di propria competenza, nel quadro più ampio possibile, la disciplina volta a dare attuazione a quanto previsto dall’articolo 14 della direttiva (UE) 2019/790 sulle opere delle arti visive di dominio pubblico, nell’ottica di promuovere il libero sviluppo della cultura, della creatività, del turismo culturale e di tutte le attività economiche che trovano beneficio dalla libera diffusione delle immagini del patrimonio culturale italiano”, all’URL: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/print/18/Emendc/1152430/1161636/0.

[6] Cfr. lett. g) “è opportuno che, in sede di attuazione della direttiva (UE) 2019/790, il Governo valuti la possibilità di implementare, nell’accezione più ampia possibile, quanto previsto dall’articolo 14 della direttiva, così come esplicitato nel considerandum 53 alla stessa direttiva, riguardante le opere delle arti visive di dominio pubblico, nell’ottica di promuovere il libero sviluppo della cultura, della creatività, del turismo culturale e di tutte le attività economiche che trovano beneficio dalla libera diffusione delle immagini del patrimonio culturale italiano” all’URL: https://www.camera.it.

[7] Cfr. le memorie presentate dai rappresentanti di Creative Commons e di Wikimedia Italia in occasione dell’audizione tenutasi il 14 maggio 2020 presso la XIV Commissione permanente del Senato, reperibili rispettivamente agli URL: https://creativecommons.it/chapterIT/index.php/1124 e https://zenodo.org/record/3827231

[8] Cfr., ad es., M. Modolo, Reinventare il patrimonio: il libero riuso dell’immagine digitale del bene culturale pubblico come leva di sviluppo nel post Covid, in Territori della cultura. Rivista on line, 2020, 42, pag. 216.

[9] La locuzione “dominio pubblico” compare in entrambi i testi delle Direttive 2019/790 e 2019/1024, ma in due accezioni distinte, corrispondenti, l’una, a quella propria della disciplina del diritto d’autore e indicata come “in pubblico dominio” (cfr., ad es., Direttiva 2019/790 rubrica dell’art. 14), l’altra, equivalente a “proprietà pubblica” (cfr. Direttiva 2019/1024 Considerando n. 65).

[10] Cfr. di recente P. Carpentieri, Digitalizzazione, banche dati digitali e valorizzazione dei beni culturali, in Aedon, 2020, 3, par. 2 ss.; M.F. Cataldo, Preservare la memoria culturale: il ruolo della tecnologia, in Aedon, 2020, 2, par. 2; R. De Meo, La riproduzione digitale delle opere museali fra valorizzazione culturale ed economica, in Dir. inf., 2019, 3, pag. 681 ss.; V. Francola, Nuove tecnologie tra valorizzazione, conservazione e fruizione dei beni culturali, in Astrid Rassegna, 2018, 4, par. 5; A. Lazzaro, Innovazione tecnologica e patrimonio culturale tra diffusione della cultura e regolamentazione, in federalismi.it, 2017, n. 24, pag. 10 ss.; D. Manacorda, Patrimonio culturale, libertà, democrazia. Pensieri sparsi di un archeologo incompetente a proposito di “Diritto e gestione del patrimonio culturale”, in Il Capitale Culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage, 2020, 4, pag. 15 ss.); M. Modolo, Reinventare, cit., pag. 210 ss.; Id., Verso una democrazia della cultura: libero accesso e libera condivisione dei dati, in Archeologia e Calcolatori, Supplemento 9, 2017, pagg. 109-132; A.L. Tarasco, Diritto e gestione del patrimonio culturale, Laterza, Bari 2019, pag. 54 ss.; Id., Il nostro patrimonio non vale 173 miliardi ma almeno 1.770, in Il Giornale dell’arte, 2020, n. 404, pag. 5 s.

