Sommario: 1. Premessa. - 2. Le norme della legislazione sulla cartolarizzazione rilevanti per il regime dei beni pubblici. - 2.1. Il d.l. 351/2001 - l. 410/2001. - 2.2. Il d.l. 63/2002 - l. 112/2002. - 2.3. L'articolo 84 della l. 289/2002. - 3. La disciplina generale dei beni pubblici (non culturali). - 3.1. Beni in proprietà privata di soggetti pubblici. - 3.2. Beni in proprietà "pubblica". - 3.3. Passaggio di beni dal regime della proprietà pubblica a quello del patrimonio disponibile. - 3.4. Il regime proprietario dei beni immobili pubblici. - 4. La disciplina generale dei beni culturali. - 4.1. I rapporti tra codice civile, Testo unico sui beni culturali e regolamento sulle alienazioni dei beni culturali. - 4.2. I beni riconosciuti di interesse storico, archeologico ed artistico. - 4.3. La disciplina dell'alienazione e della relativa autorizzazione. - 4.4. Il rapporto tra la disciplina ordinaria dei beni demaniali e la disciplina dei beni culturali. - 5. La disciplina della cartolarizzazione dei beni dello Stato e degli altri enti territoriali nel quadro della disciplina generale sui beni pubblici e sui beni culturali. - 5.1. Cartolarizzazione dei beni dello Stato e disciplina generale della proprietà pubblica. - 5.2. Cartolarizzazione dei beni dello Stato e disciplina generale dei beni culturali. - 5.3. Cartolarizzazione dei beni delle regioni, delle province e dei comuni e discipline generali dei beni pubblici e dei beni culturali. - Bibliografia.
Verranno qui considerate le norme che, nell'ambito del corpo normativo costituito dalla legislazione sulla cartolarizzazione dell'ultimo biennio, sono rilevanti per il regime dei beni pubblici. Sono norme di non facile interpretazione, anche perché alcune di esse appaiono al primo sguardo in reciproca insanabile contraddizione, come del resto è stato osservato formalmente fin dal momento della promulgazione di una di queste leggi [1], oltre che del tutto estranee al sistema vigente e, alcune, di dubbia costituzionalità. Si tratta di vedere se ne sia possibile un'interpretazione, sia pure spinta fino all'ultimo limite dello spazio che si è soliti riconoscere all'ermeneusi, che consenta di formularne, sotto il profilo che ci interessa, una lettura tecnicamente accettabile che le riconduca al sistema e possa in tal modo risolvere contraddizioni e dubbi di costituzionalità.
2. Le norme della legislazione sulla cartolarizzazione rilevanti per il regime dei beni pubblici
2.1. Il d.l. 351/2001 - l. 410/2001
L'esame della recente disciplina che qui interessa può iniziare dalle disposizioni rilevanti contenute nel decreto legge 25 settembre 2001, n. 351, come convertito nella legge 23 novembre 2001, n. 410 sulla cui base sono state istituite ed hanno già operato alcune società a responsabilità limitata, chiamate "società cartolarizzazione immobili pubblici" - Scip.
Il primo articolo di questa legge prevede che l'Agenzia del demanio operi una ricognizione dei beni del patrimonio immobiliare dello Stato nonché dei "beni degli enti pubblici non territoriali, [dei] beni non strumentali in precedenza attribuiti a società a totale partecipazione pubblica, diretta o indiretta, riconosciuti di proprietà dello Stato, nonché [dei] beni ubicati all'estero" ed anche "[dei] beni di regioni, province, comuni ed altri enti locali che ne facciano richiesta" e pure "[dei] beni utilizzati per uso pubblico, ininterrottamente da oltre venti anni, con il consenso dei proprietari". A tal fine, mediante decreti dirigenziali, si provvede "sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso gli archivi e gli uffici pubblici" all'individuazione dei singoli beni, "distinguendo tra beni demaniali e beni facenti parte del patrimonio indisponibile e disponibile".
I beni immobili così individuati possono poi essere trasferiti a titolo oneroso alle Scip, le quali sono "società aventi ad oggetto esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio dello Stato e degli enti pubblici". Tali trasferimenti sono operati mediante decreti del ministro dell'Economia e delle Finanze e "[l']inclusione nei decreti produce il passaggio ... al patrimonio disponibile" dei beni in questione (art. 3, comma 1): sembra cioè che il Mef possa liberamente trasformare in bene patrimoniale disponibile un bene demaniale o un bene patrimoniale indisponibile. E' poi previsto che, quando riguardino beni di enti pubblici soggetti a vigilanza di altro ministero, i decreti siano adottati di concerto con i ministri vigilanti e, quando si tratti di "beni dello Stato di particolare valore artistico e storico", di concerto con il ministro per i Beni e le Attività culturali (art. 3, comma 1-bis). Questa disposizione, unita a quella che prevede che "I trasferimenti di cui [sopra] e le successive rivendite non sono soggetti alle autorizzazioni previste dal testo unico [dei beni culturali e ambientali] di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490" [2] (art. 3, comma 17), pare avere semplificato, in modo evidentemente eccessivo, la possibile "privatizzazione" anche dei beni culturali.
2.2. Il d.l. 63/2002 - l. 112/2002
Passando ora al decreto legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito nella legge 15 giugno 2002, n. 112, con cui è stata istituita la società per azioni "Patrimonio dello Stato Spa" (Pspa) (art. 7, comma 1), va in primo luogo notata la disposizione secondo la quale tale società è istituita "per la valorizzazione, gestione ed alienazione del patrimonio dello Stato e nel rispetto dei requisiti e delle finalità propri dei beni pubblici". Alla società (art. 7, comma 10) "possono essere trasferiti diritti pieni o parziali sui beni immobili facenti parte del patrimonio disponibile e indisponibile dello Stato [e] sui beni immobili facenti parte del demanio dello Stato". Dunque, la Pspa può effettuare operazioni di cartolarizzazione (art. 7, comma 11), ma questo non è il suo oggetto esclusivo.
E' poi stabilito (art. 7, comma 10) che il trasferimento può essere effettuato "con le modalità e per gli effetti" previsti dalle disposizioni dei commi 1 e 17 dell'art. 3 della l. 410/2001 (dunque, come si è visto, anche con esenzione dalle autorizzazioni previste dal Tubca), ed è inoltre prescritto anche in questo caso che, quando si tratti "di beni di particolare valore artistico e storico", il trasferimento è effettuato (non di concerto ma) "di intesa" con il Mbac. Il rinvio al comma 1 dell'art. 3 del d.l. 351/2001, che riguarda pure gli effetti del trasferimento, rende operante anche qui la disposizione secondo la quale l'inserimento nei decreti ricognitivi dell'Agenzia del demanio "produce il passaggio dei beni al patrimonio disponibile". Ma qui tale disposizione è accompagnata da un'altra (contenuta nello stesso comma), secondo la quale: "Il trasferimento non modifica il regime giuridico, previsto dagli articoli 823 e 829, primo comma, del codice civile, dei beni demaniali trasferiti", che sembra contraddirla, dal momento che l'art. 823 c.c. tratta della condizione giuridica del demanio pubblico statuendone l'inalienabilità e l'art. 829 prevede che il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato deve essere dichiarato dall'autorità amministrativa.
2.3. L'articolo 84 della l. 289/2002
Per completare il quadro, bisogna infine ricordare anche l'art. 84 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003) con il quale anche le regioni, le province, i comuni e gli altri enti locali sono stati autorizzati "a costituire o a promuovere la costituzione di società a responsabilità limitata aventi ad oggetto esclusivo la realizzazione di operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione dei rispettivi patrimoni immobiliari" (comma 1). La relativa disciplina risulta in gran parte da rinvii alla l. 410/2001, ma il trasferimento degli immobili alle società, a titolo oneroso, avviene per atto pubblico o scrittura privata autenticata preceduta da delibera dell'organo competente dell'ente, per il cui contenuto si rinvia alla disposizione della l. 410/2001 che disciplina i decreti di trasferimento del Mef. Il rinvio (comma 3) non riguarda però gli effetti, quindi la delibera non "produce il passaggio dei beni al patrimonio disponibile". Del resto, a proposito del regime dei beni, nell'articolo citato si trova una (l'unica) disposizione espressa (comma 4), analoga a quella appena vista a proposito della Pspa, che esclude la modifica del regime giuridico previsto dagli articoli 823 e 829, primo comma, del codice civile per i beni demaniali inclusi nelle delibere di cui si è appena detto (ma la citazione del comma 1 dell'art. 829 è evidentemente sbagliata visto che quella disposizione si riferisce ai beni dello Stato e che la disposizione rilevante in questo caso è invece il secondo comma).
