La fruizione del patrimonio culturale
Preservare la memoria culturale: il ruolo della tecnologia
Sommario: 1. Le ambivalenze della tecnologia: riflessioni preliminari. - 2. La fruizione virtuale dei beni culturali e la sua dimensione giuridica. - 2.1. L’evoluzione legislativa italiana in materia di riproduzione di immagini. - 3. Nuove tecnologie applicate ai beni culturali distrutti: una frontiera aperta? - 4. Considerazioni conclusive.
Preserving cultural memory: The role of technology
The article explores the relationship between technology and cultural heritage that has been intentionally destroyed. The recent events of intentional destruction of cultural heritage have raised the need to preserve cultural artefacts digitally. The contribution has the purpose of emphasizing the intangible dimension of cultural property in the light of new technologies. What role, should technology play in preventing cultural heritage’s destruction and in preserving cultural memory?
Keywords: Cultural memory; Technology; Intentional destruction of cultural heritage; Reproduction of cultural heritage.
1. Le ambivalenze della tecnologia: riflessioni preliminari
L'innovazione digitale degli ultimi trent'anni, ha inciso profondamente sulla sfera delle libertà giuridiche, individuali e collettive, rivoluzionando il nostro modo di vivere e comunicare. Il progresso tecnologico ha anche investito il settore dei beni culturali, influenzandone l'evoluzione del relativo ordinamento giuridico: si ampliano le modalità di fruizione del patrimonio culturale ed emergono nuove questioni giuridiche legate principalmente alla riproduzione digitale delle immagini. Il patrimonio culturale diventa un ambito in cui si sperimentano i numerosi vantaggi offerti dalle innovazioni tecnologiche così come ribadito dalla dichiarazione dei ministri G7 della cultura, firmata a Firenze in occasione della riunione "La cultura come strumento di dialogo tra i popoli" [1]. Il presente studio vuole mettere in luce le potenzialità e gli aspetti più critici delle innovazioni digitali, considerando il ruolo della tecnologia in riferimento ai beni culturali distrutti dagli attacchi terroristici degli ultimi anni. In quest'ambito, la tecnologia diventa uno strumento fondamentale non solo per la ricostruzione dell'opera distrutta ma anche un mezzo finalizzato a consentire la fruizione digitale del bene che non esiste più, con lo scopo di preservare la memoria culturale insita in esso.
Le domande di ricerca che si vogliono affrontare sono le seguenti: con la distruzione del bene culturale, permane il suo valore immateriale e in tal caso qual è la tutela giuridica prevista dall'ordinamento giuridico? È possibile estendere ai beni culturali distrutti le criticità proprie della fruizione digitale? La riproduzione digitale dei beni culturali distrutti pone nuove questioni giuridiche? Prima di affrontare i quesiti proposti, è opportuno tracciare un breve inquadramento generale della materia riflettendo sull'incidenza delle nuove tecnologie in relazione al concetto di Stato democratico e alle principali libertà fondamentali, per poi trasferire l'analisi all'ambito dei beni culturali.
Con lo sviluppo della tecnologia dell'informazione e comunicazione (Information and communications technology), avviato negli anni '90 e ancora in corso, si è aperta una nuova fase dell'attuale processo di globalizzazione [2] sotto il profilo economico e culturale: dal punto di vista economico, emerge un mercato di economie nazionali sempre più interdipendenti fra loro grazie alla riduzione dei costi di scambio e comunicazione; allo stesso tempo, l'avvento di internet e la più recente introduzione dei social network, determinando un abbattimento delle distanze geografiche, hanno contribuito ad alimentare un fenomeno di emulazione dei modelli sociali [3] tra le diverse parti del mondo, dando vita ad una progressiva globalizzazione culturale; il web, inoltre, offre una nuova dimensione di sfera pubblica dove il processo di formazione dell'opinione collettiva non necessita più dell'incontro fisico di una folla di persone ma è il risultato di un'interazione sociale che avviene in uno spazio virtuale [4]. Nel nuovo contesto del cyberspazio, le nuove tecnologie influenzano lo svolgimento delle modalità di esercizio della sovranità statale, mettendo in discussione il concetto tradizionale di Stato democratico sotto molteplici angolature [5].
Un primo aspetto per cui l'idea classica di democrazia entra in crisi, può essere rilevato se si esamina la relazione fra informazioni e web: la rivoluzione digitale nella comunicazione ha senz'altro influito sulla libertà di espressione sancita dall'articolo 21 della nostra Costituzione, intesa sia come libertà positiva di esprimere il proprio pensiero che come libertà negativa di renderlo noto ad un pubblico indistinto attraverso una trasmissione di informazioni senza nessun tipo di filtro [6]. Il web, dunque, sembrerebbe ampliare la sfera della manifestazione del pensiero offrendo uno spazio potenzialmente accessibile a tutti, dando vita ad un processo di "democratizzazione" degli strumenti digitali.
Tuttavia, la suddetta democratizzazione è soltanto apparente se si considera l'azione degli algoritmi delle piattaforme digitali che, elaborando i dati profilati sul web, deviano il flusso delle informazioni, massimizzandone lo scambio tra domanda e offerta: si ricevono, ad esempio, soltanto determinate inserzioni pubblicitarie, sulla base dei contenuti immessi dall'utente su internet. La mediazione algoritmica, limita, dunque sia l'offerta delle informazioni quanto la possibilità di comunicare il proprio pensiero ad una platea indefinita, essendo indirizzato verso utenti che presentano un profilo affine, compromettendo il principio del pluralismo [7]. Sono, inoltre pochi i colossi digitali che esercitano un controllo effettivo sul flusso di informazioni. Questi meccanismi agevolano la diffusione di fake news e disinformazione, andando a ledere la libertà d'espressione. Le nuove tecnologie, pertanto, vanno ad intaccare il regime democratico, il cui fondamento essenziale per il suo instaurarsi è proprio la libertà di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost. come emerge dalla giurisprudenza costituzionale consolidata sulla materia in esame [8].
Le trasformazioni dettate dalla rivoluzione digitale che incidono sulle modalità di esercizio della sovranità statale sono ancora più evidenti se si considera l'utilizzo di algoritmi predittivi [9] nell'assunzione di decisioni amministrative, nonché nelle decisioni giudiziarie come quelle relative al calcolo della pena nei processi penali [10], rilevanti per le libertà della persona.
