Sommario: 1. Il disegno di legge per l'istituzione della "Fondazione Galleria degli Uffizi" di Firenze. - 2. Scopo della Fondazione. - 3. La via della legge ordinaria in alternativa al percorso tracciato dal regolamento sulle fondazioni (d.m. 491/2001), attuativo dell'art. 10, d.lg. 368/1998. - 4. I rapporti con il contesto organizzativo periferico del ministero per i Beni e le Attività culturali.
1. Il disegno di legge per l'istituzione della "Fondazione Galleria degli Uffizi" di Firenze
La proposta di istituire una fondazione per la Galleria degli Uffizi allo scopo di gestire e valorizzarne il notevole patrimonio culturale da essa custodito così come stabilito in un disegno di legge presentato il 6 marzo 2003 al Senato (n. 2077), ha da subito destato l'interesse di operatori e studiosi, non solo per la notorietà di cui gode il museo [1], ma anche perché l'iniziativa si pone al crocevia di numerose problematiche concernenti la gestione dei beni culturali in Italia, tra le quali l'evoluzione del rapporto tra pubblico e privato mediante processi di esternalizzazione e privatizzazione, la ricerca di strumenti giuridici funzionali all'autonomia di taluni musei statali e il raccordo tra questi aspetti e il mutato quadro costituzionale che ridefinisce i rapporti di forza tra lo Stato e le autonomie (nuovo Titolo V della Costituzione).
In verità non si tratta, nel caso di specie, del primo assoluto progetto per il conferimento agli Uffizi di un'autonomia speciale, visto il precedente tentativo avviato, e mai condotto a termine, dal ministero stesso nel 1995 mediante un apposito disegno di legge, il quale però si limitava a conferire uno speciale regime organizzativo alla prestigiosa struttura fiorentina e ad altri tre musei statali (Pinacoteca di Brera a Milano, Galleria Borghese a Roma, Museo di Capodimonte a Napoli) [2]. Inoltre - a conferma dell'interesse delle istituzioni pubbliche verso queste nuove opzioni di gestione dei beni culturali - il progetto che riguarda il museo fiorentino cade in concomitanza con il varo di una fondazione per il Museo Egizio di Torino, il cui statuto, attualmente in via di definizione, nasce da un differente percorso costitutivo [3].
L'interesse per questa iniziativa si lega a quell'intensa successione di processi di liberalizzazione formale nella gestione dei beni culturali che ne costituisce il naturale contesto. Si tratta infatti di una evoluzione che origina dall'attuazione delle deleghe delle leggi Bassanini e segnatamente dall'art. 10 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, si snoda attraverso due leggi finanziarie (2002 e 2003) e una pluralità di fonti secondarie di carattere attuativo, fino a giungere alla recente delega per il riassetto e la codificazione in materia di beni culturali disposta dalla legge 6 luglio 2002, n. 137 (art. 10, comma 2, lett. d) e il decreto legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito in legge 15 giungo 2002, n. 112, istitutivo dell'ormai nota Patrimonio dello Stato Spa [4].
Il cpv. dell'art. 1 del disegno di legge qui analizzato prevede la costituzione della "Fondazione Galleria degli Uffizi" da parte dello Stato, della regione Toscana e del comune di Firenze, soci fondatori dell'ente ai quali, per altro, il comma 3 assicura "comunque" la maggioranza dei seggi negli organi che saranno opportunamente previsti e disciplinati dallo statuto che gli stessi fondatori dovranno adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge. Allo statuto si rinvia inoltre per ogni altra disciplina relativa al conferimento di capitale da parte dei soci fondatori e alle modalità di adesione e partecipazione di altri soggetti, pubblici o privati. Come vedremo più nel dettaglio lo scopo della nuova fondazione concerne, in generale, la gestione e la valorizzazione dei beni culturali custoditi presso le attuali strutture della Galleria, in particolare, la "gestione di tutti gli interventi necessari all'ampliamento e fruizione dell'attuale museo statale, sostituendosi (la fondazione n.d.r.) quale stazione appaltante al ministero per i Beni e le Attività culturali, avvalendosi dei fondi a tal fine stanziati o in futuro disponibili" (art. 2).
La fondazione, così prevista, risponde alle caratteristiche proprie del modello ibrido della fondazione di partecipazione utilizzata in generale per la gestione di istituzioni culturali e si presenta come una struttura aperta, parzialmente assimilabile all'associazione, in quanto, da un lato, prevede la presenza di tre soci fondatori di natura pubblica, e, dall'altro, ammette la successiva e distinta adesione di altri sostenitori appositamente rappresentati negli organi di gestione della struttura (gli "altri soggetti pubblici o privati" di cui parla il comma 2 dell'art. 1).
