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Attività di restauro di beni culturali e legge Merloni-quater: il recupero della specialità nella disciplina dell'evidenza pubblica

di Giacomo Santi


Sommario: 1. Premessa: Attività di restauro di beni culturali e disciplina generale in materia di lavori pubblici: un difficile connubio. - 2. I principi ispiratori della riforma. - 3. Gli emendamenti alla legge Merloni. - 4. Prospettive.



1. Premessa: Attività di restauro di beni culturali e disciplina generale in materia di lavori pubblici: un difficile connubio

La scelta di ricondurre la fattispecie del restauro di beni mobili e superfici decorate di beni architettonici all'ampio genus dei lavori pubblici, sebbene auspicata da molte parti come garanzia di trasparenza e concorrenzialità nel settore, ha causato da un lato complesse difficoltà applicative dall'altro un livello di soddisfacimento in capo agli operatori del settore via via in decrescendo.

A ben vedere, sia le accennate difficoltà sia il calante entusiasmo potevano ben apparire come prevedibili già al momento della decisione del legislatore di qualificare i "beni mobili e le superfici decorate" sottoposti alle disposizioni di tutela di cui alla normativa in materia di beni culturali ed ambientali come assimilabili sotto il profilo tipologico alle "opere ed impianti" individuate all'articolo 2 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici - c.d. legge Merloni).

Troppe peculiarità qualificano già a prima vista il settore dei beni culturali rispetto all'ambientazione tipica dei "lavori pubblici" tradizionali ed ambigua è la riconduzione "forzata" del restauro in un corpus disciplinare già formato compiutamente nei propri fondamenti.

Il "compromesso" rappresentato dalla legge Merloni applicata al settore del restauro (non si vede difatti come non sarebbe stato preferibile la predisposizione di un autonomo testo normativo) non ha peraltro trovato il necessario ri-bilanciamento nella disciplina di attuazione (recata dal regolamento decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554) che non è stata in grado di introdurre quegli elementi di specialità auspicati dallo stesso legislatore.

Le eccessive rigidità della disciplina sui lavori pubblici - che trova una simbolica rappresentazione nella sostanziale unicità del "massimo ribasso" come criterio di valutazione delle offerte - sono quindi alla base di un processo che ha avuto ad oggetto la rivisitazione della disciplina sia per quanto riguarda la fase dell'"evidenza pubblica" sia per quanto riguarda alcuni profili legati all'esecuzione.

E' da notare peraltro che la necessità di una maggiore evidenziazione dei profili di specialità del settore del restauro rispetto alla disciplina generale dei lavori pubblici è stata rilevata anche dal Consiglio superiore dei lavori pubblici nel parere rilasciato in data 26 ottobre 2001 sugli schemi di regolamento recanti il "Capitolato speciale per il lavoro di restauro dei dipinti su tela e per il lavoro di restauro dei dipinti su tavola". In particolare è stata evidenziata "l'inadeguatezza delle procedure di aggiudicazione che, anche per questo settore" (quello del restauro e manutenzione dei beni mobili e superfici decorate) "si basano, tranne i casi particolari degli appalti-concorso, sul criterio del prezzo più basso".

Significativa (ed anche intuitivamente condivisibile) è la considerazione del massimo organo consultivo del settore dei lavori pubblici secondo cui "per il restauro di un'opera d'arte, la giusta esigenza dell'economicità deve essere equilibrata con la qualità del restauro; l'introduzione nel restauro del criterio del prezzo più basso, infatti, può avere conseguenze estremamente negative, penalizzando professionalità, omologando verso il basso la qualità degli interventi e, in molti casi, deresponsabilizzando la pubblica amministrazione".

