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Editoriale

Sull’immagine dei beni culturali

di Girolamo Sciullo

On the image of cultural heritage
The Editorial presents the articles published in the current issue of the Journal on the subject of the image of cultural heritage.

Keywords: Digitalisation of Cultural Heritage; Image of Cultural Heritage.

Come il precedente questo numero della Rivista si occupa di digitalizzazione dei beni culturali e di uso delle immagini digitalizzate. L’occasione è data dall’approvazione, ormai prossima nel momento in cui si scrive, del disegno di legge di delegazione europea 2019-2020, che contiene anche il recepimento delle Direttive 790 e 1024 del 2019 in tema di diritti d’autore nel mercato unico digitale e di riutilizzo delle informazioni nel settore pubblico. Le due direttive toccano per vari aspetti i beni culturali pubblici e gli organismi (musei, archivi e biblioteche) che li hanno in consegna. Da esse muovono le analisi raccolte nel numero, talune di taglio prevalentemente giuridico, altre marcatamente di policy. I due approcci si giustificano in relazione alla pluralità di profili presentati dalla applicazione delle nuove tecnologie (leggasi, informatiche e della rete) al patrimonio culturale.

Le analisi giuridiche, a partire da quella di Marta Arisi, sono volte a chiarire il quadro normativo che il tema pone con riguardo ai profili del diritto d’autore e della normativa in tema di informazioni pubbliche. Senza entrare nel merito delle indagini svolte, merita un qualche accenno il ruolo trainante svolto dal diritto comunitario, prima, e ora dell’Unione Europea, in tema di digitalizzazione del patrimonio culturale.

Fin dagli anni ’90 le istituzioni europee hanno sottolineato che la digitalizzazione rileva ai fini tanto della tutela (conservazione) del patrimonio culturale degli Stati membri, quanto dell’accesso alla cultura da parte dei cittadini nonché dello sviluppo di nuovi servizi culturali. In breve, è stato ben presto messo a fuoco il ruolo che la digitalizzazione può svolgere ai fini della tutela e della valorizzazione, la seconda declinata nella duplice valenza di crescita culturale e di sviluppo economico. Si spiegano pertanto la messa in campo di iniziative quali Europeana, la promozione di analisi, come quella contenuta nel Report The New Renaissance, e la predisposizione di un quadro normativo in tema di diritto di autore e di riutilizzo delle informazioni nel settore pubblico, che tenesse conto a proposito dei beni culturali dei molteplici interessi coinvolti e offrisse soluzioni di equilibrio al passo dell’evoluzione della tecnologia. Non è un caso che la ‘eccezione culturale’ si sia manifestata sia nella disciplina della proprietà intellettuale (ad es. le molteplici eccezioni al diritto di autore per gli istituti e le opere della cultura) sia in quella del riutilizzo delle informazioni pubbliche quando queste concernano beni culturali (previsione di una disciplina derogatoria, rispetto a quella generale, in tema di tariffazione, modulabile anche in relazione alla finalità commerciale dell’uso, e ammissibilità di riserve di accesso quando la digitalizzazione sia il risultato di forme di partecipazione pubblico/privato volte a sostenerne i relativi costi).

Le analisi di Daniele Manacorda e di Mirco Modolo si occupano invece della policy in tema di immagini digitalizzate del patrimonio culturale e prospettano per il nostro Paese l’introduzione senza eccezioni del libero riuso di quelle relative a beni in pubblico dominio. Si tratta di un tema di cui la Rivista si è ripetutamente occupata (da ultimo, nel precedente numero, con il contributo di Paolo Carpentieri) e rispetto al quale sarà senz’altro lieta di pubblicare ulteriori interventi, perché questione di attualità e controversa.

Senza entrare anche in questo caso nel merito delle analisi svolte, ci si limita ad alcune osservazioni preliminari sulle molte sfaccettature che l’argomento presenta. Differenti sono i beni interessati dal riuso (beni storico-artistici ecc., materiali documentali e librari) e non omogenei (per dimensioni, disponibilità economiche ecc.) gli istituti culturali, anche della medesima tipologia, chiamati a porre in essere le condizioni di esercizio del riuso (fondamentalmente l’accesso da remoto, tramite la rete, ai materiali digitalizzati). Molteplici sono poi gli interessi che vengono in gioco, ove si pensi che l’accesso da remoto a sua volta presuppone una digitalizzazione realizzata e oggetto di manutenzione e aggiornamento, dai costi non lievi (100 miliardi di euro il costo di impianto ipotizzato nel 2011 dal Report The New Renaissance, pag. 8, per digitalizzare il patrimonio culturale europeo); perciò a venire in rilievo è certamente ‘il diritto’ alla cultura’, ma emergono anche esigenze di carattere economico/aziendale non molto dissimili da quelle che giustificano un corrispettivo per l’accesso fisico al luogo di cultura e ai beni in consegna (in particolare rappresentate dalla copertura almeno parziale dei costi del servizio fornito e dal concorso alle spese di funzionamento degli istituti e a quelle di conservazione dei beni fisici digitalizzati). Non omogenea è poi la platea dei possibili fruitori in ragione delle finalità del riuso (dalla curiosità allo studio scientifico, dalla creazione di opere dell’ingegno o di servizi culturali al mero abbinamento dell’immagine ai fini della commercializzazione di un prodotto o di un’attività), il che evoca anche l’interrogativo sul possibile controllo del riutilizzo. Differenti, infine, possono essere le tecniche di digitalizzazione e quindi dei contenuti digitalizzati (livelli di definizione delle fotografie, ‘filtri’ delle immagini messe a disposizione ecc.) come pure le scelte del materiale affidato alla rete (catalogo dei beni, visite virtuali, completezza o meno delle collezioni messe a disposizione, presenza o meno di dati informativi di corredo). In conclusione, probabilmente come in tutte le questioni complesse la soluzione in astratto ottimale è costituita da soluzioni in concreto articolate, e quindi forse da riutilizzi regolamentati e diversificati quanto a condizioni di esercizio (per un esempio recente e significativo https://collections.louvre.fr).

Come che sia, due elementi però andrebbero salvaguardati. L’autonomia delle scelte da parte delle istituzioni della cultura anzitutto. Anche in questo caso, come indagini recenti mettono in rilievo per il funzionamento dei musei (Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza, n. 524/2019, dedicato alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale in Italia, pag. 24 ss.), l’autonomia sembra un elemento prezioso, un plus da garantire sia pure all’interno di un quadro unitario di regole: quindi scelte di digitalizzazione e di messa in rete affidate in definitiva ai singoli istituti. In secondo luogo, e ancor più importante, un risultato finale di non ‘sopraffazione’ o addirittura di sostituzione della realtà ‘analogica’ (la realtà) da parte di quella ‘digitale’: in breve che non venga meno la ‘storicità’, la non replicabile autenticità dell’opera d’arte (l’hic et nunc del Benjamin), ma, è da aggiungere, anche del luogo che la conserva, il solo in grado di farne cosa viva in una società consapevole.

 

 

 



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