Infatti, il venir meno della separazione tra volontà del fondatore e direzione della fondazione cui era funzionale l'indisponibilità del patrimonio all'arbitrio del fondatore [5]; l'emancipazione dalla formula rigida e chiusa del modello classico mediante l'espediente di adesione in progress mutuato dal modello associativo [6]; la differenza marcata tra lo status di socio fondatore e quello di socio aderente, sono tutti rilievi che rimandano a siffatta nuova tipologia di fondazione [7]. Ancora, nonostante lo scopo che ispira la costituzione delle fondazioni di partecipazione risponda all'esigenza di aprire la gestione della struttura a soggetti privati mantenendo comunque un ruolo di controllo all'ente pubblico che vi conferisce i beni [8], nel nostro caso la natura pubblica emerge talvolta in eccesso, così da accentuare il rilievo meramente formale del meccanismo di privatizzazione, come si evince da almeno tre aspetti, qui riassunti.
1) La fase fondativa dell'ente è affidata esclusivamente a tre soggetti pubblici stabiliti ex lege (ci si chiede, tra l'altro, a cosa sia dovuto il mancato inserimento dell'ente provinciale, vista la presenza, oltre che dello Stato, degli altri due enti territoriali, regione e comune), il che relega la partecipazione dei privati ad una condizione di mera eventualità, a differenza, ad esempio, del caso citato della "Fondazione Museo Egizio" [9].
2) In ogni i caso, gli stessi privati che dovessero fare ingresso nell'ente, non potrebbero mai ottenere la maggioranza dei seggi, stante il limite già segnalato del comma 3 dell'art. 1 del disegno di legge.
3) Non ultimo, il carattere pubblico è anche consolidato dalla prevalenza del ruolo e delle prerogative riservate allo Stato, rappresentato nello specifico dal ministero per i Beni e le Attività culturali, anche rispetto agli altri soci fondatori pubblici.
Volendo approfondire quest'ultimo punto, si comincia con il constatare che il ministero, oltre a dover ricoprire il ruolo di controllo della fondazione attribuito dalle norme del codice civile alle autorità governative, conserva, come vedremo meglio in seguito, titolarità in tutte le decisioni concernenti la tutela e altre funzioni collaterali relative ai beni della fondazione e rimane il datore di lavoro del personale dipendente attualmente in servizio presso la Galleria degli Uffizi, fino alla loro messa in quiescenza come stabilito dall'art. 5 della proposta di legge. In tal caso si precisa che alla copertura del relativo costo partecipi la fondazione nella proporzione che verrà fissata da un'apposita convenzione tra questa e lo Stato, mentre resta ad esclusivo carico del ministero il costo del personale preposto ai compiti di tutela dei beni custoditi presso il museo [10].
Quanto alla composizione del patrimonio della fondazione, lo Stato risulta essere l'unico socio fondatore il cui conferimento sia costituito anche da beni mobili e immobili, mentre gli altri due soci fondatori farebbero ingresso nell'ente mediante il conferimento di soli capitali non potendo invece conferire beni di loro proprietà, come si ricava dal combinato disposto degli artt. 1, 3 e 4, comma 1, lett. a, del disegno di legge. Peraltro si tratta di uno schema che - seppure analogo in via di principio al modello adoperato dal decreto ministeriale 27 novembre 2001, n. 491 recante il regolamento attuativo dell'art. 10 del d.lg. 368/1998 e riprodotto con qualche differenza dallo statuto della "Fondazione Museo Egizio" [11] - si distingue da quest'ultimo per i suoi contorni meno chiari. L'art. 3 del testo in esame, infatti, non afferma espressamente, ma lascia solo intendere, che il conferimento ministeriale dei beni mobili e immobili sia limitato al solo diritto d'uso e non trasferisca altresì la proprietà.
Lo stesso articolo, inoltre, parla solo dei beni culturali facenti parte delle collezioni - la cui proprietà rimarrebbe allo Stato - senza però nulla dire del Museo stesso, inteso come bene museale. Infine, stando all'art. 4, comma 1, si nota che se da un lato il legislatore abbia previsto l'eventualità di contributi e lasciti a incremento del patrimonio fondazionale (lett. c), dall'altro parla genericamente di conferimenti di eventuali altri soci pubblici o privati, che, a differenza di quelli regionali e comunali, potrebbero contenere anche beni mobili o immobili. Stando così le cose, una delle conseguenze del regime patrimoniale della "Fondazione Galleria degli Uffizi" è che, in caso di estinzione dell'ente, gli stessi beni statali tornerebbero automaticamente nella disponibilità del ministero, mentre i beni conferiti dagli altri soci pubblici e privati eventuali, sarebbero verosimilmente esposti al rischio di essere devoluti dall'autorità governativa al patrimonio di altri enti con fini analoghi sulla base dell'art. 31 cod. civ., salvo diverse indicazioni contenute nello statuto [12].
L'insieme di tali osservazioni fanno intravedere il rischio, già rilevato da altri commentatori con riferimento alla fondazione disciplinata dal regolamento 491/2001, che l'accentuata discriminazione tra il ruolo dei soggetti pubblici, e in particolare dello Stato, e il ruolo dei soci privati, costituisca un deterrente negativo per i privati stessi nel fare ingresso in strutture miste nelle quali le possibilità di questi ultimi di incidere sulle scelte complessive di gestione dei beni e dell'intera istituzione siano molto marginali [13]. In buona sostanza se è vero che la fondazione di partecipazione permette giustamente all'ente pubblico di non rinunciare ad un controllo diretto e incisivo sulla struttura, così da garantire con più forza il perseguimento dell'interesse collettivo alla gestione e fruizione del bene, è altresì incontestabile che un eccessivo irrigidimento della struttura a vantaggio della sfera pubblica possa compromettere il delicato equilibrio che si determina mediante l'ingresso di beni, risorse e competenze dei privati nella gestione dell'ente. D'altro canto sono questi ultimi, gli elementi che favoriscono il conseguimento di risultati tangibili in termini di maggiori risorse, efficienza e flessibilità decisionale e individuano, in definitiva, la peculiarità e il successo stesso attribuito al nuovo modello fondazionale [14].
