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L'organizzazione regionale per i beni e le attività culturali

di Claudia Tubertini


Sommario: 1. Le regioni di fronte alla nuova disciplina dei beni culturali: innovazioni introdotte e problemi aperti. - 2. L’organizzazione delle competenze regionali in materia di beni culturali: la composizione degli assessorati. - 3. (segue): le attuali articolazioni organizzative e le prospettive future.



1. Le regioni di fronte alla nuova disciplina dei beni culturali: innovazioni introdotte e problemi aperti

Tra i profondi mutamenti che hanno investito il ruolo delle regioni nella stagione di riforma avviata dalla legge n. 59 del 1997, un posto di particolare rilevanza rivestono quelli intervenuti nel settore dei beni e delle attività culturali, settore nel quale più di ogni altro le innovazioni operate sul quadro della ripartizione delle competenze hanno rappresentato solo una parte di un più complesso riassetto normativo.

Nella prospettiva delle regioni, tale stagione di riforma presenta tuttavia luci ed ombre. Infatti, se l’ampliamento degli spazi di intervento regionale, derivante dalla definizione estensiva delle attività rientranti nella responsabilità dei pubblici poteri contenuta nell’art. 148 del d.lg. 112/1998, e l’introduzione del principio della collaborazione necessaria tra Stato, regioni ed enti locali con riguardo alla gestione, alla valorizzazione ed alla promozione dei beni e delle attività culturali rappresentano elementi di sicuro apprezzamento del decreto, esso non pare invece aver risolto lacune ed ambiti di incertezza e di sovrapposizione di competenze derivanti dal precedente assetto normativo [1].

A tali intrinseci fattori di difficoltà si aggiungono inoltre i problemi connessi alla fase attuativa: si pensi, in primo luogo, alla peculiare natura delle norme in tema di beni culturali contenute nel d.lg. 112/1998, la cui decorrenza, per lo più svincolata dall’emanazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie, umane e strumentali ex art. 7 (attualmente in corso di pubblicazione per gli altri settori), presuppone ulteriori strumenti attuativi e canali di finanziamento. Si considerino, inoltre, le difficoltà riscontrate dalla Commissione paritetica, la quale, istituita ai sensi dell’art. 150 del decreto con il compito di definire l’elenco dei musei statali la cui gestione rimane allo Stato e di quelli da trasferire a regioni, province e comuni, è bloccata da tempo sul problema della attribuzione e delle forme di gestione dei più grandi e prestigiosi musei italiani: tanto che solo di recente si sono poste le premesse per una fattiva ripresa dei lavori, basata sulla ricerca di soluzioni differenziate su base regionale e sullo studio di possibili compartecipazioni gestionali.

In questo quadro, l’entrata in vigore del Testo Unico per i beni e le attività culturali non sembra avere apportato modifiche essenziali al sistema delineato dal d.lg. 112/1998, se è vero che la definizione del ruolo assegnato al sistema delle autonomie è stato identificato quale uno dei "fronti lasciati aperti" dal Testo Unico [2], che non ha potuto (né forse voluto) sovvertire l’impostazione della legge 1089/1939, intimamente collegata, sotto ogni profilo, alla presenza statale, e mancante della "considerazione autonomistica" [3].

A tali fattori, legati alle riforme intervenute nel settore in oggetto, si deve aggiungere l’ulteriore dato di complessità costituito dalla delicata fase costituente che si è aperta per le regioni per effetto dell’entrata in vigore della legge costituzionale n. 1/1999, che impone alle stesse una riflessione su quale ruolo debba rivestire, nei nuovi statuti, la materia dei beni culturali: senza trascurare il progetto di riforma del titolo V della Costituzione, ora all’esame delle Camere, la cui approvazione potrebbe portare rilevanti novità in tema di ripartizione delle competenze tra Stato e regioni.