[11] Per una lettura accurata della disposizione nell’ottica del diritto di autore cfr. lo scritto di M. Arisi, Digital Single Market Copyright Directive: Making (Digital) Room for Works of Visual Art in the Public Domain, in Opinio Juris in Comparatione, 2020, 1, pag. 120 ss.; Id., Riproduzioni di opere d’arte visiva in pubblico dominio: l’articolo 14 della Direttiva (EU) 2019/790 e la trasposizione in Italia, in questo numero della Rivista.

[12] Cfr., ad es., P. Carpentieri, Digitalizzazione, banche dati digitali e valorizzazione dei beni culturali, cit., par. 2; L. Casini, Riprodurre il patrimonio culturale? I “pieni” e i “vuoti” normativi, in Aedon, 2018, 3, par. 1.2, 2.1 e 2.2; C. Galli, L’immateriale economico dei beni culturali come oggetto della proprietà industriale, in L’immateriale economico nei beni culturali, (a cura di) G. Morbidelli, A. Bartolini, Giappichelli, Torino 2018, pag. 131 ss. e pag. 147 ss.; P. Magnani, Musei e valorizzazione delle collezioni: questioni aperte in tema di sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale sulle immagini delle opere, in Dir. ind., Parte I, pag. 232 ss.; A. Musso, Del diritto di autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, in Commentario del Codice civile Scialoja-Branca, (a cura di) F. Galgano, Libro quinto: Lavoro art. 2575-2583, Zanichelli-Il Foro italiano, Bologna-Roma, 2008, pag. 112, nt. 6; Id., Opere fotografiche e fotografie documentarie nella disciplina dei diritti d’autore e connessi: un parallelismo sistematico con la tutela dei beni culturali, in Aedon, 2010, 2, par. 1 e 3; M.C. Pangallozzi, Condivisione e interoperabilità dei dati nel settore del patrimonio culturale: il caso delle banche dati digitali, in Aedon, 2020, 3, par. 3; A. Pojaghi, Beni culturali e diritto d’autore, in Dir. aut., pag. 149 ss.; G. Resta, L’immagine dei beni, in Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, (a cura di) G. Resta, Utet, Torino 2011, pag. 568 ss. e pag. 579 ss.; E. Sbarbaro, Codice dei beni culturali e diritto d’autore: Recenti evoluzioni nella valorizzazione e nella fruizione del patrimonio culturale, in Dir. ind., 2016, Parte I, spec. pag. 77 ss.; A.L. Tarasco, Diritto e gestione del patrimonio culturale, cit., pag. 107 ss.

[13] Per non parlare della disciplina in tema di protezione dei dati personali (sulla quale si rinvia all’approfondito contributo di F. Midiri, Protezione dei dati personali nell’archiviazione e catalogazione del patrimonio culturale, in Aedon, 2020, 3), di cui però non si occuperà il presente scritto.

[14] Ciò in coerenza con il progetto culturale della Rivista che la ospita.

[15] The New Renaissance, Report of the ‘Comité des Sages’ - Reflection Group on Bringing Europe’s Cultural Heritage Online, Brussels, 10 January 2011, ove si osserva a proposito di opere e altri materiali caduti in pubblico dominio che “In principle the mere digitisation process should not generate any new rights” (pag. 21).

[16] La formula è ripresa dalla legge italiana sul diritto d’autore (l. 22 aprile 1941, n. 633 e succ. mod., in avanti l.d.a.) all’art. 69 septies, lett. d), senza specificazioni ulteriori.

[17] M. Arisi, Digital Single Market Copyright Directive: Making (Digital) Room for Works of Visual Art in the Public Domain, cit., 126. Perciò essa dovrebbe essere più ampia della nozione di “opera delle arti figurative”, dalla quale parrebbero esulare “i disegni e le opere dell’architettura” (cfr. art. 2, nn. 4 e 5, l.d.a.)