Come anticipato, la "Fondazione Galleria degli Uffizi" - recita l'art. 2 del d.d.l. - "ha per scopo la gestione e la valorizzazione dei beni culturali custoditi presso l'attuale museo statale "Galleria degli Uffizi", nonché la gestione di tutti gli interventi necessari all'ampliamento e fruizione dell'attuale museo", per i quali si prevede la possibilità di avvalersi dei fondi statali "a tal fine stanziati" nonché di quelli disponibili in futuro per mezzo dei proventi derivanti dall'attività della Galleria e dagli stessi conferimenti, contributi e lasciti che dovessero pervenire da soci e sostenitori a vario titolo.
Si tratta evidentemente di uno scopo eterogeneo che, da un lato risponde all'esigenza di un intento specifico e determinato quale l'ampliamento degli spazi attuali della Galleria, dall'altro prevede un obiettivo generale simile a quello dell'art. 10 del d.lg. 368/1998 e in parte anche alla stessa specificazione contenuta nell'art. 2, comma 2, del regolamento attuativo [15]. Circa l'individuazione delle funzioni di valorizzazione e gestione sarà utile fare riferimento alle rispettive discipline contenute negli artt. 150 e 152 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, nelle parti in cui questi risultano compatibili con il testo di disegno di legge e ferme restando le problematiche legate all'incidenza del modello di riparto di competenze normative di cui al nuovo Titolo V della Costituzione. Naturalmente occorrerà attendere il varo della legge e quindi lo statuto della nuova fondazione per poter comprendere con più chiarezza le finalità dell'ente. In tal senso lo statuto in via di approvazione della "Fondazione Museo Egizio" può essere un valido punto di riferimento, grazie alla sua articolazione anche più ampia del modello di finalità tracciato dal d.m. 491/2001.
Nella lettura del testo colpisce la presenza di una serie di misure che accentuano la diversificazione di ruoli e poteri tra lo Stato (vedi il ministero) e gli altri soci fondatori all'interno dell'ente, con ciò introducendo un ulteriore elemento di conflittualità logica e giuridica rispetto a quelli già annotati nella tipologia della fondazione e che al momento non è facile dipanare in assenza di concreti dati applicativi [16]. In primo luogo, nella parte in cui l'art. 3 del d.d.l. allo studio sottopone qualunque decisione circa le "modalità di esposizione dei suddetti beni e qualsiasi loro altro utilizzo" alla previa autorizzazione degli organi ministeriali (non è chiaro se le soprintendenze o le direzioni generali), il progetto dimostra di voler limitare considerevolmente l'autonomia della fondazione anche per ciò che riguarda le sue sfere di competenza generale. Il combinato disposto dell'art. 150, comma 4, lett. c) e dell'art. 152, comma 3, del d.lg. 112/1998 dimostra infatti che le attività strumentali alla fruizione dei beni culturali, come l'organizzazione di mostre e quant'altro, vadano considerate come funzioni di valorizzazione. Inoltre, la tendenza a restringere il campo decisionale dell'ente a vantaggio dello Stato si rinviene anche nel settore della tutela: l'art. 3 chiarisce che i compiti di tutela delle collezioni del museo rimangono di competenza esclusiva del ministero e precisa che tra essi sono incluse le attività di conservazione e restauro. In tal modo, se da un lato la previsione appare pleonastica, visto il riferimento esplicito dell'art. 2 alle sole gestione e valorizzazione come settori di competenza della fondazione, dall'altro, non passa inosservata l'ulteriore sottrazione di interventi come il restauro e la conservazione dalla sua portata decisionale.
La misura pare infatti precocemente ed eccessivamente restrittiva, sia perché il progetto avrebbe potuto limitarsi a rinviare ogni specificazione allo statuto, sia perché la complessità delle definizioni e delle collocazioni delle attività di restauro e conservazione non esclude un legame, seppure parziale, con le sfere della valorizzazione e della gestione; tant'è che, sull'altro fronte, lo stesso d.m. 491/2001 prevede più volte nello scopo della fondazione interventi finalizzati ad un'"adeguata conservazione dei beni culturali conferiti" (come ad esempio si legge nell'art. 2) [17]. Lo stesso statuto della "Fondazione Museo Egizio" rafforza questa diversa impostazione, sia con l'inserimento della conservazione tra le diverse finalità dell'ente, sia con la previsione di un'apposita figura, denominata "Conservatore del Museo", responsabile dello studio, della conservazione e dell'incremento delle collezioni del museo e nominato dal Consiglio di Indirizzo, organo in cui siedono i rappresentanti di tutti i soci pubblici e privati dell'ente.
