Sommario: 1. Il Giubileo del 2000: multidimensione e interconnessioni. - 2. Evento giubilare e flussi turistico-religiosi. - 3. Alcuni interventi regionali: cooperazione con le autorità ecclesiastiche e valorizzazione della dimensione culturale del turismo religioso. - 4. I percorsi turistico-religiosi e la loro configurabilità come beni culturali. - 5. L'art. 148 del d.lg. 112/1998 e la smaterializzazione dei beni culturali.
A lungo a lungo a lungo suonarono le campane di tutte le chiese di Roma la mattina del 24 dicembre 1899: la città era immersa in un festoso accavallarsi di onde sonore. Leone XIII inaugurava in San Pietro l'anno santo: lontano ricordo, quello della festività che il nome evocava: giacchè nell'ultimo anno santo, nel 1875, ogni solennità esteriore era stata omessa, e così in quello del 1850 iniziatosi con Pio IX ancora esule a Gaeta. Pure per i più vecchi tra i romani, quello che si apriva con la ordinata serie di pellegrini, che nessuno avrebbe turbato, sarebbe stato un anno santo senza raffronti.
A. C. Jemolo, Chiesa, e Stato in Italia negli ultimi cent'anni, Torino 1990, 361.
1. Il Giubileo del 2000: multidimensione e interconnessioni
Turismo e beni culturali possono essere presentati come due questioni la cui analisi congiunta, oltre che opportuna, potrebbe proporsi come la via privilegiata per una loro coerente comprensione. Non a caso nel recente d.lg. 112/1998 non mancano i richiami a questa interconnessione. In esso poi l'art. 148, comma 1, lett. a), con la formulazione di una definizione di bene culturale che comprende anche quei beni che vengano riconosciuti dalla legge costituenti "testimonianza avente valore di civiltà", non solo amplia i confini del settore ma, in ragione della sua formulazione, apre la strada ad interpretazioni foriere di novità. Tra queste anche il venir meno della necessaria "materialità" dei beni culturali, ipotesi che se accertata potrebbe permettere la riconduzione all'interno di questa categoria di eventi ed itinerari turistici e tra questi anche quelli religiosi. Questi ultimi sono oggi al centro dell'attenzione anche in ragione dei numerosi interventi legislativi predisposti per la celebrazione del prossimo Giubileo del 2000.
Il Grande Giubileo del 2000 sarà uno degli eventi caratterizzanti dell'avvento del Terzo millennio. Pur non tralasciando la sua vocazione universale, l'impatto sulla società italiana assume, anche nello specifico giuridico, un peso qualificante e ciò non solo per la presenza di Roma e del Vaticano nel territorio italiano, ma anche e soprattutto per i riverberi ed il coinvolgimento di settori e questioni particolarmente sensibili per la nostra società [1].
Il movimento di fedeli previsto sull'intera penisola, che si protrarrà auspicabilmente per tutta la durata dell'Anno Santo, interessando Roma e le più importanti mete turistiche e religiose italiane, comporterà inevitabili problemi di ordine logistico-organizzativo. In prima battuta, dunque, gli interventi legislativi legati all'evento giubilare si sono concentrati sul potenziamento di infrastrutture e servizi, al fine di prevenire eventuali disfunzioni e favorire un suo svolgimento il più corretto possibile.
Non sono comunque mancate le iniziative finalizzate a mettere a frutto le potenzialità economiche insite in esso, in particolar modo nel settore del turismo; e se la logica che ha guidato questo tipo d'intervento è stata inevitabilmente quella della spesa, si è potuto notare - specie nella legislazione di produzione regionale - un'attenzione alla programmazione, tesa ad interpretare l'occasione del Giubileo in una prospettiva che tenesse conto della sua multidimensionalità: evento religioso, turistico e storico-culturale.
Intanto la dimensione religiosa che è ovviamente aspetto imprescindibile [2]. L'evento giubilare è anzitutto un momento spirituale che propone al populus Dei un pellegrinaggio penitenziale [3]. In questo contesto essa rileva, comunque, nella misura in cui interconnettendosi con le altre due produca, una qualche forma di vincolo - legale o di mera opportunità - per l'operatività degli organismi statali.
Ed è proprio in ragione di ciò che l'insieme degli interventi sviluppatisi nella fase preparatoria è stato approntato attraverso un'ampia collaborazione tra gli organismi confessionali e statali competenti ai vari livelli territoriali e funzionali. Sin dal mese di marzo del 1995 è stata così istituita, con uno scambio di note tra governo italiano e Santa Sede, la commissione mista per il Giubileo al fine di "facilitare l'indispensabile collaborazione" tra i rappresentati delle due parti, prima di una serie di ulteriori commissioni istituite in questa fase preparatoria [4].
Ma non è l'insieme di detti interventi l'oggetto di questa riflessione [5], anche se ad essi sarà necessario riferirsi, bensì le implicazioni derivanti dalle due ulteriori caratteristiche proprie del Giubileo, quelle di evento turistico e culturale.
Anzitutto per analizzare il collocarsi delle questioni legate alla sua gestione nel più ampio assetto normativo che regolamenta il settore del "turismo religioso". Inoltre per saggiare, come già accennato, la possibilità di riconduzione di questo genere di eventi e più in particolare degli itinerari turistico-religiosi alla più ampia categoria dei beni culturali.
2. Evento giubilare e flussi turistico-religiosi
L'essenza religiosa del Giubileo sta nella "riconciliazione", nel percorso spirituale di conversione e pentimento; ed il cammino verso i luoghi santi, la cui visita conclude questo itinerario salvifico, vuole dare ad esso anche una rappresentazione materiale. Implica dunque uno spostamento dalle normali sedi di residenza che oggi difficilmente potrà rimanere incontaminato da possibili risvolti turistici e/o culturali.