[18] Il concetto giuridico indeterminato ricorre quando la fattispecie produttiva di effetti giuridici non è descritta dalla norma in termini determinati e univoci (come l’età, la cittadinanza ecc.), ma richiede di essere precisata dall’interprete attraverso elementi o criteri extra giuridici (come la buona condotta, la bellezza d’insieme ecc.) cfr., ad es., S. Veneziano, Il controllo giurisdizionale sui concetti giuridici a contenuto indeterminato e sulla discrezionalità tecnica in Italia, in giustizia-amministrativa.it.

[19] Cfr., ad es., G. Spedicato, Principi di diritto d’autore, il Mulino, Bologna 2020, pag. 133 e A. Musso, Del diritto di autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, cit., pag. 429 e 434.

[20] “Esistono numerosi accordi di cooperazione tra biblioteche, comprese le biblioteche universitarie, musei, archivi e soggetti privati che prevedono la digitalizzazione di risorse culturali garantendo diritti di esclusiva a partner privati. (...). Se un diritto esclusivo riguarda la digitalizzazione di risorse culturali, potrebbe essere necessario un certo periodo di esclusiva per dare al partner privato la possibilità di recuperare il suo investimento. Tale periodo dovrebbe tuttavia essere limitato nel tempo ed essere il più breve possibile, al fine di rispettare il principio secondo cui i materiali di dominio pubblico dovrebbero rimanere tali una volta digitalizzati [corsivo mio]”.

[21] Usa la efficace formula “no originality, no copyright” A. Giannopoulou, The New Copyright Directive: Article 14 or when the Public Domain Enters the New Copyright Directive, in Kluwer Copyright Blog, 27 giugno 2019. In definitiva - secondo l’A. - il testo dell’articolo in questione crea una barriera legale che impedisce la creazione di diritti d’autore e di protezione dei diritti correlati sulle opere di arte visiva che sono di pubblico dominio”, mettendo fine al “quadro frammentato dello status di copyright delle riproduzioni di opere di arte visiva che appartengono già al pubblico dominio all’interno dell’UE” (trad. mia).

[22] Per eccezioni cfr. art. 91 l.d.a.

[23] Cfr., ad es., G. Spedicato, Principi di diritto d’autore, cit., pag. 180 ss.; e A. Musso, Del diritto di autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, cit., pag. 89 ss., C. Galli, L’immateriale economico dei beni culturali come oggetto della proprietà industriale, cit., pag. 139 ss.; G. Pellicciari, La digitalizzazione della cultura fra interessi pubblici e privati, in L’immateriale economico nei beni culturali, cit., pag. 213 ss.

[24] In proposito cfr. L.C. Ubertazzi, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, Cedam, Padova, 2019, pag. 2047.

[25] Tema diverso, che però esula dall’analisi che si sta conducendo, è quello della possibilità che le fotografie originali (nel senso di creative) e quelle documentarie (ovvero non creative) di un’opera delle arti visive possano presentare il carattere di “rarità e di pregio” richiesto dall’art. 10, co. 4, del Codice ai fini di una loro qualificazione come beni culturali. Sul punto cfr., ad es., A. Musso, Opere fotografiche e fotografie documentarie nella disciplina dei diritti di autore o connessi: un parallelismo sistematico con la tutela dei beni culturali, in Aedon, 2010, 2, par. 3.

[26] Sul punto cfr. M. Arisi, Digital Single Market Copyright Directive: Making (Digital) Room for Works of Visual Art in the Public Domain, cit., pag. 141, che auspica un’interpretazione che consideri comprese nella portata della norma tutte le riproduzioni delle opere in pubblico dominio a prescindere dalla data della loro creazione.

[27] Salvo che per l’eccezione, prevista dall’art. 3, par. 1, relativa all’estrazione di testo e di dati per scopi di ricerca scientifica.