Tra le disposizioni della l. 410/2001, cui si fa rinvio (comma 5) vi è anche quella all'art. 3, comma 17, che prevede l'esenzione dalle autorizzazioni previste dal Tubca per i trasferimenti e le successive rivendite dei beni (mentre non si rinvia al comma 1-bis che prevede l'intervento del Mbac) e dunque anche in questo caso la semplificazione può apparire eccessiva.
3. La disciplina generale dei beni pubblici (non culturali)
Ma per comprendere la effettiva portata di queste recenti disposizioni occorre vedere in che rapporto stanno con la disciplina generale dei beni immobili pubblici e col regime dei beni culturali, di cui pertanto è pure necessario aver presente il contenuto.
Cominciando dai beni pubblici, e prescindendo dalla loro eventuale qualità di beni culturali, si può ricordare preliminarmente che la loro è una disciplina articolata, nel senso che configura una pluralità di regimi di proprietà, ai quali peraltro si è soliti riferirsi correntemente mediante la qualificazione attribuita ai beni che ne costituiscono oggetto. Come è ben noto, è proprio il codice civile che nel Libro III, "Della proprietà" contiene alcune disposizioni (nel Capo II del Titolo I: artt. 822-831) relative alla particolare disciplina che concerne taluni dei "beni appartenenti allo Stato, agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici".
Ne risulta, in primo luogo, la nota bipartizione tra beni demaniali e patrimoniali e l'ulteriore distinzione di questi ultimi tra beni patrimoniali indisponibili e disponibili.
3.1. Beni in proprietà privata di soggetti pubblici
Quella dei beni patrimoniali disponibili è la categoria residuale, nel senso che è costituita dai beni ai quali non si applica la disciplina dei beni demaniali né quella dei beni patrimoniali indisponibili ma quella ordinaria del codice civile (v. artt. 826, comma 1, e 828, comma 1).
Si può dunque dire, innanzitutto, che lo Stato e gli altri soggetti pubblici possono essere proprietari di beni allo stesso modo in cui lo sono i soggetti privati. Il che equivale a dire che alcuni beni (appunto quelli correntemente definiti "beni patrimoniali disponibili") possono essere oggetto di proprietà privata dei soggetti pubblici.
3.2. Beni in proprietà "pubblica"
Il regime della proprietà dei soggetti pubblici relativo ad altri beni è diverso dalla proprietà privata, nel senso che vi ineriscono facoltà, poteri e doveri in parte diversi. Per questi beni la qualifica di pubblici sta ad indicare non soltanto la loro appartenenza a soggetti pubblici ma anche il regime giuridico della relativa proprietà, il quale si diversifica dal regime comune. Si tratta di un regime definibile complessivamente di "proprietà pubblica" [3], cioè caratterizzato da tratti pubblicistici, sia in quanto comprende in alcuni casi e per certi aspetti anche poteri autoritari (per la tutela dei beni demaniali l'art. 823, comma 2, c.c. attribuisce all'autorità amministrativa la facoltà di provvedere procedendo "in via amministrativa"), sia per il rilievo che assumono gli interessi pubblici alla cui soddisfazione risultano strumentali, tanto in relazione alle modalità di godimento che ai poteri di disposizione e alla loro idoneità alla circolazione giuridica.
Ma prima di soffermarsi su questi aspetti occorre vedere più specificamente quali categorie di beni ricadono nella proprietà pubblica.
I beni sottoposti al regime proprietario pubblicistico sono distinti dal codice civile in due categorie: i beni demaniali (quelli che "fanno parte del demanio pubblico" (artt. 822, 823, 824 c.c.) ed i beni patrimoniali indisponibili (artt. 826, commi 2 e 3, e 828).
a) Beni demaniali
Quanto ai beni demaniali, anch'essi possono a loro volta distinguersi in due tipologie.
Da un lato, quelli che, per certe loro qualità intrinseche, sono sottratti in assoluto alla proprietà privata, non potendo esserne oggetto, e che possono appartenere soltanto allo Stato (definibili quindi: beni demaniali statali necessari) e, dall'altro lato, quelli che possono essere oggetto di proprietà privata ma che, se appartengono ad un ente territoriale, vanno a far parte del relativo demanio (definibili, quindi: beni demaniali eventuali o, come si dice correntemente, accidentali).
Limitando l'attenzione agli immobili, beni demaniali statali necessari sono (v. art. 822, comma 1, c.c.), oltre alle "opere destinate alla difesa nazionale", "il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti" (ma i porti lacuali costituiscono demanio regionale: v. art. 11, comma 3, legge 16 maggio 1970, n. 281 e art. 97 decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616) ed inoltre "tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo" (stante il disposto dell'art. 1, l. 36/1994, che definisce "pubbliche" tali acque; mentre l'art. 822, comma 1, c.c. si limita a menzionare "i fiumi, i torrenti, i laghi", oltre a "le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia") - con esclusione peraltro delle acque minerali e termali (che appartengono al patrimonio indisponibile delle regioni) (v. art. 11, l. 281/1970).
Sono invece beni demaniali accidentali, a seconda della loro appartenenza, statali, regionali, provinciali o comunali (ma tra questi ultimi vi sono anche i cimiteri e i mercati: art. 824, comma 2): "le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; ... e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico" (v. art. 822, comma 2, e art. 824, comma 1).
Senza considerare, per ora, il c.d. demanio storico-artistico, si può constatare che appartengono al demanio statale necessario beni che si trovano in natura e che hanno attitudine ad un uso collettivo (anche se non solo, visto che ne fanno parte, per esempio, pure le opere di difesa), mentre al demanio accidentale appartengono dei manufatti. Pertanto, si può dire che il demanio naturale è anche demanio necessario, mentre il demanio artificiale è in parte necessario, in parte accidentale.
b) Beni patrimoniali indisponibili
Ma anche la categoria dei beni (immobili) patrimoniali indisponibili è passibile di una distinzione. Infatti si può parlare di un patrimonio indisponibile necessario dello Stato, costituito dalle caserme, dai beni della dotazione del Capo dello Stato, dalle miniere e dalle "foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio [sic] forestale dello Stato" (art. 826, comma 2, c.c.) e, dopo il 1970, di un patrimonio indisponibile necessario delle regioni, costituito da buona parte delle foreste oltre che delle cave e torbiere che non siano più nella disponibilità dei privati (v. art. 11, commi 4 e 5, l. 281/1970).
Ma la specie più ampia di beni del patrimonio indisponibile è costituita da quelli accidentalmente tali: "gli edifici destinati a sede degli uffici pubblici ... e gli altri beni destinati a un pubblico servizio" (art. 826, comma 3), se appartenenti allo Stato, alla regione, alle province o ai comuni (art. 830 c.c.).
Alla categoria dei beni patrimoniali indisponibili appartengono, peraltro, anche i beni degli enti pubblici non territoriali (dunque, per esempio, degli enti previdenziali) se destinati a un pubblico servizio.
Va anche, infine, ricordato, che un regime particolare, analogo a quello dei beni patrimoniali indisponibili, ma per certi aspetti più rigido, è stato delineato dalla legislazione sulla privatizzazione, nella quale si rinvengono disposizioni dirette ad evitare che, dopo la trasformazione di un ente pubblico in un ente privato, possano essere troppo facilmente sottratti alle precedenti destinazioni i beni ora appartenenti a soggetti privati ma precedentemente usati per specifiche finalità pubbliche (v., per esempio, quanto dispone l'art. 3, comma 7, decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 419 [4], a proposito dei beni degli enti pubblici dei quali lo stesso decreto prevede la trasformazione in enti privati ed anche il regime dettato dal decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 per la rete elettrica e dall'art. 113 decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 per le reti e gli impianti per i ss.pp.ll.). Comunque qui limitiamo l'attenzione ai beni degli enti territoriali.
Anche a proposito della categoria dei beni patrimoniali indisponibili si può dire che i beni naturali (foreste, miniere, parte della dotazione del Capo dello Stato) vi appartengono necessariamente, mentre i beni artificiali vi appartengono in parte necessariamente, in parte solo accidentalmente.