Ma non solo, il Consiglio superiore si è spinto fino a criticare apertamente la scelta stessa del legislatore del 1998 di attrarre i beni culturali nell'"orbita" dei lavori pubblici: di qui la riproposizione della annosa questione relativa alla qualificazione della fattispecie contrattuale fra quelle individuate tipicamente dalla normativa comunitaria (ed ora anche nazionale) in materia di appalti pubblici (lavori, forniture e servizi) che motiverebbe - ad opinione del Consiglio - la necessità "di un'attenta riflessione sull'opportunità ... di fare riferimento anziché all'appalto di lavori pubblici alla tipologia dell'appalto di servizi ... considerato che tale normativa ... lascia largo spazio alla componente intellettuale e progettuale che è specifica del mestiere del restauratore".

Al di là della auspicata (ma forse tardiva se si pensa alla scelta di ricondurre la qualificazione dei restauratori alla disciplina di cui al decreto del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2000, n. 34 e quindi alle cosiddette categorie Soa - Società organismi di attestazione) rivisitazione della nozione stessa di attività di restauro e manutenzione di beni mobili e superfici decorate, le istanze del Consiglio superiore paiono avere trovato un primo tentativo di risposta nella disciplina da ultimo introdotta dall'articolo 7 della legge 1 agosto 2002, n. 166 (Disciplina in materia di infrastrutture e trasporti) che, già conosciuta come "Merloni-quater" rappresenta l'ennesimo intervento legislativo (peraltro non definitivo ove si consideri l'incipit del menzionato articolo che recita "nelle more della revisione della legge quadro sui lavori pubblici ... alla legge 11 febbraio 1994 sono apportate le seguenti modificazioni") sul travagliato settore dei lavori pubblici.

E' peraltro significativo notare che, mentre con riferimento alla disciplina di carattere generale, il dibattito parlamentare si è caratterizzato per i toni aspri e polemici, gli emendamenti relativi specificatamente al restauro introdotti ex novo in Senato dopo che il testo era già stato approvato una prima volta alla Camera, paiono avere trovato una piena condivisione all'interno dell'organo legislativo.

 

2. I principi ispiratori della riforma

Il disegno riformatore concretizzatosi nella novellazione recata dalla l. 166/2002 segue alla valorizzazione dell'opinione secondo cui gli interventi di conservazione, restauro e manutenzione di beni mobili sottoposti alle disposizioni di tutela di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 sono attività caratterizzate da una particolare e rafforzata esigenza di uniformità, in ordine ai materiali, alle tecnologie e alle metodologie utilizzate, che ruota intorno alla figura professionale del restauratore più che dell'impresa e dove largo spazio deve essere lasciato alla componente intellettuale e progettuale che è specifica della professione.

In quest'ottica, gli emendamenti approvati appaiono manifestazione della necessità di articolare meglio una normativa, come quella dei lavori pubblici, pensata e sviluppata sulla base delle esigenze dell'edilizia e degli interventi impiantistici ad essa correlati e non certo a quelle che presenta il settore del restauro specialistico di beni culturali, applicata su beni particolarissimi, preziosi ed, una volta danneggiati, insostituibili.

I criteri che hanno ispirato queste modifiche nascono dalle esigenze sintetizzate come segue.

Premessa ineludibile e fulcro su cui si fonda sostanzialmente l'intero progetto di riforma è stata la necessità di prevedere lo "scorporo obbligatorio", già nella fase di affidamento, delle prestazioni di restauro, riconducibili alla categoria di qualificazione Soa OS2 (beni mobili e superfici architettoniche decorate); presupposto essenziale per poter difendere la specificità dell'attività in un settore estremamente specialistico sia per professionalità richieste che per modalità d'intervento (conservazione e restauro) - cfr. art. 19, comma 1-quater, l. 109/1994 come da ultimo modificata.

Si badi che il concetto di "scorporo" adottato con riferimento alle lavorazioni di cui alla categoria OS2 è assolutamente "atipico" rispetto a quello presente nel corpus normativo dei lavori pubblici: non si tratta di "scorporo" inteso come individuazione di lavorazioni (non prevalenti) compresenti in un appalto di opere pubbliche più o meno complesso e, in quanto tali, assumibili da imprese mandanti facenti parte di un raggruppamento temporaneo c.d. "verticale", ma come obbligo di affidare le lavorazioni classificabili come OS2 separatamente rispetto ad eventuali lavorazioni afferenti ad altre categorie generali e speciali di cui al d.p.r. 34/2000.

