1/98, Issn 0000-000homeindicerisorse web

 

Il d.lg. 112/1998: un'occasione (per tutti)

di Daniele Jalla

 

Vorrei intervenire nel dibattito aperto sul d.lg. 112/98 , indicando per quali ragioni, al di là dei suoi limiti e dei potenziali conflitti interpretativi che ne derivano, segnalati in particolare da Chiti, Sciullo e Cammelli, è possibile guardare con ottimismo al processo di ridefinizione dell'attuale assetto dei musei italiani che esso comunque apre.

Perché di questo mi sembra si tratti: gli effetti diretti e indiretti dell'applicazione del d.lg. 112, combinati a quelli derivanti dalla riorganizzazione del ministero per i Beni culturali sono una riforma: ancora incompleta - per la mancata revisione delle norme di tutela - ma di notevole impatto.

 

Un'occasione (per tutti)

Dalla piena applicazione del d.g.112/1998, infatti, l'intero sistema dei musei e dei beni culturali potrà uscirne trasformato.

Nel modificare la normativa e l'apparato statale di tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio culturale, il d. lg. 112 coinvolge - direttamente e indirettamente - tutto il comparto pubblico:

L'influenza è potenzialmente ancor più vasta. Per citare Andrea Emiliani, "la paralisi del museo italiano è tutta spiegabile - al di là delle condizioni strutturali del paese - dall'interno della chiusa struttura amministrativa, verticale e impermeabile perfino quanto a comunicazioni fra museo e museo. (...) Naturalmente, dovremo tracciare una linea di demarcazione fra stabilimenti dello stato e stabilimenti dei comuni, e identificare due diversi comportamenti. E tuttavia, non possiamo dimenticare che, per lunga tradizione; questi secondi hanno finito per adottare modelli di amministrazione chiusa proprio ereditati dai primi (...)"[1].

Tre aspetti in particolare dell'attuale riforma - i più significativi e innovativi - se attuati potranno infatti cambiare - e di molto - la cultura di tutela e gestione del patrimonio artistico e culturale:

 

Distinzione

Per quanti rilievi possano essere mossi alla sua formulazione, la distinzione operata all'art. 148 costituisce l'aspetto maggiormente innovativo dell'intero Capo V del d.lg. 112/98.

Se la l. 59/97, riservando allo Stato le funzioni di tutela, aveva imposto di definire quanto non era compreso al suo interno, l'art. 148, ha accolto lo stimolo, esplicitamente posto dagli enti territoriali in un loro documento congiunto del luglio 1997, di considerare distintamente gestione e valorizzazione.

"Sarebbe un errore - era stato osservato - avendone ora la possibilità, non cogliere la distinzione, anch'essa fondamentale, fra i compiti di gestione degli istituti deputati alla conservazione del patrimonio (musei, aree archeologiche, residenze, monumenti, complessi urbani, edifici religiosi, archivi, ecc.) e la funzione di valorizzazione - promozione della conoscenza e fruizione di questi beni che presuppone forme e modalità di esercizio radicalmente diverse. L'unità del processo di tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio storico artistico trae beneficio da questa distinzione che, nell'esaltare la specificità di ciascuna componente del processo, consente di superare il modello organizzativo concepito in chiave fortemente centralistica e fondato su una struttura periferica finalizzata alla sola tutela del patrimonio e del territorio e trascurando la gestione degli istituti ( che infatti sul piano giuridico nemmeno esistono) e la loro valorizzazione (... )" [2].

Questa distinzione oggi è legge e l'unità del processo è teoricamente garantita da sedi di concertazione, su scala regionale e nazionale. Sta ai diversi attori istituzionali trasformare una distinzione "per decreto" in cultura comune, innanzitutto sforzandosi di individuare la nuova specificità del ruolo e delle funzioni di ciascuno alla luce del nuovo assetto proposto dal d.lg. 112 (e presto anche dalla riforma del ministero).