Il percorso giubilare finisce così coll'acquisire anche una valenza turistica e quindi un coinvolgimento nelle problematiche proprie del turismo religioso. Anzi si può affermare che l'avvicinarsi del Grande Giubileo del 2000 ha promosso e consolidato l'attenzione del legislatore verso questo settore, con una parziale modifica delle prospettive di intervento che fino ad ora avevano inserito gli aspetti religiosi delle attività turistiche nell'ambito del così detto turismo sociale.
Le motivazioni di questa scelta possono intravedersi seguendo, per sommi capi, l'evoluzione della legislazione sul turismo [6]. Si possono prendere le mosse dal concetto giuridico di turismo inteso come insieme di relazioni socioculturali ed economiche originate dal viaggio o dal soggiorno temporaneo in luoghi diversi dalla normale residenza [7].
In origine era l'arricchimento culturale la motivazione principale del turista, più recentemente ad essa se ne affianca ed integra un'ulteriore: quella del riposo [8]. E proprio questo porre l'accento sul turismo come momento di riposo psicofisico, conseguente al quotidiano sforzo lavorativo, ha comportato un allargamento d'orizzonte che ha permesso il superamento di una sua concezione elitaria e la trasformazione in un vero e proprio fenomeno di massa [9].
Questo passaggio ha indotto lo svilupparsi, accanto alla normativa privatistica che si interessava dell'attività contrattuale, di un insieme di disposizioni dirette alla predisposizione di un'ampia struttura di organismi pubblici per il governo e la promozione del settore [10]. Ad esse sono seguiti, sulla scia dell'aumento delle attività statuali in favore delle categorie deboli, quegli interventi indicati con il termine di norme sul turismo sociale diretti a favorire lo sviluppo e l'accesso al turismo anche a quei soggetti (giovani, lavoratori, pensionati, ecc.) che per le loro disagiate condizioni economiche avrebbero potuto incontrare difficoltà [11].
La dimensione religioso-culturale del turismo, forse a causa di una iniziale regolamentazione che la accomunava al turismo sociale [12], a torto o a ragione, si è venuta sviluppando in quest'ultimo ambito. I due fenomeni non sono, però, immediatamente assimilabili: il primo è legato ad un dato strettamente soggettivo (una condizione di disagio economico da superare), il secondo, viceversa, è fortemente oggettivizzato in ragione delle finalità spirituali che lo motivano.
Il legislatore comunque consapevole di queste diversità, più che tramite una mera giustapposizione del secondo al primo, opportunamente, ha operato attraverso un allargamento delle finalità da ricondurre all'interno del turismo sociale.
Si è così passati dalla dizione contenuta nell'art. 1 della l. 326/1958 - ove erano regolamentati i complessi ricettivi complementari a carattere turistico - sociale [13] - che restringeva le motivazioni dell'intervento statale al soddisfacimento delle "esigenze del turismo sociale e giovanile", alla più ampia formula dell'art. 10 della l. 217/1983 (Legge quadro sul turismo) che ad esse aggiunge il perseguimento di finalità ricreative, culturali e religiose [14].
La legislazione regionale di attuazione che ne è seguita ha manifestato, fin dai primi interventi, l'esigenza di individuare situazioni particolari nelle quali la presenza dell'elemento religioso richiedeva una regolamentazione distinta, non solo dalle generiche attività turistiche, ma anche da quelle - già disciplinate in forma speciale - svolte dai soggetti attivi del turismo sociale [15]. Basti ad esempio ricordare l'assenza di richiesta di autorizzazione, prevista da alcune regioni, per l'organizzazione di pellegrinaggi ad opera delle parrocchie [16]o la gestione di attività ricettiva in case per esercizi spirituali ad opera di enti ecclesiastici [17].
La conseguenza di questa consapevolezza ha finito col generare un ulteriore settore di specialità, ritagliato sulle esigenze derivanti dalle implicazioni religiose nel comparto turismo. E se la sua enucleazione ha permesso l'attribuzione di ambiti di libertà operativa in favore dei soggetti che in esso svolgono la propria attività (associazioni senza scopo di lucro nazionali e/o regionali o locali, enti ecclesiastici, ecc.), ha però finito col limitare le tematiche turistico-religiose entro quelle proprie del turismo sociale.
Volendo dunque proporre una definizione giuridica di turismo religioso, si può ipotizzare che con tale termine si intende riferirsi a tutte le relazioni giuridiche afferenti al fenomeno socio-economico caratterizzato dal viaggio o dalla permanenza in luoghi diversi da quello di normale residenza motivate da un fine religioso (turismo religioso oggettivo o in senso stretto) o quando, pur mancando una motivazione religiosa, riguardino espressamente soggetti religiosi (turismo religioso soggettivo o in senso lato).
Con essa vengono recuperati non solo quegli ambiti chiaramente emergenti da una stretta ricognizione delle disposizioni legislative oggi vigenti in tale settore, ma anche aspetti fino ad ora di confine e tra questi gli interventi di promozione e valorizzazione di eventi e di flussi turistico-religiosi. Ciò non può però significare un allargamento ingiustificato del settore e la vicenda legislativa legata al Giubileo del 2000 è da questo punto di vista eloquente. Infatti, non tutta la produzione normativa ad esso connessa può essere ricondotta all'interno della definizione or ora proposta di turismo religioso.
E' però evidente che essa, come già ricordato, ha giocato un ruolo decisivo nella presa di coscienza da parte del legislatore italiano dell'importanza che il fenomeno turistico-religioso e che eventi come il Giubileo, opportunamente programmati, possono significare occasioni di sviluppo economico e culturale.
3. Alcuni interventi regionali: cooperazione con la Chiesa cattolica e valorizzazione della dimensione culturale del turismo religioso
In questo quadro ben si inseriscono parte degli interventi operati a livello regionale per la realizzazione dell'evento giubilare. Da essi emergono con chiarezza gli aspetti caratterizzanti l'attuale atteggiamento del legislatore in questo campo: la collaborazione tra Stato e Chiesa cattolica e la propensione al coinvolgimento ed alla sovrapposizione tra dimensione turistica dell'evento e implicazioni culturali.