Quanto al primo ambito, sono numerosi i settori in cui la pubblica amministrazione ne fa ricorso: si può indicare, a titolo esemplificativo, il ricorso all'algoritmo da parte del ministero della Pubblica Istruzione nella valutazione delle candidature degli insegnanti per l'assegnazione delle sedi di servizio in applicazione della legge n. 107/2015 sulla riforma della scuola [11]. Se da un lato le predizioni algoritmiche rispondono ai canoni di efficienza ed economicità dell'azione amministrativa (ex art. 1 della legge 241/290), riducendone la tempistica e offrendo una maggiore garanzia di imparzialità della decisione amministrativa, dall'altro lato, rischiano di eludere i principi che conformano il procedimento amministrativo, quale il diritto di difesa, data la loro natura automatizzata. Sul tema, emerge un orientamento della giurisprudenza amministrativa che ammette l'utilizzo degli algoritmi nell'esercizio dell'attività amministrativa, mettendo in rilievo le potenzialità che possono derivare dalla digitalizzazione della pubblica amministrazione alla luce del principio costituzionale del buon andamento (ex art. 97 Cost.), purché avvenga nel rispetto del principio di conoscibilità dei processi decisionali, di non discriminazione algoritmica e di non esclusività della decisione [12]; lo strumento algoritmico è dunque legittimo nei casi in cui sia finalizzato a supportare la decisione amministrativa, senza sostituirla, risultando di natura ancillare rispetto al potere amministrativo.
Le considerazioni finora svolte, inserendosi nel più ampio e antico dibattito concernente il rapporto dell'uomo con la tecnologia, vogliono evidenziare la complessità dell'argomento e l'esigenza di riorganizzare i poteri pubblici in considerazione delle innovazioni tecnologiche che condizionano sempre di più le attività delle istituzioni, al fine di tutelare le fondamentali garanzie costituzionali dell'assetto democratico senza compromettere il progresso tecnologico e i relativi vantaggi [13].
I cambiamenti prodotti dalla rivoluzione tecnologica interessano anche il diritto dei beni culturali; l'innovazione tecnologica ha inciso, innanzitutto, sull' oggetto della disciplina giuridica: si assiste alla dematerializzazione del bene culturale nella sua dimensione virtuale. Ciò implica un'autonoma rilevanza giuridica ed economica dell'immateriale rispetto alla parte materiale del bene: l'immateriale acquista una crescente valorizzazione economica [14].
Le riflessioni precedentemente svolte sulla "democratizzazione" degli strumenti digitali possono, inoltre, estendersi al settore dei beni culturali in riferimento alle nuove forme di fruizione introdotte dalle tecnologie, le quali hanno reso accessibile ad un vasto panorama di utenti una maggiore circolazione delle immagini in rete. Con il "filtro" della tecnologia cambia anche il modo di percepire la memoria [15] soprattutto da un punto di vista quantitativo, attraverso archivi digitali che immagazzinano un numero esponenziale di dati e immagini. Nei paragrafi successivi, si cercherà di rispondere alle domande di ricerca iniziali, partendo da uno studio generale sulla fruizione virtuale e sulla riproduzione dei beni culturali alla luce dell'ordinamento giuridico italiano, per poi passare allo studio delle innovazioni tecnologiche applicate ai beni intenzionalmente distrutti, analizzando le problematiche principali concernenti la democratizzazione dei beni culturali e la preservazione della memoria culturale a fronte delle nuove tecnologie.
2. La fruizione virtuale dei beni culturali e la sua dimensione giuridica
La tecnologia, come precedentemente affermato, ha incrementato la fruizione pubblica dei beni culturali, introducendo una più ampia gamma di modelli di presentazione degli stessi e attraverso la creazione di nuovi prodotti culturali: si possono indicare, a titolo di esempio, biblioteche digitali, siti web di musei dove effettuare visite virtuali, applicazioni per smartphones concernenti beni culturali; fra i nuovi prodotti culturali, si annoverano le mostre tridimensionali e le forme innovative di video-arte. Prima di soffermarsi sulla dimensione virtuale della fruizione, appare opportuno analizzare il suo contenuto, individuandone il fondamento giuridico.
Nel ricostruire l'oggetto della fruizione si può partire dall'analisi del carattere di pubblicità che contraddistingue il bene culturale: riprendendo la nota tesi gianniniana secondo cui "Un bene culturale è pubblico non in quanto bene di appartenenza, ma in quanto bene di fruizione" [16], si desume la sussistenza di un nesso fra la pubblicità del bene e la fruizione collettiva; in altre parole, il bene culturale è un bene di interesse pubblico non per l'appartenenza alla pubblica amministrazione ma in quanto destinato per sua natura alla collettività sociale. Conseguentemente, la relativa disciplina giuridica dovrà essere necessariamente orientata a garantire non solo una tutela meramente conservativa del patrimonio culturale ma anche il suo accesso alla generalità dei consociati [17].
Fruire dei beni culturali, significa accedere, attraverso il pubblico godimento o l'uso della res, non soltanto alla dimensione materiale del patrimonio culturale ma all'insieme dei valori culturali espressi dai beni che lo compongono [18]: una fruizione culturale che gioca un ruolo fondamentale nella formazione della personalità dell'uomo [19]. Peraltro, l'origine etimologica della parola cultura ossia il verbo latino còlere, la cui traduzione è "coltivare", rimanda in senso figurato ad un'idea di sviluppo, perfezionamento [20]. Questa concezione dinamica della fruizione trova il suo fondamento giuridico all'articolo 9 della Costituzione: "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio artistico della Nazione". L'articolo 9 è stato oggetto di un'evoluzione interpretativa secondo cui è stata progressivamente abbandonata una concezione estetizzante del patrimonio culturale propria della legge Bottai (n. 1089) del 1939, principalmente incentrata sui profili conservativi della disciplina giuridica dando, dunque, maggiore enfasi al secondo comma delle disposizioni in esame, per conferire successivamente una lettura unitaria delle due funzioni sancite dalla Costituzione (tutela e promozione della cultura), indirizzate entrambe allo sviluppo della persona umana, mettendo in rilievo la funzione sociale dei beni culturali [21]. La promozione allo sviluppo della cultura si annovera fra i diritti sociali, la cui realizzazione richiede un'azione dello Stato volta a rendere possibile la fruizione collettiva del bene, rimuovendo tutti quegli ostacoli che possano limitarla, e a garantire la libertà dell'arte di cui all'art. 33 Cost.: il dovere dei pubblici poteri alla promozione della cultura, così come per gli altri fini sociali, è strumentale alla realizzazione della solidarietà sociale di cui all'articolo 2 della Costituzione [22].