Quanto alla parte organizzativa della "Fondazione Galleria degli Uffizi", si rileva la mancata previsione di organi di indirizzo, amministrazione o consulenza nel testo del d.d.l., la cui individuazione e regolamentazione sarà lasciata evidentemente alla piena libertà dello statuto. In tal caso, e qualora non dovessero intervenire integrazioni nel corso dell'approvazione della legge, si tratterà di capire se e quanto i soci fondatori vorranno ispirarsi al modello già configurato per tutte le fondazioni di partecipazione nel regolamento ministeriale più volte citato.
Infine, nel d.d.l. in esame mancano anche riferimenti sulla possibile partecipazione della fondazione ad altre organizzazioni, comprese società di capitali, che perseguano finalità simili o comunque strumentali ad essa, come invece è stato previsto per la fondazione del museo torinese [18]. Considerando che il silenzio del progetto di legge possa essere interpretato come mancata imposizione di ulteriori vincoli all'attività dell'ente, si può ben immaginare che lo statuto provvederà a riempire tale lacuna dando slancio alle naturali potenzialità negoziali di uno strumento di diritto privato come la fondazione.
3. La via della legge ordinaria in alternativa al percorso tracciato dal regolamento sulle fondazioni (d.m. 491/2001), attuativo dell'art. 10, d.lg. 368/1998
La scelta di istituire una fondazione di partecipazione per la gestione della Galleria degli Uffizi passando dalla fonte legislativa ordinaria e quindi al di fuori del percorso individuato dall'art. 10 del d.lg. 368/1998 e implementato dal successivo d.m. 491/2001, permette di fare una serie di considerazioni.
Anzitutto, pare chiaro che l'utilizzo della via legislativa risponda a quella esigenza contingente, esplicitata dagli stessi promotori, di sostituire formalmente allo Stato la costituenda fondazione, quale nuovo soggetto appaltante dei lavori necessari alla realizzazione del progetto denominato "Grandi Uffizi", per il quale si prevede l'ampliamento dell'istituzione museale in spazi quasi doppi rispetto alle attuali dimensioni [19]. Ciò permetterebbe difatti l'utilizzo dell'ingente finanziamento statale di 34 milioni di euro già stanziati per gli interventi progettati i quali, in assenza di un soggetto che operi in regime di diritto privato come la fondazione, rischierebbero di cadere in perenzione.
Ciò non toglie che esista anche un obiettivo generale e strutturale di un tale intervento legislativo, che punta a trasformare l'istituto museale di interesse nazionale in una nuova struttura gestionale dotata di maggiore autonomia [20], in grado di drenare maggiori risorse e garantire elevati standard di efficienza, anche grazie ai proventi derivanti dalla vendita dei biglietti di ingresso e dalle altre numerose attività accessorie quali quelle editoriali, espositive, di merchandising, e in genere provenienti dalle concessioni di servizi a terzi, come previsto opportunamente dall'art. 4, comma 2 dello stesso d.d.l.
Più difficile da spiegare, sotto il profilo del metodo, è invece la decisione di aver imboccato una strada parallela a quella individuata in via generale e su scala nazionale per tutti i casi di fondazioni che vedono la partecipazione del ministero per i Beni e le Attività culturali. Basti considerare l'assenza di sostanziali differenze tra la fondazione del disegno di legge in oggetto - ferma restando l'ulteriore dettagliata disciplina che sarà ovviamente affidata allo statuto - e il modello di fondazione disciplinato nel regolamento 491/2001 (si pensi all'influenza dominante del ministero, alla struttura aperta per l'ingresso successivo di ulteriori soci, alla natura dei conferimenti al patrimonio). Ciò porterebbe a ritenere che il legislatore abbia dato vita ad una sorta di "legge-provvedimento" con lo scopo precipuo di superare in tempi più rapidi le fasi di istituzione dell'ente (ad esempio individuando ope legis i soci fondatori e le modalità di conferimenti al patrimonio) e le difficoltà connesse all'iter ordinario introdotto con il d.lg. 368/1998, anche al fine concreto di non perdere il citato finanziamento statale. Tuttavia un tale beneficio non è scontato se si pensa alle difficoltà che sono insite anche nell'iter legislativo che dovrà portare all'approvazione definitiva del testo. Resta inoltre il fatto che l'istituzione diretta della fondazione per legge determini l'ulteriore circostanza atipica per la quale l'ente in oggetto non nascerebbe in conseguenza di un atto di autonoma e libera volontà, bensì ad opera di un intervento legislativo contrario alla ratio volontaristica delle persone giuridiche come le società e le fondazioni [21]. Al momento della nascita, infatti, saranno già predefiniti il numero, la tipologia dei soci fondatori e lo scopo dell'ente, così determinandosi una condizione per la quale la fondazione stessa non potrà venir meno se non per legge, essendo tenuta ad esistere e ad operare per volontà del legislatore e non dei suoi fondatori. Certo anche in tal caso si potrebbe obiettare che l'uso della legge sia funzionale all'esigenza di garantire con più certezza il necessario perseguimento di rilevanti interessi pubblici come quelli legati alla fruizione del patrimonio culturale da parte della collettività.
