Le modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio
dopo i decreti legislativi 62 e 63 del 2008 / Beni culturali
La disciplina degli operatori del restauro: l'art.182
Sommario: 1. Lo stato di attuazione della disciplina "a regime". - 2. La modifica delle norme transitorie: una nuova "ibridazione" delle figure del restauratore e del collaboratore restauratore.
1. Lo stato di attuazione della disciplina "a regime"
A distanza di soli due anni dall'ultima modifica alla disciplina della formazione e dei requisiti di qualificazione degli operatori del restauro operata dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156, il legislatore coglie l'occasione della revisione complessiva del Codice per un ulteriore ritocco di questa materia, che si caratterizza dunque per un elevato tasso di instabilità e transitorietà e che tuttora soffre - come si avrà modo di rilevare tra breve - della mancanza di una serie di tasselli attuativi.
Va innanzitutto segnalato come le innovazioni sostanziali siano state apportate mediante la tecnica della novella all'art. 182 del Codice, contenente, per l'appunto, disposizioni transitorie, e non mediante l'intervento sulla disciplina "a regime" contenuta nell'art. 29, intitolato, per l'appunto, alla Conservazione.
Le modifiche introdotte a tale ultimo articolo, infatti, si limitano all'aggiornamento della denominazione del ministero cui è attribuita la competenza all'adozione di una serie di atti attuativi (ministero "dell'Università e della Ricerca") a quanto disposto dal decreto legislativo 18 maggio 2006, n. 181, convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2006, n. 233. Sul punto, appare significativa la circostanza che la modifica risulta già superata alla luce del nuovo accorpamento tra ministero dell'Istruzione e ministero dell'Università e della ricerca operato dal decreto legge 16 maggio 2008, n. 85, convertito, con modificazioni, in legge 14 luglio 2008, n. 121, segno evidente di quanto l'instabilità delle scelte legislative si sia ormai largamente estesa anche alla disciplina dell'organizzazione dei ministeri, e come il fenomeno non riguardi solo il ministero dei Beni culturali [1].
Resta, pertanto invariata la disciplina sostanziale della formazione e dell'insegnamento del restauro, così come disciplinata nel 2004 e parzialmente modificata nel 2006, i cui punti qualificanti consistono nella previsione di un percorso di formazione unitario, concluso con un esame di Stato abilitante per l'esercizio della professione e che viene equiparato al diploma di laurea specialistica o magistrale, e nella previsione di una articolata disciplina dell'unitaria filiera professionale della conservazione dei beni culturali, in modo da garantire adeguato riconoscimento alle diverse figure chiamate a cooperare, con differenti ruoli e responsabilità, al complesso di azioni racchiuse nella nozione codicistica di restauro [2].
Su questo fronte, non si può non segnalare come il bilancio dell'attuazione di queste previsioni sia ancora parzialmente negativo. Se, infatti, non sono mancate iniziative regionali volte alla definizione delle figure professionali svolgenti attività complementari al restauro, ai sensi di quanto previsto dal comma 10 dell'art. 29, ed anche la previsione, contenuta al comma 11, della possibile costituzione di nuovi centri di alta formazione per la conservazione ed il restauro ha avuto qualche importante seguito [3], va invece segnalata la perdurante inattuazione delle previsioni contenute nei commi 7, 8 e 9 dell'art. 29, che affidavano alla potestà regolamentare del ministro dei Beni culturali l'individuazione dei profili di competenza dei restauratori e degli altri operatori che svolgono attività complementari al restauro, la definizione dei criteri e livelli di qualità dell'insegnamento del restauro e, infine, i criteri di abilitazione dei soggetti formatori. La Commissione ministeriale incaricata dell'attuazione dei citati articoli ha prodotto infatti, nel corso del 2007, una articolata proposta, che è poi stata tradotta in due schemi di regolamento ministeriale; pur avendo ricevuto anche la prevista intesa con le regioni, per i profili relativi all'attuazione del comma 7 dell'art. 29 [4], nessuno dei due schemi è poi giunto a definitiva approvazione [5].
2. La modifica delle norme transitorie: una nuova "ibridazione" delle figure del restauratore e del collaboratore restauratore
Proprio questa situazione di parziale stallo nell'attuazione dell'art. 29 ha reso necessario un ulteriore intervento sul regime transitorio disciplinato dall'art. 182 del Codice. In proposito, va rammentato come il legislatore, nelle modifiche introdotte nel 2006, avesse operato un delicato dosaggio tra esperienze formative ed esperienze professionali ed operative, riconoscendo, in alcuni casi, direttamente la qualifica di restauratore a soggetti in possesso di determinati requisiti (elencati al comma 1 dello stesso articolo) ed ammettendo, invece, soggetti in possesso di ulteriori requisiti allo svolgimento di una prova di idoneità con valore di esame di Stato abilitante all'esercizio dell'attività di restauratore (comma 1-bis). L'obiettivo generale a cui si era ispirato il legislatore era, peraltro, quello di equiparare il più possibile la formazione conseguita nelle scuole statali e regionali di pari livello e di assicurare il possesso delle abilità e delle capacità necessarie allo svolgimento dell'attività professionale in questione.