Attenta dottrina [23] ravvisa, ex art. 9 della Costituzione, un diritto assoluto della personalità di ciascun individuo a fruire liberamente dei beni culturali verso chiunque abbia la disponibilità del bene. Per quanto concerne il Codice dei beni culturali e del paesaggio, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, non si rileva una disposizione che definisca l'istituto della fruizione ma il termine risulta essere contenuto nelle definizioni delle funzioni pubbliche di tutela e valorizzazione rispettivamente agli articoli 3 e 6, richiamando la lettura unitaria sopraesposta dell'art. 9 della Costituzione Tuttavia, pur essendo inclusa nelle definizioni di entrambe le funzioni, secondo parte della dottrina [24], la fruizione sarebbe intrinsecamente legata alla sola valorizzazione, rappresentandone il suo fine ultimo e sarebbero invece su due piani differenti la fruizione e la tutela, essendo quest'ultima sempre prevalente sulla prima in caso di conflitto: la conservazione del bene, scopo della tutela, è infatti il presupposto necessariamente antecedente alle attività di fruizione, le quali dovranno essere svolte sempre in conformità alla normativa di tutela in ossequio a quanto previsto dal Codice dei beni culturali [25].
Sulla base di quanto esposto, le innovazioni tecnologiche applicate ai beni culturali, sono, pertanto, conformi al dettame costituzionale in quanto offrono nuove opportunità di promozione allo sviluppo della cultura. La fruizione virtuale è inoltre in linea con la definizione universale di patrimonio culturale che risulta dalle convenzioni Unesco [26], consentendo una fruibilità dei contenuti culturali su scala globale; la democratizzazione degli strumenti digitali, precedentemente descritta, realizza una vera e propria uguaglianza culturale [27]: con l'avvento del web, l'ambito della cultura, storicamente sempre associato ad un pubblico di élite, come privilegio riservato a pochi, diventa di più facile comprensione ed esteso ad un pubblico più vasto; si parla anche di una fruizione agevolata nei casi in cui, grazie alla predisposizione nei musei di strumenti interattivi modulati a seconda delle capacità ricettive del fruitore o di visite virtuali attraverso il web, si risponde alle specifiche esigenze di categorie svantaggiate affette da disabilità di vario genere o con difficoltà economiche e sociali.
Se da un lato sono numerose le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie, occorre analizzare le principali criticità che possono emergere da un punto di vista giuridico. Come già anticipato nella parte introduttiva in senso più ampio, anche la fruizione digitale dà vita a processi di emulazione sociale e culturale facilitati dalla rapida velocità con cui si diffondono le immagini sul web, in maniera istantanea e a portata di tutti. L'omologazione culturale e la correlata perdita della dimensione nazionale e locale delle realtà rappresentano i rischi maggiori della globalizzazione in generale, (non soltanto in riferimento ai beni culturali).
Nella realtà virtuale non esistono le grandezze tradizionali di tempo e spazio ma si annientano le distanze sia fisiche quanto geografiche e culturali [28]: l'opera è decontestualizzata dal suo luogo d'origine, un fenomeno assimilabile al trasferimento di beni in un contesto completamente diverso come nel famoso caso "Elgin Marbles" [29]. Il rischio maggiore connesso alla dematerializzazione virtuale è quello di privare il bene della sua dimensione più autentica, quella storica, dando vita a quella conseguenza definita dal filosofo Baudrillard "effetto Larsen" [30].
Queste ultime considerazioni di natura filosofica possono trasferirsi su un piano giuridico. Emergono dicotomie classiche che caratterizzano il diritto dei beni culturali: se da un lato la fruizione virtuale risponde all'interesse collettivo ad accedere liberamente ai contenuti culturali ed è conforme alla nozione di patrimonio universale a cui si è fatto riferimento prima, dall'altro lato, si pone un problema di protezione delle culture locali e diversità nazionali impoverite dalla globalizzazione delle nuove tecnologie.
La memoria culturale, l'identità locale, il cosiddetto "cultural nationalism" di cui il bene ne è l'espressione, stanno alla base dei motivi per cui si accorda la protezione giuridica al patrimonio culturale: sussiste un interesse pubblico alla preservazione dei beni culturali, espressioni dei valori identitari di un popolo e veicoli attraverso i quali ricordare il passato, la storia collettiva comune e le proprie radici [31].
La fruizione virtuale pone anche un problema di tutela dell'autenticità [32] dell'opera, intesa come interesse pubblico alla veridicità dell'oggetto culturale; la tutela all'autenticità dell'opera rileva anche in tutti quei casi in cui una riproduzione digitale incontrollata possa comportare la contraffazione o l'uso distorto dell'immagine del bene. In relazione a quest'ultimo aspetto giuridico emerge l'esigenza di rafforzare la tutela del diritto d'autore e dei diritti spettanti alle strutture che conservano i beni a fronte di un'incontrollata riproduzione di immagini sul web: il contenuto culturale rappresentato dai prodotti digitali, una volta immesso nel web, fuoriesce dalla sfera di controllo dell'autore e degli altri titolari dei relativi diritti. Si analizzerà tale problematica in merito alla disciplina di riproduzione dei beni alla luce dell'ordinamento italiano.
2.1. L'evoluzione legislativa italiana in materia di riproduzione di immagini
Una delle modalità di fruizione del bene è rappresentata dalla riproduzione dei beni culturali che trova la sua disciplina agli articoli 107-108 del Codice dei beni culturali. L'ordinamento italiano si sta adeguando ai cambiamenti introdotti dalle innovazioni tecnologiche in materia di riproduzione digitale dei beni culturali; il diritto è d'altronde lo specchio e la traduzione ex post dei fatti sociali che si susseguono.
Tralasciando in questa sede le riproduzioni dei beni culturali tramite calchi e prendendo in considerazione quelle fotografiche, si può affermare che si sta assistendo ad una progressiva liberalizzazione della disciplina [33] così come avviene in altri settori del patrimonio culturale quali la circolazione delle opere d'arte e le attività inerenti alla trasformazione del territorio in aree sottoposte a vincolo paesaggistico [34].
La materia in esame era inizialmente caratterizzata da un forte potere di controllo da parte della pubblica amministrazione nel concedere riproduzioni, una rigidità dettata da alcune peculiarità proprie del diritto italiano dei beni culturali, storicamente incentrato sulla funzione della tutela e sulla preservazione della parte materiale della res, a discapito della valorizzazione e dell'immaterialità [35].