Sarebbe davvero un peccato, ad esempio, se le regioni non cogliessero fino in fondo il nuovo ruolo che è loro dato, cercando di assumere funzioni proprie delle soprintendenze o compiti di gestione - che toccano essenzialmente ai comuni e in secondo grado alle province - e non considerassero che si è aperta una fase "costituente" che le può vedere protagoniste di compiti legislativi e di programmazione che solo in piccola parte hanno assolto nell'ultimo ventennio. Ma considerazioni analoghe valgono per le - nuove - soprintendenze regionali, per i comuni e le province: a ciascun ente tocca ripensare a fondo il proprio ruolo.

Da un pieno riconoscimento della specificità di ognuna delle funzioni potrà discendere anche una differenziazione dei ruoli e dei mestieri degli operatori, rapportandoli ai compiti svolti: ricerca, tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio comportano certamente una cultura specialistica comune, ma anche competenze e abilità differenziate e professionalità diverse e specifiche.

Se di qui nascesse anche la prospettiva di predisporre percorsi formativi - universitari e post-universitari - adeguati ai diversi mestieri dei beni culturali, differenziando almeno la formazione alla ricerca, alla tutela e alla gestione, l'adeguamento della realtà italiana a standard europei potrebbe avere un suo avvio davvero complessivo e integrato.

 

Decentramento

Il decentramento delle funzioni (tanto difficile, quanto possibile, per rifarsi agli interventi di Cammelli e Ainis - determinato dall'applicazione del d.lg. 112/98 - comporta uno spostamento verso il basso e la periferia dei centri di responsabilità.

Impone alle regioni di ridefinire la propria legislazione, finalmente in un quadro unitario, determinato dal riassetto delle funzioni statali. Comporta, direttamente per un certo numero di comuni, indirettamente per il resto, di riconsiderare il proprio ruolo e le proprie funzioni. Altrettanto accadrà per le soprintendenze se, come pare, verranno istituite soprintendenze uniche regionali, dotandole di un'autonomia maggiore.

Ma se la logica complessiva di attuazione della riforma porterà a un processo complessivamente fondato sull'autonomia di gestione degli istituti e dei musei in particolare, il cambiamento che si delinea potrà assumere proporzioni e un interesse davvero straordinarie.

In altri termini, se dei due scenari delineati da Bobbio, prevarrà - e c'è qualche buona ragione per sperarlo - quello cooperativo, il processo di trasferimento di musei e beni culturali dello stato comporterà ben al di là dei suoi effetti diretti, una rideterminazione complessiva degli assetti istituzionali.

Non pare possibile (e se così fosse tutti avrebbero perso una grande occasione) pensare che il trasferimento della gestione possa avvenire passando semplicemente la gestione dei beni da un ente all'altro: è una prospettiva che non piace a chi li ha attualmente in gestione (e ne manterrà la proprietà), ma non attrae nemmeno chi dovrebbe riceverli. È inutile negare che le preoccupazioni di entrambi hanno buone giustificazioni, tanto più concretamente e operativamente si guarda alle cose.

Accogliendo le indicazioni di Bobbio, pare più utile considerare un trasferimento di funzioni, affidando non tanto la gestione dei beni a comuni e province, quanto la competenza, correlando questo trasferimento alla definizione di modelli di gestione che garantiscano agli istituti la necessaria autonomia e prevedano la compartecipazione di diversi enti (stato compreso) nella gestione.

E' una possibilità che può nascere dall'interno stesso di un'applicazione rigorosa e coerente del principio dell'autonomia: garantire autonomia - scientifica e culturale - a un istituto impone al tempo stesso di definire sedi e modalità per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo.

A questo servono i trust di tradizione anglosassone e i consigli di amministrazione delle fondazioni ( o delle istituzioni), i cui compiti sono di assicurare, per conto della "proprietà" o dell'ente di riferimento, che l'autonoma gestionale esercitata con pienezza di poteri dal direttore, avvenga nel rispetto della missione e degli indirizzi stabiliti.

Passi importanti in questa direzione sono stati compiuti anche in Italia tanto dall'amministrazione statale quanto dagli enti locali e, se anche le esperienze non sono molte e soprattutto non hanno lunga tradizione, la strada imboccata sembra anche la più aperta ad accogliere forme di compartecipazione nella gestione.