Tale regime viene ora nuovamente modificato, al fine principale di estendere la platea dei soggetti cui può essere attribuita in via transitoria - ed in attesa che prenda avvio il nuovo unitario precorso di formazione previsto dall'art. 29 - la qualifica di restauratore, in presenza di determinati requisiti.
Tale obiettivo è ottenuto:
a) protraendo il regime transitorio di attribuzione ope legis della qualifica di restauratore a coloro che abbiano conseguito un diploma presso una scuola di restauro statale, mediante l'estensione di tale possibilità a tutti coloro che risultino iscritti a tali scuole entro la data del 31 gennaio 2006 (cfr. nuova versione del comma 1, lett. a);
b) ampliando la platea dei soggetti ammessi al superamento di una prova di idoneità con valore di esame di Stato abilitante all'esercizio dell'attività di restauratore, mediante:
- l'ammissione a tale prova di tutti coloro che abbiano conseguito o conseguano un diploma in restauro presso le accademie di belle arti con insegnamento almeno triennale, purché risultino iscritti ai relativi corsi prima della data del 31 gennaio 2006 (e non più, come prima, del 1° maggio 2004);
- l'estensione di tale possibilità anche ai collaboratori restauratori che abbiano svolto, per un periodo pari almeno a tre anni, attività di restauro di beni culturali, direttamente e in proprio, ovvero direttamente e in rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa con responsabilità diretta nella gestione tecnica dell'intervento, con regolare esecuzione certificata dall'autorità preposta alla tutela dei beni o dagli istituti di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 (cfr. nuova lettera d-bis aggiunta al comma 1-bis dell'art. 182).
Questa ultima disposizione rappresenta senz'altro la più innovativa, in quanto tende a valorizzare ulteriormente l'esperienza professionale dei collaboratori restauratori, riconoscendo loro la possibilità di ottenere la qualifica di restauratore. Tale figura professionale peraltro, non espressamente menzionata nell'art. 29 del Codice (che si riferisce genericamente alle "altre figure"), e citata, invece, dal d.m. 420/2001 (contenente la disciplina dei requisiti di qualificazione delle imprese operanti negli appalti di lavori da eseguire su beni culturali) [6] è stata anch'essa oggetto di riforma nelle revisioni apportate al Codice nel 2006, nell'evidente intento di sottoporla, come quella del restauratore, a precisi profili di qualità e ad uno specifico percorso professionale [7].
Alla stessa ratio (estensione del regime transitorio, favor per l'esperienza professionale acquisita) appaiono ispirate anche le modifiche operate nei confronti del regime transitorio previsto per l'ottenimento della qualifica di collaboratore restauratore racchiuse nel nuovo comma 1-quinquies. In base alla nuova disciplina, tale qualifica è riconoscibile a tutti coloro che abbiano conseguito un diploma presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non inferiore a tre anni, nonché a coloro che, alla data del 1° maggio 2004, abbiano svolto lavori di restauro di beni ai sensi dell'articolo 29, comma 4, anche in proprio, per non meno di quattro anni [8].
Di fronte a queste modifiche non può che destare qualche fondata preoccupazione la già sopravvenuta scadenza dell'ulteriore termine (30 ottobre 2008) previsto da parte dello stesso decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 62 per l'adozione del decreto del ministro dei Beni e delle Attività culturali (da emanare di concerto con i ministri dell'Istruzione e dell'Università e della Ricerca) che avrebbe dovuto stabilire le modalità di espletamento dell'esame abilitante previsto dal comma 1-bis e, la cui mancata adozione rende tuttora inoperante parte della stessa disciplina transitoria.
Resta, quindi nelle mani dei soggetti istituzionali la responsabilità di portare a compimento le necessarie azioni per la piena attuazione dell'art. 29 - a partire dalle più recenti e compiute analisi sulle diverse figure che intervengono nel percorso di conservazione, sul mercato di riferimento e sui relativi fabbisogni occupazionali [9] - superando gli ostacoli che sinora si sono frapposti alla sua effettiva messa in opera, e ponendo finalmente un argine all'incertezza che, inevitabilmente, viene a crearsi dal protrarsi del regime transitorio dell'art. 182.