Le disposizioni più risalenti [36] prevedevano la possibilità di fotografare beni culturali, a prescindere dal carattere lucrativo dello scopo, previa autorizzazione da parte della pubblica amministrazione dietro corrispettivo di un canone. Successivamente è emersa la distinzione in ordine allo scopo per cui veniva richiesta la riproduzione fotografica, prevedendo l'esenzione dal canone nei confronti di soggetti pubblici per attività con scopo artistico o culturale [37] e successivamente estesa anche ai soggetti privati per riproduzioni eseguite per uso personale o per motivi di studio, con l'entrata in vigore del codice, pur sempre previa autorizzazione della pubblica amministrazione competente. Con il decreto-legge "Art bonus", n. 83 del 2014, convertito dalla legge n. 106/2014, si è dato avvio a un processo di liberalizzazione, prevedendo la libera riproduzione delle immagini dei beni culturali per finalità di "studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale" [38]; soltanto la riproduzione a scopo di lucro è ancora soggetta all'autorizzazione della pubblica amministrazione. Con la legge annuale di concorrenza del 2017, la libera riproducibilità è stata estesa ai beni bibliografici ed archivistici, "purché questi ultimi siano liberamente consultabili e non soggetti a limiti di ostensione, per ragioni di riservatezza" [39].
L'ordinamento italiano si è dunque adeguato al nuovo tipo di fruizione virtuale dove anche la condivisione sui social networks dell'esperienza vissuta durante una mostra ne diventa un elemento essenziale [40]. L'inarrestabile velocità del progresso tecnologico impone una riflessione sulla possibilità di liberalizzare completamente le riproduzioni a prescindere dal carattere lucrativo dell'attività, soffermandosi sui potenziali rilievi più critici [41].
Come affermato in precedenza, una riproduzione incontrollata delle immagini sul web potrebbe comportare la lesione dell'interesse alla remunerazione dell'uso dell'opera da parte degli autori del bene e delle strutture che detengono i beni culturali [42].
Si pone dunque il problema di conciliare questo interesse con quello relativo alla fruizione universale e libera dei contenuti culturali. Sul punto, è opportuno citare l'orientamento a livello europeo della Carta di Parma del 19 novembre 2003 che ribadisce (in particolare all'articolo 4) l'esigenza di trovare un giusto equilibrio tra l'accesso alla cultura e la tutela della posizione dei titolari di diritti di proprietà intellettuale; principio che è stato recepito infine con la direttiva europea sul diritto d'autore nel mercato unico digitale numero 790/2019. Una completa liberalizzazione delle riproduzioni anche per scopo di lucro comporterebbe un rischio maggiore di un uso distorto dell'immagine del bene, andando ad intaccare la sua valenza immateriale come è successo nella nota vicenda [43] relativa all'uso non autorizzato per scopi di lucro dell'immagine della statua del David di Michelangelo in una versione armata, da parte di una società americana produttrice di armi (ArmaLite.Inc), con la conseguente violazione del diritto morale sull'opera. Con le nuove tecnologie emerge, pertanto, l'esigenza di rafforzare la tutela del valore immateriale del bene culturale [44].
3. Nuove tecnologie applicate ai beni culturali distrutti: una frontiera aperta?
Nei paragrafi precedenti abbiamo analizzato le potenzialità e le questioni giuridiche più critiche sollevate dall'applicazione delle nuove tecnologie ai beni culturali. È opportuno chiedersi in questa sede, se è possibile rilevare le stesse criticità in riferimento alle innovazioni tecnologiche che hanno ad oggetto le opere distrutte da attacchi terroristici. Innanzitutto bisogna capire quale sia il ruolo della tecnologia in quest'ambito; le innovazioni tecnologiche hanno introdotto da un lato nuove forme di tutela con una funzione preventiva in riferimento ai beni culturali a rischio ovvero oggetto di minacce terroristiche, creando archivi digitali di documentazione. Dall'altro lato, le recenti riproduzioni digitali dei monumenti che sono stati distrutti aprono nuove forme di valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale. L'archeologia virtuale inoltre offre nuovi strumenti di avanguardia che sono cruciali nella fase di ricostruzione dell'opera distrutta.
La tecnologia diventa anche uno strumento politico per gli artisti, attraverso il quale poter riflettere e documentare i recenti eventi di distruzione che hanno interessato l'area del Medio Oriente: l'artista iraniana Morehshin Allahyari, nella serie "Material Speculation: ISIS", dopo aver raccolto un grande numero di immagini e documenti degli oggetti distrutti, ha ricreato e stampato in 3d dei manufatti. Tutta la documentazione raccolta dall'artista è stata successivamente salvata su un flash drive nella riproduzione in stampa 3d del manufatto, rendendo l'immagine riproducibile all'infinito. L'intento è stato quello di preservare la memoria culturale rappresentata dal bene distrutto, mettendo in discussione l'idea stessa di materialità e conferendo eternità all'immagine del monumento; così come la start-up francese Iconem [45], che con il supporto della World Bank, in collaborazione con l'Unesco, porta avanti numerosi progetti che hanno ad oggetto la ricostruzione in 3d di monumenti distrutti e il perseguimento della lotta contro il traffico illecito di opere d'arte da parte dell'Isis, attraverso l'utilizzo di droni di ricerca nell'area del Medio Oriente.
La digitalizzazione del patrimonio distrutto dagli attacchi terroristici nel Medio Oriente diventa anche un obiettivo di programmazione politica da parte del Regno Unito. Il governo inglese in collaborazione con il Dipartimento per la cultura digitale, mezzi di informazione e lo sport, il British Council e il British Museum [46] ha infatti stanziato una serie di fondi, attraverso la creazione del "Cultural protection fund", al fine di realizzare progetti di ricostruzione digitale e di protezione preventiva del patrimonio culturale a rischio in zone di conflitto. Lo scopo dei progetti in esame è quello di creare veri e propri archivi digitali dei beni culturali oggetto di minacce terroristiche in modo tale da preservare per sempre il loro valore immateriale e da offrire modelli utili nell'eventuale processo di ricostruzione. Un ulteriore obiettivo del Cultural Protection fund è stato quello di offrire la fruizione virtuale di ciò che è andato distrutto come la riproduzione digitale dell'arco di Palmira avvenuta a Londra in Trafalgar Square.
Tornando alle domande di ricerca del seguente studio, si può affermare che la funzione di promozione della cultura svolta dalla fruizione virtuale abbia una rilevanza giuridica ancora più importante in riferimento ai beni culturali distrutti, essendo l'unico veicolo attraverso il quale è possibile preservare il loro valore immateriale: d'altronde, in considerazione della definizione gianniniana [47], è proprio il valore immateriale l'elemento caratterizzante del bene culturale che lo rende meritevole di tutela giuridica, immaterialità intesa quale " valore culturale inscindibilmente connesso alla cosa che ne reca la testimonianza" [48]. La fruizione digitale in questione può essere dunque considerata uno strumento volto a proteggere la memoria culturale insita nell'opera distrutta. Per quanto riguarda lo status giuridico, la virtualizzazione della res distrutta costituirebbe un nuovo prodotto culturale andando ad ampliare la categoria dei beni culturali; oppure, potrebbe essere ricondotta al patrimonio culturale immateriale.