In ultima analisi, vista ormai l'esistenza della proposta di legge, vale forse la pena di impegnarsi a comprendere quali opportunità questa possa dischiudere, data l'assenza di vincoli da parte del d.lg. 368/1998 e del suo regolamento attuativo. In tal modo il legislatore potrebbe intervenire a modificare o integrare il progetto del varo della nuova fondazione facendo tesoro delle incongruenze talvolta rilevate nella precedente e diversa disciplina nazionale, come nel caso dell'elevato numero di organi previsti per la fondazione e del conseguente appesantimento dei processi decisionali, dell'eccessiva e talvolta conflittuale ingerenza del ministero per i Beni e le Attività culturali, o della rigidità delle modalità di coinvolgimento di privati nella gestione della struttura [22].
Un cenno merita inoltre la questione del rapporto che la nuova legge andrebbe ad instaurare con la normativa vigente e sopravveniente. In questa sede basta considerare il fatto che il d.d.l., una volta approvato, permetterebbe di aggirare il sistema disegnato dalla legge Bassanini, 57/1997, e dall'art. 150 del d.lg. 112/1998, in merito al trasferimento della gestione dei musei alle regioni e agli enti locali e alla decisione di quali trattenere invece alla competenza dello Stato. Difatti tale disciplina, che tra l'altro ha incontrato non pochi ostacoli e ad oggi ha ancora dato pochi frutti [23], giammai avrebbe contemplato il trasferimento di un'istituzione museale di interesse nazionale come la Galleria degli Uffizi a soggetti diversi dallo Stato, ancorché di natura prevalentemente pubblica. Sempre sul piano formale della gerarchia delle fonti, la presenza di una legge contenente una disciplina speciale dovrebbe inoltre permettere a questa nuova fondazione di superare indenne il complicato processo di privatizzazione ed esternalizzazione che di recente ha subìto un'ulteriore accelerazione con l'art. 10 della l. 137/2002, nel quale si prevedono, alla lett. d), deleghe al governo per una complessiva riorganizzazione del sistema di individuazione, conservazione e gestione dei beni culturali.
Circa il profilo del rapporto della presente disciplina con il contesto costituzionale del riparto di competenze tra Stato, regioni ed enti locali riformato nel 2001, si potrebbe porre il problema della eventuale illegittimità costituzionale della legge, qualora dovesse essere approvata, nella misura in cui essa istituisce un ente la cui attività rientra nelle materie della gestione e della valorizzazione dei beni culturali, quest'ultima oggetto di competenza concorrente ex art. 117, comma 3, del Titolo V della II Parte della Costituzione [24]. Ci si dovrà domandare se la disciplina normativa statale così presentata si limiterà all'individuazione dei principi generali della materia, così ammettendo il legittimo intervento integrativo e di dettaglio della regione (individuata tra l'altro come socio fondatore dell'ente stesso), o, al contrario - come pare fin d'ora - si conformerà illegittimamente come norma statale già esaustiva e dettagliata.
Il problema non è di poco conto, soprattutto in virtù delle recenti novità introdotte proprio con la legge finanziaria per il 2003, la quale, all'art. 80, comma 52, prevede la possibilità di affidare i musei anche ai privati e interviene ad ulteriore modifica dell'art. 10, d.lg. 368/1998 sostituendo al termine "valorizzazione dei beni culturali e ambientali" quello di "gestione dei servizi relativi ai beni culturali di interesse nazionale" (sic!); misura necessitata dall'intervento del Consiglio di Stato (parere 26 agosto 2002, n. 1794/2002) sul corretto inquadramento costituzionale delle materie della valorizzazione e della gestione da parte del complessivo meccanismo normativo di esternalizzazione e privatizzazione dei servizi culturali impostato con il d.lg. 368/1998 e successivamente con l'art. 33 della legge finanziaria per il 2002 (legge 28 dicembre 2001, n. 448), alla luce del mutato quadro costituzionale [25].
Un ultimo cenno riguarda, in prospettiva e in via del tutto eventuale, il raccordo che occorrerà chiarire tra la "Fondazione Galleria degli Uffizi" e il progetto di autonomia speciale che la giunta della regione Toscana ha di recente licenziato (prima regione a statuto ordinario ad avviare l'esperimento di regionalismo differenziato) con l'intento di giungere all'approvazione di una legge di autonomia speciale in materia di beni culturali e beni ambientali, sulla base dell'art. 116, comma 3 della Costituzione, in cui si prevede, tra l'altro, il trasferimento alla regione di funzioni legislative e amministrative riguardanti la tutela, la conservazione e la valorizzazione dei beni nonché il trasferimento in via generale di tutte le strutture museali presenti nel territorio.
4. I rapporti con il contesto organizzativo periferico del ministero per i Beni e le Attività culturali
Non può sfuggire, in ultima analisi, l'impatto che l'istituzione di una siffatta fondazione avrà inevitabilmente sul sistema periferico delle soprintendenze nel contesto territoriale regionale e, soprattutto, con riferimento alla "soprintendenza speciale per il polo museale fiorentino", istituita con il decreto ministeriale 11 dicembre 2001, che le attribuisce autonomia scientifica, finanziaria, organizzativa e contabile, in relazione all'intero patrimonio museale statale presente nel territorio di riferimento, ove figura la stessa Galleria degli Uffizi [26]. Il provvedimento citato, come noto, ha previsto la costituzione delle nuove tipologie di soprintendenze speciali, assenti nella riforma del ministero per i Beni e le Attività culturali contenuta nel d.lg. 368/1998, per le città di Roma, Firenze, Napoli e Venezia con la contestuale cancellazione delle preesistenti soprintendenze competenti per settore.