Note
[1] Sul punto di vedano le condivisibili osservazioni di A. Roccella, in questo stesso numero. Sull'instabilità delle modifiche organizzative al ministero dei Beni culturali si v. M. Cammelli, Ossimori istituzionali: l'instabile immobilità della organizzazione ministeriale, in Aedon, 3/2006.
[2] Per una analisi alle modifiche del 2006, si vedano i commenti agli artt. 29 e 182 rispettivamente di M. Guccione e di P. Petraroia, in M. Cammelli (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 177 ss e p. 757 ss.; S. Villamena, Art. 29, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, Giuffrè, 2006, p. 280 ss., e A. Bottiglieri, Art. 182, ivi, p. 1119 ss.; per una panoramica generale dell'evoluzione ed attuazione della disciplina degli operatori del restauro cfr. E. Del Mastro, La formazione nel restauro, in Aedon, 2/2006.
[3] Ci si riferisce, in particolare, alla costituzione del Centro per la conservazione ed il restauro dei beni culturali La Venaria Reale, che ha, fra gli obiettivi statutari, l'organizzazione e la gestione di una scuola di insegnamento del restauro, istituita ed organizzata come articolazione funzionale del centro, con la collaborazione di alcuni istituti di ricerca ed alta formazione del Mibac: sul punto cfr. E. Del Mastro, op. cit. Altrettanto significativa appare la recentissima istituzione a Matera di una sezione distaccata dell'Istituto centrale di restauro, sulla base di una convenzione tra la regione Basilicata, il ministero dei Beni e delle Attività culturali, l'istituto centrale per il restauro, la provincia, il comune di Matera e la fondazione Zetema. Si segnala, infine, la creazione dell'Istituto regionale per il patrimonio culturale del Friuli-Venezia Giulia e della relativa Scuola regionale per il restauro, per l'organizzazione di corsi di formazione e di specializzazione da realizzare con il concorso degli Istituti centrali del ministero per i Beni e le Attività culturali ed eventualmente delle Università degli studi della regione e di altre istituzioni ed enti italiani e stranieri (cfr. art. 3 d.lg. 2 marzo 2007, n. 34, "Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in materia di beni culturali e paesaggistici").
[4] Cfr. l'intesa espressa dalla Conferenza Stato-regioni nella seduta del 15 marzo 2007 (Rep. Atti 44/CSR).
[5] Lo schema di decreto recante la definizione dei criteri e livelli di qualità cui si adegua l'insegnamento del restauro, ai sensi dell'art. 29, comma 8, del Codice, nonché l'individuazione delle modalità di accreditamento dei requisiti minimi organizzativi e di funzionamento dei soggetti che impartiscono l'insegnamento del restauro, delle modalità di vigilanza sullo svolgimento delle attività didattiche e dell'esame finale, delle caratteristiche del corpo docente, ai sensi dell'art. 29, comma 9 - per il quale è previsto la necessaria intesa con il ministro dell'Università - invece, aveva costituito oggetto di una serie di rilievi critici da parte del CUN (cfr. verbale della seduta del 14/11/2007).
[6] Sulla questione di legittimità costituzionale che è stata sollevata nei confronti di questa disciplina, e sugli orientamenti della Corte Costituzionale in materia di riparto delle competenze legislative in materia, mi sia consentito rinviare a C. Tubertini, I limiti della potestà legislativa regionale in materia di formazione professionale nella tutela dei beni culturali, in Aedon, 2/2004, e, più diffusamente, id., Potestà legislativa statale e regionale e disciplina del restauro dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in Istituz. Federalismo, 2004, p. 977 ss.
[7] Sui limiti della disciplina della figura del collaboratore restauratore nel d.m. 420/2001, si v. le osservazioni di P. Petraroia, op. cit., p. 762.
[8] Anche in tal caso l'attività svolta deve essere dimostrata mediante dichiarazione del datore di lavoro, ovvero autocertificazione dell'interessato, accompagnate dal visto di buon esito degli interventi rilasciato dai competenti organi ministeriali.
[9] Questi sono i principali contenuti del progetto interregionale "Le figure professionali operanti nel processo di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale", promosso da regione Lombardia insieme ad altre sette regioni (Abruzzo, Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria. Piemonte, valle D'Aosta) e alla provincia autonoma di Bolzano, volto alla definizione di standard qualitativi unitari e condivisi nel settore della conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale con specifico riferimento a profili di competenza, curricula formativi, standard di esercizio delle professioni e modalità di certificazione delle competenze. I risultati finali del progetto sono reperibili all'indirizzo www.mestiericultura.it.