Constatata la rilevanza giuridica del patrimonio distrutto nella sua nuova forma virtuale, è necessario soffermarsi sulle possibili questioni giuridiche da sollevare. Quanto alla riproduzione digitale, la riflessione può essere svolta in relazione all'arco di Palmira, monumento siriano distrutto dal gruppo terrorista della Stato islamico nel 2015. Come affermato precedentemente, la riproduzione dell'arco è il risultato del progetto "The Million Image Database"per la tutela e la salvaguardia del patrimonio culturale mondiale, promosso dal The Institute for Digital Archaeology in collaborazione con l'UNESCO, l'università di Oxford, il museo del futuro di Dubai e il governo degli Emirati Arabi Uniti. L'arco è stato ricostruito con tecnologia avanzata utilizzando stampa in 3d ed è stato esposto nelle città di Londra, New York, Dubai ed infine a Firenze in occasione del G7 della cultura nel 2017. Il progetto è finalizzato a riprodurre importanti siti attraverso scansioni di alta qualità in zone di conflitto in Medio Oriente e Nord Africa. Le immagini catturate vengono successivamente caricate sul database dell'istituto al fine di utilizzarle per la ricerca, la valorizzazione del patrimonio, i programmi educativi e la ricostruzione 3D.
Una prima problematica può essere sollevata in relazione alla titolarità del diritto di riprodurre il monumento distrutto: spetta alla Stato di appartenenza del bene? La riproduzione deve avvenire nel suo luogo d'origine? Se si considera l'universalità del valore immateriale del bene come testimonianza di civiltà, la sua riproduzione può senz'altro avvenire su scala globale.
La questione discussa può, tuttavia, intrecciarsi con il discorso della tutela dell'autenticità dell'opera: la riproduzione dell'arco di Palmira è stata oggetto di critiche da parte di esperti del settore per la mancanza di conformità rispetto al monumento originale in termini di dimensioni, materiali e decorazioni architettoniche [49]. La ricostruzione in 3d dell'arco, inoltre, ha assunto un significato simbolico di lotta politica da parte dell'Occidente contro il terrorismo islamico, e conseguentemente le caratteristiche architettoniche e il valore immateriale dell'opera distrutta sono passate in secondo piano.
Questi progetti di digitalizzazione del patrimonio culturale distrutti devono essere letti, infatti, come il risultato di un'azione di diplomazia culturale in quanto si inseriscono nell'ambito della cooperazione internazionale Fra Occidente e Paesi del Medio Oriente in zone di conflitto.
Possono dunque delinearsi possibili strumentalizzazioni politiche del bene; nel caso in esame, l'arco è stato riprodotto in siti geograficamente e culturalmente lontani dal contesto d'origine. Pur rientrando il sito di Palmira nel patrimonio mondiale dell'Umanità ed essendo una fruizione globale conforme a questa definizione, la su riproduzione decontestualizzata dalla realtà locale potrebbe andare ad inficiare la dimensione storica e più autentica dell'opera. I possibili aspetti controversi discussi vogliono mettere in luce come anche nel caso della riproduzione dei beni culturali distrutti, possano emergere nuovamente le dicotomie classiche descritte nei paragrafi precedenti, quali internazionale vs. nazionale, globale vs. locale, applicate all'ordinamento dei beni culturali e la conseguente necessità di contemperare i diversi interessi.
L'applicazione delle innovazioni tecnologiche ai ben culturali distrutti sembrerebbe dunque una frontiera aperta, considerata l'assenza di linee-guida e di una disciplina uniforme che regoli la materia. Al riguardo, la dichiarazione non vincolante nata dall'iniziativa globale ReACH (Reproduction of Art and Cultural Heritage) avviata nel maggio 2017 dall'UNESCO e guidata dal Victoria and Albert Museum, costituisce un importante paradigma per una futura regolamentazione. L'iniziativa è nata in occasione del centocinquantesimo anniversario della Convenzione per la Promozione universale delle riproduzioni dei beni culturali (The Henry Cole's Convention for Promoting Universally Reproductions of Works of Art), con lo scopo di porre l'accento sulla crescente importanza del ruolo della tecnologia nell'ambito della protezione dei beni culturali e sul necessario adattamento normativo alla nuova realtà: "...Digital technologies can enable us to record documents, and in some instances, recreate works that are threatened By environmental hazards, conflicts, terrorism, rapid economic development, mass tourism, thefts and other natural and human-made disasters ('endangered works') or that have been lost" [50].
Nel disciplinare la riproduzione digitale, La dichiarazione enuncia una serie di principi che devono essere rispettati nella documentazione digitale soprattutto in riferimento ai beni culturali sottoposti a rischi legati al terrorismo o altri eventi di potenziale distruzione: in primo luogo il rigore scientifico e la trasparenza nel documentare il contesto storico, il rispetto delle diversità culturali, principi da rispettare prima che il prodotto digitale sia condiviso sul web; la preparazione diretta agli archivi digitali inoltre non deve andare ad intaccare l'integrità del bene; la dichiarazione sancisce, infine, il principio ad una libera fruizione dei contenuti digitali per attività senza scopo di lucro, adattando le modalità d'accesso sul web alle esigenze delle categorie più svantaggiate, garantendo un'equa parità su scala globale.
Sempre nell'ambito internazionale, è opportuno segnalare la "Carta di Londra per la visualizzazione digitale dei beni culturali", ratificata nel 2008 da un network di accademici, indicato con il nome di "EPOCH" (European network of Excellence in Open cultural heritage), le cui fondamenta possono rintracciarsi nella Carta sulla conservazione del patrimonio digitale dell'UNESCO del 2003, documento internazionale che al contempo tutela le pratiche di gestione digitale dei patrimoni e il digitale come "patrimonio in sé". La Carta di Londra potrebbe costituire una valida fonte di ispirazione per una futura regolamentazione sulla materia in esame, in quanto contiene importanti raccomandazioni per l'uso dei metodi della visualizzazione digitale; in particolare, questa normativa internazionale rappresenta il consolidamento di una serie di principi [51] elaborati dalla comunità scientifica nel settore della visualizzazione digitale; l'ambito di applicazione a cui fa riferimento la Carta è molto vasto, comprendendo tutti i contesti di attività che interessano il patrimonio culturale (quali ad esempio istituti di ricerca, musei, gallerie). Il fulcro centrale della Carta è senz'altro il principio relativo alla documentazione (principio 4): l'organizzazione della documentazione utilizzata per arrivare alla visualizzazione deve essere visibile secondo criteri di trasparenza e rigore scientifico, così come l'individuazione delle ragioni che sorreggono le ipotesi alla base della visualizzazione ed l'adeguatezza dei documenti agli standard e alle ontologie di ciascuna comunità di soggetti" [52].