In via generale, l'introduzione di questo nuovo ulteriore livello di amministrazione periferica del ministero, lascia alcuni dubbi sulla sua efficacia, soprattutto in relazione al contesto già poco prima riformato con la nascita delle soprintendenze regionali [27]. Difatti, se per un verso solo di recente, a distanza di un anno e mezzo, è stato emanato il regolamento attuativo del decreto ministeriale del 2001 relativo alla costituzione di un Consiglio di amministrazione e un Collegio dei revisori dei conti e alla stessa disciplina dell'autonomia finanziaria e amministrativo-contabile [28], per un altro rimangono ancora da chiarire i criteri dei rapporti che questo livello periferico deve intrattenere sia con le soprintendenze competenti per gli altri settori, sia con il soprintendente regionale, oltre alle relazioni gerarchiche che lo collegano alle direzioni centrali e al Segretario generale del ministero. Le perplessità riguardano infatti proprio l'opportunità della decisione di introdurre meccanismi di autonomia speciale per alcune soprintendenze senza tuttavia preoccuparsi di innovare sul piano degli strumenti di raccordo con gli enti pubblici territoriali o i soggetti privati e, soprattutto, trascurando il mutato quadro normativo e costituzionale che punta al contrario a rafforzare le relazioni Stato-regioni dal punto di vista della reciproca cooperazione e il ruolo stesso delle autonomie locali nell'esercizio della generalità delle funzioni amministrative anche nel campo della valorizzazione, gestione e tutela del patrimonio (art. 118 Cost.).
Ci si domanda dunque se la futura "Fondazione Galleria degli Uffizi" sarà sottratta dal raggio di azione della soprintendenza speciale e, più in generale, come essa potrà dipanarsi nell'intricato panorama dell'amministrazione periferica statale, che a partire dal 1998 ha subìto più di una riforma con un complessivo appesantimento [29]. Sul primo punto è prevedibile che, una volta nata la fondazione, vi dovrà essere un cambiamento dell'assetto dell'attuale soprintendenza per il polo museale fiorentino: privata del suo museo più rappresentativo e più rilevante per risorse, strutture e personale utilizzato, questa dovrà riconvertirsi alla gestione di un insieme museale certamente più equilibrato ma di minori dimensioni o, addirittura, terminare la propria attività al fine di permettere il ritorno al precedente sistema di soprintendenze di settore.
Anche a fronte di ciò, può apparire utile, benché non priva di risvolti problematici, la prospettiva di una fondazione ad hoc per la Galleria degli Uffizi, proprio perché tesa a colmare le lacune evidenziate di un sistema amministrativo che anche la recente opzione della soprintendenza speciale non pare poter risolvere: una soluzione, insomma, che mediante il principio di un'autonomia dal ministero e non una semplice autonomia nel ministero, possa concretamente rafforzare il livello di efficienza della gestione e valorizzazione dei beni e stabilire al contempo un rapporto sistematico (in tal caso addirittura simbiotico) con gli enti pubblici territoriali coinvolti.
[1] La Galleria degli Uffizi, con annesso il Corridoio Vasariano, costituisce il primo complesso museale in Italia e tra i primi in Europa per numero di visitatori all'anno e introiti da attività di bigliettazione e servizi aggiuntivi. Nel 2002, la Galleria ha contato 1.489.452 accessi (paganti e non paganti), per un incasso lordo di 7.738.230,50 euro (fonte: ministero per i Beni e le Attività culturali, Ufficio statistico). Per una lettura sintetica della storia della Galleria degli Uffizi, valga per tutti G.C. Argan, L. Berti, Gli Uffizi: storia e collezioni, Firenze, 1983.
[2] Si tratta del disegno di legge n. 1649 del 2 maggio 1995, al quale era già stato affiancato anche uno schema di regolamento. Sul punto cfr. S. Foà, La gestione dei beni culturali, Torino, 2001, 310.
[3] Sulla "Fondazione Museo Egizio" di Torino e la stesura provvisoria del relativo statuto, cfr. S. Foà, Lo statuto-tipo della fondazione museale: il caso del Museo egizio di Torino, in questo numero di Aedon.