In secondo luogo, gran parte degli emendamenti approvati si fondano sulla considerazione secondo cui l'attività di restauro non può consistere in una mera esecuzione di un progetto predefinito - come per gran parte dell'attività nell'edilizia - ma mantiene una ampia componente di progettazione in corso d'opera. L'intervento si definisce necessariamente man mano che l'operatore aumenta le proprie conoscenze, intervenendo sull'opera oggetto di restauro. Questo concetto, già contenuto sommariamente nell'articolo 216 del d.p.r. 554/1999, viene rafforzato dalle disposizioni legislative di cui alla riforma quater.

Ulteriore profilo centrale ha assunto la valorizzazione della figura del "restauratore di beni culturali" sia nella fase di progettazione sia in quella di esecuzione dell'intervento sul bene tutelato. La disciplina della progettazione, dell'affidamento e dell'esecuzione del restauro non può ragionevolmente infatti non fondarsi su un'ampia utilizzazione della specifica competenza tecnico-professionale del restauratore di beni culturali, in primo luogo, per indirizzare le gare ad una equilibrata scelta tra componente professionale/tecnica ed economica (offerta più vantaggiosa su criteri individuati dal restauratore di beni culturali come specifiche caratteristiche e necessità del bene oggetto dell'intervento, indicati in una scheda tecnica allegata alla progettazione preliminare), in secondo luogo, per indirizzare l'"apprezzamento dei curriculum" su criteri di massima trasparenza ed infine per collaborare in fase di direzione lavori e collaudo.

A tutto ciò si aggiunga come il legislatore del 2002 abbia reputato fondamentale imporre, per quanto possibile e comunque non incidente su posizioni perfette, una revisione/controllo parte delle qualificazioni Soa nella cat. OS2 rilasciate in assenza dei requisiti previsti dal regolamento di qualificazione specifico (regolamento di cui all'articolo 8 comma 11-sexies della l. 109/1994) ad imprese generali e spesso utilizzando esclusivamente la quota di qualificazione ottenuta da lavori eseguiti totalmente in subappalto.

 

3. Gli emendamenti alla legge Merloni

Venendo all'esame dei profili di diritto positivo - oltre al già menzionato obbligo di affidamento delle prestazioni di restauro in modo disgiunto rispetto alle altre categorie di lavori pubblici (art. 19, comma 1-quater, l. 109/1994) - è da registrare, con riferimento al settore che interessa, l'evidente affievolimento di uno dei principi tipici del "sistema Merloni", ovvero la netta separazione del momento progettuale rispetto a quella di esecuzione dei lavori. In tal senso depone il nuovo articolo 19, comma 1-quater che individua la regola secondo cui i livelli di progettazione successivi a quello preliminare (per il restauro, il livello esecutivo, ove previsto) deve essere di regola affidato (salvo quindi espressa scelta - motivata - in senso opposto) congiuntamente all'esecuzione dell'intervento.

Con riferimento al momento progettuale:

- "i soggetti con qualifica di restauratore di beni culturali ai sensi della vigente normativa" sono stati espressamente annoverati fra i soggetti che possono svolgere attività di progettazione, direzione lavori., e supporto al responsabile del procedimento per quanto attiene al restauro dei beni culturali (art. 17, comma 1, lett. d), del testo novellato);

- il contenuto del progetto preliminare (comunque sempre obbligatorio) è arricchito dalla necessità di allegarvi una "scheda tecnica redatta e sottoscritta da un soggetto con qualifica di restauratore e finalizzata alla puntuale individuazione delle caratteristiche del bene vincolato e dell'intervento da realizzare" (art. 16, comma 3, del testo novellato);

- il livello progettuale che (di regola) dovrà essere posto a base di gara non sarà più l'esecutivo, ma quello preliminare. Si segnala fin da ora peraltro i la necessità di una stima più attenta degli importi già a livello di progetto preliminare.