3.3. Passaggio di beni dal regime della proprietà pubblica a quello del patrimonio disponibile
Questa fastidiosa classificazione richiede, per quanto qui interessa, di essere ancora completata tenendo conto, in primo luogo, di una fondamentale distinzione tra taluni beni, che ricadono in una delle precedenti categorie per le loro intrinseche caratteristiche, ed altri, che vi sono compresi soltanto se ed in quanto vengano destinati ad un certo uso.
Così risulta che beni come il lido del mare o le foreste o i porti (che quindi possono appartenere tanto al demanio necessario, sia naturale che artificiale, tanto al patrimonio indisponibile necessario, ma in tal caso solo naturale) sono intrinsecamente, a seconda dei casi, demaniali o patrimoniali indisponibili. Invece altri beni sono da qualificare in tal modo soltanto per la destinazione ad essi attribuita: l'esempio più evidente è costituito da beni del patrimonio indisponibile accidentale (edifici destinati a sede di uffici pubblici o a un pubblico servizio), ma il discorso vale anche per beni del demanio accidentale (per esempio, le strade).
Ove dunque a questi ultimi sia data una destinazione non pubblica essi cessano di fa parte della proprietà pubblica e si applica loro il regime dei beni patrimoniali disponibili.
Ma occorre anche tener presente una vicenda assai vicina a quest'ultima e che talvolta può essere confusa con essa, il fatto cioè che certi beni intrinsecamente pubblici possono, per fenomeni naturali o per sviluppi tecnici o comunque per vicende storiche, perdere le caratteristiche che li rendevano intrinsecamente pubblici, senza che ciò dipenda dal volere della pubblica amministrazione: una striscia di terreno vicina al mare può cessare di essere "lido marino" a causa delle dinamiche talassiche, una "linea Maginot" può cessare di avere qualsiasi rilievo militare per cause storiche o tecniche. Anche in questo caso il risultato sarà quello del passaggio al regime dei beni patrimoniali disponibili.
Il codice civile contempla la eventualità del passaggio dal demanio al patrimonio richiedendo, quanto allo Stato, che esso sia "dichiarato" e che l'atto relativo sia pubblicato nella Gazzetta ufficiale e, quanto agli enti locali, che "il provvedimento che lo dichiara" sia pubblicato nei modi previsti dai regolamenti degli enti (art. 829). Gli atti in questione sono appunto dichiarativi perché il passaggio da un regime all'altro non è l'effetto giuridico di tali atti ma consegue comunque allo stato delle cose, che può essere determinato da un accadimento naturale o da un mutamento di destinazione non stabilito con un atto formale (si parla per esempio di una "sdemanializzazione tacita" che può essere accertata autonomamente da un giudice) a meno che altre leggi dispongano diversamente (come, per esempio, si ritiene che avvenga per i beni del demanio marittimo [5], per i quali la sdemanializzazione tacita è esclusa [6]).
3.4. Il regime proprietario dei beni immobili pubblici
Ma torniamo al regime proprietario dei beni immobili appartenenti allo Stato ed agli altri enti pubblici.
Dei beni patrimoniali disponibili si è già accennato che possono considerarsi in proprietà privata dei soggetti pubblici. In altre parole le facoltà, i poteri e i doveri che, in relazione ad essi, spettano ai soggetti pubblici sono i medesimi di quelli che ha qualsiasi proprietario privato, così che l'ente pubblico li usa e ne dispone per le proprie esigenze organizzative ed economiche come potrebbe fare un privato, salve naturalmente le regole particolari che possono riguardare la sua attività (come per esempio quelle che disciplinano la contrattazione) anche quando questa ha per oggetto i propri beni.
Quanto agli altri beni bisogna vedere, sia pur sommariamente, in che cosa consista il particolare regime pubblicistico che, come si è accennato, costituisce la "proprietà pubblica" (confermando ancora una volta il rinvio per quanto attiene al demanio storico-artistico che ricade nel regime dei "beni culturali").
A proposito dei beni che fanno parte del demanio pubblico, il codice civile, oltre a prevedere, come si è già detto, la possibilità della tutela in via amministrativa - contemplando quindi dei poteri autoritari che non spettano a un proprietario privato, dispone che "sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano" (art. 823, comma 1), con ciò intendendo evidentemente garantire la loro strumentalità alla soddisfazione di specifici interessi pubblici.
Invece, circa i beni che fanno parte del patrimonio indisponibile il codice si limita a stabilire che: "non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano" (art. 828, comma 2), il che sembra non escludere in principio la loro alienabilità, purché la destinazione sia mantenuta.
Questa scarna normativa è talvolta completata da altre corpose disposizioni. In ogni caso, per comprenderne concretamente la portata, occorre essere consapevoli del fatto che la distribuzione dei beni pubblici nelle due categorie non è soddisfacente così che si deve tener conto piuttosto delle sub categorie cui si è accennato.
Comunque, il dato caratterizzante comune alle diverse categorie di beni pubblici si può dire sia costituito da limitazioni ai poteri di disposizione ordinariamente propri del proprietario e più in generale da una limitazione alla circolazione giuridica dei beni interessati. In concreto, tali beni non possono essere oggetto di contratti che liberamente ne trasferiscano la proprietà o che costituiscano su di essi diritti reali od obbligazionari né possono essere assoggettati a espropriazione forzata da parte dei creditori.
Ma non bisogna dimenticare quanto si è detto poco sopra a proposito della sdemanializzazione tacita e del rilievo fattuale della cessazione della destinazione pubblica. Ciò significa infatti che taluni beni possono essere solo apparentemente in proprietà pubblica, mentre in realtà appartengono al patrimonio disponibile.
4. La disciplina generale dei beni culturali
4.1. I rapporti tra codice civile, Testo unico sui beni culturali e regolamento sulle alienazioni dei beni culturali
Occorre ora ricostruire la disciplina dei beni immobili pubblici di interesse storico, archeologico ed artistico.
Come già visto, l'art. 822 del codice civile del 1942 comprende nel "demanio pubblico", se appartenenti allo Stato, "gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia". Tali beni "sono soggetti al regime del demanio pubblico", anche se appartenenti a comuni, province (art. 824 c.c.) o regioni (art. 11, comma 1, l. 281/1970). Pertanto, secondo il disposto dell'art. 823, comma 1, c.c., i beni in questione "sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano".
Al momento dell'entrata in vigore del codice civile, tra le "leggi in materia", ovvero tra le "leggi che li riguardano", quella fondamentale poteva considerarsi la legge 1 giugno 1939, n. 1089 [7], alla quale dunque occorreva riferirsi, tanto per stabilire quali immobili dovessero considerarsi "riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico", tanto per accertare quali fossero i modi e i limiti della loro circolazione cui faceva riferimento l'art. 823.
Peraltro la l. 1089/1939 è stata abrogata dal d.lg. 490/1999 [8] che, in forza della delega conferita al governo con la legge 8 ottobre 1997, n. 352 [9], ha approvato il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali. E, dal momento che l'art. 2, comma 1, dispone che "Sono beni culturali disciplinati a norma di questo Titolo: a) le cose immobili ... che presentano interesse artistico, storico, archeologico", i rinvii del codice civile sopra ricordati sono oggi da intendersi riferiti a tale testo normativo.
Del resto, il nesso tra le disposizioni codicistiche e quelle del Tubca è statuito anche espressamente da quest'ultimo, il cui articolo 54 (che ha il titolo "Beni del demanio storico, artistico e archivistico ..." e richiama espressamente gli artt. 822 e 824 del codice civile) dispone che: "I beni culturali indicati nell'articolo 822 del codice civile appartenenti allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni costituiscono il demanio storico, artistico, archivistico e bibliografico e sono assoggettati al regime proprio del demanio pubblico", regime in relazione al quale lo stesso testo unico contiene un'importante precisazione disponendo, in un altro articolo (il 98), che "i beni culturali indicati nell'articolo 54 sono destinati al godimento pubblico".
Si deve peraltro notare che il Testo unico definisce "beni culturali" anche alcune specie di immobili che non sono menzionati dall'art. 822 c.c. e precisamente "le cose immobili che presentano interesse ... demo-etno-antropologico (art. 2, comma 1, lett. a) e "le cose immobili che, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, rivestono un interesse particolarmente importante" (art. 2, comma 1, lett. b) [10].