[4] Comincia a farsi vasta la letteratura che interessa le riforme relative a questo processo di evoluzione. Per una visione generale ed autorevole della problematica, seppure accentuata nei toni critici, cfr. S. Settis, Italia Spa. L'assalto al patrimonio culturale, Torino 2002. Nel dettaglio, per un'analisi sulla gestione dei beni culturali da parte dello Stato mediante strumenti di esternalizzazione quali quelli contemplati nel d.lg. 368/1998, cfr. C. Barbati, Le forme di gestione, in Il diritto dei beni culturali, a cura di C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Bologna, 2003, 173-196; S. Foà, La gestione dei beni culturali, cit., in particolare 290 ss.; E. Bruti Liberati, Il ministero fuori dal ministero, in Aedon, 1/1999. Sulle novità introdotte nella disciplina dei servizi culturali con la legge finanziaria per il 2002, n. 448 del 2001, cfr., tra gli altri, M. Cammelli, Buscar oriente e tomar occidente (ovvero: i beni culturali nella finanziaria 2002), in Aedon, 3/2001; C. Barbati, Pubblico e privato per i beni culturali, ovvero delle "difficili sussidiarietà", in Aedon, 3/2001; G. Sciullo, I servizi culturali degli enti locali nella finanziaria per il 2002, in Aedon, 1/2002; E. Bruti Liberati, Pubblico e privato nella gestione dei beni culturali: ancora una disciplina legislativa nel segno dell'ambiguità e del compromesso, in Aedon, 3/2001; G. Franchi Scarselli, La gestione dei servizi culturali tramite fondazione, in Aedon, 1/2002. Quanto, infine, all'istituzione della Patrimonio dello Stato Spa, si vedano i primi commenti di A. Mari, La Patrimonio dello Stato Spa, in Giorn. dir. amm., n. 8, 2002, 820 ss.; cfr. inoltre i contributi di P. Pizza e S. Foà, in Aedon, 3/2002.
[5] Su questo aspetto, cfr. P. Rescigno, sub Fondazione (dir. Civ.), in Enc. Dir., XVII, 1968, 802 ss.
[6] Sul raffronto in generale tra i caratteri della fondazione e quelli, simili o dissimili, dell'associazione e sulle cd. fondazioni a "struttura associativa o corporativa", v. l'analisi di G. Tamburino, Persone giuridiche. Associazioni non riconosciute. Comitati, Torino, 1998, 130 ss.
[7] Cfr., per tutti, E. Bellezza, F. Florian, Le fondazioni del terzo millennio, Firenze, 1998. Quanto al processo di evoluzione dello strumento fondazionale cfr. A. Predieri, Sull'ammodernamento della disciplina delle fondazioni e istituti culturali di diritto privato, in Riv. trim. di dir. e proc. civ., 1969, 1117 ss.; F. Galgano, sub Fondazione, I) Diritto Civile, in Enc. Giur., XIV, 1989, 1 ss.; D. Vittoria, Le fondazioni culturali ed il consiglio di amministrazione. Evoluzione della prassi statutaria e prospettive della tecnica fondazionale, in Riv. dir. comm., 1975, in particolare 302-316. Per riferimenti più recenti aventi ad oggetto l'analisi della crisi del modello dogmatico di fondazione e il processo di metamorfosi, cfr. G. Iorio, Le fondazioni, Milano, 1997, 24 ss.; A. Zoppini, Le fondazioni dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995, 13-86 e in varie altre parti dell'opera.
[8] Cfr. S. Foà, Il regolamento sulle fondazioni costitutive e partecipate dal ministero per i Beni e le Attività culturali, in Aedon, 1/2002.
[9] I soci fondatori di natura pubblica della "Fondazione Museo Egizio" sono il ministero per i Beni e le Attività culturali, la regione Piemonte, la provincia e il comune di Torino, mentre quelli di natura privata sono la Compagnia di San Paolo e la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino.
[10] La previsione dell'art. 5 punta chiaramente a semplificare il problema relativo al rapporto tra il personale preesistente e la nuova fondazione, evitando così di dover affrontare un cambio del regime di rapporto di lavoro e le conseguenti difficoltà insite nella fase di trasformazione della struttura da museo statale a fondazione di diritto privato. Tuttavia, nulla toglie, stando all'interpretazione della lettera dell'articolo, che sia invece la fondazione ad acquisire il ruolo datoriale nei confronti del personale tecnico-scientifico che dovesse essere assunto dall'ente successivamente all'entrata in vigore della legge. Si determinerebbe con ciò un provvisorio doppio regime di trattamento lavorativo dei dipendenti della Galleria, fino a che non si esaurisca la parte di personale in servizio presso il museo già prima della sua trasformazione.
[11] Cfr. S. Foà, Lo statuto-tipo della fondazione museale, cit. Come per la "Fondazione Museo Egizio" anche la composizione del patrimonio della "Fondazione Galleria degli Uffizi" differisce dal modello astratto individuato dal d.m. 491/2001, laddove questo stabilisce che il patrimonio della fondazione è costituito anche dai beni mobili e immobili di cui è proprietaria, oltre a quelli concessi in uso (art. 3, comma 1).
[12] Su questo rischio, e, in generale, sulla disparità tra il socio statale e gli altri soci fondatori o successivamente partecipanti, cfr. S. Foà, Il regolamento sulle fondazioni costitutive e partecipate dal ministero per i Beni e le Attività culturali, cit.; Id., Lo statuto-tipo della fondazione museale, cit.
[13] A. Canuti, Il regolamento attuativo dell'art. 10 d.lg. 368/1998: un primo commento, in Aedon, 2/2000.
[14] In particolare, sulla a tipicità del modello della fondazione di partecipazione, cfr. G. Franchi Scarselli, La gestione dei servizi culturali tramite fondazione, in Aedon, 1/2002.