Emblematico in tal senso appare l'art. 1 della l.r. Marche 30 luglio 1997 n. 46 Interventi della regione per il grande Giubileo del 2000 con il quale la regione dichiara di voler promuovere, un piano di intervento per la valorizzazione del patrimonio artistico, culturale e religioso della regione e al fine di favorire contemporaneamente l'afflusso di pellegrini a Loreto.
La norma che tiene separate le due finalità, riconosce implicitamente la doppia valenza dell'evento giubilare. Allo stesso tempo, però, sottolinea la strumentalità della prima rispetto alla seconda: si promuovono flussi turistici-religiosi attraverso la valorizzazione del patrimonio culturale di interesse religioso della regione.
La predisposizione del programma di iniziative da porre in essere per il raggiungimento di tali finalità è di competenza della giunta regionale, ma essa ai sensi dell'art. 3 "si avvale del Comitato regionale, istituito con il protocollo d'intesa tra Regione Marche e Regione Ecclesiastica Marchigiana, siglato il 4 giugno 1996" [18].
Maggiormente articolata si presenta la l.r. Liguria 11 settembre 1997, n. 39 Interventi della Regione Liguria in occasione del giubileo dell'anno 2000. L'art. 1 di questa, infatti, accanto alla valorizzazione culturale e turistica, indica quale scopo principale da affiancare agli interventi in favore del Giubileo quello di "consolidare nel tempo flussi di turismo religioso" con la promozione di iniziative che permettano l'inserimento del territorio regionale "nei circuiti nazionali ed internazionali del turismo culturale e religioso".
Qui è evidente il passaggio di prospettiva nell'approccio al fenomeno del turismo religioso che viene ora affrontato in forma dinamica e propositiva e non più come settore residuale protetto, senza peraltro tralasciarne le implicazioni culturali.
Di questa nuova elaborazione risente fortemente anche l'articolazione della commissione paritetica istituita dall'art. 8 tra regione Liguria e Conferenza episcopale ligure che si propone quale vero centro propulsivo sia per l'elaborazione sia per l'attuazione delle iniziative comuni da intraprendere.
Tra queste ultime, due in particolare paiono destinate a superare l'evento giubilare, rispondendo più delle altre all'esigenza di consolidamento di "flussi di turismo religioso" di cui all'art. 1: la realizzazione di itinerari religiosi sul territorio regionale (art. 8, comma 1, lett. b)) e la formazione di operatori specializzati per il turismo religioso (art. 8, comma 1, lett. c))
La seconda non può che essere letta in parallelo con quanto stabilito dalla legge quadro sul turismo per l'esercizio delle così dette professioni turistiche ed in particolar modo per quelle di guida turistica e di accompagnatore turistico [19], figure che più sembrano necessitare di una specifica preparazione.
Tali professioni possono essere svolte solo da soggetti che abbiano conseguito una specifica idoneità con il superamento di un esame (a volte preceduto da appositi corsi che le singole regioni predispongono) volto all'attribuzione di una abilitazione all'esercizio di esse [20]. La normativa ligure di riferimento ( l.r. Liguria 25 gennaio 1993 n. 6 Norme per l'esercizio della professione di guida turistica, guida naturalistica, interprete turistico, accompagnatore turistico), come per altro quella delle altre regioni, non prevede un approfondimento delle tematiche religiose connesse ai beni culturali, come bagaglio di conoscenza di queste professionalità.
L'impegno previsto dalla l.r. Liguria 39/1997, dunque, non può che considerarsi positivo [21] e dimostra non solo la consapevolezza della rilevanza del settore turistico-religioso ma anche della necessità di un approccio specialistico al settore.
Quanto alla predisposizione di itinerari religiosi sul territorio regionale, la sua trattazione consente di effettuare un'utile connessione tra dimensione turistica e dimensione culturale del Giubileo. Quest'ultimo, in una certa qual misura, può essere qualificato esso stesso come itinerario religioso e per le ragioni già ricordate anche itinerario turistico.
L'art. 8, comma 1, lett. b) della l.r. Liguria n. 39/1997, a dire il vero, tratta esclusivamente della realizzazione di itinerari e non anche della loro valorizzazione. In effetti, si può preliminarmente distinguere tra l'attività ricostruttiva degli itinerari turistico-religiosi e la successiva individuazione, codifica ed eventuale promozione e tutela degli stessi.
La prima operazione, alla quale fa riferimento la norma in parola, è attività di valorizzazione (del patrimonio culturale e spirituale) con dirette ripercussioni sulla promozione turistica del territorio interessato. Una volta che tale compito venga portato a termine, esso darà vita ad un quid - l'itinerario turistico-religioso - oggetto, a sua volta, di quelle attività che all'art. 8.1. lett. a e lett. d vengono rispettivamente definite come "manifestazioni ed iniziative atte a valorizzare il patrimonio storico, artistico e monumentale di interesse religioso" e "azioni di formazione e di divulgazione". Il tracciato di un itinerario individua un percorso ideale che coinvolgerà determinati beni materiali di interesse religioso.
Così come in un museo possono essere approntati percorsi tematici che permettono al visitatore di meglio cogliere nell'insieme un messaggio artistico e culturale, non percepibile dalla osservazione estemporanea delle singole opere, allo stesso modo l'itinerario turistico religioso servirà a disegnare i confini di un museo a cielo aperto. Quanto poi alle idee poste alla base per il progetto di questo (es. la vita e/o l'attività di un santo, l'operare di una comunità religiosa in un determinato territorio, un particolare pellegrinaggio, ecc.), non si può escludere che alcune di esse configurino "testimonianze avente valore di civiltà".