Proprio all’insieme di questi elementi è, con tutta probabilità, da ricollegare la situazione di attesa su cui si sono assestate in prevalenza le regioni per quanto attiene l’adattamento dei propri assetti organizzativi. Se ciò appare quasi inevitabile per le regioni che non hanno ancora provveduto ad attuare il d.lg. n. 112/1998, anche nelle restanti regioni sembra prevalente la scelta di affidare alle strutture già esistenti (istituite ed organizzate per l’esercizio delle funzioni attribuite alle regioni dal d.p.r. 3/1972) le nuove competenze derivanti dalle recenti riforme, rinviando ad una fase successiva gli interventi di più radicale innovazione. Ciò sembra emergere, infatti, anche dalla legislazione regionale attuativa del d.lg. 112/1998, la quale, salvo alcuni casi, non disciplina i riflessi organizzativi connessi al quadro dei conferimenti [4].

Tuttavia, è innegabile che l’effettiva realizzazione dei nuovi compiti assegnati alle regioni, e, soprattutto, la realizzazione del principio della compartecipazione alle funzioni degli altri livelli di governo impongono un coerente riassetto della macchina organizzativa regionale, il cui grado di successo appare legato all’assetto organizzativo attuale ed alla prospettiva in cui viene collocato, nel programma di governo, il settore dei beni e delle attività culturali.

 

2. L’organizzazione delle competenze regionali in materia di beni culturali: la composizione degli assessorati

Tenendo conto di tali premesse, prima di passare all’analisi di alcuni tratti salienti dell’attuale organizzazione regionale delle competenze in materia, può essere interessante osservare come è stata delineata la ripartizione delle deleghe all’interno delle giunte regionali, rinnovate a seguito della prima elezione diretta dei Presidenti delle regioni a statuto ordinario, per verificare a quali ambiti di intervento sia stato associato il settore dei beni e delle attività culturali.

Per comprendere meglio questo dato, si deve considerare come l’organizzazione burocratica regionale sia strettamente connessa alla articolazione dei settori in seno all’organo esecutivo. Infatti, a differenza della tradizionale organizzazione ministeriale (dove ad un ministro corrisponde in linea di massima una determinata struttura ministeriale, a sua volta articolata in dipartimenti, direzioni generali o altre unità organizzative complesse), l’organizzazione regionale presenta un certo grado di flessibilità, in quanto le strutture sono sempre assegnate al medesimo assessore, ma sono di volta in volta composte e raggruppate in capo ai singoli componenti della giunta in base al contenuto delle deleghe disposte dal Presidente.

Alla luce di questi elementi, l’attribuzione ad uno stesso assessorato di più settori di intervento, incidendo sulla dipendenza funzionale delle strutture, appare il primo elemento rilevante dell’organizzazione, in quanto può considerarsi un indice rivelatore della diversa concezione dell’intervento regionale in materia di cultura. Il raggruppamento dei diversi settori di intervento tra gli assessorati potrebbe inoltre assumere ulteriore significato qualora le regioni, in sede di attuazione della riforma degli statuti, si muovessero nella direzione di un potenziamento delle funzioni individuali degli assessori regionali (superando in tal modo la piena collegialità dell’organo esecutivo propria dell’attuale assetto).

Anche tenendo conto della diversa dimensione delle giunte e quindi della maggiore o minore necessità di accorpare le deleghe, le soluzioni adottate dalle regioni si presentano, sotto questo profilo, abbastanza diversificate. Vi sono infatti, da un lato, regioni che inseriscono le competenze in materia di beni culturali nell’area dei servizi alla persona, secondo un chiaro criterio di connessione "ratione materiae". E’ il caso, ad esempio, della regione Emilia-Romagna, in cui è presente l’assessorato cultura, sport, progetti per i rapporti con i cittadini, e della Toscana, che comprende in un unico assessorato cultura, sport, rapporti con le comunità toscane all'estero e rapporti con le associazioni culturali giovanili. In alcuni casi, la delega alla cultura è connessa ai servizi sociali ed alle politiche della famiglia (si vedano Calabria, Molise, Liguria, ma anche Abruzzo, che riunisce in un unico assessorato sicurezza e promozione sociale, cooperazione sociale, famiglia, pari opportunità, politiche giovanili e promozione culturale), ovvero alle funzioni in materia di formazione e lavoro (Basilicata). Vi sono invece, d’altro lato, casi nei quali si è invece operata la scelta di attribuire una distinta ed autonoma rilevanza al settore in questione (cfr. ad es. Lombardia), nell’evidente intento di sottolineare fortemente l’impegno della regione nella valorizzazione, oltre che del patrimonio culturale regionale, della stessa identità culturale della regione (si veda l’assessorato "politiche per la cultura e l’identità veneta" della regione Veneto).