[28] In proposito cfr. Considerando n. 8, Direttiva 2019/790 (in cui si rileva che “in taluni casi, l’estrazione di testo e di dati [che comprende anche l’estrazione di immagini] può riguardare atti protetti dal diritto d’autore, dal diritto sui generis sulle banche dati o entrambi”) nonché C. Di Cocco, Tutela delle banche dati, patrimonio culturale e mercato unico digitale, in Aedon, 2020, 3, par. 2.1., al quale si rinvia (par. 1 e 2) anche per il regime di protezione di cui godono le banche dati. Dello stesso A. cfr. anche Il diritto d’autore nell’era digitale: la tutela dei beni informatici, in C. Di Cocco, G. Sartor, Temi di diritto dell’informatica, Giappichelli, Torino, 2020, pag. 167 ss., nonché P. Auteri, Parte VII Diritto d’autore. Capitolo III Fattispecie costitutiva e soggetti, in AA. VV., Diritto industriale Proprietà intellettuale e concorrenza, Giappichelli, Torino, 2020, 649 ss.

[29] Cfr., V.M. De Sanctis, La protezione delle opere dell’ingegno, vol. I, Le opere figurative, le opere audiovisive e le opere utilitarie, Giuffrè, Milano 2004, pag. 54, citato da A. Musso, Del diritto di autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, cit., pag. 90, nt. 6.

[30] Cfr. P. Magnani, Musei e valorizzazione delle collezioni: questioni aperte in tema di sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale sulle immagini delle opere, cit., pag. 222; G. Spedicato, Digitalizzazione di opere librarie e diritti esclusivi, in Aedon, 2011, 2, par. 4, e in particolare G. Resta, Nuovi beni immateriali e numerus clausus dei diritti esclusivi, in Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, cit., pag. 41; Id., L’immagine dei beni, cit., pag. 562 ss., nonché, Il regime giuridico dell’immagine dei beni, in Libro dell’anno del Diritto 2013, par. 3, all’URL: https://www.treccani.it.

[31] In tal senso cfr. M.C. Pangallozzi, La fruizione del patrimonio culturale nell’era digitale: quale evoluzione per il “museo immaginario”, in Aedon, 2020, 2, par. 2. Sottolinea a proposito delle “fotografie documentali”, alle quali sono ora assimilabili le riproduzioni prive di originalità previste dall’art. 14, che il fotografo non può “invocare distinti diritti su di un autonomo e trascendente bene immateriale, qui escluso per definizione” A. Musso, Del diritto di autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, cit., 90. Per approfondimenti cfr. G. Spedicato, Digitalizzazione, cit., par. 5.

[32] È appena il caso di richiamare l’autonomia delle due nozioni (cfr., ad es., A. Pojaghi, Beni culturali e diritto d’autore, cit., pag. 149 s.; E. Sbarbaro, Codice dei beni culturali e diritto d’autore: Recenti evoluzioni nella valorizzazione e nella fruizione del patrimonio culturale, cit., pag. 77 s.; A.L. Tarasco, Diritto e gestione del patrimonio culturale, pag. 107 s.). Un’opera delle arti visive è bene culturale quando presenti un interesse culturale secondo la disciplina dettata dal Codice, e, all’opposto, un bene culturale non costituisce opera delle arti visive quando non costituisca un’opera dell’ingegno di carattere creativo (ad es. perché presenti un interesse meramente antropologico o di testimonianza storica). Questo in termini di rispettivi concetti. Discorso differente è da farsi per le relative discipline. Di solito si sottolinea una tendenziale applicazione per ‘consecuzione temporale’ (la disciplina codicistica comincia a essere applicabile una volta cessato il presupposto di applicabilità di quella autoriale, cfr. A.L. Tarasco, Diritto e gestione del patrimonio culturale, cit., pag. 107). Sennonché - oltre alla durata illimitata dei diritti morali d’autore, art. 20 ss. l.d.a. sui quali G. Spedicato, Principi di diritto d’autore, cit., pag. 137 ss. - si deve sottolineare che stante i diversi presupposti di applicazione (cfr. art. 10, comma 5, Codice e artt. 25 s. l.d.a.) può ben verificarsi l’ipotesi di ‘compresenza’ delle due discipline (cfr. A. Pojaghi, Beni culturali e diritto d’autore, cit., pag. 152 s.; A. Musso, Opere fotografiche e fotografie documentarie nella disciplina dei diritti di autore o connessi: un parallelismo sistematico con la tutela dei beni culturali, cit., par. 1; Id., “Impresa” museale e libere utilizzazioni delle opere d’arte, in AIDA, 1999, pag. 199; E. Sbarbaro, Codice dei beni culturali e diritto d’autore: Recenti evoluzioni nella valorizzazione e nella fruizione del patrimonio culturale, cit., pag. 79. Per l’esempio dell’opera “L’angelo della città” di Marino Marini cfr. F. Minio, Arte e diritto agli albori del terzo millennio, in L’impatto dell’arte, (a cura di) G. Pordd, Postmedia, Milano 2020, pag., 43, nt. 51). Inoltre, dovrebbe tenersi conto della sovrapposizione con riguardo anche ai diritti sui generis (caso delle banche dati [art. 102-bis l.d.a.] digitali di beni culturali) e ai diritti connessi (attuale disciplina dettata dall’art. 88, l.d.a. per le fotografie degli stessi beni).