Dunque, a prescindere da quest'ultima notazione, quanto agli immobili che ricadono nel regime demaniale risultante dagli artt. 822, 823 e 824 c.c., si può dire che dal Tubca discende che gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico sono da definirsi "beni culturali". Tale locuzione non ha mero rilievo linguistico ma costituisce una precisa qualificazione giuridica ai sensi dello stesso Tu. Quest'ultimo, d'altro lato, sembrerebbe da considerarsi oggi come la principale delle "leggi in materia" di riconoscimento dell'interesse storico, archeologico e artistico di certi immobili, così come analogo ruolo parrebbe rivestire tra quelle "leggi che li riguardano" di cui parla l'art. 823, comma 1, c.c., a proposito dei modi e dei limiti della circolazione dei beni che qui interessano. Senonché occorre ricordare che il governo ha emanato un "regolamento recante disciplina delle alienazioni di beni immobili del demanio storico ed artistico" [11], che contiene anche norme sulla individuazione dei beni immobili di interesse storico ed artistico del quale bisogna tener conto al pari del Testo unico, perché emanato, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, successivamente a quest'ultimo e sulla base di una legge [12] a sua volta successiva alla legge di delega per l'emanazione del Testo unico.
4.2. I beni riconosciuti di interesse storico, archeologico ed artistico
Vediamo dunque, innanzitutto, che cosa dispone il Tubca a proposito del riconoscimento di certi immobili come di interesse storico, archeologico e artistico.
Come già si è detto, l'art. 2, comma 1, lett. a), del Testo unico contiene innanzitutto una disposizione secondo la quale: "Sono beni culturali disciplinati a norma di questo Titolo: a) le cose immobili ... che presentano interesse artistico, storico, archeologico demo-etno-antropologico"
Vi si trova statuito anche che "le regioni, le province, i comuni, gli altri enti pubblici e le persone giuridiche private senza fine di lucro presentano al ministero l'elenco descrittivo delle cose indicate all'art. 2, comma 1, lett. a) di loro spettanza" e che debbono provvedere ad aggiornarlo, con possibilità di sostituzione del ministero ove non provvedano, ma fermo restando che, anche se non provvedono, ad essi si applicano le norme che riguardano i privati. Peraltro, è pure stabilito che i beni in questione che appartengano alle regioni, le province, i comuni sono comunque sottoposti alle disposizioni che a quei beni si riferiscono, anche se non compresi negli elenchi e nelle denunce di aggiornamento (art. 5).
Nessun "elenco descrittivo" o altro simile atto è invece previsto dal T.U. per i beni appartenenti allo Stato.
Ma occorre tener conto anche del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2000, n. 283, il quale, in primo luogo, disciplina con maggior precisione il procedimento di formazione e aggiornamento degli elenchi delle cose di cui si parla, appartenenti alle regioni, alle province, ai comuni (artt. 3 ss.). Viene, infatti, assegnato agli enti di cui sopra un termine (due anni dalla sua entrata in vigore) per trasmettere al soprintendente regionale per i beni e le attività culturali l'elenco degli immobili realizzati almeno quarantacinque anni prima e per aggiornare gli elenchi sopra menzionati. Il regolamento (art. 4), peraltro, impone anche al soprintendente regionale di procedere entro un certo termine (di ventiquattro mesi dalla ricezione dell'elenco) alla comunicazione all'ente proprietario di quei beni che, benché inseriti nell'elenco di quelli di interesse artistico e storico, non rivestono tale carattere ed all'integrazione di tale elenco con i beni ultraquarantacinquennali che hanno interesse storico artistico.
Inoltre il regolamento (art. 19, commi 1 e 2), proprio in relazione ai "processi, previsti dalla normativa vigente, di dismissione o di valorizzazione di beni immobili appartenenti allo Stato" prevede un procedimento diretto alla previa individuazione dei beni immobili per i quali, dato il loro interesse artistico e storico, è necessaria per l'alienazione l'autorizzazione che vedremo. E' stabilito che "le amministrazioni statali procedenti" debbano inviare l'elenco degli immobili interessati al ministero, il quale (entro 60 giorni) "individua gli immobili che manifestamente non rivestono interesse artistico e storico e quelli la cui alienazione o conferimento in concessione o in convenzione sono soggetti ad autorizzazione ... assicurando il proprio concerto, ove previsto". Si deduce chiaramente da tale disposizione che tutti gli immobili che abbiano un sia pur minimo interesse artistico e storico sono da comprendere tra quelli la cui alienazione (quando questa è possibile, e vedremo quando) è soggetta ad autorizzazione (alla pari del loro conferimento in concessione o convenzione).
4.3. La disciplina dell'alienazione e della relativa autorizzazione
A proposito della disciplina dell'alienazione dei beni del demanio storico-artistico e archeologico, si ripropone oggi una situazione analoga a quella che già si era verificata al momento dell'entrata in vigore del codice civile a proposito del rapporto tra alcune norme di quest'ultimo e la normativa speciale (allora, in particolare, l'art. 24 della l. 1089/1939) [13], ma con la differenza che la relazione diacronica tra l'uno e l'altra si pone oggi all'inverso.
La più volte ricordata disposizione dettata dall'art. 823 c.c., a proposito della "condizione giuridica del demanio pubblico", secondo l'interpretazione letterale (del resto accettata in relazione agli altri beni demaniali), statuisce che i beni che fanno parte di quest'ultimo sono in assoluto inalienabili mentre, nei limiti e con i modi stabiliti dalle leggi che li riguardano, possono formare oggetto di diritti a favore di terzi. A sua volta, l'art. 55 del Tubca prevede che possa essere autorizzata [14] soltanto l'alienazione "dei beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni che non facciano parte del demanio storico e artistico [15]", cosicché l'inalienabilità di questi ultimi risulta confermata.
Ma se il regime codicistico degli immobili facenti parte del demanio storico e artistico che qui interessano non viene alterato dal Tubca, non altrettanto avviene ad opera del regolamento, che si è visto essere un testo normativo che detta una disciplina speciale, con la forza prevista dall'art. 17, comma 2, l. 400/1988, e che è posteriore tanto al codice civile che al Testo unico e che quindi prevale su entrambi.
La disposizione legislativa (art. 32 legge 23 dicembre 1998, n. 448) sulla cui base è stato emanato il regolamento ha confermato la regola della inalienabilità dei beni immobili di interesse storico e artistico dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni ma ha contestualmente attribuito al governo il potere di prevedere eccezioni a tale regola generale, subordinatamente al rilascio di un'autorizzazione del ministero dei Beni culturali. Infatti la prima disposizione del regolamento statuisce che: "I beni immobili di interesse storico e artistico di proprietà dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni, costituenti il demanio artistico e storico a norma dell'articolo 822 del codice civile, non possono essere alienati e formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei limiti e con le modalità stabiliti dal presente regolamento".
Malgrado, però, che la disposizione sia evidentemente modellata sul testo dell'art. 823, comma 1, c.c., non si può darle l'interpretazione indicata più indietro come preferibile per quest'ultima, dal momento che il secondo articolo del regolamento delegato, trasforma la regola della inalienabilità, senza eccezioni, dei beni immobili appartenenti al demanio storico e artistico (cioè, come si è visto, quelli d'interesse storico, archeologico ed artistico), posta dal codice civile e confermata dal Tubca, in quella della loro alienabilità, salvo eccezioni [16]. Il risultato è che sono ormai inalienabili in quanto tali soltanto i beni appartenenti alla categoria dei "beni d'interesse archeologico" e, tra i beni d'interesse storico o artistico, soltanto quelli che presentano anche uno dei seguenti requisiti: essere "riconosciuti, con provvedimento avente forza di legge, monumenti nazionali", ovvero essere "beni di interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera b), del Tubca", o, infine, essere "beni che documentano l'identità e la storia delle istituzioni pubbliche, collettive, ecclesiastiche, riconosciuti con decreto del ministro...".
Non sono comunque alienabili anche "gli immobili del demanio artistico e storico delle regioni, delle province e dei comuni non inseriti negli elenchi" di tali beni (art. 6, comma 2).
Ma se i beni diversi dai precedenti non sono di per sé inalienabili, ciò non significa che siano liberamente alienabili, poiché occorre tener conto della disciplina [17] dettata dal regolamento (artt. 7 ss.) quanto all'autorizzazione ad alienare, che non può comunque essere rilasciata "qualora l'alienazione pregiudichi la conservazione, l'integrità e la fruizione pubblica del bene ovvero non sia garantita la compatibilità della destinazione d'uso del bene con il suo carattere storico e artistico".