Questa opera di enucleazione potrebbe astrattamente interessare oltre che itinerari turistici, ogni forma di evento celebrativo (e tra essi anche il Giubileo). Il fattore religioso finirebbe col rappresentare un elemento meramente descrittivo, utile alla individuazione della sussistenza del carattere di "valore di civiltà", ma senza che il suo richiamo intacchi il principio di laicità dello Stato [22].
Non si può, infatti, negare il contributo dell'elemento spirituale alla determinazione del patrimonio storico-culturale di una comunità, concetto questo aperto all'apporto di valori provenienti da quelle culture che trovano di volta in volta cittadinanza in una società aperta e pluralista quale quella italiana. Naturalmente non ogni evento e non ogni itinerario turistico (religioso), può integrare la fattispecie di "valore di civiltà" la cui sussistenza comporta una valutazione aggiuntiva rispetto alla mera ricostruzione dello stesso.
Prima di affrontare la praticabilità di questa ipotesi attraverso l'analisi dell'art. 148 del d.lg. 112/1998 occorre ricordare che oltre agli interventi legislativi, sempre a livello regionale sono state predisposte alcune intese con le rispettive rappresentanze delle regioni ecclesiastiche sempre relative alla gestione dell'evento Giubileo 2000.
Al di là della loro natura giuridica, dal punto di vista dei contenuti, questi atti, oltre che presentarsi spesso come pedisseque ripetizioni, sembrano ricalcare quanto fino ad ora sottolineato circa l'impegno alla valorizzazione del patrimonio artistico monumentale di interesse religioso, la predisposizione di itinerari religiosi e la formazione di operatori specializzati nel turismo religioso [23].
4. I percorsi turistico-religiosi e la loro configurabilità come beni culturali
Dunque giubileo ed itinerari turistici religiosi oltre a svolgere un ruolo rilevante all'interno del settore turistico religioso, e perciò diventare oggetto di interventi normativi, sono funzionalmente legati anche al settore dei beni culturali. Non a caso la bozza di intesa tra il ministero per i Beni culturali e ambientali e la Conferenza episcopale italiana per l'attuazione degli indirizzi previsti dall'art. 12 dell'accordo di revisione del Concordato lateranense del 1984, proposta dall'apposita commissione bilaterale istituita dalle due parti [24], includeva tra gli argomenti anche i pellegrinaggi (art. 15).
Il suo mancato inserimento nell'Intesa poi firmata il 13 settembre 1996 ed entrata in vigore con il dpr 26 settembre 1996, n. 571 [25], pur giustificato in ragione della riferibilità dell'art. 12.1, comma 2 dell'accordo ai soli beni culturali d'interesse religioso di proprietà ecclesiastica, non può essere interpretato come un rifiuto inappellabile di accomunare particolari celebrazioni religiose o percorsi religiosi ai beni culturali [26].
Il primo, ed apparentemente insormontabile, ostacolo per l'accoglimento di simile ricostruzione starebbe nell'impossibilità di rinvenire in questi casi quella materialità che fino ad ora ha contraddistinto, in maniera determinate, il concetto di bene culturale. La definizione che di questi è stata proposta dal recente d.lg. 112/1998, sembrerebbe aprire nuove prospettive d'analisi, tanto da potersi ipotizzare una messa in discussione della irrinunziabilità di questo requisito quale elemento costitutivo di un bene culturale.
Intanto pare opportuno notare che, pur sottolineando l'interesse che il Capo V del Titolo IV del d.lg. 112/1998 [27] presenta per i beni culturali d'interesse religioso, le norme ivi contenute non sembrano mettere in discussione l'assetto pattizio di questa materia così come emerge dalla lettura sistematica dell'art. 12 dell'Accordo con la Chiesa cattolica del 1984 e della ricordata intesa stipulata tra Conferenza episcopale italiana e ministero per i Beni culturali (non vanno in ogni caso dimenticate le disposizioni contenute nelle intese con alcune confessioni religiose di minoranza [28]).
Questo trova un suo punto fermo nel principio di collaborazione enunciato nel comma 1 dell'art. 12 dell'accordo del 1984 e la cui attuazione, senza mettere in discussione la competenze esclusiva dello Stato, deve garantire una maggiore protezione e valorizzazione dei beni culturali di interesse religioso [29].
In sintonia con esso, il d.lg. 112/1998 correttamente interviene unilateralmente introducendo novità sostanziali nella regolamentazione dei beni culturali compresi quelli d'interesse religioso. Allo stesso tempo all'art. 154, nell'istituire in ogni regione a statuto ordinario una commissione per i beni e le attività culturali [30], dispone che di essa faccia parte un membro nominato dalla conferenza episcopale regionale [31].
Qui non si può che criticare la mancata previsione della presenza in detto organismo di rappresentanti delle confessioni religiose di minoranza; né può essere invocata, a parziale giustificazione, dell'esclusione la dimensione regionale dell'organismo. Se, infatti, la diffusione non uniforme delle confessioni religiose di minoranza sul territorio nazionale consente di escludere una loro rappresentanza generalizzata, non giustifica però il loro mancato coinvolgimento in quelle realtà regionali ove alcune di esse possono vantare una presenza consolidata in questo caso non tanto dal punto di vista numerico, ma soprattutto da quello storico-culturale (es. Piemonte per i Valdesi o il Lazio, il Veneto o la Toscana per gli ebrei) [32].
Senza dubbio auspicabile appare quindi un allargamento, magari discrezionale (e/o su richiesta degli organismi confessionali interessati) lasciato alla competenza della regione, soggetto che per il contatto con il territorio meglio può individuare gli interessi, anche religiosi, da tutelare.
Per altro, il secondo comma dell'art. 154, nell'affermare che i tre membri nominati da parte del ministero per i Beni culturali e i due da parte della regione possono essere scelti oltre che tra i dirigenti delle rispettive amministrazioni anche tra "esperti esterni", permetterebbe una soluzione a questo inconveniente. Questa richiederebbe però da parte della p.a. centrale e locale una manifestazione di sensibilità per le espressioni del pluralismo religioso che l'esperienza non permette di ritenere facilmente ipotizzabili.