Nella "Carta di Siviglia", atto di soft law redatto dall'International Forum of Virtual Archeology nel 2011, nato per implementare i principi della Carta di Londra, si pone l'accento sull'importanza dell'interdisciplinarietà nell'archeologia virtuale: "Qualsiasi progetto che implichi l'uso delle nuove tecnologie, legato alla visualizzazione digitale assistita, nel campo del patrimonio archeologico, sia per la ricerca, documentazione o diffusione, deve essere supportato da un team di professionisti provenienti da distinti rami del sapere" [53]. Principio che è senz'altro affine al carattere liminale della nozione di bene culturale. Sono, dunque numerosi gli spunti offerti dalla prospettiva internazionale analizzata che, tuttavia, non ha avuto molto seguito negli ordinamenti nazionali.
La tecnologia applicata ai beni culturali gioca, dunque, un ruolo fondamentale di importanza crescente, sia in termini di rafforzamento della tutela ma soprattutto nel creare nuove possibilità di valorizzazione e fruizione del patrimonio.
In relazione ai beni sottoposti alle minacce terroristiche o andati distrutti, la funzione della tecnologia appare ancora più centrale nella fase di ricostruzione, ma anche come forma di memoria preventiva e di tutela del valore immateriale della res distrutta; in quest'ambito sono ancora numerose le problematiche giuridiche da affrontare, essendo un settore emergente e non sufficientemente indagato.
È possibile constatare la mancanza di un pieno adeguamento dell'ordinamento italiano e internazionale alle novità introdotte dagli strumenti digitali, probabilmente a causa della velocità con cui il progresso tecnologico si sta affermando nel corso degli anni.
L'emergere di nuovo prodotti culturali in formato digitale, va ad ampliare la categoria oggetto di studio e pone un problema di riqualificazione della nozione stessa di bene culturale. Le antinomie degli interessi pubblici confliggenti, analizzate nei paragrafi precedenti, necessitano di approfondimenti maggiori e di soluzioni volte ad individuare il giusto contemperamento degli stessi.
La questione di una piena liberalizzazione della riproduzione dei beni culturali nell'ordinamento italiano, inoltre, rimane ancora oggetto di dibattito, alla luce delle potenzialità e dei rischi che sono stati messi in evidenza.
Risulta fondamentale la consapevolezza delle potenzialità offerte dalla tecnologia ma è necessario allo stesso tempo rafforzare la tutela della dimensione immateriale del bene culturale, mettendo in discussione il principio per cui il mezzo digitale è sempre giusto in quanto strumento contemporaneo.
La tecnologia rimane pur sempre uno strumento e la realtà virtuale non potrà mai andare a sostituire pienamente l'esperienza reale della fruizione tradizionale. In ogni modo, la fruizione digitale non deve andare ad inficiare la finalità per cui un bene culturale debba essere valorizzato ovvero l'interesse pubblico alla cultura [54] da non subordinare a finalità commerciali o politiche.
Note
[1] Si v. la lettera c della Dichiarazione dei ministri della cultura del G7 in occasione della riunione "La cultura come strumento di dialogo tra i popoli" (2017), secondo cui il patrimonio culturale "è al contempo motore e oggetto delle più avanzate tecnologie, nonché uno dei principali ambiti in cui misurare le potenzialità offerte dall'era digitale;".
[2] A. Serra, Patrimonio culturale e nuove tecnologie: la fruizione virtuale, in La globalizzazione dei beni culturali, (a cura di) L. Casini, Bologna, il Mulino, 2010, pag. 223-247. Per un approfondimento sulla rivoluzione delle ICT si v. R. Baldwin, La grande convergenza. Tecnologia informatica, web e nuova globalizzazione, Bologna, il Mulino, 2018.
[3] Sul tema dell'emulazione culturale indotta dalle nuove tecnologie, si v. Z. Bauman, Retrotopia, ed. trad. Laterza, Bari, pag. 17-18 ss.
[4] Ne fa riferimento Z. Bauman, Retrotopia, cit., pag. 19 ss.
[5] Sulla crisi dello Stato democratico, "costruito sulla separazione dei poteri", nell'epoca della globalizzazione e delle nuove tecnologie, si rimanda a L. Casini, Lo Stato nell'era di Google, in Riv. trim. dir. pubbl., 2019, 4, pag. 1111 ss.
[6] Per una ricostruzione sul rapporto fra nuove tecnologie e libertà fondamentali, in particolare la libertà di manifestazione del pensiero, si v. A. Nicita, Libertà d'espressione e pluralismo 2.0: i nuovi dilemmi, in Media Laws 2019, 1.
[7] A. Nicita, Libertà d'espressione e pluralismo 2.0: i nuovi dilemmi, cit., pag. 316.
[8] Si v. G. Nicastro, Libertà di manifestazione del pensiero e tutela della personalità nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/stu_284.pdf, 2015. Cfr. Corte Cost, n. 126 del 1985, punto 6 del considerato in diritto, dove si afferma: "Anzitutto occorre ribadire la rilevanza centrale - emergente del resto dalla giurisprudenza di questa Corte (...) - che la libertà di manifestazione del pensiero, anche e soprattutto in forma collettiva, assume ai fini dell'attuazione del principio democratico non solo nel nostro ordinamento, che in relazione a tale principio solennemente si qualifica (art. 1 Cost.), ma nelle più significative espressioni della civiltà politico-giuridica che in esso trova la sua caratterizzazione di fondo".
[9] In argomento si segnala A. Simoncini, L'algoritmo incostituzionale: intelligenza artificiale e il futuro delle libertà, in BioLaw Journal - Rivista di BioDiritto 2019, 1.
[10] Un esempio in materia penale concerne l'applicazione negli Stati Uniti dello strumento algoritmico Compas, un software che valuta il rischio di recidiva e la pericolosità sociale di un individuo sulla base di vari dati statistici, sul cui uso si è espressa la Corte Suprema del Wisconsin nel caso "Loomis" (State o Wisconsin v. Eric L. Loomis, 13 Luglio 2016). Per un'analisi approfondita del caso si rimanda a A. Simoncini, L'algoritmo incostituzionale: intelligenza artificiale e il futuro delle libertà, cit., pag. 71 ss.
[11] In argomento, A. Simoncini, op. cit., pag. 73 ss.; L. Casini, Lo Stato nell'era di Google, cit., pag. 1139 ss.