Inoltre la richiesta di autorizzazione (a meno che l'alienazione riguardi immobili in atto destinati ad uso abitativo o commerciale: art. 8) deve contenere un programma, con indicazione dei tempi di realizzazione, ove si descrivono l'uso cui si intende destinare il bene e le modalità della sua pubblica fruizione nonché le misure di conservazione con riferimento agli obiettivi di tutela e valorizzazione che si ritengono conseguibili con l'alienazione. Il programma non è necessario solo se la richiesta di autorizzazione riguarda beni in atto destinati ad uso abitativo e commerciale (art. 8), o certi tipi di beni in uso all'amministrazione militare [18] (art. 19, comma 6).
L'autorizzazione è rilasciata alle condizioni indicate nella richiesta (che devono essere approvate dal soprintendente regionale) e deve prescrivere "le misure di tutela del bene", intendendo per tali, in particolare: "1) le misure di conservazione; 2) l'indicazione degli usi incompatibili con il carattere artistico e storico del bene o pregiudizievoli alla sua integrità; 3) le condizioni di fruizione pubblica...", oltre alla realizzazione, entro il termine indicato nella richiesta, del programma proposto. Inoltre, deve essere prevista nel contratto di alienazione la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. E comunque la mancata realizzazione del programma allegato alla richiesta nel termine indicato nell'autorizzazione costituisce uso del bene incompatibile con il suo carattere storico-artistico.
Se poi l'alienazione è a favore di privati che non siano persone giuridiche senza fini di lucro, il soprintendente, contestualmente all'autorizzazione, dichiara l'interesse particolarmente importante del bene, riportando le misure di tutela prescritte.
Infine, autorizzazione e dichiarazione, su richiesta del soprintendente regionale, sono trascritte nei registri immobiliari ed hanno efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo, anche agli effetti della eventuale risoluzione del contratto.
Come si vede, l'autorizzazione in questione, per il suo contenuto e per l'obbligo di trascrizione, si presenta come sostanzialmente conformativa della proprietà del bene cui si riferisce.
4.4. Il rapporto tra la disciplina ordinaria dei beni demaniali e la disciplina dei beni culturali
Ma che rapporto c'è tra la disciplina del demanio storico ed artistico, che chiameremo demanio culturale, e la disciplina degli altri beni appartenenti allo Stato ed agli altri soggetti pubblici, in particolare regioni, province e comuni, in "proprietà pubblica" (lasciamo da parte i beni in proprietà privata, quelli del patrimonio disponibile)?
La risposta deve partire dalla considerazione che dei beni in "proprietà pubblica" si può dire che abbiano un regime della circolazione sostanzialmente comune, cui si aggiungono poteri pubblicistici di tutela almeno per quanto riguarda i beni demaniali, ma si deve anche osservare che tale regime riguarda beni, ciascuna categoria dei quali vi è assoggettata in relazione a interessi pubblici diversi per ciascuna categoria o sub-categoria: gli interessi pubblici che sono chiamati a soddisfare le strade sono ben diversi da quelli che debbono essere soddisfatti dal lido del mare o dagli acquedotti o dalle caserme. Per ciascuna categoria o sub-categoria l'uso è diverso da quello di ciascun'altra, ciò che li unisce è solo il fatto che ciascuno di questi usi può considerarsi di interesse pubblico. Il fatto che i beni di una categoria o sub-categoria siano idonei alla fruizione da parte di un'amministrazione invece che di un'altra o di una comunità (più o meno ampia) è un elemento distintivo di una categoria di beni rispetto ad un'altra estremamente significativo e tale da dare forte rilievo all'appartenenza soggettiva, non solo sotto il profilo della natura pubblica o privata del soggetto ma anche sotto il profilo della diversità dei soggetti pubblici o della eventuale diversità dei comparti organizzativi di un medesimo soggetto pubblico (in relazione a quest'ultimo aspetto si spiega l'esistenza di numerose norme di quei regolamenti sull'organizzazione interna delle pubbliche amministrazioni che sono detti "di contabilità").
Ben diversamente stanno le cose a proposito non solo del demanio culturale ma di tutti quelli che sono giuridicamente dei beni culturali, in relazione ai quali viene in evidenza un unico interesse pubblico che trascende la loro individualità singola o di categoria e dunque ne sminuisce fortemente il rilievo. Questo interesse si evince dal carattere oggettivo che rende tale un qualsiasi bene culturale e sulla cui base il legislatore ha anche potuto stilare degli elenchi di categorie di beni (v. artt. 2 e 3 Testo unico) ma che ha poi menzionato direttamente in quella disposizione residuale del Tubca (art. 4) che recita: "Beni non ricompresi nelle categorie elencate negli articoli 2 e 3 sono individuati dalla legge come beni culturali in quanto testimonianza avente valore di civiltà" [19]. Si tratta dell'interesse a che chiunque possa far tesoro di una tale testimonianza quale che sia il soggetto proprietario di un bene culturale, interesse che sta a fondamento di una legislazione complessivamente diretta a tal fine, la quale, per le cose d'interesse storico, archeologico ed artistico di proprietà statale o degli altri enti territoriali, ingloba anche la disciplina generale dei beni demaniali, quale presidio per assicurarne la "destina[zione] al godimento pubblico", come risulta dal già citato art. 98 Tubca.
Ma ciò che è da sottolineare, per quanto qui in particolare interessa, è che mentre l'appartenenza di un bene ad una delle categorie ordinarie dei beni in proprietà pubblica ne esclude l'appartenenza ad un'altra, data la specificità dell'interesse pubblico che affetta ciascuna di esse, tale appartenenza non esclude invece che lo stesso bene possa appartenere anche alla categoria dei beni culturali. Così il regime ordinario della proprietà pubblica si cumula, nei limiti della compatibilità, con il regime del demanio culturale quando si tratti di beni riconosciuti (anche) di interesse storico, archeologico ed artistico (come sembra, per esempio, indirettamente confermato da quella norma del d.p.r. 283/2000 vista più indietro che prende in considerazione come beni culturali, a certi effetti, le "caserme edificate con tale destinazione"). Inoltre il regime ordinario della proprietà, pubblica o privata, dello Stato e degli altri soggetti pubblici, si cumula con il regime dei beni culturali diversi da quelli del demanio storico e artistico quando si tratti di beni immobili comunque qualificabili beni culturali, come è il caso di quelli che presentano interesse demo-etno-antropologico (v. art. 2, comma 1, lett a) Tubca) o quando, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, rivestono un interesse particolarmente importante.
5. La disciplina della cartolarizzazione dei beni dello Stato e degli altri enti territoriali nel quadro della disciplina generale sui beni pubblici e sui beni culturali
5.1. Cartolarizzazione dei beni dello Stato e disciplina generale della proprietà pubblica
Si può finalmente tornare a considerare la recente disciplina della cartolarizzazione in relazione al regime ordinario dei beni pubblici ed a quello dei beni culturali, considerando separatamente i due profili e occupandoci prima dei beni dello Stato e poi di quelli delle regioni, delle province e dei comuni. Occorrerà anche riferirsi distintamente alla l. 410/2001 ed alla l. 112/2002.
Come si è visto, la l. 410/2001 dispone in primo luogo (art. 1) la ricognizione da parte dell'Agenzia del demanio dei beni dello Stato prevedendo che con decreti dirigenziali siano individuati singolarmente i beni e distinti fra beni demaniali, patrimoniali indisponibili e patrimoniali disponibili.
Questa operazione, oltre che necessaria per la finalità che potremmo definire genericamente "aziendale", di riordinare, gestire e valorizzare il patrimonio immobiliare statale, è indicata anche come funzionale alla formulazione del conto generale del patrimonio dello Stato e dunque alla finalità di individuare i beni dello Stato suscettibili di utilizzazione economica.
Senza considerare l'ipotesi che i beni in questione appartengano (soltanto o anche) a quello che abbiamo chiamato demanio culturale, non vi sono fin qui elementi che consentano di attribuire ai relativi decreti presidenziali efficacia costitutiva piuttosto che dichiarativa, nell'alveo delle opinioni consolidate circa il regime dei beni pubblici, come è confermato dal fatto che le operazioni di individuazione si svolgono "sulla base e nei limiti" della documentazione esistente presso gli uffici e gli archivi pubblici.
Solo che le ulteriori disposizioni della legge sembrerebbero a prima vista escludere che si intenda mantenersi in tale alveo, visto che i beni così individuati possono essere trasferiti alle Scip (e quindi successivamente alienati a chiunque nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione) con decreti del Mef ed è testualmente previsto che l'inclusione in tali decreti ne "produce il passaggio ... al patrimonio disponibile (art. 3, comma 1).