In altri casi, infine, le competenze in materia di cultura sono affiancate a settori a rilevanza economica, quasi a voler sottolineare la connessione tra tutela e valorizzazione dei bei culturali, promozione delle attività culturali e sviluppo economico del tessuto regionale. Così, ad esempio, beni culturali e turismo sono riuniti in un unico assessorato in Umbria ed in Puglia (è evidente, in questo caso, l’intento di connettere la promozione culturale allo sviluppo dell’offerta turistica); in Campania sono invece state raggruppate le deleghe in materia di beni culturali ed in materia di urbanistica, edilizia pubblica e abitativa (con un criterio di collegamento che in tal caso è piuttosto difficile da identificare).

 

3. (segue): le attuali articolazioni organizzative e le prospettive future

Se, come si è rilevato, l’articolazione degli assessorati appare piuttosto variegata, anche nell’organizzazione delle strutture burocratiche regionali si riscontrano diversi modelli organizzativi.

Del resto, si deve considerare che le modalità di gestione delle competenze in tema di beni ed attività culturali risentono delle scelte di fondo compiute da ciascun legislatore regionale nella definizione della propria articolazione organizzativa, sulle quali si registrano tuttora forti divari.

Infatti, ferma restando l’istituzione di enti dotati di autonomia funzionale o la partecipazione a società, associazioni o consorzi di enti pubblici, che spesso è ancora riservata, nella maggior parte degli statuti regionali, alla potestà legislativa del consiglio, l’attuale assetto delle strutture titolari delle funzioni in materia di beni ed attività culturali (componenti la cd. amministrazione regionale diretta) dipende in larga parte dalla maggiore o minore definizione legislativa del complessivo assetto organizzativo regionale, sua volta portato del maggiore o minore grado di sensibilità alle riforme dimostrata da ciascuna regione.

In effetti, accanto a regioni che nel corso degli anni ‘90 hanno proceduto ad una revisione delle proprie leggi di organizzazione, lasciando alla definizione legislativa solo l’individuazione delle macrostrutture, ed affidando la disciplina della restante parte dell’organizzazione a deliberazioni della giunta, vi sono ancora regioni dove la legge individua non solo l’articolazione e le competenze, ma persino la denominazione di tutte le unità organizzative. Ciò spiega, quindi, per qual ragione in alcune regioni la ripartizione delle competenze tra i singoli uffici appaia maggiormente frammentata, ovvero risenta ancora, almeno nella denominazione delle strutture, dell’impostazione tradizionale delle competenze regionali in materia, così come delineate dal d.p.r. 3/1972.

Volendo tracciare, a grandi linee, un quadro delle principali modelli organizzativi esistenti, si possono innanzitutto individuare due opzioni di fondo: la prima, prevalente, di organizzare le competenze in materia di beni culturali secondo il modello comune agli altri assessorati, con una o più macrostrutture (variamente denominate e corrispondenti, in linea di massima, ai grandi ambiti di intervento: beni - attività culturali) a loro volta ripartire in sottosettori (beni librari ed archivistici; musei e pinacoteche; spettacolo ed altre attività artistiche); la seconda, di affiancare alla tradizionale struttura servente della giunta strutture sganciate dall’organizzazione verticale delle competenze, e dotate di un certo livello di autonomia, mediante la creazione di unità di progetto, centri o veri e propri enti strumentali.

Nel primo modello organizzativo si colloca, ad esempio, la Direzione generale cultura della regione Lombardia, a cui è affidata, tramite l’articolazione delle proprie strutture (organizzate per ambiti di intervento: biblioteche, sistemi culturali integrati, musei, beni culturali, spettacolo ed attività culturali, formazione) la promozione ed il coordinamento della programmazione degli interventi culturali sul territorio; il sostegno agli interventi di conservazione, valorizzazione e documentazione dei beni culturali e l’indirizzo della loro gestione; la tutela del patrimonio librario e documentario; il coordinamento e la promozione di biblioteche, musei e sistemi culturali integrati; la promozione dello spettacolo e delle attività culturali, della sponsorizzazione e dell'investimento privato in cultura; la formazione, l'aggiornamento e la riqualificazione degli operatori culturali; il sostegno della ricerca applicata e dei progetti innovativi. Nello stesso modello organizzativo si colloca anche il Dipartimento delle politiche formative e dei beni culturali della regione Toscana, a sua volta articolato in un servizio biblioteche, musei ed attività culturali, in un servizio investimenti nei beni culturali, ed in un servizio spettacolo, ed il Dipartimento lavoro, formazione e servizi alla persona della regione Liguria, organizzato in un servizio programmi e strutture culturali ed in un ufficio promozione culturale. Analoga è anche la struttura della regione Piemonte ripartita in due distinte Direzioni (beni culturali e promozione delle attività culturali, istruzione e spettacolo), e della regione Puglia, articolata in tre settori (promozione culturale, musei e beni culturali, biblioteche).