5. L'art. 148 del d.lg. 112/1998 e la smaterializzazione dei beni culturali
Ma è il contenuto degli articoli 148 e 152 che qui più interessa e più specificatamente la portata della definizione di bene culturale dettata dalla lett. a) dell'art. 148 e quanto stabilito dall'art. 152, n. 3, lett. h) che propone tra le attività da ricondurre ai compiti di valorizzazione (art. 148, lett. e)) dei beni culturali "l'organizzazione di itinerari culturali, individuati mediante la connessione fra beni culturali e ambientali diversi".
E' stato a proposito rilevato come una delle novità più interessanti proposte dal d.lg. 112/1998 è certamente la predisposizione di una definizione completa di "beni culturali" [33]. Scelta questa quanto mai opportuna, perché permette di fare chiarezza in un settore che, almeno dal punto di vista normativo, era ancora fortemente condizionato dall'impostazione oramai datata risalente alla l. 1089/39.
Questa scelta, letta insieme alle altre definizioni proposte sempre dall'art. 148, sembra rispondere ad una esigenza chiarificatrice, fortemente sentita dall'attuale legislatore [34], quasi a voler esorcizzare, attraverso l'approdo al sicuro porto delle definizioni normative, il fantasma dell'in(certezza) del sistema giuridico quotidianamente troppo spesso evocato dall'ipertrofia (non solo) legislativa (ma anche giurisprudenziale e dottrinaria), dalla scadente tecnica di formulazione delle leggi e soprattutto dall'instabilità congenita dell'attuale essere delle società a economia avanzata [35].
L'art. 148 suggerisce una contrapposizione tra la staticità della sua prima parte - definizione di bene culturale (lett. a) e di bene ambientale (lett. b) - e la dinamicità della seconda, che si sofferma sulle attività - tutela (lett. c), gestione (lett. d), valorizzazione (lett. e), promozione (lett. g) e attività culturali (lett. f) - inerenti i due beni precedentemente individuati. Non mi pare, poi, possa darsi significato restrittivo alcuno all'incipit dell'art. 148 che destina espressamente le definizione in esso prodotte ai soli fini del d.lg. 112/1998 [36].
Rimanendo comunque sulla lett. a) dell'art. 148 in un suo primo commento è stato opportunamente notato che esso accoglie una idea di bene culturale "generale ed attuale", la cui ampiezza permette di recuperare "le principali categorie finora individuate di beni culturali" [37].
Questa idoneità viene potenziata dalla presenza dall'inciso finale che, attraverso il riferimento agli altri beni che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà (categoria residuale e per ciò stesso aperta), attribuisce alla definizione quella indispensabile elasticità necessaria ad evitare un naturale irrigidimento presente in re ipsa in ogni definizione.
Inoltre non si è mancato di sottolineare che essa risente delle proposte a suo tempo emerse dai lavori della commissione Franceschini [38], pur differenziandosi da queste per almeno due motivi: anzitutto per la mancata riproposizione dell'aggettivo "materiale" accanto all'espressione "testimonianza avente valore materiale di civiltà" ed inoltre per la predisposizione (in precedenza assente) di una riserva di legge circa l'individuazione di questa tipologia di beni culturali.
Delle due considerazioni quella al contempo più incisiva e maggiormente problematica è la prima: specie se da ciò se ne voglia dedurre la volontà del legislatore di far venir meno l'obbligo della materialità del bene culturale [39].
La discutibilità della sua consistenza potrebbe trovare una sua ragion d'essere nel termine di paragone proposto (un testo non legislativo) per affermare la sua portata innovativa. Questo non consentirebbe, infatti, quella lineare applicazione ermeneutica propria del raffronto tra norme. Ogni dubbio viene comunque meno se solo si voglia dare un significato congruo agli elementi proposti dalla formulazione della lett. a) dell'art. 148. In nessuno di essi, infatti, può essere rinvenuto un limite espresso o implicito alla eventuale enucleazione di beni culturali immateriali.
Non possono essere comunque passate sotto tono le difficoltà intrinseche all'applicazione della ipotizzata smaterializzazione. Al contempo, però, una loro eccessiva enfatizzazione potrebbe indurre se non un blocco implicito della efficacia della norma, un suo sostanziale svuotamento.
Il legislatore sembra, infatti, aver escluso volersi riferire a ciò che nel dibattito dottrinario precedente aveva costituito il punto di riferimento in tema di assenza di materialità e cioè le attività culturali. Se anche non bastasse la scelta di predisporre un'autonoma definizione di "attività culturale" proposta dalla lett. f) dell'art. 148, una lettura sistematica nel capo V del titolo IV del d.lg. 112/98 e della l. 59/1997 confermerebbe con certezza la distinzione voluta tra attività e beni culturali.
Il rigetto di una interpretazione favorevole al superamento della obbligatoria materialità del bene comporterebbe un pregiudizio diretto sulla effettiva operatività della valvola di sicurezza che si è voluto apporre ad una definizione che, interpretata in senso restrittivo, potrebbe dimostrare tutti i suoi limiti al primo impatto con dimensioni quali la "virtualità", carattere imprescindibile della società attuale e futura, dal quale il settore dei beni culturali è già ampiamente "contaminato".
Sembra così intaccato uno degli ostacoli maggiori per l'inclusione tra i beni che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà tanto di un evento quale il Giubileo, ma soprattutto di itinerari turistico-religiosi.
Non bisogna comunque dimenticare quanto dettato dall'art. 152, comma 3, lett h). La norma, infatti, includendo tra le attività da ricondurre ai compiti di valorizzazione (art. 148, lett. e)) dei beni culturali "l'organizzazione di itinerari culturali, individuati mediante la connessione fra beni culturali e ambientali diversi", sembrerebbe escludere una loro diretta configurazione come beni, preferendo ad essa una loro classificazione tra le attività culturali.