Un confronto sui modelli, a partire da un bilancio delle esperienze, costituisce sicuramente un primo irrinunciabile passo, utile a individuare soluzioni diverse per le diversissime situazioni che si presenteranno, ma forse ancor più utile per prospettare un quadro ampio ma unitario di soluzioni gestionali per il complesso dei musei pubblici.

Anche in questo senso l'applicazione del d.lg. 112/1998 costituisce un'opportunità per tutti, utile non tanto per individuare i musei e i beni che resteranno allo stato e quelli che dovranno essere trasferiti agli enti territoriali, ma per imporre a tutti una riflessione sui propri modelli gestionali e per cercare e sperimentare soluzioni adatte ai grandi complessi come ai piccoli musei, ai centri maggiori come ai comuni minori. E i termini chiave su cui riflettere ed elaborare non sono tanto trasferimento e proprietà quanto autonomia e controllo, compartecipazione e integrazione di sistemi.

 

Standard

La definizione di criteri tecnico-scientifici e di standard minimi da osservare nell'esercizio delle attività trasferite, in modo da garantire un adeguato livello di fruizione collettiva dei beni, la loro sicurezza e la prevenzione dei rischi" (art. 150, comma 6) è il terzo aspetto innovativo da cogliere come occasione non solo per i beni trasferiti, ma per il complesso dei musei e dei beni culturali.

E' del tutto evidente che quegli standard non potranno non applicarsi al complesso dei beni statali, ma avrebbe senso non utilizzarli come parametri di riferimento per tutti i beni, indipendentemente dalla proprietà?

La loro definizione non sarà facile e ancor più difficile sarà trovare un equilibrio fra norme e parametri applicabili al complesso dei della realtà, per loro natura dunque molto generali e prescrizioni specifiche che non potranno che essere molto precise per essere efficaci.

D'altra parte esistono una vasta letteratura internazionale e le esperienze di tutti i paesi che sottopongono l'accreditation o la registrazione di un museo al possesso di standard minimi. Prima ancora esiste il Codice deontologico dell'Icom (finalmente tradotto in italiano) e la lunga tradizione dei suoi diversi gruppi di lavoro che hanno compiuto un'approfondita elaborazione settoriale, dai problemi della security al management (delle collezioni, dei servizi al pubblico, dell'amministrazione e della sicurezza dei musei), dal restauro all'accoglienza del pubblico.

Non si può comunque non salutare come benefico il passaggio da una logica di forte discrezionalità di fatto all'assunzione di parametri e criteri scritti di riferimento. La definizione di questi standard può costituire inoltre un ulteriore terreno di prova e di verifica della capacità di tutti di intervenire su un terreno nuovo e stimolante.

Per questo sarebbe di grande valore se alla definizione degli standard venissero chiamati tutti i diversi attori istituzionali interessati e, in primo luogo, gli addetti ai lavori, i più esclusi finora dal dibattito e dalla possibilità di dire la loro su un cambiamento che li riguarda in prima persona.

 

Concludendo

Con una posta in gioco così alta e complessa, perché essere ottimisti?

Perché, al di là dei suoi limiti, il d.lg. 112/1998:

Di qui nasce l'ottimismo, anche se molto dipenderà dalla capacità dei soggetti coinvolti, di tutti i soggetti coinvolti, di proporsi come protagonisti del processo in atto, superando i limiti e le chiusure in cui ciascuno si è - spesso forzatamente - rinchiuso finora. Ma, paradossalmente, recuperando dalla distinzione delle funzioni, un'identità maggiormente delimitata, ma anche più definita; dal decentramento una maggiore possibilità di intervento e di determinazione delle decisioni; dall'individuazione degli standard una maggior formalizzazione dei propri diritti, ma anche dei propri doveri.

 


Note

[1] A. Emiliani, Il museo alla sua terza età, Bologna, 1985, 21.
[2] Cfr. il documento congiunto regioni, Upi e Anci per un nuovo ordinamento dei beni culturali, Roma, luglio 1997.


copyright 1998 by Società editrice il Mulino


 

inizio articolo