Nella definizione degli ambiti assegnati alle articolazioni organizzative interne, peraltro, si possono ulteriormente distinguere le strutture in cui la ripartizione dei compiti è strettamente connessa alla natura dei beni o alle tipologie di attività e quelle ispirate invece (almeno nell’attribuzione formale delle competenze) ad una visione unitaria della promozione culturale (si veda, ad esempio, la struttura di progetto della regione Basilicata denominata "modernizzazione dei servizi culturali").

All’interno di questo fondamentale modello è possibile inoltre individuare una ulteriore differenziazione nella collocazione delle strutture: in alcuni casi infatti, alla sede centrale sono stati affiancati uffici periferici, dislocati nel territorio regionale. Ne costituisce un esempio la regione Abruzzo, in cui accanto al Servizio promozione culturale della giunta regionale operano 16 centri di servizi culturali, collocati nelle diverse aree del territorio regionale. Nel quadro del profondo rinnovamento sia del quadro legislativo regionale che delle competenze gestionali dei vari enti territoriali in materia di promozione culturale, la costituzione di tali centri punta in maniera evidente alla individuazione di sedi raccordo tra i diversi attori sociali che agiscono nel campo della cultura per il raggiungimento degli obiettivi indicati nella programmazione regionale.

Passando al secondo dei modelli organizzativi sopra delineati, caratterizzato dalla presenza di strutture autonome, l’analisi di alcune esperienze regionali evidenzia anche in tal caso la presenza di soluzioni differenziate. La scelta della creazione di una apposita struttura è stata operata dalla regione Marche, con l’istituzione del Centro Regionale per i Beni Culturali, il quale garantisce la conservazione, la conoscenza e la valorizzazione dei beni culturali e naturali. Il funzionamento del Centro, regolamentato dalla l.r. 6/1983, si struttura in 3 uffici: biblioteche e archivi (che svolge attività di ricerca e promuove il censimento in materia di biblioteche, archivi storici e beni librari, la catalogazione e l'inventariazione del patrimonio bibliografico; predispone criteri di indirizzo per l'ordinamento dei sistemi bibliotecari locali; attua interventi di tutela, salvaguardia e conservazione del patrimonio librario e manoscritto; promuove e coordina la formazione e l'aggiornamento del personale tecnico scientifico); musei e pinacoteche (il quale collabora ad attività di ricerca, censimento e inventariazione dei musei locali e di interesse locale e del patrimonio in essi conservato, nonché alla valorizzazione e conservazione del patrimonio artistico e culturale); beni cine-audiovisivi, documentazione, mostre e convegni.

Ulteriori esempi di strutture separate sono costituiti dai Centri di documentazione, istituiti da numerose regioni con la finalità di raccogliere ed utilizzare le conoscenze sul patrimonio culturale regionale e di costituire archivi automatizzati dei beni culturali della regione che consentano la conservazione e la fruizione organica di tutte le informazioni risultanti dall’attività di ricerca e catalogazione dei beni culturali, svolta dagli enti preposti (Soprintendenze, Regione, Università): si vedano il Centro regionale di catalogazione e documentazione delle Marche (CRCD), ed il relativo sistema informativo regionale per il patrimonio culturale (s.i.r.pa.c.), nonché gli analoghi centri di documentazione del Veneto e del Lazio.