[33] Sulla distinzione cfr. A. Musso, Opere fotografiche e fotografie documentarie nella disciplina dei diritti di autore o connessi: un parallelismo sistematico con la tutela dei beni culturali, cit., par. 1; Id., Del diritto autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, cit., pag., 111, nt. 6; A. Pojaghi, Beni culturali e diritto d’autore, cit., pag. 151. Sugli interessi protetti dalla tutela autoriale cfr. R. Romano, P. Spada, Parte I. Il diritto industriale. Capitolo I. Parte generale, in AA. VV., Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, cit., pag. 43 ss.

[34] Meno perspicua è la definizione presente nel testo della Direttiva, che all’art. 2 n. 6 intende per documento “a) qualsiasi contenuto, a prescindere dal suo supporto (su supporto cartaceo o elettronico, registrazione sonora, visiva o audiovisiva); o b) qualsiasi parte di tale contenuto”.

[35] Sul punto cfr. P. Carpentieri, Digitalizzazione, banche dati digitali e valorizzazione dei beni culturali, cit., par. 2.

[36] Per indicazioni di sintesi cfr. G. Sciullo, La digitalizzazione del patrimonio culturale. Presentazione, in Aedon, 2020, 3.

[37] Del resto, il par. 3 dello stesso articolo ha cura di precisare che “Il paragrafo 1 non comporta per gli enti pubblici l’obbligo di adeguare i documenti o di crearne per conformarsi a tale paragrafo (...), se ciò comporta difficoltà sproporzionate, che vanno al di là della semplice manipolazione”. Per la nozione di formato aperto v. l’art. 2 n. 14.

[38] Corsivo mio.

[39] L’art. 2 n. 3 della Direttiva 2019/790 intende per istituto di tutela del patrimonio culturale “una biblioteca accessibile al pubblico, un museo, un archivio o un istituto del patrimonio cinematografico o sonoro”.

[40] Su tale eccezione cfr. A. Musso, Eccezioni e limitazioni ai diritti d’autore nella direttiva UE n. 790/2019, in Dir. inf., 2020,4, pag. 445 ss.

[41] Sul divieto di discriminazioni per categorie analoghe di riutilizzo, compreso quello transfrontaliero, cfr. art. 11, par. 1.

[42] Così come per tali organismi non vale l’obbligo di rendere gratuitamente disponibili le serie di dati di elevato valore (art. 14, par. 4). Per la relativa nozione cfr. art. 13 e All.to I.

[43] Invero, il dato specifico della licenza di esclusiva è il conferimento della possibilità di riutilizzo in esclusiva a tempo del materiale digitalizzato.

[44] J.H. Merryman, Two ways of thinking about cultural property (1986), ora in Id., Thinking About the Elgin Marbles., The Hague-London-Boston, 2009, pag. 66, citato da L. Casini, Ereditare il futuro, il Mulino, Bologna, 2016, pag. 55.

 

 



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