Ad una prima superficiale lettura, si potrebbe pensare che, dunque, la nuova legge rende sufficiente un fiat ministeriale per togliere a qualsiasi bene pubblico la qualifica della demanialità o della indisponibilità, in tal modo sostanzialmente modificando il codice civile e le altre leggi che avevano fino a quel momento definito il regime pubblicistico della demanialità e della indisponibilità di certi beni.
Ma se davvero questa ne fosse l'unica interpretazione possibile, si dovrebbe seriamente dubitare della costituzionalità di una simile disposizione. Naturalmente non perché il codice civile sia una legge costituzionale ma perché viene in rilievo una specifica statuizione costituzionale, cioè quella di apertura dell'art. 42 Cost. secondo la quale: "La proprietà è pubblica o privata". Tale disposizione infatti non sembra significare soltanto che i beni possono appartenere a soggetti pubblici o privati, dal momento che ciò è detto nella seconda proposizione dello stesso primo comma per quanto riguarda i "beni economici" - e si è appena visto che i beni di cui parliamo non possono non essere definiti tali essendo ritenuti suscettibili di utilizzazione economica - ma pare da intendersi piuttosto nel senso che deve essere assicurata la presenza nell'ordinamento anche di un particolare regime proprietario di certi beni degli enti pubblici. In tal modo la Costituzione - che per questo aspetto non si presenta comunque in conflitto con il diritto comunitario europeo [20] - ha evidentemente recepito una opinione tradizionale consolidata secondo la quale per la salvaguardia degli interessi pubblici per i quali è rilevante l'uso di certi beni non è sufficiente riservarne, in alcuni casi, l'appartenenza a soggetti pubblici, ma occorre anche assoggettarli ad un regime proprietario diverso da quello comune.
Dunque, se la l. 410/2001 potesse essere interpretata nel senso che consente l'eliminazione del demanio e del patrimonio indisponibile bisognerebbe anche dire che è incostituzionale. A maggior ragione ciò andrebbe detto, in relazione alle norme costituzionali che disciplinano l'attività dell'amministrazione, se tale risultato fosse conseguibile ad arbitrio di un ministro.
Occorre dunque leggere le disposizioni che ci interessano in modo tale da sottrarle alla condanna costituzionale, ciò che è possibile andando oltre l'interpretazione meramente letterale e ricollocandole nel sistema del diritto dei beni pubblici.
In questa prospettiva, in primo luogo ed ovviamente, la classificazione dei beni nel demanio oppure nel patrimonio disponibile o indisponibile deve essere fondata sull'effettivo stato delle cose. Conseguentemente, l'effetto, attribuito ai decreti ministeriali di trasferimento, del "passaggio ... al patrimonio disponibile" può ritenersi che abbia la funzione di dichiarare la conseguenza giuridica del venir meno del presupposto della classificazione dei beni tra i demaniali o tra i patrimoniali indisponibili a causa della modifica della situazione di fatto (ad esempio, perché il sedime di una strada sia stato interessato da un movimento tellurico) o del venir meno, per ragioni le più diverse, di una precedente destinazione pubblica (gli esempi possono andare da una casamatta posta al confine tra lo Stato della Chiesa e il Granducato di Toscana ad un locale ritenuto non più idoneo ad ospitare degli uffici pubblici).
La disposizione può, cioè, essere interpretata semplicemente come attuativa-integrativa dell'art. 829, comma 1, c.c., che prevede che il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio sia dichiarato da un atto amministrativo di cui deve essere data notizia nella gazzetta ufficiale. E' vero che, a stretto rigore, il termine "produce" non è tecnicamente appropriato con riferimento ad un atto dichiarativo, ma i testi in commento testimoniano più in generale, per gli aspetti che qui interessano, una assai scarsa precisione tecnica. Peraltro, anche a voler ritenere che il legislatore abbia inteso attribuire al decreto ministeriale effetti costitutivi, ciò naturalmente non escluderebbe che i presupposti per la legittimità di un atto del genere (la ragionevolezza in primo luogo) dovrebbero coincidere con i presupposti di fatto di un atto dichiarativo.
La conclusione è che alle Scip possono essere trasferiti, ai fini della successiva rivendita, soltanto beni che non risultino aver più i requisiti dei beni demaniali o dei beni patrimoniali indisponibili e che per tale ragione possono essere classificati tra i patrimoniali disponibili.
Passando alla disciplina della Patrimonio dello Stato Spa dettata dalla l. 112/2002, si può già in via preliminare osservare come una sua lettura coerente con il regime generale dei beni pubblici non soltanto è possibile ma anzi è inevitabile alla luce di alcune disposizioni, già più indietro ricordate, che erano assenti nella l. 410/2001.
In primo luogo, infatti, è da ricordare che la l. 112/2002 esordisce affermando che la Pspa è istituita "nel rispetto dei requisiti e delle finalità propri dei beni pubblici", disposizione inequivoca, che non può non orientare anche l'interpretazione delle altre disposizioni.
Nel caso di questa società, peraltro, è indubbio che i trasferimenti non sono limitati ai beni patrimoniali disponibili. Come si è visto, infatti, è disposto, altrettanto univocamente, che ad essa "possono essere trasferiti diritti pieni o parziali sui beni immobili facenti parte del patrimonio disponibile e indisponibile dello Stato [e] sui beni immobili facenti parte del demanio dello Stato" (comma 10). Eppure di tali trasferimenti, per le cui "modalità ed effetti" si rinvia a quanto disposto dalla l. 410/2001 (quindi, anche al previsto "passaggio [dei beni] al patrimonio disponibile"), si dice che non modifica[no] il regime giuridico, previsto dagli articoli 823 e 829, primo comma, del codice civile, dei beni demaniali trasferiti" (cioè, lasciano immutata la loro inalienabilità e non incidono sulla necessità della dichiarazione da parte dell'autorità amministrativa del passaggio di beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato).
Qui è innegabile una apparente contraddizione, che può essere però sciolta se non ci si arresta di fronte agli ostacoli della pessima stesura del testo normativo. Il fatto è che questa società, se può effettuare operazioni di cartolarizzazione, con le stesse regole previste per le Scip (art. 7, comma 11), tuttavia (secondo quanto previsto dalla legge ed ampiamente confermato dallo statuto [21]) ha un oggetto sociale ben più ampio, dal momento che è istituita non solo "per l'alienazione" ma anche per "la valorizzazione" e per la "gestione ... del patrimonio dello Stato".
Dunque le norme viste, dettate un po' alla rinfusa, possono acquistare un significato coerente se poste in un ordine sensato. Così, da un lato, il "trasferimento" (la cui essenza giuridica è peraltro da accertare) di beni demaniali o del patrimonio indisponibile alla Pspa, senza modifiche della loro qualità giuridica, visto che nel diritto contemporaneo delle amministrazioni pubbliche non sembra più inconcepibile che una società come quella in questione - un "organismo di diritto pubblico", che nel caso risulta essere una particolare forma organizzativa dell'amministrazione statale [22] - possa essere titolare anche di beni demaniali [23], dal momento che le leggi [24] prevedono ormai che anche atti di soggetti privati partecipino di alcuni dei principali aspetti del regime dell'atto amministrativo [25] e che soggetti privati possano emanare addirittura atti dotati di imperatività ed esecutorietà [26]. D'altro lato, il fatto che l'alienabilità dei beni in questione incontri i limiti propri del regime del demanio o del patrimonio indisponibile non ne rende inutile l'appartenenza alla Pspa, visto che la società non ha come unico scopo l'alienazione dei beni di cui ha la titolarità, essendo legittimata a provvedere anche soltanto alla loro gestione e valorizzazione. E' piuttosto da ritenere che il trasferimento a titolo oneroso alla Infrastrutture Spa, previsto come possibile dal comma 12 della l. 112/2002 [27], non potrà comunque riguardare beni demaniali o patrimoniali indisponibili ma soltanto beni patrimoniali disponibili, dal momento che tali beni sarebbero destinati a garantire l'emissione di titoli ed altre operazioni di finanziamento.
5.2. Cartolarizzazione dei beni dello Stato e disciplina generale dei beni culturali
Occorre ora vedere come può essere ricostruito il rapporto tra la disciplina della cartolarizzazione dei beni statali con la disciplina generale dei beni culturali ispirata all'imperativo della tutela da parte della Repubblica del "patrimonio storico ed artistico della nazione" (art. 9 Cost.) ed alla conseguente indefettibile esigenza di assicurarne la fruizione pubblica.