Significativa precisazione in ordine alla definizione dell'"ambito di applicazione" della disciplina di cui alla l. 109/1994, recata dal nuovo articolo 2, comma 6, secondo cui non risultano assoggettate alle norme della stessa legge, le attività di restauro di beni librari affidate dalla pubblica amministrazione (comprensive di progettazione, direzione lavori e collaudo), laddove le stesse non siano oggetto di un contratto "passivo" (oneroso per l'amministrazione), ma al contrario risultino finanziate con risorse private nell'ambito di rapporti assimilabili a quelli di "sponsorizzazione" (cfr. determinazione dell'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici del 5 dicembre 2001, n. 24).

Ulteriore notevole innovazione (in chiave di semplificazione) è la ridelineazione della portata dell'obbligo di programmazione (come noto prescritto ai soli soggetti aggiudicatori di cui all'articolo 2, comma 2, lettera a) che, per gli interventi di restauro, è stato limitato alle fattispecie "di singolo importo superiore a 100.000 euro" (art. 14, comma 1): gli interventi di minore importo potranno quindi essere progettati e realizzati indipendentemente dalla loro inclusione nel programma triennale e nell'elenco annuale.

L'obbligo della progettazione preliminare quale condizione per l'inserimento di un intervento nell'elenco annuale è limitato agli interventi di importo superiore a 1.000.000 euro: per quelli di importo inferiore è sufficiente uno "studio di fattibilità" (art. 16, comma 6).

L'articolo 27, comma 2-bis, formalizza poi definitivamente l'obbligo che l'ufficio della direzione dei lavori deve comprendere tra gli assistenti con funzione di direttore operativo un soggetto con qualifica di restauratore.

Con particolare riguardo ai sistemi di gara ed ai criteri di aggiudicazione, viene superata la regola ordinaria di aggiudicazione al prezzo più basso. L'art. 21, comma 1-bis, individua come criterio obbligatorio (per gli affidamenti di importo inferiore alla soglia comunitaria) quello dell'"offerta economicamente più vantaggiosa" assumendo come elementi obbligatori di valutazione il prezzo (cui deve essere attribuita rilevanza prevalente) e l'apprezzamento dei curricula dei candidati da apprezzare "in relazione alle caratteristiche dell'intervento".

Per quanto attiene alla disciplina della trattativa privata, il nuovo testo dovrebbe far reputare come superate le perplessità interpretative sollevate da più parti sul testo previgente, con riferimento alle modalità applicative della fattispecie di cui alla lettera c) del menzionato articolo 24 (possibilità di trattativa privata per affidamenti fino a 300.000 euro). Seguendo le citate opinioni, l'affidamento a trattativa privata ex art. 24, comma 1, lett. c) risultava in ogni caso subordinato alla evidenziazione di ulteriori presupposti che la norma non individua in alcun modo (né direttamente, come avviene nella fattispecie di cui alla lettera b) del medesimo articolo, né tramite rinvio, come avviene invece nella lettera a).

L'opinione secondo cui sarebbe necessaria una motivazione ulteriore (oltre al rilievo meramente quantitativo dell'importo ed a quello qualitativo della riconduzione dell'attività alla categoria del restauro di beni culturali) anche se fondata su un approccio del tutto ragionevole volto a limitare l'amplissima discrezionalità riservata alle stazioni appaltanti dall'art. 24, comma 1, lettera c), non trova conforto da quanto previsto nel nuovo articolo 24, comma 5-bis che pone due nuovi ordini di regole riferiti propri all'ipotesi della lettera c):

- nel caso di affidamenti di importo superiore a 40.000 euro ed inferiore a 300.000 è imposto alle stazioni appaltanti di indire una "gara informale" da aggiudicare sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa (cfr. art. 21, comma 8-bis) fra almeno 15 concorrenti, ove esistenti;

- nel caso di commesse di importo inferiore a 40.000 euro, si prevede la possibilità di affidamento diretto (fiduciari) con motivazione circa la sussistenza in capo all'affidatario dei requisiti di legge e la correlazione del profilo professionale dell'affidatario e le prestazioni da affidare.