[12] Il riferimento è alla sentenza Cons. St., sez. VI, 13 dicembre 2019, n. 8472, nella quale si afferma la necessaria conoscibilità dell'algoritmo ovvero la possibilità di accedere alle scelte che ne hanno determinato l'adozione, il divieto di trattamenti discriminatori per l'individuo e infine il principio secondo cui non si può essere sottoposti ad una decisione amministrativa basata esclusivamente su un processo algoritmico automatizzato, qualora incida su posizioni giuridiche soggettive rilevanti; la pronuncia richiama il regolamento generale sulla protezione dei dati della UE 2016/679 (il c.d. GDPR).
[13] B. Carotti, Algoritmi e poteri pubblici: un rapporto incendiario, in Giorn. dir amm., 2020, n. 1.
[14] M. Cammelli, L'ordinamento dei beni culturali tra continuità e innovazione, in Aedon, 2017, 3.
[15] Per un'analisi sulle relazioni fra nuove tecnologie, globalizzazione e memoria si v. C. Ginzburg, Memoria e globalizzazione, in Quaderni storici 2005, 40.
[16] M.S. Giannini, I beni culturali, in Rivista trimestrale di diritto pubblico 1976, 3, pag. 31 ss.
[17] In argomento si v. J.H. Merryman, The Public Interest in Cultural Property, California Law Review, 1989, pag. 339 ss., in cui si descrive "the access" come uno degli elementi cardini di una politica pubblica concernente i beni culturali: "... The study of cultural objects requires that they be accessible to scholars; their enjoyment requires that they be accessible to the relevant public". Si v. anche F.G. Fechner, The Fundamental Aims of Cultural Property, in International Journal of Cultural Property, 1998, 7, p. 384 ss.
[18] L. Degrassi, Cultura e istituzioni: la valorizzazione dei beni culturali negli ordinamenti giuridici, Milano, 2008, pag. 138; si segnala questo contributo anche per una ricostruzione storica dell'istituto della fruizione.
[19] Sul punto si v. L. Degrassi, Cultura e istituzioni: la valorizzazione dei beni culturali negli ordinamenti giuridici, cit., A. Lazzaro, Innovazione tecnologica e patrimonio culturale tra diffusione della cultura e regolamentazione, in Federalismi.it 2017, n. 24, pag. 2 ss.
[20] Sull'etimologia della parola "cultura" si v. G. Cavaggioni, Diritti culturali e modello costituzionale di integrazione, Torino,2018, pag. 2 ss.; l'autore rimanda a Cicerone che nell'opera Tusculanae Disputationes, libro II, 13, utilizza la locuzione cultura animi per indicare il ruolo della filosofia nel preparare l'animo alla "semina" ovvero al perfezionamento della coscienza umana.
[21] Sui profili costituzionali della cultura e sull'evoluzione interpretativa dell'articolo 9 c'è una vasta letteratura; in questa sede, si rimanda a A. Lazzaro, op. cit., pagg. 2-5; G. Soricelli, Beni culturali immateriali e diritto al bene culturale: prospettive per una ricerca, in Federalismi.it, 2019, n. 15, pag. 11 ss.; G. Cavaggioni, Diritti culturali e modello costituzionale di integrazione, cit., pag. 18 ss.; M. Ainis, M. Fiorillo, L'ordinamento della cultura: manuale di legislazione dei beni culturali, Milano, 2008, 2 ed, pag. 161 ss.; J. Luther, Articolo 9, in Stato della Costituzione, (a cura di) G. Neppi Modona, Milano, Il Saggiatore, 1998. G. Rolla, Beni culturali e funzione sociale, in Le Regioni, 1987, pag. 53 ss.
[22] A. Lazzaro, Innovazione tecnologica e patrimonio culturale tra diffusione della cultura e regolamentazione, cit.
[23] R. Cavallo Perin, Il diritto al bene culturale, in Dir. amm. 2016, 4; sui diritti culturali si v. anche G. Repetto, Il diritto alla cultura, in www.gruppodipisa.it, 2016, 4; A. Pizzorusso, Diritto della cultura e principi costituzionali, in Quaderni costituzionali 2000, 2.
[24] Sulla prevalenza della tutela si v. L. Degrassi, Cultura e istituzioni: la valorizzazione dei beni culturali negli ordinamenti giuridici, cit., pag. 146 ss. D. Vaiano, Art. 6 (Valorizzazione del patrimonio culturale), in G. Trotta, Codice dei beni culturali e del paesaggio (Prima parte) (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) in Le nuove leg. Civ. comm., 2005, 5-6, pag. 1096; G. Severini, I principi del codice dei beni culturali e del paesaggio, in Giorn. dir. amm., 2004, 5; S. Foà, La tutela dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 2004, 5. In senso contrario a una gerarchia delle funzioni si v. G. Pastori, Tutela e valorizzazione dei beni culturali in Italia. Situazione in atto e tendenze, in Aedon, 2004, 3. Quanto alla tesi della fruizione come attività non separata dalla valorizzazione, bensì fine della valorizzazione si rimanda a S. Fantini, Beni culturali e valorizzazione della componente immateriale, in Aedon, 2014, 1; G. Sciullo, Le funzioni, in Diritto e gestione dei beni culturali, (a cura di) C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Bologna, 2011, pag. 62; L. Casini, Valorizzazione e fruizione, in Giorn. dir. amm., 2004, 5; L. Degrassi, op. cit., pag. 148 ss.
[25] Cfr. comma 6, art. 1 Cod.; cfr. comma 4 art. 2 Cod.; sul punto si v. L. Degrassi, op. cit., pag. 146.
[26] In particolare, la Convenzione sulla Protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale dell'umanità, Parigi 23 novembre 1972. In argomento, si segnala F. Francioni e F.Lenzerini (a cura di), The 1972 World Heritage Convention. A Commentary, Oxford, Oxford University Press, 2008.
[27] Si v. A. Serra, Patrimonio culturale e nuove tecnologie: la fruizione virtuale, cit., pag. 190.
[28] Sulla fruizione virtuale e la correlata perdita delle dimensioni temporali e spaziali si rimanda a S. Fantini, Beni culturali e valorizzazione della componente immateriale, cit., pag. 2.
[29] Per un approfondimento del caso "Elgin Marbles" si v. T. Flessas, Sacrificial Stones, in Law and Literature 2002, v. 14 n. 1.