Una simile interpretazione sarebbe frutto di un mero equivoco letterale. E' necessario, infatti, tenere sempre distinto il momento della individuazione-disegno dell'itinerario, dal risultato di questa attività. Il primo afferisce inequivocabilmente al disposto dell'art. 152, comma 3, lett h).; il secondo, cioè l'itinerario in sé, potrà rimanere uno strumento di valorizzazione di un bene culturale o ambientale e allora anch'esso sarà regolato da questa norma. In alcuni casi, però, l'itinerario potrebbe proporsi con una autonomia concettuale tale da richiedere un ulteriore sforzo ermeneutico, per verificare se esso stesso non possa essere interessato da quanto previsto dall'art. 148, lett. a), ultima parte.
La norma stessa, peraltro, riservando espressamente questo tipo di riconoscimento alla legge pone chiari limiti ad un eccessivo ricorso alla categoria delle testimonianze aventi valore di civiltà. Manca comunque una indicazione chiara circa il procedimento da utilizzare e l'unica certezza sembra essere racchiusa nel necessario ricorso allo strumento legislativo.
Il d.lg. 112/1998 ha aperto prospettive il cui orizzonte, specie nella fase di sua prima applicazione, pare difficile delimitare. Le novità proposte interessano, infatti, non solo la ripartizione delle competenze in tema di beni culturali ed ambientali, ma intervengono con decisione sull'assetto sostanziale di questo settore. In entrambi i casi non mancano utili riferimenti ai beni di interesse religioso. Ma se la riaffermata collaborazione con le competenti autorità religiose si presenta in chiave di continuità con la politica legislativa fino ad ora portata avanti in questo ambito, cariche di novità sembrano essere le norme introdotte con il nuovo impianto definitorio proposto.
L'evento giubilare, con le sue implicazioni turistiche e culturali, consente di porre in rilievo una di queste: quella del superamento della obbligatoria materialità del bene culturale. Ipotizzare la possibilità che alcuni eventi o taluni itinerari turistici (religiosi) possano essere qualificati quali beni culturali in quanto testimonianze avente valori di civiltà è solo una delle possibili strade oggi percorribili. Nel ribadire poi la non esclusività di tale fenomeno in favore della Chiesa cattolica, pare opportuno concludere auspicando che l'ampia collaborazione che in questo settore si è venuta affermando tra questa e lo Stato possa divenire un'abitudine operativa da estendere anche alle altre confessioni religiose che vivono all'interno della nostra società.
[1] Cfr. A. Ronchey, Accadde a Roma nell'anno 2000, Milano 1998.
[2] Sul significato religioso del Giubileo del 2000 imprescindibile la lettera apostolica Tertio millennio adveniente, consultabile anche in versione elettronica.
[3] Per una ricostruzione storica del sorgere ed affermarsi dei giubilei fin dal primo di essi indetto nel 1300 da Bonifacio VIII, cfr. R. Lavarini, Il pellegrinaggio cristiano, Genova 1997, 187 ss.
[4] Un'ampia raccolta dei provvedimenti normativi e delle intese stipulate tra organismi statali e religiosi per la gestione dell'evento giubilare è proposta dall'Olir - Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose nel settore dei documenti dedicato ai beni culturali di interesse religioso.
[5] Per una analisi dettagliata R. Acciai, Grande Giubileo del 2000: l'intervento finanziario pubblico fra evento religioso e business turistico, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1998, 181 ss.
[6] Cfr. A.G. Chizzoniti, Il turismo religioso tra normativa statale e normativa regionale, in Codice del turismo religioso, a cura di Antonio G. Chizzoniti, Milano 1999, 1 ss.
[7] Indovino Fabris F., Legislazione turistica, 3, Padova 1992, 4.
[8] Il turismo come fenomeno moderno nasce insieme alla divisione del lavoro, da questo punto di vista la religione in quanto "non produttiva in senso capitalistico" ( R. Lavarini, Il pellegrinaggio cit., 78), nella società contemporanea, deve essere confinata nell'area del non-lavoro, quindi assimilabile alle attività del tempo libero, con l'ulteriore ricaduta di una più facile integrazione del viaggio a motivazione religiosa, con il viaggio turistico.
[9] Sintesi di tale evoluzione si può rinvenire in quanto previsto dallo statuto del Touring Club Italiano, associazione privata sorta all'inizio del secolo, approvato nel 1909 e ancor oggi vigente in gran parte nella sua veste originale nel quale alle finalità culturali viene associata la promozione del turismo sociale (cfr. F. Indovino Fabris, Legislazione cit., 135).
[10] M. A. Stefanelli, L'organizzazione pubblica del turismo nell'ordinamento italiano, Padova 1992, 27 ss.
[11] Sugli interventi legislativi a favore del turismo sociale vedi G.Alpa, Art. 10. (Associazioni senza scopo di lucro), in AA. VV., Legge 17 maggio 1983 n. 217. Legge Quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell'offerta turistica, a cura di G. Alpa e M. Chiti, in Le nuove leggi civili commentate 1984, 1200 ss.; M. Chiti, I problemi giuridici della politica del turismo, in Le Regioni 1987, 613; F. Tedeschini, Commento alla legge quadro per il turismo, Rimini 1985, 109 ss..
[12] E' l'art. 20 del r.d.l. 23 novembre 1936, n. 2523 Norme per la disciplina delle agenzie di viaggio e turismo, convertito in legge con la l. 30 dicembre 1937, n. 2650, che può essere indicato come il più chiaro antesignano della legislazione sul turismo sociale. Esso, disponendo, che il Commissariato per il turismo (poi ministero per il Turismo e lo Spettacolo) poteva concedere deroghe a quanto statuito in generale per l'organizzazione di viaggi o gite occasionali con carattere patriottico, religioso o culturale, senza scopi speculativi, accomunava l'elemento religioso a quello più strettamente sociale.