Sulla scorta di quanto previsto dalla normativa comunitaria in materia di appalti pubblici, viene inoltre individuata (art. 24, comma 7-bis) l'ammissibilità dell'affidamento a trattativa privata, ad un soggetto esecutore di un appalto, di prestazioni di restauro complementari, non figuranti nel progetto inizialmente approvato o nell'affidamento precedentemente disposto, che siano diventati necessarie, a seguito di circostanza non prevedibile, all'intervento nel suo complesso. Ciò sempreché tali prestazioni non possano essere tecnicamente od economicamente separati dall'appalto principale senza grave inconveniente per il soggetto aggiudicatario oppure, quantunque separabili dall'esecuzione dell'appalto iniziale, siano strettamente necessari al suo perfezionamento. L'importo delle prestazioni complementari non può complessivamente superare il cinquanta per cento dell'appalto principale.

Per quanto invece attiene alla disciplina della qualificazione degli operatori, al fine di procedere alla revisione/controllo delle attestazioni Soa riferite alla cat. OS2 rilasciate in assenza dei requisiti previsti dal regolamento di qualificazione specifico (regolamento di cui all'articolo 8 comma 11-sexies), - in quanto emesse antecedentemente alla sua entrata in vigore ovvero nelle more di efficacia dello stesso - l'art. 8, comma 4, lett. g) dispone espressamente che, differentemente dalle qualificazioni nelle altre categorie Soa, la durata dell'efficacia della qualificazione OS2 (se ottenuta come sopra) è di tre anni fatta salva la verifica in ordine al possesso dei requisiti di ordine generale e dei requisiti di ordine speciale individuati dal suddetto regolamento.

Ulteriore innovazione in punto di qualificazione è stata prevista al comma 11-sexies dell'articolo 7 della l. 166/2002, ove si prevede la facoltà per le stazione appaltanti di richiedere (al fine della partecipazione ad una procedura ad evidenza pubblica ovvero dell'affidamento diretto) l'ulteriore requisito della l'"avvenuta esecuzione di lavori nello specifico settore cui si riferisce l'intervento". Sul punto, pare ragionevole che lo specifico settore debba essere prudenzialmente individuato dalla stazione appaltante con riferimento alle varie tipologie ed oggetti dell'attività di restauro di beni culturali.

Ciò, ovviamente, fermo restando che ai fini della comprova del requisito relativo esecuzione di lavori potranno essere utilizzati unicamente i lavori direttamente ed effettivamente realizzati dal soggetto esecutore, anche per effetto di cottimi e subaffidamenti.

 

4. Prospettive

La predisposizione di una nuova normativa di rango primario di tale portata rende necessario un quanto più tempestivo intervento sul testo del regolamento attuativo d.p.r. 554/1999 che, come rilevato dalla dottrina, se già antecedentemente all'approvazione della l. 166/2002 doveva considerarsi assolutamente inadeguato a "dare evidenza" delle peculiarità dei meccanismi di affidamento (e di esecuzione) di interventi relativi al settore dei beni culturali (ed, in primis, dei beni librari, quanto di più lontano vi può essere rispetto ad un "lavoro pubblico" tout court), in alcun modo può dirsi ora parametrato ai nuovi contenuti di legge.

Tutto ciò, chiaramente, a prescindere dai possibili interventi normativi regionali in materia di lavori pubblici di cui si sta parlando da tempo, ma che allo stato (almeno per quanto riguarda, salvo casi isolati, le regioni a statuto ordinario) non si sono concretizzati in leggi organiche realmente alternative (almeno per ora) al sistema Merloni.

Detta inadeguatezza, riferita al generico settore dei "lavori pubblici", non potrà che manifestarsi in modo assai più evidente nel collaterale (e speciale) settore del restauro dei beni culturali mobili per il quale non si è a conoscenza dell'esistenza di puntuali interventi normativi regionali (se non allo stato di primissimi schemi).

 



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