Si è visto come la l. 410/2001 disponga che i decreti di trasferimento del Mef sono adottati di concerto con il Mbac quando si tratti di "beni dello Stato di particolare valore artistico e storico" (art. 1-bis). Inoltre è disposto che "I trasferimenti [operati con i decreti ministeriali] e le successive rivendite non sono soggetti alle autorizzazioni previste dal Tubca di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490" (art. 3, comma 17). Si tratta di disposizioni a prima vista notevolmente dissonanti rispetto al regime ordinario dei beni culturali. Ma la conclusione può forse essere diversa dopo un esame più attento.
Si è visto qual è il regime vigente dell'alienabilità dei beni immobili culturali appartenenti allo Stato. Secondo il disposto del regolamento del 2000, dei beni del demanio storico artistico sono inalienabili di per sé soltanto quelli appartenenti a poche categorie [28]. E' possibile alienare gli altri, ma soltanto previa autorizzazione da parte del soprintendente regionale, la quale non può comunque essere rilasciata "qualora l'alienazione pregiudichi la conservazione, l'integrità e la fruizione pubblica del bene ovvero non sia garantita la compatibilità della destinazione d'uso del bene con il suo carattere storico e artistico" (art. 10, comma 1, reg.). Si ricorderà poi come la autorizzazione sia sostanzialmente conformativa della proprietà dell'acquirente.
Anche i beni diversi da quelli del demanio storico artistico [29], secondo quanto dispone il Tubca (art. 55, comma 2) sono alienabili previa autorizzazione, purché non ne derivi danno alla loro conservazione o non ne sia menomato il pubblico godimento.
Orbene, la disposizione del decreto-legge che richiede il concerto del Mbac può ben conciliarsi con questo regime dell'alienazione dei beni culturali, nel senso che appare posta per rafforzare le cautele dalle quali si è ritenuto dovesse essere circondata l'eventualità della alienazione di un bene culturale che potrebbe portare quest'ultimo in mano di un privato. Infatti non si vede come alla disposizione in parola potrebbe essere attribuito un significato derogatorio rispetto alle norme di cui si è descritto il contenuto, dal momento che tra l'una e le altre non emergono incompatibilità: con la disposizione in esame ci si limita ad impedire che il Mef possa prendere in via autonoma la decisione di trasferire ad una Scip dei "beni di particolare valore artistico e storico", semplicemente munendosi dell'autorizzazione necessaria da parte del soprintendente, essendogli imposto invece di concertare comunque tale decisione con il Mbac.
E' semmai la esenzione dalle autorizzazioni previste dal Tubca che potrebbe destare qualche preoccupazione, ma bisogna di contro ricordare che l'autorizzazione più importante, per l'ambito di applicazione e per l'efficacia, è ormai quella prevista dal regolamento [30] dalla quale non è disposta alcuna esenzione.
A quanto fin qui detto poco è da aggiungere con riferimento alla disciplina dettata dalla l. 112/2002 a proposito della Patrimonio dello Stato Spa. Anche in questo caso il Mef non può decidere il trasferimento di beni di particolare valore artistico se non d'accordo (qui si parla di "intesa" invece che di "concerto", ma nulla cambia) con il Mbac. Anche qui si ha l'esenzione dalle autorizzazioni previste dal Tubca [31] ma non da quelle richieste dal regolamento.
Non sembra dunque che il concerto o l'intesa del ministro per i Beni e le Attività culturali consentirebbe comunque di alienare un bene quando "l'alienazione pregiudichi la conservazione, l'integrità e la fruizione pubblica del bene ovvero non sia garantita la compatibilità della destinazione d'uso del bene con il suo carattere storico e artistico", cioè nei casi in cui l'autorizzazione non può essere rilasciata.
5.3. Cartolarizzazione dei beni delle regioni, delle province e dei comuni e discipline generali dei beni pubblici e dei beni culturali
Quanto, invece, alla cartolarizzazione dei beni delle regioni, delle province e dei comuni, sotto i profili che ci interessano, si è visto [32], a proposito dei beni culturali, che anche l'art. 84 della legge finanziaria 2003, l. 289/2002 prevede per i loro trasferimenti e le successive rivendite la esenzione dalle autorizzazioni previste dal Tubca di cui si è già detto a proposito della disciplina delle società di cartolarizzazione dei beni statali, al cui commento si può quindi rinviare. Vi è però da aggiungere che, come pure si è visto, i beni del demanio storico artistico di questi enti territoriali non sono alienabili se non vi è stato l'inserimento nell'elenco secondo la disciplina del regolamento.
Quanto invece al regime dei beni demaniali, qui si ritrova una disposizione quasi identica a quella appena vista a proposito della Pspa, secondo la quale: "L'inclusione dei beni nelle delibere di cui al comma 3 non modifica il regime giuridico, previsto dagli articoli 823 e 829, primo comma, del codice civile, dei beni demaniali trasferiti". A parte che, come si è già notato, il primo comma dell'art. 829 si riferisce ai beni dello Stato e non a quelli degli enti locali, alla lettera questa disposizione pare contemplare l'ipotesi del trasferimento di beni demaniali alle società in questione, statuendo peraltro senza equivoci che tali beni restano inalienabili (del resto si è anche rilevato che in altra parte l'art. 84 rinvia ad una disposizione della l. 410/2001 - l'art. 3, comma 1 - con una formulazione che sembra escludere che le delibere degli enti locali determinino il passaggio dei beni al patrimonio disponibile). Peraltro, come pure si è visto, le società delle quali qui si parla hanno "ad oggetto esclusivo la realizzazione [delle] operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione" e dunque è inutile trasferire loro dei beni inalienabili. La norma in questione, pertanto può essere vista soltanto come la conferma, che anche questa legge, come le altre che si sono viste, non può essere intesa come avente l'effetto di rendere alienabili beni che tali non sono secondo le discipline generali.
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[*] Relazione al convegno organizzato dal Cesifin, Cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, Firenze, 24 gennaio 2003.
[1] Ci si riferisce ad una lettera inviata dal Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio (v. comunicato stampa 15 giugno 2002).
[2] V. oltre §§ 8 ss.
[3] Anche se altri preferiscono riservare tale denominazione ai beni demaniali.
[4] "I beni la cui gestione o conservazione costituiva lo scopo istituzionale dell'ente pubblico permangono destinati a tale finalità, fatto salvo ogni altro onere o vincolo gravante sugli stessi ai sensi delle vigenti disposizioni, e non possono essere alienati o gravati di alcun diritto se non in base a specifica ed espressa autorizzazione del ministero vigilante, secondo la vigente normativa, da rilasciarsi in casi eccezionali. Gli atti adottati in mancanza di autorizzazione non possono essere trascritti e sono nulli di diritto, fatta salva ogni diversa forma di responsabilità prevista dalle vigenti disposizioni. Il regime di autorizzazione permane sino a che sussista l'esercizio delle funzioni o dei servizi pubblici in via di convenzione o di concessione. Allo scadere definitivo delle convenzioni o concessioni, il regime di autorizzazione è prorogato sino alla convenzionale determinazione della destinazione finale dei beni. Le limitazioni di cui al presente articolo devono, in ogni caso, risultare negli statuti degli enti di diritto privato derivanti dalla trasformazione e sono iscritte nel registro di cui all'articolo 33 del codice civile".
[5] V. l'art. 35 cod. nav. (Esclusione di zone dal demanio marittimo): "Le zone demaniali che dal capo del compartimento non siano ritenute utilizzabili per pubblici usi del mare sono escluse dal demanio marittimo con decreto del ministro per le comunicazioni (ora ministro per la Marina mercantile) di concerto con quello per le Finanze".
[6] Cfr. Cass., sez. II, 14 marzo 1985, n. 1987, in Giust. civ. mass., 1985, fasc. 3: "Per i beni del demanio marittimo dello stato (area portuale), la cosiddetta sdemanializzazione non può avvenire tacitamente, ma richiede, a norma dell'art. 35 del codice della navigazione, un espresso e formale provvedimento dell'autorità amministrativa (decreto del ministero della Marina mercantile di concerto con quello delle Finanze), con la conseguenza che, in difetto di tale provvedimento, deve ritenersi nulla, per impossibilità dell'oggetto, la vendita di detti beni effettuata al privato".
[7] "Tutela delle cose d'interesse artistico e storico".