[13] Rimane esclusa la materia dell'organizzazione dei viaggi; non vi è comunque dubbio sul fatto che fino all'intervento del 1983 la l. 326, ancorché relativa ai soli complessi ricettivi complementari, debba essere considerata la norma base in tema di turismo sociale.
[14] I settori così interessati, alla luce della numerosissima legislazione regionale che caratterizza questo ambito dell'ordinamento, possono essere ridotti a quattro: la gestione delle strutture ricettive complementari, l'organizzazione di viaggi da parte di associazioni senza scopo di lucro, la normativa inerenti i campeggi mobili e alcune esenzioni accordate per l'esercizio di professioni quali la guida e l'accompagnatore turistico: cfr. A. G. Chizzoniti, Il turismo religioso cit., 8 ss.
[15] L'art. 10 della l. 217/1983 (Legge quadro) li identifica nelle associazioni senza scopo di lucro che operano a livello nazionale per finalità ricreative, culturali, religiose o sociali. Ad esse vanno aggiunte anche quelle che svolgono la loro attività anche a livello locale o regionale, purché le rispettive legislazioni regionali lo prevedano: cfr. A.G. Chizzoniti, Legislazione regionale e turismo religioso: le attività parrocchiali del tempo libero, del turismo e dell'accoglienza, in Regioni 1998, 337 ss..
[16] Art. 14, comma 2 della l.r. Puglia 14 giugno 1996 n. 8 permette che enti, associazioni e comitati con finalità di religione riconosciute ai sensi degli artt. 11 e 12 c.c. organizzino autonomamente gite occasionali e pellegrinaggi a santuari e luoghi di culto di non più di tre giorni, viaggio compreso, in coincidenza con manifestazioni e ricorrenze inerenti ai fini istituzionali dell'associazione. Analogamente l'art. 14.2. della l.r. Piemonte 30 marzo 1988, n. 15 dispone che le associazioni ed organizzazioni senza scopo di lucro aventi finalità religiosa, operanti a livello diocesano regionale o pluriregionale, possono organizzare direttamente, quindi in deroga al principio generale che lo vieterebbe, pellegrinaggi a santuari o luoghi di culto esclusivamente per gli appartenenti o assistiti. Sul tema cfr. A. G. Chizzoniti, Il turismo religioso tra normativa statale e normativa regionale cit., 18 ss.
[17] Ad esempio l'art. 2, comma 5, della l.r. Liguria 25 maggio 1992, n. 13 e l'art. 2 della l.r. Piemonte 15 aprile 1985, n. 31: sul tema cfr. A.G. Chizzoniti, ult.op.cit., 24 ss.
[18] L'intesa (in Quad. Dir.Pol. Eccl., 1997, 513-4) indica, tra i compiti cui è chiamato il Comitato, anche quello della formazione di operatori specializzati per il turismo religioso: cfr. R. Acciai, Grande Giubileo del 2000 cit., 197.
[19] Cfr. G.Roddi, voce Guide turistiche, interpreti, in Dig. Disc. Pubbl., VIII, Torino 1993, 63 ss.; L. Righi, voce Professioni turistiche, in Dig. Disc. Pubbl., XII, Torino 1997, 12 ss.
[20] G. Roddi, voce Guide cit., 64.
[21] Una ipotesi attuativa potrebbe rinvenirsi nel coinvolgimento degli Istituti di scienze religiose con l'istituzione di un "diploma di operatore turistico-religioso". All'interno del normale iter di studi potrebbe essere predisposto, negli ultimi uno o due anni, un approfondimento delle tematiche più spiccatamente legate all'esercizio delle professioni turistiche (la geografia, la legislazione turistica, la storia dell'arte, la conservazione dei beni culturali, la predisposizione di itinerari turistico-religiosi, lo studio delle lingue). Il possesso di tale titolo di studi potrebbe, quindi, essere inserito dal legislatore regionale tra i titoli che abilitano, senza il necessario esame o con una qualche forma di equiparazione, all'esercizio delle professioni turistiche regolamentate. Sugli Istituti di scienze religiose (ISR) si può leggere la nota informativa della segreteria generale della Cei Gli istituti di scienze religiose: realtà e linee di tendenza, 2-6 maggio 1988, in Enchiridion Cei, 4, 1986-90, 1035 ss.
[22] Cfr. Corte Cost., Sent. 11-12 aprile 1989, n. 203 in Quand. Dir. Pol. Eccl., 1990, 200. In dottrina AA.VV., Il principio di laicità nello stato democratico, a cura di M. Tedeschi, Soveria Mannelli, 1996.
[23] Oltre alla già citata intesa con la regione ecclesiastica Marchigiana (vedi nota 18) si possono ricordare quella con la regione ecclesiastica Abruzzese-Molisana del 13 dicembre 1996, quella con la regione ecclesiastica Calabria del 9 giugno 1997 e quella con la Conferenza episcopale regionale toscana del 21 luglio 1997. Quest'ultima si distacca dalle altre per la più attenta e articolata formulazione. Tutte possono essere consultate all'indirizzo Internet citato alla nota 4.
[24] Sull'attività della commissione cfr. G. Feliciani, I beni culturali ecclesiastici. Dall'Accordo di revisione del Concordato lateranense alla recente Intesa, in Vita e Pensiero, 7-9, 1997, 497 ss.
[25] Per un primo commento G.Feliciani, ult.op.cit., 499 ss.
[26] Non si tratta di far rientrare dalla finestra ciò che si è fatto uscire dalla porta. L'eventuale riconoscimento di un evento o di un itinerario turistico-religioso quale testimonianza avente valore di civiltà non permetterebbe, infatti, l'applicazione di quanto disposto all'art. 12.1, comma 2: mancherebbe infatti per il suo operare il riscontro della dell'appartenenza ad enti e istituzioni ecclesiastiche. Non potendosi però mettere in dubbio, in una simile ipotesi (es. il Giubileo), il carattere di bene culturale d'interesse religioso, la sua tutela e promozione troverebbe una piana soddisfazione nell'applicazione del comma 1 dello stesso art. 12.1. che esprime la volontà di Santa Sede e Stato di collaborare per la tutela del patrimonio storico ed artistico. Collaborazione che ben si può esplicare in forme meno solenni di quelle di cui al comma 2 dell'art. 12.1., ma non per questo meno efficaci: per rimanere all'interno del d.lg. 112/1998 basti pensare alla Commissione di cui all'art. 154 di cui si dirà più avanti.