Tra le regioni che hanno optato per la scelta di strutture operative autonome, un posto di particolare rilevanza riveste la regione Emilia-Romagna, che esercita le proprie funzioni in materia di beni culturali tramite l'Istituto regionale per i beni artistici, culturali e naturali (IBC), istituito nel 1974, e riordinato e rinnovato con la l.r. 29/1995. L'istituto - definito dalla legge quale organo tecnico - scientifico e strumento della programmazione della regione Emilia-Romagna nel settore dei beni artistici, culturali e naturali - ha personalità giuridica, autonomia statutaria e finanziaria ed opera con autonomia scientifica, organizzativa, amministrativa e contabile. Quanto alle attribuzioni, esso opera nel campo della valorizzazione e la conservazione dei centri storici e di ogni funzione relativa ai beni artistici, culturali e naturali, prestando in tali campi la propria consulenza alla regione e agli enti locali; esercita altresì le funzioni amministrative di competenza regionale relative alla materia dei musei e biblioteche di enti locali, recentemente riformata dalla l.r. 18/2000. Dal 1983 fa parte dell'istituto la Soprintendenza regionale ai beni librari e documentari che gestisce gli interventi per le biblioteche e gli archivi storici, cui si affianca il Centro di documentazione e la biblioteca.

Dall’esame degli orientamenti più recenti del legislatore regionale vi è infine da registrare un più frequente ricorso, da parte delle Regioni, a formule organizzative di diritto privato per la realizzazione degli interventi di promozione, conservazione e valorizzazione di notevole rilevanza economica, quali strumenti non alternativi, ma aggiuntivi alle tradizionali modalità di svolgimento dei compiti nel settore. Esempio emblematico di tale direzione è la costituzione, da parte della regione Emilia- Romagna, di AICER S.p.a., società a totale partecipazione pubblica per la realizzazione di iniziative culturali (quali mostre d’arte, eventi espositivi e simili); tale modello di intervento è previsto anche dalla recente legislazione della regione Abruzzo.

Le iniziative sopra indicate non costituiscono che alcuni esempi delle possibili nuove modalità di intervento delle regioni nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di beni culturali. Infatti, proprio l’attuazione del citato principio di compartecipazione tra i diversi livelli di governo impone alle regioni il superamento del tradizionale binomio strutture serventi interne - enti ed istituti dipendenti. In questa direzione stanno prendendo corpo alcune interessanti iniziative, come l’istituzione, da parte della regione Piemonte, di una apposita struttura di progetto destinata alla realizzazione, in collaborazione con il ministero per i Beni culturali, la provincia e i due comuni interessati, del restauro della Venaria reale. In questa stessa direzione si colloca la proposta, recentemente avanzata dalla Conferenza degli Assessori dei beni culturali, di istituire con il ministero per i beni culturali, il ministero dell’Università e ricerca scientifica e le Università, un consorzio (ovvero una società o una fondazione) per l’erogazione dei servizi bibliotecari e la promozione di iniziative innovative, anche di tipo imprenditoriale, rivolte direttamente agli utenti ed agli operatori della società dell’informazione.

Del resto, proprio la nuova definizione unitaria di bene culturale quale "testimonianza avente valore di civiltà", affermata nel d.lg. 112/1998 - superando la concezione patrimoniale del bene culturale che finora vigente - sposta il fulcro dell’intervento pubblico dalla tutela del valore materiale del bene alla garanzia della funzione immateriale che esso svolge in favore di chi ne usufruisce, richiedendo quindi alle regioni un corrispondente impegno nella direzione della innovazione, non solo legislativa, ma anche amministrativa.



Note

[1] Cfr. G. Pitruzzella, Articolo 148, in Lo Stato Autonomista, a cura di G. Falcon, Bologna, 1998, 495.

[2] C. Barbati, Nuova disciplina dei beni culturali e ruolo delle autonomie, in Aedon, 1/2000.

[3] Sui caratteri della legge n. 1089 del 1939 cfr. M. Cammelli, Riordino istituzionale dei beni culturali e dello spettacolo in una prospettiva federalista, in Le istituzioni del federalismo, 1997, 279; G. Clemente di S. Luca, Prospettive di trasformazione autonomistica e riflessi nel settore dei beni culturali, in Le istituzioni del federalismo, 1997, 382.

[4] Cfr. più diffusamente G. Marchi, I beni e le attività culturali nelle scelte del legislatore regionale, in questo numero.



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