[8] Se ne vedano i commenti in La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, a cura di M. Cammelli, Bologna 2000, e in Il testo unico. sui beni culturali e ambientali, a cura di G. Caia, Milano 2000.
[9] Che ha disposto che nel testo unico fossero "riunite e coordinate tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali e ambientali", apportandovi "esclusivamente le modificazioni necessarie per il loro coordinamento formale e sostanziale, nonché per assicurare il riordino e la semplificazione dei procedimenti".
[10] Vedremo oltre la rilevanza di questa qualificazione per gli immobili appartenenti allo Stato ed agli altri enti territoriali.
[11] Con d.p.r. 7 settembre 2000, n. 283.
[12] Si tratta della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (art. 32).
[13] Il cui art. 24 prevedeva che potesse essere autorizzata "l'alienazione di cose di antichità e d'arte, di proprietà dello Stato o di altri enti o istituti pubblici, purché non ne derivi danno alla loro conservazione e non ne sia menomato il pubblico godimento"
[14] Peraltro solo a certe condizioni e cioè, tra l'altro, purché "dall'alienazione stessa non derivi danno alla loro conservazione e non ne sia menomato il pubblico godimento". Si noti come, quando si tratti di alienazione di beni culturali appartenenti a persone giuridiche private senza fine di lucro, sia diversamente formulata la condizione cui è sottoposto il rilascio dell'autorizzazione, che è infatti "concessa qualora non ne derivi un grave danno alla conservazione o al pubblico godimento dei beni" (art. 55, comma 3, Tubca).
[15] In verità potrebbe sorgere qualche dubbio su quali beni comprenda quest'ultima categoria, dal momento che l'art. 822 parla di immobili non solo d'interesse storico ed artistico ma anche archeologico così che si potrebbe pensare che l'inalienabilità non concerna questi ultimi. Peraltro, visto che l'art. 54 qualifica come "demanio storico, artistico, archivistico e bibliografico" l'insieme dei "beni culturali indicati nell'art. 822 del codice civile" pare necessario ricomprendere tra i beni del demanio storico e artistico anche gli immobili d'interesse archeologico - e per altro verso ricomprendere nel demanio archivistico e bibliografico quell'insieme di altri beni culturali che l'art. 822 c.c. menziona come "raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche". In conclusione parrebbe possibile autorizzare l'alienazione dei soli beni di interesse demo-etno-antropologico e di quelli particolarmente importanti per riferimenti storici.
[16] Infatti l'articolo 2, comma 1, del d.p.r. 283/2000. stabilisce che: "Gli immobili indicati nell'articolo 1, comma 1, sono inalienabili quando siano: a) beni riconosciuti, con provvedimento avente forza di legge, monumenti nazionali; b) beni di interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera b), del Tubca...; c) beni di interesse archeologico; d) beni che documentano l'identità e la storia delle istituzioni pubbliche, collettive, ecclesiastiche, riconosciuti con decreto del m ministro...".
[17] Che riguarda gli immobili del demanio storico-artistico tanto dello Stato, che delle regioni, delle province e dei comuni.
[18] Cioè: a) le installazioni militari e le caserme edificate con tale destinazione; b) gli edifici utilizzati per alloggiare i militari e le loro famiglie; c) i magazzini; d) i depositi di munizioni ed esplosivi, i depositi di carburante; e) le stalle; f) i poligoni di tiro e le aree addestrative.
[19] Definizione, come è noto, introdotta, per così dire, ufficialmente in Italia nel 1967 dalla Commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione delle cose d'interesse storico, archeologico, artistico e del paesaggio, conosciuta come Commissione Franceschini, sulla quale v. le notizie fornite dal fondamentale scritto di M.S. Giannini, I beni culturali, in RTDP 1976, 1 ss.
[20] V. art. 295 TrCE.
[21] V. l'art. 4 del testo riportato in P. Pizza, La società per azioni "Patrimonio dello Stato Spa": profili di organizzazione e funzionamento, nota 11, in Aedon, n. 3/2002.
[22] Si ricordi che la Pspa è istituita direttamente dalla l. 112/2002. "Le [sue] azioni sono attribuite al ministero dell'Economia e delle Finanze. Il ministero può trasferire a titolo gratuito la totalità delle azioni, o parte di esse, ad altre società di cui il ministero detenga direttamente l'intero capitale sociale" ed essa "opera secondo gli indirizzi strategici stabiliti dal ministero, previa definizione da parte del Cipe delle direttive di massima". Per quanto non esplicitato, è da escludere che nell'ipotesi di trasferimento di azioni ad altra società a totale capitale statale quest'ultima possa poi disporre liberamente delle azioni, giacché altrimenti non si comprenderebbe perché altrettanto non possa fare anche la Pspa. Per altre implicazioni che ha la effettiva natura giuridica di questa Pspa v. A. Brancasi, La cartolarizzazione dei beni pubblici di fronte all'ordinamento comunitario, in questo stesso numero.
[23] Per esempio, è controversa la natura dei beni oggi appartenenti alla Spa Ferrovie dello Stato in conseguenza della privatizzazione (v. l. 429/1907, l. 210/1985, d.l. 333/1992, l. 359/1992, delib. Cipe 12 giugno e 12 agosto 1992) e in origine costituenti il c.d. demanio ferroviario (v. infatti la giurisprudenza citata nella nota di richiami a Trib. Caltanissetta, ordin. 15 gennaio 2002, in Foro it. 2003, I, 671), ma anche assai recentemente è stato sostenuto che essi apparterrebbero al c.d. demanio accidentale: v. Cons. St., sez. IV, 14 dicembre 2002, n. 6923 (al momento non pubblicata). E' analogamente di incerta definizione il regime giuridico "degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinati alla produzione dei servizi pubblici" locali, la cui proprietà non può essere ceduta dagli enti locali ma può essere conferita "a società di capitali di cui [gli enti locali] detengono la maggioranza, che è incedibile" (art. 113, commi 2 e 13, d.lg. 267/2000, nel testo introdotto dall'art. 35 della l. 448/2001).
[24] Dei cui eventuali dubbi di costituzionalità non è il caso di occuparsi in questa sede.
[25] Basti ricordare l'art. 33, comma 2, lett. d) del d.lg. 80/1998 e l'art. 6 della l. 205/2000.
[26] Ormai soggetti privati possono essere titolari addirittura del più emblematico dei poteri autoritari, quello di espropriare. Infatti, l'art. 3 del Testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità, come modificato dal d.lg. 302/2002, definisce "autorità espropriante", in alternativa all'autorità amministrativa titolare del potere di espropriare, "il soggetto privato, al quale sia stato attribuito tale potere, in base ad una norma".
[27] Data la già deprecata cattiva qualità della stesura del testo normativo in questione, appare possibile interpretare il rinvio che il comma 12 dell'art. 7 della l. 112/2002 fa alle modalità del trasferimento previste dal comma 10 della stessa, come riferito alla disposizione secondo la quale "Il trasferimento può essere operato con le modalità e per gli effetti previsti dall'art. 3, commi 1, 16, 17, 18 e 19" della l. 410/2001, limitatamente alle norme richiamate che riguardano modalità e non effetti. La direttiva del Cipe (v. la precedente n. 23) del 19 dicembre 2002 ha stabilito, a proposito dei beni di particolare valore storico, artistico, culturale ed ambientale, che "il loro trasferimento alla società non modificherà in alcun modo i vincoli gravanti su di essi. La loro alienazione potrà avvenire esclusivamente se (e nelle modalità in cui) la legge lo consente e in ogni caso previa autorizzazione del ministero per i Beni e le Attività culturali o del ministero per l'Ambiente e la tutela del Territorio" (come riferisce P. Pizza, op. cit., nota 12).
[28] V. sopra, § 10.
[29] Dopo che il regolamento del 2000 ha inserito i beni di particolare importanza per i riferimenti storici tra i demaniali inalienabili (v. sopra nel testo), sembrerebbe ormai trattarsi soltanto degli immobili di interesse demo-etno-antropologico, i quali, costituendo l'altra categoria di immobili, diversi da quelli demaniali, definiti beni culturali dall'art. 2, comma 1, Tubca, erano da considerarsi alienabili ai sensi dell'art. 55 Tubca.
[30] Entrato in vigore dopo il testo unico e ben prima della l. 410/2001, che non dispone alcuna deroga alle sue norme.
[31] In forza del rinvio operato alla disposizione che ciò prevede nel d.l. 351/2001) (art. 7, comma 10).
[32] V. sopra, § 3.