[27] Per un primo commento, cfr. gli interventi in Aedon, 1/1998 di M. Cammelli, Il decentramento difficile; M.P. Chiti, La nuova nozione di "beni culturali" nel d.lg. 112/1998: prime note esegetiche; M. Meschino, Beni e attività culturali nel d.lg. 112/1998: una proposta di lettura. Inoltre G.Pitruzzella e G. Corso, Capo V - Beni e attività culturali, in AA.VV., Commentario al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, in Le Regioni 1998, 951 ss.
[28] Cfr. F.Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, 6 ed., Bologna 1997, 355.
[29] Cfr. G. Pastori, L'art. 12 dell'Accordo 18 febbraio 1984 nel quadro dell'ordinamento giuridico italiano, in AA.VV., Beni culturali di interesse religioso, a cura di G. Feliciani, Bologna 1995, 32; P. Bellini, I beni culturali di proprietà ecclesiastica nel nuovo Concordato, in Id., Saggi di diritto ecclesiastico italiano, 2, Soveria Mannelli, 1996, 585; G.Feliciani, I beni culturali ecclesiastici cit., 493 ss.. Ancora recentemente A. Roccella, Legislazione civile ed ecclesiastica in materia di musei, in Aedon 2/1998.
[30] Cfr. G. Corso, art. 154, in Commentario cit., 971.
[31] Non è riscontrabile una perfetta corrispondenza tra la suddivisione territoriale statuale e quella ecclesiastica. Sono infatti presenti sul nostro territorio 16 regioni ecclesiastiche cui fanno capo altrettante conferenze episcopali regionali: cfr. G. Feliciani, Autorità ecclesiastiche competenti in materia di beni culturali di interesse religioso, in Aedon 1/1998.
[32] Non bisogna dimenticare che alcune intese, nel quadro della ricordata collaborazione con lo Stato per la tutela e valorizzazione dei beni culturali afferenti al patrimonio storico, morale e materiale delle rispettive confessioni, prevedono espressamente la costituzione di apposite commissioni miste: art. 17 della l. 449/1984 (intesa con le Chiese rappresentate dalla Tavola Valdese), art. 16 della l. 520/1995 (intesa con la Chiesa Evangelica Luterana in Italia). Ancora più stringente l'impegno contenuto dall'art. 17, comma 2, della l. 101/1989 (intesa con l'Unione delle Comunità ebraiche italiane) che dettava per la costituzione della commissione il termine di dodici mesi a partire dall'entrata in vigore della legge di approvazione dell'intesa e che a tutt'oggi non è stato rispettato. Sul patrimonio storico ed artistico ebraico si segnala l'iniziativa editoriale di Marsilio che propone una collana intitolata Itinerari ebraici: i luoghi, la storia, l'arte nella quale sono stati già editi i volumi dedicati a Emilia Romagna (a cura di A. Sacerdoti, A. Tedeschi Falco, V. Maugeri, 1992), Lombardia (a cura di A. Sacerdoti e A. Tedeschi Falco, 1993), Piemonte (a cura di A. Sacerdoti e A. Tedeschi Falco, 1994), Toscana (a cura di D.L. Bemporad e A. Tedeschi Falco, 1995), Veneto (a cura di F. Brandes, 1995).
[33] M.P. Chiti, La nuova nozione ecc.cit., in Aedon 1/1998.
[34 ] La medesima tecnica è presente ad esempio nella L. 675/1996 Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali e ancora recentemente nel d.lg. 24 febbraio 1998, n. 58 Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52.
[35 ] M. Ainis, La chiarezza delle leggi, in Storia d'Italia. Annali 14. Legge Diritto Giustizia, a cura di L. Violante, Torino 1998, 911 ss.
[36 ] M.P. Chiti, La nuova nozione ecc., cit. Contro questa interpretazione ampia parrebbe esprimersi l'art. 1, comma 2, del d.lg. 20 ottobre 1998, n. 368 Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59 che, richiamando espressamente le definizioni di cui all'art. 148 d.lg. 112/1998 ("Ai fini del presente decreto valgono le definizioni di cui all'art. 148 del d.lg. 31 marzo 1998, n. 112"), parrebbe accreditare l'impossibilità di applicazioni delle stesse, esterne al d.lg. che le contiene salvo esplicito rinvio. In verità proprio il richiamo proposto dal d.lg. 368/1998 ne denuncia l'ampiezza della loro portata. Parrebbe, infatti, illogico pensare che il legislatore abbia predisposto delle definizioni che valgono solo a delineare compiti e competenze dell'istituendo ministero per i Beni e non operino a fondamento dell'intera materia di beni e attività culturali.
[37 ] M.P. Chiti, La nuova nozione ecc., cit.
[38] G. Pitruzzella, art. 148, in Commentario, cit., p. 952. I lavori della commissione sono stati raccolti nel volume Per la salvezza dei beni culturali in Italia. Atti e documenti della Commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, Roma, 1967. Vedi anche Cavallo, La nozione di bene culturale tra miti e realtà: rilettura critica della prima dichiarazione delle Commissione Franceschini, in Scritti in onore di M.S. Giannini, Milano 1998, II, 133 ss.
[39] M.P. Chiti, La nuova nozione di "beni culturali" nel d.lg. 112/1998: prime note esegetiche; M. Meschino, Beni e attività culturali nel d.lg. 112/1998: una proposta di lettura, in Aedon 1/1998.