[15] Il testo del regolamento parla di "acquisizione di risorse finanziarie sufficienti a garantire un'adeguata conservazione dei beni culturali conferiti" (lett. a) "miglioramento della fruizione pubblica dei beni culturali conferiti" (lett. b) e di "integrazione delle attività di gestione e valorizzazione dei beni culturali conferiti con quelle riguardanti i beni conferiti dagli altri partecipanti alla fondazione" (lett. c).
[16] Su questo problema, ampiamente, A. Canuti, cit.
[17] Non si dimentichi che rientrano tra le attività concernenti la gestione di cui all'art. 150 d.lg. 112/1998 anche quella della "manutenzione, sicurezza e integrità dei beni" (comma 4, lett. b).
[18] Sul punto si veda ancora S. Foà, ult. op. cit.
[19] Sul progetto dei Grandi Uffizi, presentato ufficialmente il 18 maggio 2000, si veda, tra gli altri, AA.VV., Verso i nuovi Uffizi: progetti e realizzazioni recenti, Firenze, 1999.
[20] Cfr. S. Foà, Il regolamento sulle fondazioni..., cit., il quale individua nella trasformazione degli istituti museali di interesse nazionale un processo fondato su "una nuova forma gestionale di una determinata rete museale dislocata sul territorio".
[21] P. Rescigno, ult. op. cit. 790 ss.
[22] Cfr. ancora, A. Canuti, cit. e S. Foà, ult. op. cit.
[23] Sulle difficoltà del meccanismo si veda in sintesi C. Barbati, ult. op. cit.
[24] Sulla problematicità della collocazione della gestione nel meccanismo di riparto dell'art. 117 Cost, cfr. N. Aicardi, L'ordinamento amministrativo dei beni culturali, Torino, 2002, 92 ss.
[25] La modifica, come noto, interviene non a caso, perché successiva al Parere del Consiglio di Stato, il quale non esprime parere favorevole allo schema di decreto ministeriale per la previsione e disciplina delle società costituite o partecipate dal ministero, sulla base delle valutazioni relative al riparto di competenze normative e regolamentari tra Stato e regioni nelle materie della valorizzazione e della gestione. Tali valutazioni, infatti, rimettendo in discussione l'impianto stesso dell'art. 10 del d.lg. 368/1998, avrebbero finito per compromettere su un piano di costituzionalità la validità del decreto legislativo stesso e del regolamento attuativo riguardante le fondazioni (a suo tempo coerente con il contesto normativo ordinario e costituzionale). Da qui l'interesse di parlamento e governo a recuperare il problema mediante la norma citata nella finanziaria 2003. Per un quadro generale sul regime dei beni e delle attività culturali nel nuovo contesto tracciato nel Titolo V Cost., sia permesso rimandare a D. Nardella, I beni e le attività culturali tra Stato e regioni e la riforma del titolo V della Costituzione" in Dir. Pubbl., n. 2, 2002, 671 ss. Sempre sul tema, C. Barbati, I soggetti, in Il diritto dei beni culturali, cit., 104-113.
[26] L'elenco di strutture museali e altri beni culturali e ambientali affidati alla competenza della soprintendenza speciale per il polo museale fiorentino conta 18 istituzioni nel seguente ordine: 1) Galleria degli Uffizi; 2) Galleria dell'Accademia; 3) Museo nazionale del Bargello; 4) Museo di San Marco; 5) Cappelle Medicee; 6) Galleria Palatina e Appartamenti Monumentali; 7) Galleria d'Arte Moderna e Galleria del Costume; 8) Museo degli Argenti e delle Porcellane; 9) Museo della casa Fiorentina Antica (Palazzo Davanzati); 10) Eredità Bardini; 11) Museo di casa Martelli; 12) Chiostro dello Scalzo; 13) Cenacolo di Santa Apollonia; 14) Cenacolo di Andrea del Sarto e San Salvi; 15) Cenacolo di Foligno; 16) Cenacolo del Perugino; 17) Cenacolo del Ghirlandaio; 18) Giardino di Boboli.
[27] Sulla riforma dell'organizzazione periferica del ministero, cfr. L. Bobbio, Lo Stato e i beni culturali: due innovazioni in periferia, in Aedon, 1/1999; G. Pitruzzella, L'organizzazione periferica del ministero e gli attori istituzionali locali, in Aedon, 1/1999; G. Endrici, Le figure di coordinamento nell'organizzazione del Mbac, in Aedon, 3/2000.
[28] Si tratta di un d.p.r. contenente un regolamento per il funzionamento amministrativo-contabile e per la disciplina del servizio di cassa delle soprintendenze dotate di autonomia gestionale, approvato nel Consiglio dei ministri del 9 maggio 2003. V. Consiglio dei ministri n. 106 del 9 maggio 2003.
[29] Si pensi che nel solo territorio comunale fiorentino si trovano ad insistere tre diversi livelli ministeriali periferici, soprintendenza speciale per il polo museale, soprintendenti di settore e soprintendente regionale, tra i quali non di rado si manifestano sovrapposizioni e difficoltà oggettive di coordinamento.