[30] Si v. J. Baudrillard, Violenza del virtuale e realtà integrale, Milano, Mondadori Education, 2005, pag. 12: "Il video, lo schermo interattivo, il multimediale, internet, la realtà virtuale: l'interattività ci minaccia dappertutto. Dappertutto ciò che era separato viene confuso, dappertutto si abolisce la distanza... E questa confusione dei termini, questa collisione dei poli, fa sì che un giudizio di valore non sia più possibile da nessuna parte: né nell'arte, né nella morale, né nella politica... Persino nel campo della fisica: la prossimità eccessiva del ricevente e della fonte di emissione crea un effetto Larsen che confonde le onde. L'eccessiva vicinanza dell'avvenimento e della sua diffusione in tempo reale crea un'indecidibilità, una virtualità dell'avvenimento che lo priva della sua dimensione storica e lo sottrae alla memoria. Siamo nell'effetto Larsen generalizzato".
[31] Sul cultural nationalism e la memoria culturale, si v. J.H. Merryman, The Public Interest in Cultural Property, cit., pag. 347 ss. Sulla dicotomia fra "Cultural nationalism" e "Cultural Internationalism" si segnala L. Casini, La globalizzazione giuridica dei beni culturali, in Aedon, 2012, 3; si v. anche S. Eagen, Preserving Cultural Property: Our Public Duty:A Look at How and Why We must create International Laws that support International Action, in Pace international Law, 2001, v. 13, 2.
[32] J.H. Merryman, The Public Interest in Cultural Property, cit., pag. 346:"There is truth in objects. We yearn for the authentic, for the work as it left the hand of the artist or artisan... When we stand before the authentic Domesday Book in the Public record Office in London or the manuscript of Justiman's Digest in the Gregorian library in Florence, we feel a sense of satisfaction".
[33] Per una ricostruzione della materia si v. L. Casini, Riprodurre il patrimonio culturale? I "pieni" e i "vuoti" normativi, in Aedon, 2018, 3.
[34] V. F.G. Albisinni, Nuovi paradigmi e nuovi attori in tema di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, fra Costituzione e Processi di liberalizzazione 2018, disponibile su https://www.aipda.it/paper-convegno-annuale-aipda-2018/.
[35] L. Casini, Riprodurre il patrimonio culturale? I "pieni" e i "vuoti" normativi, cit., pag. 1-2.
[36] Regio decreto 29 marzo 1923, n. 798 recante "Norme sulla riproduzione mediante fotografia, di cose mobile ed immobili di interesse storico, paletnologico, archeologico d artistico".
[37] Art. 5, comma 3, legge n. 340/1965 recante "Norme concernenti taluni servizi di competenza dell'Amministrazione statale delle antichità e belle arti".
[38] Cfr. Art. 108, commi 3 e 3-bis, come modificato dall'art. 12, d.l. 31 maggio 2014, n. 83, conv. in legge 29 luglio 2014, n. 106 (c.d. Art bonus).
[39] Cfr. art. 1, comma 171, lett. b), num. 1), legge n. 124/2017.
[40] F. Albisinni, op. cit., pag. 4.
[41] In favore di una libera riproduzione dei beni culturali si segnala M. Modolo, Verso una democrazia della cultura: libero accesso e libera condivisione dei dati, in Archeologia e Calcolatori 2017, Supplemento 9.
[42] In argomento G. Finocchiaro, La valorizzazione delle opere d'arte on-line e in particolare la diffusione on-line di opere d'arte. Profili giuridici, in Aedon, 2009, 2; Serra, Patrimonio culturale e nuove tecnologie: la fruizione virtuale, cit., pag. 225.
[43] V. "Italy tells US Gun Firm to remove Michelangelo's David from Advert", Telegraph 2014. In materia di usi improri e valore immateriale del bene culturale si segnala L. Casini, "Noli me tangere": i beni culturali tra materialità e immaterialità, in Aedon, 2014, 1.
[44] Sulla necessità di dare più attenzione al valore immateriale e di adottare un'adeguata normativa anche in riferimento ai beni intangibili si v. A. Gualdani, I beni culturali immateriali: una categoria in cerca di autonomia, in Aedon, 2019, 1; A. Lupo, La nozione positiva di patrimonio culturale alla prova de diritto globale, in Aedon, 2019, 2; G. Soricelli, Beni culturali immateriali e diritto al bene culturale: prospettive per una ricerca, cit., in senso più ampio si v. G. Morbidelli, Il valore immateriale dei beni culturali, in Aedon, 2014, 1, nonché agli altri numeri pubblicati nello stesso numero della rivista.
[45] Per un approfondimento si v. il sito web iconem.com.
[46] Sul punto si v. P. Foradori, S. Giusti, A.G. Lamonica, Reshaping Cultural Heritage Protection Policies at a Time of Securitisation: France, Italy, and the United Kingdom, in The International Spectator Italian Journal of International Affairs, 2018, pag. 94 ss.
[47] M.S. Giannini, I beni culturali, op. cit., pag. 26.
[48] L. Casini, "Noli me tangere": i beni culturali tra materialità e immaterialità, cit.
[49] Sulla questione in esame si v. British Council, In Harm's Way, Aspects of cultural heritage protection 2017, pag. 26.
[50] Preambolo della ReACH, si v. https://www.vam.ac.uk/research/projects/reach-reproduction-of-art-and-cultural-heritage.
[51] La Carta individua sei principi fondamentali: implementazione, scopi e metodi, fonti della ricerca, documentazione, sostenibilità e accessibilità. Si v. S. Brusaporci, I. Trizio, La "Carta di Londra" e il patrimonio architettonico: riflessioni circa una possibile implementazione, in SCIRES SCientific and REsearch and Information Technology 2013, pag. 55 ss.; si v. anche V.M. Lopez-Menchero Bendicho, M. Flores Gutiérrez, M.L. Vincent, A. Grande, Digital Heritage and Virtual Archaeology: An Approach Through the Framework of International Recommendations, in Mixed Reality and gamification for Cultural Heritage, 2019, pag. 3 ss.
[52] Si v. S. Brusaporci, I. Trizio, La "Carta di Londra" e il patrimonio architettonico: riflessioni circa una possibile implementazione, cit., pag. 58.
[53] Principio 1, Carta di Siviglia. Per un approfondimento sulla carta in esame si rimanda a F. Gabellone, La trasparenza scientifica in archeologia virtuale: una lettura critica al principio N. 7 della Carta di Siviglia, in SCIRES SCIentific REsearch and Information Technology, 2012, vol. 2, 2.
[54] Sul punto si v. A. Lazzaro, Innovazione tecnologica e patrimonio culturale tra diffusione della cultura e regolamentazione, cit., pag. 20 ss.; S. Settis, Il valore culturale prima di qualsiasi interesse economico, in il Giornale dell'Arte, 2004, n. 230, pag. 32 ss.